Fondamenti di Idraulica - Censimento Centri di Ricerca

10 nov 2009 ... FONDAMENTI DI IDRAULICA. A. A. 2009-2010. 1. I FLUIDI. 5. 1.1 GENERALITÀ. 5. 1.2 GLI SFORZI. 6. 1.3 PROPRIETÀ FISICHE DEI FLUIDI. 9. 1...

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FONDAMENTI DI IDRAULICA A. A. 2009-2010

1. I FLUIDI 1.1 GENERALITÀ 1.2 GLI SFORZI 1.3 PROPRIETÀ FISICHE DEI FLUIDI 1.3.1 TABELLA RIASSUNTIVA 1.4 UNITÀ DI MISURA

5 5 6 9 15 16

2. IDROSTATICA 2.1 EQUAZIONE DELL’EQUILIBRIO IDROSTATICO 2.2 MISURA DELLA PRESSIONE 2.3 SPINTA SU SUPERFICI PIANE 2.4 SPINTA SU SUPERFICI CURVE 2.4.1 SPINTA SU MEZZO TUBO AD ASSE VERTICALE 2.5 EQUILIBRIO DEI GALLEGGIANTI 2.6 EQUILIBRIO RELATIVO

18 18 19 21 23 25 26 27

3. IDRODINAMICA 3.1 CARATTERI DEL MOTO DEI FLUIDI 3.2 EQUAZIONE DI CONTINUITÀ 3.3 EQUAZIONE DEL MOTO 3.3.1 DERIVATA SOSTANZIALE E DERIVATA TOTALE 3.3.2 EQUAZIONE INDEFINITA DEL MOTO PER FLUIDO PERFETTO ( EQUAZIONE DI EULERO ) 3.3.3 EQUAZIONE DI BERNOULLI 3.3.4 CORRENTE GRADUALMENTE VARIATA

29 29 30 31 31 33 34 35

4. FORONOMIA 4.1 LUCE DI FONDO 4.2 PARATOIA PIANA 4.3 LUCE DI COMUNICAZIONE TRA DUE SERBATOI 4.4 LUCE A BATTENTE IN PARETE VERTICALE 4.5 LUCE A STRAMAZZO 4.6 TUBO DI PITOT 4.7 MISURATORE A GOMITO

39 39 39 40 40 41 43 44

5. EQUAZIONE DI BERNOULLI GENERALIZZATA 5.1 ESTENSIONE AI FLUIDI REALI 5.2 MISURATORI DI PORTATA 5.2.1 TUBO CONVERGENTE 5.2.2 DIAFRAMMA 5.2.4 BOCCAGLI

45 46 47 47 47 48

6. IL MOTO DEI FLUIDI REALI 6.1 CRESCITA DELLO STRATO LIMITE 6.2 MOTO UNIFORME: FORMULA DI DARCY - WEISBACH 6.3 REGIME LAMINARE 6.3.1 REGIME LAMINARE DI LIQUIDO NEWTONIANO 6.3.2 REGIME LAMINARE DI LIQUIDI NON NEWTONIANI 6.4 REGIME TURBOLENTO 6.4.1 MOTO TURBOLENTO IN TUBO LISCIO 6.4.2 MOTO TURBOLENTO PURO 6.4.3 MOTO TURBOLENTO MISTO

49 49 51 52 53 54 55 57 58 58

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6.5 CENNI STORICI 6.5 LE LEGGI CLASSICHE DI RESISTENZA AL MOTO 6.5.2 LA FORMULA DI CHEZY 6.5.3 LA FORMULA DI MANNING 6.5.4 LE FORMULE PRATICHE

59 59 60 61 62

7. L’EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO IDRODINAMICO 7.1 IL TEOREMA DEL TRASPORTO 7.2 IL TEOREMA DELLA DIVERGENZA 7.3 IL TEOREMA GLOBALE DELL’IDRODINAMICA 7.4 APPLICAZIONI 7.4.1 LA BOCCA DI BORDA 7.4.2 IL CARRELLO A GETTO

64 64 65 65 67 67 68

8. PERDITE LOCALIZZATE 8.1 PERDITA PER BRUSCO ALLARGAMENTO 8.2 PERDITA DI IMBOCCO 8.3 PERDITA PER RESTRINGIMENTO 8.4 PERDITA PER ALLARGAMENTO RACCORDATO 8.5 PERDITA NEI GOMITI 8.6 PERDITA CAUSATA DA UNA PARATOIA

70 70 71 71 72 72 73

9. LE MACCHINE IDRAULICHE 9.1 TURBINE 9.2 POMPE 9.2.1 POMPE IN SERIE E IN PARALLELO

74 74 75 78

10. CONDOTTE 10.1 CONDOTTE IN DEPRESSIONE: MOTO A CANALETTA 10.2 LUNGHE CONDOTTE 10.3 SISTEMI DI CONDOTTE

79 79 80 80

11. SVILUPPO DELLE FORMULE DI RESISTENZA AL MOTO 11.1 MOTO TURBOLENTO IN TUBO LISCIO 11.1.1 DIAGRAMMA DELLA VELOCITÀ 11.2 MOTO TURBOLENTO PURO 11.3 MOTO TURBOLENTO MISTO 11.4 LA SCABREZZA SUPERFICIALE

82 82 84 85 85 86

12. LE EQUAZIONI DIFFERENZIALI DEL MOTO DEI FLUIDI 12.1 L’EQUAZIONE DI CONSERVAZIONE DELLA MASSA 12.2 LE EQUAZIONI DEL MOTO 12.2.1 L’EQUAZIONE DEGLI SFORZI 12.2.2 IL MOVIMENTO E LA DEFORMAZIONE DELLA MASSA FLUIDA 12.3 LA LEGGE DI NEWTON E L'EQUAZIONE DEL MOTO LAMINARE 12.4 L'EQUAZIONE DEL MOTO IRROTAZIONALE DEL FLUIDO PERFETTO 12.5 L'EQUAZIONE DEL TRASPORTO

89 89 89 89 90 93 94 96

13 IL MOTO TURBOLENTO 13.1 IL TRASPORTO DELLA VORTICITÀ 13.2 IL MOTO MEDIO 13.3 L’EQUAZIONE DELLA CONTINUITÀ 13.4 L’EQUAZIONE DEL MOTO

97 97 99 100 101

14. BIBLIOGRAFIA

105

15. LISTA DELLE FIGURE

106

16. LISTA DEI SIMBOLI

109

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I mean to show things as they are, Not as they ought to be. Don Juan, canto XII, stanza 40

PREMESSA Il testo seguente svolge gli argomenti dell’insegnamento di FONDAMENTI DI IDRAULICA tenuto nell’Anno Accademico 2007-08 agli studenti del II Anno del Corso di Laurea di Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio nella sede di Mantova dell’Università di Pavia. La trattazione è resa in forma estesa ma non discorsiva e, quindi, lo studio delle dispense deve essere integrato dalle considerazioni svolte in aula dall’insegnante e dai pochi grafici esplicativi tracciati alla lavagna nel corso delle lezioni. Nei Capitoli 11 e 12 e in alcuni paragrafi di altri capitoli le dispense propongono argomenti che non sono svolti a lezione, in quanto non rientrano nel programma di Fondamenti di Idraulica; tuttavia, essi costituiscono un utile completamento delle conoscenze dei temi fondamentali dell’Idraulica e della Meccanica dei Fluidi. Benché l’esame finale di Fondamenti di Idraulica consista nello svolgimento guidato di problemi numerici, raccomandiamo agli studenti di acquisire le elementari conoscenze teoriche della Idraulica senza le quali la soluzione corretta di ogni problema risulta puramente aleatoria. Nel testo i termini tecnici e le parole chiave sono evidenziati in rosso mentre i simboli delle varie grandezze sono scritti in blu. Le quantità scalari sono scritte in formato normale, i vettori sono in grassetto e i tensori sono rappresentati in grassetto contornato.

.

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1.

I FLUIDI

1.1

GENERALITÀ

Nella interpretazione della meccanica classica adottata dall’Idraulica e dalla Scienza delle Costruzioni, il volume FLUIDO e il corpo SOLIDO sono idealizzati come MEZZI CONTINUI IN EQUILIBRIO TERMODINAMICO. Nella realtà fisica fluidi e solidi sono mezzi discontinui costituiti da molecole distanti tra loro che si muovono in continuazione. Poiché i movimenti molecolari sono di molti ordini di grandezza più piccoli delle dimensioni minime che interessano nei problemi di idraulica, le proprietà del corpo sono definite come media delle proprietà dell’insieme di molecole, tra loro interagenti, che occupa ogni piccola porzione del corpo medesimo: da ciò deriva la rappresentazione fisico – matematica di mezzo continuo in ogni punto del quale le proprietà del corpo sono uguali a quelle medie. Come vedremo nel seguito, considerare il mezzo continuo implica postulare che, alla superficie di contatto fluido - solido, il fluido acquista la medesima velocità del corpo solido (condizione di aderenza): nella realtà, invece le molecole dei due corpi sono libere di muoversi e di interagire tra loro. Il SOLIDO ha una forma e un volume definito che si deforma con velocità trascurabile e: -

lo stato tensionale interno è legato al cambio di forma del corpo,

-

durante la deformazione si sviluppano sforzi tangenziali legati alla deformazione,

-

in condizioni statiche esistono sforzi tangenziali che tendono a ripristinare la forma originaria del corpo.

Nel FLUIDO lo stato tensionale interno è legato al movimento del corpo (Fig.1.1): -

nel corpo che si deforma allontanandosi dalla originaria posizione di quiete si sviluppano sforzi tangenziali legati alla VELOCITÀ DI DEFORMAZIONE,

-

in condizioni di quiete NON esistono sforzi tangenziali e il volume fluido non ha forma propria.

I Fluidi si dividono in: -

LIQUIDI si distinguono dai gas in ragione della coesione esitesente tra le loro molecole. I liquidi, pur non avendo forma propria, mantengono il proprio volume e, se sono a contatto di un ga, presentano una riconoscibile superficie di separazione o superficie libera; essi sono poco comprimibili e hanno densità poco variabile.

-

GAS la cui densità varia facilmente con pressione e temperatura secondo modalità definite con l'equazione di stato: f (p, v, T) = 0

che lega tra loro: pressione, volume specifico, che è l’inverso della densità v = 1/ρ , e temperatura. Pertanto, i gas non hanno nè forma nè volume proprio ma tendono a riempire completamente il loro contenitore. Il corso di Fondamenti di Idraulica considera liquidi incomprimibili e con densità costante. Le caratteristiche del Fluido e del suo moto si misurano con riferimento alle grandezze fondamentali indicate qui sotto con le loro unità di misura:

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- Lunghezza [ m ] per la misura delle proprietà geometriche del corpo, - Tempo [ s ] per la misura delle proprietà cinematiche del corpo, - Forza [ N ] , utilizzata per nostra comodità in luogo della Massa [ kg ], per la misura delle proprietà dinamiche del corpo, - Temperatura [ K ] per la misura delle proprietà temiche del corpo. Al volume fluido V definito da una superficie di contorno σ sono applicate due categorie di forze come è illustrato in Fig.1.2: -

forze di massa F , come ad esempio la forza di gravità, che sono date dall'integrale esteso a V della forza f per unità di volume [ N m-3 ]: F = ⌠V f d V ⌡

-

(1.1)

forze di superficie S che sono date dall'integrale esteso a σ di tn , forza per unità di superficie o sforzo unitario [ N m-2 ]: S = ⌠ tn d σ ⌡σ

1.2

(1.2)

GLI SFORZI

Le forze applicate al volume fluido o, in generale, al corpo continuo deformabile si distribuiscono all’interno del corpo medesimo sottoponendolo a uno stato di sforzo la cui descrizione consente di calcolarne le reazioni a fronte delle sollecitazioni esterne. La trattazione seguente si riferisce a un generico mezzo continuo deformabile, fluido o solido che sia, in quanto è indipendente dalle modalità di deformazione del corpo che sono descritte dalle EQUAZIONI COSTITUTIVE del materiale di cui il corpo è fatto, le quali legano gli sforzi alle deformazioni. Lo SFORZO tn = tn (x, y, z, n) che si esercita su un elemento di superficie passante per un generico punto P dipende: (1) dalla posizione (x, y, z) del punto nello spazio, (2) dalla giacitura della superficie, ossia dalla direzione n del versore normale all’elemento di superficie, centrato in P, sul quale si esercita lo sforzo. Per convenzione si considera positiva la direzione della normale uscente, come indicato in Fig.1.2. Segue dalla definizione che, per una assegnata posizione P, lo sforzo tn cambia in direzione e modulo al variare dell’orientamento della superficie sulla quale si esercita, come è dimostrato scrivendo la condizione di equilibrio del TETRAEDRO DI CAUCHY, indicato nella Fig.1.3a che mostra solo il piano x – z per semplificare la rappresentazione grafica: tn dA = tx [dA cos (nx) ] + ty [dA cos (ny) ] + tz [dA cos (nz) ] da cui, semplificando: tn = tx nx + ty ny + tz nz

(1.3a)

ove, per i coseni direttori, sono utilizzati i simboli:

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nx = cos (nx) ny = cos (ny) nz = cos (nz) Per rendere più compatta la relazione (1.3a) che ha la forma di un prodotto scalare, si possono scrivere i coseni direttori come componenti del VETTORE (tensore del primo ordine): | nx | n = | ny | = nx i + ny j + nz k | nz | mentre i tre vettori tx , ty , tz si possono scrivere come componenti del TENSORE (del secondo ordine): | txx

txy

txz |

= | ty | = | tyx

tyy

tyz |

tzy

tzz |

| tx | | tz |

| tzx

(1.4a)

oppure nella forma: = tx i + ty j + tz k = ( txx i + txy j + txz k ) i + ( tyx i + tyy j + tyz k ) j + ( tzx i + tzy j + tzz k ) k Il significato degli indici degli elementi della matrice, come è evidenziato nella Fig.1.8 che rappresenta per semplicità solo il piano x – z, deriva dalle seguenti convenzioni: -

orientamento destrorso del verso delle componenti,

-

il primo indice è riferito alla direzione della normale al piano su cui agisce lo sforzo,

-

il secondo indice è riferito alla direzione della componente dello sforzo.

Ne segue la forma compatta: tn =

.

(1.3b)

n

che, quando è svolta per esteso, assume la forma: tn = ( txx nx + tyx ny + tzx nz ) i + ( txy nx + tyy ny + tzy nz ) j + ( txz nx + tyz ny + tzz nz ) k Il teorema di Cauchy definisce compiutamente con le (1.3) lo stato di sforzo nel generico punto del corpo. Il tensore di sforzo gode di alcune utili proprietà. Dall’equilibrio alla traslazione di una porzione di corpo di spessore tendente a zero, si riconosce facilmente che gli sforzi agenti sulle facce opposte della medesima superficie sono uguali e contrari: tn = - t - n Dall’equilibrio alla rotazione del volumetto di Fig.1.8 si riconosce: t xz = t zx Procedendo analogamente sui piani x-y e y-z si ottiene:

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t xy = t yx t yz = t zy Dunque, il tensore dello sforzo è simmetrico e gli elementi non identici della matrice passano dai 9 di (1.4a) ai 6 di (1.4b) e prendono il nome di componenti di Lamé. | txx

txy

txz |

= | txy

tyy

tyz |

| txz

tyz

tzz |

(1.4b)

Come meglio vedremo in seguito, in condizioni di quiete esistono nel fluido solo sforzi normali: dimostriamo che il loro modulo è indipendente dalla giacitura della faccia (Fig.1.3b). Sulle facce parallele ai piani coordinati i vettori sforzo sono definiti come prodotto del loro modulo per il vettore unitario nella direzione dell'asse coordinato: tx = txx i

;

ty = tyy j

tz = tzz k

;

Inizialmente, ammettiamo che moduli degli sforzi normali siano disuguali tra loro. Prese le componenti di tn nelle direzioni x, y, z, per l'equilibrio delle forze agenti sulle facce del tetraedro otteniamo, proiettando nelle tre direzioni: tx (dA nx ) = ( t n nx ) dA ty (dA ny ) = ( t n ny ) dA tz (dA nz ) = ( t n nz ) dA da cui si ricava che l'entità dello sforzo non dipende dalla giacitura dell'elemento: t n = tx = ty = tz = p La matrice delle componenti del tensore degli sforzi nel liquido in quiete (tensore dello sforzo pressorio) risulta, per quanto visto sopra: | 1

0

0

|

=-p| 0

1

0

| =-p

| 0

0

1

|

(1.4c)

ove è la matrice identità delle componenti del tensore unitario: il segno della pressione è negativo in quanto, per la convenzione che riprenderemo in Cap.2, la PRESSIONE p è assunta diretta come la normale entrante. Inserendo la (1.4c) nella (1.3b) otteniamo: tn = - p

.

n = -p ( nx i + ny j + nz k ) = - p n

Il modulo dello sforzo (pressione) in un punto del liquido in quiete dipende solo dalla posizione del punto e si misura in [ Pa ] equivalente a [ N m-2 ]. Quando ricaveremo le equazioni del moto nei Cap.3 e 12, troveremo utile la tradizionale scomposizione del tensore di sforzo in due parti: tensore dello sforzo pressorio e TENSORE DELLO SFORZO VISCOSO : =-p +

(1.5)

La relazione (1.5) si riduce alla (1.4c) quando il fluido è in quiete oppure è ipotizzato non visco-

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so come vedremo in Cap.3. Riconosciamo immediatamente che: τij = tij

i≠j

τii = tii - p che dà, scrivendo per esteso la matrice delle componenti dello sforzo viscoso:

1.3

| τxx

τxy

τxz |

= | τxy

τyy

τyz |

| τxz

τyz

τzz |

(1.4d)

PROPRIETÀ FISICHE DEI FLUIDI -4

2

-4 2

DENSITÀ: è definita dal simbolo ρ , ha le dimensioni di (F L T ) e si misura in [ N m s ] ovvero in [ kg m-3 ] con riferimento alle unità di misura di § 1.4. La densità del corpo dipende dalla pressione p alla quale esso è sottoposto e dalla sua temperatura T. La legge del gas perfetto dà: p=ρRT ove R è la costante del gas, essendo R = Ru/Mm, con Ru costante universale dei gas e Mm peso molecolare del gas. alcuni valori sono dati nella tabella seguente. Fluido Acqua dolce (1)

Acqua salata (b) Aria

Temperatura [°C] 0 4 10 15 20 25 30 40 0 20 0 20 40

Densità ρ [kg m-3] 999.9 1000.0 999.7 999.1 998.2 997.1 995.7 992.2 1028.0 1024.0 1.293 1.205 1.128

(1) la densità del ghiaccio a 0 °C è 917 è [ kg m-3] (2) acqua di mare con salinità del 35 ‰

In particolare: -4 2

ρ = 1000 [ N m s ] per l'acqua a 4°C e alla pressione atmosferica; comunque, tale valore si può ritenere approssimativamente costante nel campo delle pressioni considerate nella pratica e nel campo delle temperature T comprese tra 0 °C e 40 °C come si osserva nella tabella precedente che fornisce la densità dell'acqua dolce, dell'acqua salata e dell'aria al variare della temperatura.

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Spesso, viene utilizzata nei calcoli ingegneristici la densità relativa che è adimensionale ed è definita come rapporto tra la densità del liquido all'esame e la densità dell'acqua a 4 °C. -3

-3

PESO SPECIFICO: è definito dal simbolo γ , ha le dimensioni di (F L ) e si misura in [ N m ] : -3

γ = g ρ = 9806 [ N m ] -2

per l'acqua, essendo g l'accelerazione di gravità: g = 9.806 [ m s ] . Il peso specifico di un liquido si misura con lo strumento chiamato densiometro, che si basa sul principio di Archimede. Il grado di immersione dello strumento, che è costituito da un ampolla appesantita che termina con un'asta graduata, dà la misura del peso specifico. COMPRIMIBILITÀ: viene definita dal modulo di elasticità di volume Ε e indica come una variazione della pressione p esercitata, a temperatura costante, sul volume fluido ne cambia la densità: Ε = ρ(

∂p ) ∂ρ T

(1.6)

Il modulo di elasticità di volume Ε si misura in [ Pa ] poiché ha le dimensioni della pressione, e vale: 9

Ε = 2.2 10 [ Pa ] per l’acqua a 20°C; questo valore si mantiene pressoché invariato fino alla temperatura di 45°C. Il suono si propaga nel fluido come un’onda di pressione e la sua velocità di propagazione dipende dal modulo di elasticità del fluido secondo la relazione: c=

Ε/ρ

TENSIONE SUPERFICIALE: ogni molecola del liquido è attratta dalle molecole che la circondano da ogni parte; ne segue che le molecole che stanno sulla superficie libera, e non hanno molecole sopra di loro, possono essere attratte soltanto dalle molecole sottostanti e la superficie libera subisce una trazione verso l'interno del liquido: le bolle d'aria in acqua e le bolle di sapone in aria sono perfettamente sferiche per racchiudere il loro volume con la minima superficie di contorno e meglio resistere alla pressione prima di scoppiare. Il fenomeno è idealizzato ammettendo che la superficie libera costituisca una sottilissima pellicola che resiste a ogni tentativo di aumentarne l'estensione opponendo una forza chiamata tensione superficiale: la tensione superficiale s ha -1 -1 le dimensioni ( F L ) e si misura in [ N m ]. La tensione superficiale mantiene a una pressione superiore a quella dell'ambiente circostante, il gas contenuto all'interno della bolla di sapone a-2 vente raggio R [m]. La differenza di pressione ∆ p [ N m ] si calcola considerando che le due metà della bolla di Fig. 1.4a si separano solo quando la bolla scoppia. Pertanto, in condizioni di equilibrio, la spinta sulla faccia interna della semibolla deve essere uguale alla forza che tiene unite le due semibolle in corrispondenza di una generica circonferenza equatoriale. Per quanto si vedrà in § 2.4, l'equilibrio tra la forza che gonfia la semibolla dall'interno e quella che si oppone all'aumento della circonferenza della bolla, si scrive come: ∆ p π R2 = 2 π R s Si riconosce immediatamente che la tensione superficiale s è un vettore con direzione normale al piano equatoriale della bolla e verso opposto alla risultante delle pressioni interne alla semibolla. La pressione all'interno della bolla è dunque:

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2s ∆p= R

(1.7a)

La tensione superficiale dell'acqua diminuisce con la temperatura secondo la relazione ove la temperatura è data in [ °C]: sa = 0.0755 - 0.0001569 T [ N m-1]

(1.7b)

Per l'acqua a contatto con l'aria alla temperatura di circa 20°C si ha dunque: -1

sa ≈ 0.0725 [ N m ] La tensione superficiale svolge la sua azione anche quando il volume di liquido è a contatto con una superficie solida. L'angolo che la superficie libera forma al contatto con il solido dipende dalla coesione tra le molecole di liquido e dalla adesione del liquido al solido. Se l'angolo di contatto, indicato con β in Fig.1.4b, è inferiore a 90° si dice che il liquido bagna il solido; al contrario, se β>90° il liquido non lo bagna; ad esempio, l'acqua bagna il vetro pulito ma non lo bagna se è passato a cera e i detersivi contengono sostanze che riducono la tensione superficiale dei tessuti per consentire all'acqua di meglio penetrare nel loro ordito. Su una superficie di paraffina o di teflon, per la quale cos β è negativo, la tensione superficiale trattiene il liquido facendolo raccogliere in gocce. Sulla pelle umana non c’è effetto di tensione superficiale. La CAPILLARITÀ è un importante effetto della tensione superficiale: se il liquido contenuto in un tubo ne bagna le pareti, come accade all'acqua in un tubo di vetro pulito, esso forma un MENISCO concavo - β<90° - e la pressione dell'acqua alla superficie libera risulta inferiore a quella atmosferica causando la risalita dell'acqua nel tubo fino a ristabilire l'equilibrio delle forze alla superficie libera; al contrario, il liquido che non bagna il tubo forma un menisco è convesso β>90° - e deprime la superficie libera come mostra la Fig.1.4c. L'innalzamento del liquido nel tubo si calcola osservando che l'aderenza liquido - solido "trascina" il il liquido contenuto del tubo verso l'alto mentre il peso proprio fa scendere il liquido verso il basso. La condizione di equilibrio fornisce: 2

s ( 2 π R ) cos β = γ ( π R ) h

(1.7c)

Per l’acqua, essendo circa nullo l’angolo di inclinazione della superficie libera al contatto con una parete di vetro o di metallo, si pone cos β ≈ 1 e quindi si ottiene: -6

2s 15 10 ha = = R [m] γR Diversamente dall’acqua il mercurio ha tensione superficiale: -1

sm = 0.0484 [ N m ] e l'angolo di contatto con il vetro è: β ~150° ossia

cos β = -0.85

per cui dalla (1.6c) si ricava: -6

2 s cosβ 8.4 10 ≈hm = R [m] γR VISCOSITÀ: si oppone al movimento del fluido dando origine agli sforzi di resistenza al moto. Nell’esempio di Fig.1.5 si immagina che il liquido sia confinato tra due piastre parallele; la dif10 10/11/09

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ferenza di velocità tra le due piastre (la superiore trasla nel suo piano con velocità u0 mentre la inferiore rimane ferma) induce la deformazione del fluido; per fissare le idee consideriamo che il fluido si muova nella direzione x e che abbia su due filetti adiacenti, tra loro distanti dy , velocità u e u + (du/dy) dy . A causa della viscosità del fluido la deformazione indotta nel fluido genera lo sforzo tangenziale τyx per il quale Newton nel 1686 ha proposto la relazione costitutiva: du τyx = µ d y

(1.8a)

dx che, essendo u = d t , può essere scritta come: d dx dϕ τyx = µ d t ( d y ) = µ d t

(1.8b)

ove d ϕ/d t è la VELOCITÀ DI DEFORMAZIONE ANGOLARE. -2

Il coefficiente µ è chiamato coefficiente di VISCOSITÀ DINAMICA, ha dimensioni (F L T), si misura in unità dette Poiseuille [Pl ] che equivale a [ N s m-2 ] o a [Pa s]. La viscosità dinamica dipende dalla temperatura; la relazione di Poiseuille fornisce valori approssimati con errori di qualche percento: 0.00179 µ = 1 + 0.03368 T + 0.000221 T2

(1.9)

con T [ °C ]. Il valore corretto per l'acqua a 20 °C è: µ = 0.001005 [ Pl ] Talvolta, nella pratica tecnica si trova la viscosità dinamica definita in poise P o centipoise cP che equivalgono rispettivamente a: 10 P = Pl , 1000 cP = Pl . 2

-1

Il coefficiente ν è chiamato coefficiente di VISCOSITÀ CINEMATICA, ha dimensioni (L T ), si 2 -1 misura in [ m s ] e vale per l'acqua a 20 °C: -6

2

-1

ν = µ / ρ =1 10 [ m s ] Nella pratica viene usata anche l’unità di misura detta stoke S oppure il suo centesimo, centisto-4 2 -1 ke cS, essendo: 1 stoke = 10 [ m s ]; quindi la viscosità cinematica dell’acqua è di un centistoke. Notiamo che in generale esiste, accanto al coefficiente di viscosità (tangenziale) definito dalla (1.7a), anche il coefficiente di viscosità di volume che è nullo per un fluido incomprimibile. La viscosità dei lubrificanti dei motori è classificata secondo il criterio proposto dalla Society of Automotive Engineers (SAE). Il numero di viscosità SAE è dato su due diverse scale: la ordinaria e l’invernale ( W ). Ad esempio il lubrificante di gradazione SAE 20 ha una viscosità cinematica alla temperatura T = 98.8 °C, alla quale opera usualmente il motore di automobile, compresa -5 nel campo 0.57 10-5 < ν [m2 s-1] < 0.96 10 mentre SAE 20W ha viscosità cinematica a T = 98.8 -5 °C compresa nel campo 0.39 10 < ν [m2 s-1] e viscosità dinamica 2.4 < µ [ Pl ] < 9.6 alla temperatura T = -17.7 °C, rappresentativa delle condizioni di avvio del motore in inverno. I fluidi per i quali il legame costituivo tra lo sforzo tangenziale e la velocità di deformazione an-

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golare segue la legge (1.8), rappresentato sul grafico di Fig.1.6 con la linea C, sono detti newtoniani: l'acqua, gli oli vegetali e minerali e le soluzioni di piccole molecole sono fluidi newtoniani. Altri fluidi non sono newtoniani e la loro legge costitutiva è definita in modo diverso dalla eq. (1.7a). La pasta dentifricia, il fango e i prodotti a base di grassi e cere, che oppongono una resistenza iniziale al movimento, hanno un comportamento di fluido plastico alla Bingham (curva A) simile a quello dei fluidi pseudo-plastici (curva B), che riducono la loro viscosità al crescere della velocità di deformazione. Il comportamento pseudoplastico è dovuto alle modificazioni della struttura interna del materiale, composto da particelle aggregate in maniera irregolare quando sono in quiete. Con il movimento crescono gli sforzi interni, vincendo le forze di attrazione molecolare, riallineano le molecole e le dispongono in modo più favorevole al movimento. I fluidi che richiedono uno sforzo proporzionalmente sempre maggiore all’aumentare della velocità con la quale si muovono, ossia producono l’effetto delle “sabbie mobili”, sono detti fluidi dilatanti (curva D). Questo comportamento contraddistingue le sospensioni molto concentrate di solidi in liquidi plastificanti, il cui volume aumenta quando lo sforzo applicato è elevato. Conseguentemente, il plastificante non è più in grado di lubrificare completamente la superficie delle particelle solide, la cui resistenza al moto aumenta. La discussione della dinamica di questi fluidi sarà affrontata in § 6.3.2. I fluidi la cui viscosità, a velocità di deformazione costante, cresce nel tempo sono detti reopeptici, mentre quelli la cui viscosità diminuisce nel tempo sono detti tissotropici. Hanno questo comportamento: vernici, cosmetici, gel alimentari e farmaceutici. La viscosità del materiale liquido, misurata con il VISCOSIMETRO o REOMETRO, è una caratteristica di notevole importanza di molti prodotti industriali e la sua conoscenza serve per controllarne il processo di produzione. Sono in uso strumenti che misurano la viscosità assoluta oppure danno la viscosità relativa, per confronto con un liquido di viscosità nota. Nel viscosimetro il liquido è messo in movimento a bassa velocità al fine di mantenere il moto in regime laminare (vedi Cap.6). Nei viscosimetri capillari, che sono tra gli strumenti più antichi ma sono tuttora considerati tra i più precisi per misure di liquidi newtoniani, il liquido scorre in un tubo capillare per effetto della gravità o di una differenza di pressione tra l’ingresso e l’uscita del tubo: dalla misura del tempo di efflusso di un volume noto di fluido si risale alla viscosità. Nei reometri a estrusione, utilizzati per le materie plastiche, il movimento di una vite, che avanza nel tubo, espelle il liquido dal capillare. Il viscosimetro a sfera cadente, noto come viscosimetro di Höppler, è costituito da un tubo calibrato riempito dal liquido da misurare, nel quale viene fatta cadere una sfera: dalla misura del tempo di caduta della sfera si stima, con la relazione di Stokes, la viscosità del fluido. Questo strumento è portatile e piuttosto preciso ed è utilizzato per misurare la viscosità di carburanti, oli lubrificanti, solventi, liquidi farmaceutici e alimentari, fluidi biologici. Il viscosimetro a rotazione - Couette rheometer - misura la resistenza opposta alla rotazione (intorno al medesimo asse) di un cilindro rigido rispetto a uno fisso, dal liquido contenuto nell’interstizio, di spessore s, tra i due cilindri. Il cilindro è azionato da un motore elettrico a velocità costante; una molla, o una barra di torsione, misura il momento torcente esercitato dal liquido sul cilindro rotante. Nota la geometria dell’apparecchio, schematizzata in Fig.1.7, la viscosità è calcolata direttamente dalla relazione di Newton. Poiché la curvatura dell’interstizio anulare può essere considerata trascurabile se s/r0 è piccolo, il liquido può essere considerato in 12 10/11/09

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re può essere considerata trascurabile se s/r0 è piccolo, il liquido può essere considerato in moto piano e si può ritenere che lo sforzo tangenziale sia constante ovunque nel liquido. La integrazione della (1.8a) è immediata e fornisce, con i simboli in figura: τ0 s µ = U 0

(1.10)

con U0 = ω0 r0 e τ0 = M / A r0 ove A è l’area laterale del tamburo rotante, M è la sua coppia motrice. TENSIONE DI VAPORE: è la pressione pV alla quale il liquido è in equilibrio con il suo vapore. Quando la pressione nel liquido supera la tensione di vapore, esso inizia a evaporare dalla sua superficie libera per aumentare la pressione nel gas sovrastante fino a che non viene ristabilito l’equilibrio. La tensione di vapore cresce in maniera monotona con la temperatura. La temperatura per la quale la tensione di vapore eguaglia la pressione atmosferica si dice temperatura di ebollizione. * Per l’acqua, la dipendenza della tensione di vapore pv [ kPa ] dalla temperatura T [°C] è data dalla (1.11) che, con errore inferiore al 0.5 ‰ nel campo di temperatura [ 0 ÷ 50 °C ], approssima la meno comoda relazione di Wexler (1976): 17.368 T * pv = 0.61121 exp [ 238.88 + T ]

(1.11)

In particolare, alla temperatura di 20°C risulta: *

pv = 2.34 [ kPa ] *

Quando la pressione p∞ nel liquido scende al di sotto della sua tensione di vapore, si formano bolle di vapore al suo interno, ossia il liquido prende a bollire. Il processo di formazione di bolle di vapore all’interno del liquido, che prende il nome di CAVITAZIONE, è altamente distruttivo e può rapidamente rovinare eliche, pompe, turbine o altre macchine di movimentazione di liquidi che operano a elevata velocità. Per ogni apparecchiatura idraulica, per la quale sia da temere l’innesco della cavitazione, può essere definito sperimentalmente il valore critico del numero di cavitazione (adimensionale) Ca al di sotto del quale non è consigliabile scendere: *

p∞ - pv Ca = ρ U2

*

(1.12) *

Ciò consente di determinare il limite inferiore per la pressione p∞ del liquido all’interno della apparecchiatura, ovvero il limite superiore per la velocità U, che garantisce il funzionamento senza cavitazione. PROPRIETÀ TERMICHE: la variazione di temperatura del liquido, che, come abbiamo visto, ne influenza le caratteristiche, dipende dalla quantità di calore trasferita dall'ambiente esterno al corpo di volume V [m3] e dalla sua capacità termica CT [ J/°C]: CT = cS ρ V

(1.13) -1

-1

Il calore specifico cS [J kg °C ] è la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado centigrado la temperatura di una massa unitaria di liquido.

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A un cambiamento di stato, che avviene senza variazione di temperatura, corrisponde uno scambio di energia termica tra il corpo liquido e l'esterno. Il calore latente di fusione è l'energia necessaria per passare dallo stato solido a quello liquido: per sciogliere il ghiaccio in acqua alla temperatura di 0 °C sono richiesti 335 [kJ kg -1]. L'energia richiesta per trasformare il liquido in gas è detta calore latente di vaporizzazione: per l'acqua al punto di ebollizione di 100°C il calore latente di vaporizzazione è di 2256 [kJ kg -1]. OSSIGENO DISCIOLTO: è una proprietà chimica dei liquidi allo stato naturale e ha una rilevante importanza nella caratterizzazione biologica dell'acqua dei fiumi e dei laghi; l'ossigeno disciolto - DO - è immesso dall'atmosfera nell'acqua per diffusione attraverso la superficie libera oppure è prodotto per fotosintesi dalla flora acquatica. La concentrazione di ossigeno che può essere contenuta nell'acqua diminuisce con la temperatura: alla temperatura di 20 °C e in condizioni di saturazione la concentrazione volumetrica dell'aria nell'acqua è del 2 %. In acqua, l'ossigeno è più solubile dell'azoto e quindi cambia la composizione dell'aria che in acqua a 20 °C contiene il 33 ÷ 35 % di O2 in luogo del 21 % di O2 contenuto in atmosfera: sperimentalmente si trova che a saturazione il contenuto di ossigeno in acqua è di 9.1 [ mg/l]. Di questo argomento tratterà diffusamente il corso di Ingegneria Sanitaria - Ambientale. 1.3.1 TABELLA RIASSUNTIVA È di utile riferimento la tabella seguente che elenca le proprietà fisiche di alcuni liquidi alla temperatura T = 20°C. I valori della tensione di vapore sono approssimati al primo decimale. NOME DEL FLUIDO Acetaldeide Acetone Acido acetico Acido formico Acido solforico Acqua a 4 °C Acqua di mare Alcool butilico Alcool etilico Alcool metilico Anilina Benzene Cloroformio Fenolo Glicerina Kerosene Idrossido di sodio Mercurio Nonano Olio SAE 10W30 Olio SAE 10W Olio SAE 20W20 Olio SAE 30

VISCOSITÀ CINEMATICA [cS] 0.295 0.410 1.232 1.500 14.600 1.002 1.044 2.850 1.510 0.745 4.370 0.744 0.380 11.300 1183.000 2.400 10.000 0.119 1.000 130.000 115.000 200.000 350.000

PESO

TENSIONE

SPECIFICO [kN

DI VAPORE

m-3 ]

7.727 7.747 10.277 11.963 18.033 9.806 10.051 7.874 7.570 7.766 10.012 8.619 14.601 10.571 12.365 7.884 13.042 133.067 7.031 8.580 8.531 8.678 8.727

[ kPa ] 105.0 30.0 3.3 5.4 2.4 2.4 2.4 8.7 9.0 30.0 0.5 14.0 30.0 0.5 0.0 0.5 2.4 0.0 0.5 0.0 0.0 0.0 0.0

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Olio SAE 40 Olio SAE 50 Ottano Petrolio extra light Petrolio light Petrolio medio Petrolio pesante Styrene

1.4

900.000 950.000 0.805 6.000 16.500 520.000 8000.000 0.900

8.825 8.845 6.884 8.335 8.923 9.708 9.708 9.080

0.0 0.0 0.5 0.0 0.0 0.0 0.0 0.5

UNITÀ DI MISURA

Le proprietà fisiche del corpo fluido sono state più sopra definite in termini di unità dimensionali (lunghezza, massa oppure forza, tempo, ecc.); l’unità di misura dice invece quanto di una particolare dimensione è posseduto dal corpo. Noi faremo ricorso al Sistema Internazionale (SI) di misura; questo è un sistema di misura consistente, cioè usa il numero minimo di dimensioni indipendenti per caratterizzare il fenomeno fisico. Ne sono necessarie 4 per caratterizzare i fenomeni di idrodinamica: lunghezza, massa, tempo, temperatura. Non tutti i sistemi sono consistenti: ad esempio l’English Engineering System (EE), il cui uso è molto diffuso negli Stati Uniti, è inconsistente; con questi sistemi dobbiamo utilizzare fattori di conversione per passare da una unità ad un’altra. Le unità di misura sono riassunte nella seguente tabella, insieme con le relazioni di conversione nelle unità tecniche ancora utilizzate. DIMENSIONE

UNITÀ

SIMBOLO

DEFINIZIONE

Lunghezza

metro

m

-

Tempo

secondo

s

-

Massa

chilogrammo

kg

-

Temperatura

Kelvin

K

-

Forza

Newton

N

Pressione

Pascal

Lavoro Potenza

CONVERSIONE 1 ft = 0.3048 m

(1)

K = °C + 273.15

(2)

1.0 kg m s-2

1.0 kgp = 9.8067 N

(3)

Pa

1.0 N m-2

1.0 psi = 6.865 k Pa

(4)

Joule

J

1.0 N m

1.0 BTU = 1.056 k J

(5)

Watt

W

1.0 J s-1

1 HP = 745.7 W

(6)

1. in idraulica marittima è usato il miglio marino (internazionale) pari a: 1 naut. mi. =1852 m da non confondersi con il miglio terrestre - statute mile -che vale: 1 mi. = 1609.3 m 2. °C gradi centigradi = 5/9 ( °F – 32 ) gradi Fahrenheit 3. nell'EE è utilizzata l'oncia - ounce (avoirdupois) - che vale: 1 oz = 0.278 N 4. psi = lb/inc2 (pound diviso pollice al quadrato). Per la misura della pressione sono ancora usati il Bar che vale: 1 bar = 100 000 Pa e l'atmosfera (tecnica) pari a 1 kg p /cm2 che vale : 1 at = 98 067 Pa che differisce leggermen-

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te dalla atmosfera (fisica) che vale invece: 1 atm = 101325 Pa ; talvolta usato è il torr che vale: 1 torr = 133.3 Pa 5. BTU = British Thermal Unit. La tonnellata equivalente di petrolio vale: 1 tep = 4.1868 1010 J 6. HP = horse power; in Europa continentale era invece usato il cavallo vapore che vale: 1 CV = 735.5 W

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2. 2.1

IDROSTATICA EQUAZIONE DELL’EQUILIBRIO IDROSTATICO

Ricaviamo in maniera intuitiva l'EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO IDROSTATICO dalla quale deriva, come caso particolare, il principio tradizionalmente attribuito ad Archimede (287212 a.C.). Per semplicità di esposizione introduciamo subito alcune ipotesi semplificative. Consideriamo uno spazio indefinito occupato da un fluido pesante, ossia immesso in un campo gravitazionale, e in quiete. Al suo interno individuiamo un generico volume finito V contornato dalla superficie chiusa S. Ricordando quanto visto in § 1.1 sappiamo che la massa fluida è sottoposta a: - forza di massa, che consiste nel peso proprio del volume V: G=⌠ ρgdV ⌡V ove g è il vettore accelerazione di gravità diretto verticalmente verso il basso, - forza di superficie: essendo il fluido in quiete, sulla superficie di contorno agisce la sola pressione come stabilito dalla (1.4c). La spinta S esercitata dalla superficie di contorno verso l’esterno è: S= ⌠ pndA ⌡S Per l'equilibrio deve essere: S = G

(2.1)

Indicata con Π la SPINTA IDROSTATICA esercitata verso la superficie di contorno dal liquido esterno: Π=-S ossia: Π= -⌠ pndA ⌡S si scrive l'equazione globale dell'equilibrio idrostatico: Π + G = 0

(2.2)

Consideriamo che il fluido in quiete sia incomprimibile ma non necessariamente a densità costante. Poiché la forza peso ammette potenziale con superfici equipotenziali orizzontali anche per la spinta si deve ammettere l'esistenza di un potenziale: questo è rappresentato dalla pressione. Anche le superfici a eguale pressione (superfici isobariche) sono orizzontali. Chiamiamo: - PIANO DEI CARICHI IDROSTATICI ASSOLUTI ( p.c. i. a.) il piano orizzontale sul quale la pressione assoluta vale: p* = 0

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- PIANO DEI CARICHI IDROSTATICI RELATIVI ( p.c.i.) il piano orizzontale sul quale la pressione è pari alla pressione atmosferica: p* = po. Di solito si usano nei calcoli pressioni relative p per cui la pressione sul p. c. i. a. risulta p = - po e la pressione sul p.c.i. vale p = 0. Lo specchio liquido di un serbatoio o di un lago rappresenta il piano dei carichi idrostatici relativi del serbatoio o del lago. Se applichiamo l'eq. (2.2) al cilindretto verticale di altezza h e area di base dA che si affonda sotto il p. c. i. fino al punto P illustrato in Fig.2.1 e proiettiamo sulla verticale, otteniamo: γ h dA - dΠ = 0

(2.3)

essendo d Π = p d A si ottiene: P

p =γh

(2.4)

P

La pressione idrostatica nel generico punto P ha modulo pari al suo affondamento sotto il p.c.i. moltiplicato per il peso specifico del fluido, è diretta normalmente alla superficie nel punto P ed è volta verso l’interno del fluido. Di conseguenza la differenza di pressione tra due punti posti a quote diverse vale: ∆ p = p2 - p 1 = γ ( h 2 - h 1 ) = - γ ( z 2 - z 1 ) = - γ ∆ z ove h2 e h1 sono gli affondamenti dei punti 2 e 1 sotto il p .c. i. mentre ∆ z è la differenza di quota dei 2 punti sopra il piano orizzontale dal quale si misurano le quote (asse delle z diretto verso l’alto). In generale, considerando le quote z dei punti sopra un piano di riferimento orizzontale posto alla quota z = 0 otteniamo: dp dz=-γ

(2.5)

nota come legge dei fluidi pesanti e incomprimibili o legge di Stevin, che equivale a: p + γ z = costante Dalla eq. (2.5) si deduce che la pressione aumenta al crescere dell'affondamento del punto sotto il piano dei carichi idrostatici. Il diagramma di ripartizione delle pressioni idrostatiche è triangolare con angolo al vertice pari a: θ = atan γ Nel caso in cui il volume contenesse due fluidi non miscibili questi possono restare in quiete solo se la linea di separazione è orizzontale e il liquido più pesante sta sotto al più leggero. 2.2

MISURA DELLA PRESSIONE

La distribuzione della pressione in un serbatoio riempito di fluido in quiete è completamente determinata quando sia nota la posizione del p.c.i. del fluido, ossia la sua quota zo sul piano di riferimento z = 0. Gli strumenti di misura delle pressioni consentono di determinare la posizione del p.c.i. del liquido. Il manometro semplice è un tubo a U riempito di liquido manometrico, non miscibile con il liquido contenuto nel serbatoio, avente peso specifico γm molto diverso da γ e collegante il serbatoio con l'atmosfera Fig.2.2. L'equilibrio delle pressioni sul piano passante per il menisco interno

18 10/11/09

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del manometro fornisce h , affondamento sotto il p. c. i. del menisco interno del manometro: h=∆

γm γ

(2.6)

Risulta h > ∆ se γm > γ altrimenti vale il contrario. Nota la quota zm del menisco interno del liquido manometrico si ottiene la quota del p. c. i.: zo = zm + h

(2.7)

Se il menisco interno del manometro è a contatto con un gas, il cui peso specifico è circa pari a zero, la lettura dello strumento fornisce la pressione pa in un punto qualunque del volume occupato dal gas: pa = ∆ γm Il manometro differenziale è un tubo a U riempito di liquido manometrico - al solito, mercurio avente peso specifico γm e collegante tra loro due serbatoi (il menisco a contatto con il liquido del serbatoio 1 è il più depresso dei due) contenenti due fluidi di peso specifico γ1 e γ2 inferiori a γm: esso fornisce la differenza tra le quote dei p.c.i. dei due fluidi. Con riferimento alla Fig.2.3 facciamo l'equilibrio delle pressioni sul piano passante per il menisco più depresso, ossia posto alla quota inferiore: γ1 h1 = γ2 ( h1 - δ1-2 - ∆ ) + ∆ γm da cui: δ1-2 = h1

γ2 - γ1 γm - γ2 +∆ γ2 γ2

(2.8a)

Quando γ1 = γ2 risulta: δ1-2 = ∆

γm - γ γ

(2.8b)

Quando il peso specifico del liquido manometrico - spesso, alcol - è più piccolo di γ1 e γ2 , facendo l'equilibrio sul piano passante per il menisco più elevato si ottengono ancora le relazioni (2.8a) e (2.8b) nelle quali dobbiamo ricordare di inserire ∆ con il segno negativo, poiché è misurato in direzione opposta all'asse verticale: nella (2.8b) il valore δ1-2 è positivo, essendo γm < γ e ∆ < 0. Si usa il liquido manometrico pesante quando, per ragioni pratiche, si vuole che sia: ∆ << δ1-2 . Si usa liquido manometrico leggero quando si vuοle aumentare la precisione della lettura: ∆ > δ1-2 . Per avere la posizione assoluta dei due p.c.i. deve essere inserito un manometro semplice o metallico o un trasduttore di pressione che metta in relazione la pressione in uno dei serbatoi con l'atmosfera; si noti che il manometro semplice è un manometro differenziale nel quale un serbatoio è costituito dall'atmosfera. Il manometro metallico di Fig.2.4 e il trasduttore di pressione misurano la pressione (rispetto all'atmosfera) che si ha nel centro dello strumento.

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2.3

SPINTA SU SUPERFICI PIANE

Il modulo della spinta esercitata dal fluido su una superficie piana di area A e orizzontale, con affondamento h sotto il p. c. i., vale: Π= ⌠ γhdA=γhA ⌡A La spinta sulla superficie piana inclinata di un angolo α rispetto all'orizzontale (Fig.2.5) vale: Π = ⌠ γ h d A = ⌠ γ x sen α d A = γ sen α ⌠ x d A = γ sen α xG A ⌡A ⌡A ⌡A L'integrale: ms = ⌠ x d A = A xG ⌡A è il momento statico della superficie di area A rispetto alla LINEA DI SPONDA - intersezione con il p.c.i.del piano sul quale giace la superficie - che è pari al prodotto dell'area A per la distanza xG del baricentro di tale area dalla linea di sponda. Facendo comparire l'affondamento del baricentro sotto il piano dei carichi idrostatici hG: hG = sen α xG scriviamo: Π = γ hG A

(2.9)

È detto CENTRO DI SPINTA il punto di applicazione della spinta. Consideriamo per semplicità una superficie piana con asse di simmetria posto su una linea di massima pendenza. Per l'equilibrio dei momenti attorno alla linea di sponda deve essere: Π xC = γ sen α ⌠ x2 d A ⌡

(2.10)

A

ove xC è la distanza, misurata lungo la superficie piana, del centro di spinta dalla linea di sponda, che consideriamo, per semplicità, esterna alla sezione sulla quale si esercita la spinta. Il centro di spinta è posto sull'asse di simmetria. La eq. (2.10) può essere facilmente risolta in alcuni casi di interesse pratico. Se la superficie è rettangolare con uno dei lati parallelo alla linea di sponda come in Fig.2.6 a, la eq. (2.10) diventa con alcune semplificazioni: 2

2

L2 - L1 xC = 2

L2

⌠ x2 dx ⌡ L1

La soluzione dell’integrale dà la formula: 20 10/11/09

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3

3

2 L2 - L1 xC = 3 2 2 L2 - L1

(2.11)

ove L2 e L1 sono le distanze, misurate sul piano della superficie, dei lati paralleli alla linea di sponda, rispettivamente alle quote z2 e z1, dalla linea di sponda medesima: a seconda della disposizione della superficie rispetto al p.c.i. le distanze L1 e L2 possono essere positive o negative. La eq. (2.11) mostra che la distanza tra centro di spinta e baricentro: 1 ( L2 - L1 ) dC = xC – xG = 6 L + L 2 1

2

è positiva se la linea di sponda sta al di sopra del baricentro, ossia se xG è positiva; nel caso contrario dC è negativa come nel caso di Fig.2.6 b. Inoltre, se la linea di sponda taglia la superficie, ossia se il liquido a contatto esercita una pressione relativa in parte positiva e in parte negativa – ricordando sempre che la pressione assoluta non può essere negativa -, il centro di spinta si sposta verso l’esterno della superficie. In particolare, quando la linea di sponda taglia il terzo medio della superficie risulta dC > L/2 come in Fig.2.6 b; se la linea di sponda passa dal baricentro, dC va all’infinito. Se il lato superiore del rettangolo sta sulla linea di sponda, risulta L1 = 0 e L2 = L , con L lunghezza della superficie rettangolare, e la eq. (2.11) assume la forma: 2 xC = 3 L

(2.12)

Se, invece, il lato inferiore del rettangolo sta sulla linea di sponda, con L1 = - L e L2 = 0 , risulta: 2 xC = - 3 L

(2.12)

Nel caso della superficie circolare di raggio R come in Fig.2.7 la posizione del centro di spinta è data da: +π / 2

2

2 2 xC π R xG sen α = [ ⌠ ⌡ 2 R cos θ ( R sen θ + xG ) d θ ] sen α 2

-π / 2

La soluzione dell’integrale dà la formula: R2 xC = xG + 4 x G

(2.13)

Qualora il cerchio sia tangente alla linea di sponda, osservato che xG = R, la eq. (2.13) diventa: 5 xC = 4 R

(2.14)

Le considerazioni fatte precedentemente a proposito della posizione reciproca tra linea di sponda e centro di spinta valgono anche nel caso della superficie circolare. Le espressioni del centro di spinta cadono in difetto quando la superficie piana è orizzontale; in tal caso il centro di spinta coincide con il baricentro.

21 10/11/09

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2.4

SPINTA SU SUPERFICI CURVE

La determinazione diretta della spinta su una superficie curva richiede la difficoltosa soluzione di un integrale avente ad argomento un vettore: SC = ⌠ p n d A ⌡C

(2.15)

Anche nel semplice esempio di Fig.2.8 a di una sporgenza semicilindrica lunga L che spicca dalla parete piana e verticale di un serbatoio, il calcolo si sviluppa con numerosi passaggi. Riconosciuto che la pressione nel generico punto P della superficie cilindrica, è: pP = γ (hG - R sen θ)

(2.16)

ove hG è l'affondamento dell'asse del semicilindro di raggio R, conviene proiettare la relazione vettoriale (2.15) secondo le direzioni x e z ottenendo: π/2

SCZ = ⌠ ⌡ [ L γ (hG - R sen θ) R sen θ d θ

(2.17a)

-π/2 π/2

SCX = ⌡ ⌠ [ L γ (hG - R sen θ) R cos θ d θ

(2.17b)

-π/2

Si osserva immediatamente che l'integrale (2.17a) si riduce a: 2

π/2

2 2 SCZ = - γ L R ⌠ ⌡ sen θ d θ = - γ ( ½ π R ) L

(2.18a)

-π/2

avendo risolto l'integrale per parti. Il risultato trovato ci dice che la componente verticale della spinta sulla superficie curva è uguale al peso del liquido contenuto nel semicilindro: SCZ = | G | La spinta è, come il peso, diretta verso il basso. L'integrale (2.17b), risolto per parti, dà: -π/2

SCX = γ hG L R sen θ |

π/2

π/2

- γ L R2 ⌠ ⌡ sen θ cos θ d θ = γ hG 2 R L

(2.18b)

-π/2

Il risultato trovato ci dice che la componente orizzontale della spinta sulla superficie curva è uguale alla spinta S0 sulla superficie piana individuata dalla linea a tratti nella sezione di Fig.2.8 b che mostra il dettaglio della figura precedente. Al medesimo risultato si giunge considerando la Fig. 2.8 b e osservando che: 1) la differenza della pressione tra i punti P e P', disposti sulla medesima verticale, è ∆p = γh; 2) la componente della spinta secondo l'asse z su due elementi di superficie dA = L R dθ è pari al peso del volumetto di liquido individuato in figura; ne risulta che l'integrale è, appunto, il peso del liquido contenuto nel semicilindro; 3) la componente della spinta secondo l'asse x su un generico elemento di superficie è pari alla pressione esercitata su di esso moltiplicata per la proiezione dell'area dell'elemento sul piano

22 10/11/09

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verticale: dSCX = p cos θ dA = p dAx ; ne risulta che l'integrale è dato dalla spinta sulla superficie piana individuata dalla linea a tratti. In definitiva, ritroviamo un risultato ovvio: la spinta SC sulla superficie curva si può ricavare dall'equazione dell'equilibrio idrostatico applicata al volume liquido, che chiameremo VOLUME DI CONTROLLO, contenuto tra la superficie piana e la sporgenza semicilindrica: SC + S0 - G = 0 In ragione della sua maggiore semplicità, la soluzione indiretta che ricorre alla applicazione dell’equazione dell’equilibrio idrostatico (2.2) nel volume di controllo, viene preferita alla soluzione diretta dell'integrale (2.15). Nel seguito e negli esercizi consideriamo sempre casi semplici di superfici curve con linea di contorno contenuta in un piano. Consideriamo tre casi diversi, ricordando che esprimiamo col simbolo Π la spinta della superficie di contorno sul volume liquido e con S la spinta del volume liquido sul contorno. SPINTA SU UNA PARETE AGGETTANTE: applichiamo l'equazione globale dell'equilibrio idrostatico (2.2) al volume di liquido racchiuso tra la superficie curva e il piano sul quale appoggia il contorno della superficie curva che è individuato nelle Fig.2.9 a, b, c. Otteniamo: Πo + Πc + G = 0 dalla quale, notando che Πc è la spinta che la parete esercita sul liquido e Sc è la spinta che il liquido esercita sulla parete, ricaviamo: Sc = - Πc = Πo + G

(2.19)

Il vettore risultante si ottiene tracciando il poligono delle forze. Definita la convenzione positiva delle forze, le componenti della risultante secondo gli assi coordinati x e z sono calcolate algebricamente in base alle prefissate direzioni positive; ricordiamo che il peso G è diretto verso il basso. I simboli Πox , Πoz , G indicano i moduli delle forze; valori negativi di Scx , Scz indicano che la componente è diretta in senso opposto alla direzione positiva. Con riferimento alla Fig.2.9 a ne otteniamo la componente orizzontale: Scx = Πox e la componente verticale: Scz = Πoz - G Con riferimento alla Fig.2.9 b otteniamo: Scx = - Πox Scz = - Πoz - G La Fig.2.9 c rappresenta il caso di spinta Πo esercitata da liquido in depressione e quindi avente verso opposto alla normale entrante nella parete piana (con proiezioni dirette secondo x e z positivi) e, pertanto: Scx = + (- Πox ) Scz = + (- Πoz ) - G

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come nel caso di Fig.2.9 b. Il modulo della risultante è sempre dato da: | Sc | =

Scx2 + Scz2

Note le posizioni del centro di spinta sulla superficie piana e del baricentro del volume liquido otteniamo la retta di applicazione di Sc . SPINTA SU UNA PARETE RIENTRANTE: con espediente di calcolo applichiamo l'equazione globale dell'equilibrio idrostatico (2.2) al volume di controllo, virtualmente riempito di liquido sottoposto al p. c. i. del serbatoio, individuato in Fig.2.10 a. Otteniamo: Sc = Πc = - Πo - G

(2.20)

Ancora una volta, il calcolo algebrico per la determinazione delle componenti della risultante deve considerare la direzione delle componenti di Πo e di G. Poiché, nell’esempio considerato, la direzione delle componenti di Πo è negativa, la (2.20) proiettata sugli assi fornisce: Scx = - ( - Πox ) = Πox Scz = - (- Πoz ) - (- G) = Πoz + G La Fig.2.10 b rappresenta il caso di spinta Πo esercitata da liquido in depressione e quindi avente verso opposto alla normale entrante nella parete piana. Con le convenzioni viste sopra scriviamo: Scx = - (+ Πox ) = - Πox Scz = - (+ Πoz ) - (- G) = - Πoz + G 2.4.1 SPINTA SU MEZZO TUBO AD ASSE VERTICALE Applichiamo l'equazione globale dell'equilibrio idrostatico (2.2) al volume di liquido contenuto nel mezzo tubo e otteniamo, come si vede in Fig.2.11: Πo + ΠBi + ΠBs + Πc + G = 0

(2.21)

ove Πo è il vettore della spinta sulla superficie piana verticale, ΠBi e ΠBs sono i vettori della spinta sulla base inferiore e, rispettivamente, sulla base superiore del semitubo, Πc è il vettore della spinta sulla superficie curva, G è il peso del fluido. Se consideriamo un tratto di semitubo di lunghezza L osserviamo che: (a) l'aumento della pressione idrostatica tra la sommità e la base del tronco dà una differenza di spinta verticale uguale al peso del liquido contenuto nel semitubo (con ciò viene soddisfatto l’equilibrio delle forze sulla verticale); (b) le rimanenti forze di superficie sono orizzontali. Otteniamo il valore della spinta sul semitubo proiettando l’equazione dell’equilibrio idrostatico in direzione normale alla corda del semitubo: Π c = - 2 R p L = - 2 R γ hG L ove p è la pressione a metà della lunghezza del tubo e hG è l’affondamento della mezzeria del tronco di tubo sotto il p.c.i.. La spinta è diretta secondo l'asse di simmetria della superficie.

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Poiché la spinta del liquido sul tubo è: Sc = - Πc , il semitubo risulta sollecitato a trazione: 2 T L = 2 R L γ hG Se il tubo è di piccolo spessore t si può ammettere approssimativamente che esista solo azione assiale: T=σt e la sollecitazione di trazione sul materiale costituente il tibo è espressa dalla formula di Mariotte: σ =

2.5

γhR t

[N m-2]

(2.22)

EQUILIBRIO DEI GALLEGGIANTI

Un corpo galleggiante soggetto a sbandamento, ad esempio una nave che rolla sotto l’azione delle onde, si mantiene stabile se all’affievolirsi della sollecitazione riesce a riprendere la sua posizione iniziale. Il galleggiante è instabile se non riesce a riprendere tale posizione; ad esempio, una nave che si rovescia con mare in burrasca è detta instabile (per quel mare). Il galleggiante è stabile se la spinta idrostatica che si esercita sul suo scafo in posizione sbandata e il suo peso formano una coppia stabilizzante di momento M; ad esempio se lo sbandamento è causato da un rollio in senso antiorario, la coppia stabilizzante deve imprimere una rotazione oraria, come si vede nella sezione di Fig.2.12. Consideriamo un natante con forma e distribuzione dei pesi simmetrica rispetto al suo piano di mezzeria; in tal caso il baricentro del corpo è posizionato sull’asse (verticale) di mezzeria della sezione trasversale. Il centro della spinta sulla superficie immersa della chiglia, che è diretta verticalmente per l’equazione dell’equilibrio idrostatico, sta sull’asse di simmetria (o di mezzeria) se il natante è in posizione ordinaria, cioè non sbandata, altrimenti la spinta sulla superficie immersa ha retta di applicazione, sempre verticale, che passa per il baricentro del volume immerso e taglia l’asse di simmetria in un punto detto metacentro. Se il metacentro è posto a quota superiore al baricentro il natante è stabile, in caso contrario è instabile. Consideriamo una fetta lunga un metro di chiglia del natante avente la sezione di Fig.2.12, che ipotizziamo, per semplicità, di approssimare con un rettangolo invariato da prua a poppa; il natante è sbandato di un angolo θ abbastanza piccolo per poterlo confondere con il suo seno. Con riferimento alla figura osserviamo che la spinta sulla parte più immersa del fondo è maggiore della spinta sulla parte meno immersa: ciò causa il momento stabilizzante. Trascurato il contributo della spinta sul lato verticale del rettangolo approssimante la chiglia, il momento stabilizzante dato dalla spinta idrostatica sulla fetta di chiglia risulta: L/2

L3 2 M=2γ ⌠ x θ d x = γ θ ⌡ 12 0

Ovviamente, il modulo della spinta non risulta influenzato dallo sbandamento e rimane pari al peso del volume immerso: Π=γLd

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Le dimensioni della sezione immersa sono: L larghezza, d pescaggio. Il centro di spinta della nave sbandata si trova spostato rispetto alla posizione con natante non sbandato della quantità: M L2 s= = θ 12 d Π

(2.23)

Detta η la distanza dal centro di spinta (non sbandato) al baricentro della fetta di natante, si ottiene la distanza λ dal metacentro al baricentro: ( λ + η ) sen θ = s Sostituendo la (2.19) e considerando che sen θ ~ θ si ha: L2 λ = 12 d - η

(2.24)

Il natante è stabile se λ è positivo. Osserviamo dalla (2.24) che la stabilità è sempre assicurata quando il centro di spinta è a quota superiore al baricentro strutturale della nave, perché risulta, in tal caso, η < 0. Se, come in Fig.2.12, la quota del baricentro strutturale è superiore a quella del centro di spinta (della nave non sbandata), la condizione di stabilità è data dalla relazione: L2 η < 12 d 2.6

(2.25)

EQUILIBRIO RELATIVO

Quando il recipiente contenente il volume V di liquido si muove di moto uniformemente accelerato, la forza di massa diventa: G = ⌠ ρ (g - a ) d V ⌡V ove il vettore accelerazione di gravità g diretto verticalmente verso il basso si compone con il vettore a che rappresenta l'accelerazione del recipiente che è opposta a quella della massa del fluido. Infatti, se consideriamo un riferimento cartesiano mobile e solidale con il recipiente, constatiamo che il recipiente è fermo rispetto ad esso e, di conseguenza, la massa liquida subisce l'accelerazione - a. Le superfici a pressione p costante sono in ogni loro punto perpendicolari a r = g - a e il piano tangente forma con il piano orizzontale l'angolo: a tan ( θ ) = g

(2.26)

La relazione (2.5) si trasforma nella più generale: dp ds=-ρr

(2.27)

ove r è il modulo del vettore r e il segmento infinitesimo ds è preso nella direzione opposta al verso dell'asse s come si vede in Fig. 2.13. Moltiplicando e dividendo la (2.27) per cos ( θ ) otteniamo:

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dp=-ρr

cos ( θ ) ds d s = - ρ [ r cos (θ )] =-ρgdz cos ( θ ) cos ( θ )

come si deduce dalla Fig. 2.13. Pertanto, si conclude che la (2.27) equivale alla (2.5) e che in ogni punto interno al liquido in equilibrio relativo la pressione vale: p = γ d ove d è l'affondamento (misurato in verticale) del punto sotto la superficie libera sulla quale p = 0 . Nel caso di recipiente che si sposta orizzontalmente e accelera come in Fig. 2.14, il piano della superficie liquida, ossia il piano dei carichi idrostatici, si dispone perpendicolarmente alla direzione della risultante delle accelerazioni formando con l'orizzontale l'angolo dato dalla (2.26). Nel caso di recipiente che decelera la superficie libera è ovviamente disposta all'opposto di quanto illustrato in figura. All'interno del liquido il generico piano sul quale la pressione è costante è disposto parallelamente alla superficie liquida e la pressione in ogni suo punto è data dall'affondamento, misurato in verticale, di questo piano sotto il piano dei carichi idrostatici. Nel caso di moto accelerato con direzione verticale, se l'accelerazione del recipiente è verso il basso il suo modulo si sottrae a quello della gravità; se l'accelerazione è verso l'alto i moduli si sommano: la superficie libera rimane orizzontale. Nel caso del serbatoio cilindrico che ruota intorno al suo asse come in Fig. 2.15, la superficie liquida assume la forma di paraboloide di rotazione. Infatti, osservato che l'accelerazione centrifuga del fluido ha direzione radiale normale all'asse di rotazione (che ipotizziamo verticale come in figura) e punta verso l'esterno e che il suo modulo è a = ω2 r essendo ω la velocità angolare del recipiente ed r il raggio del generico punto della superficie libera come si dimostra in § 3.3.4, la (2.26) si scrive: dz ω2 r tan ( θ ) = dr = g

(2.28)

Il significato dei simboli è chiaramente illustrato in Fig. 2.15. L'equazione della generatrice del paraboloide si ottiene integrando la (2.28): ω2 r2 ω2 r xdx= 2g z= g ⌠ ⌡0

(2.29)

avendo posto z = 0 nel vertice del paraboloide. La posizione della superficie è definita se è noto il volume del liquido contenuto nel serbatoio cilindrico. Il volume del liquido compreso tra il paraboloide e il piano orizzontale tangente al suo vertice ed evidenziato in Fig. 2.15, si trova facilmente integrando la (2.29) e vale: π ω2 R4 V= 3g

(2.30)

ove R è il raggio del recipiente.

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3.

IDRODINAMICA

3.1

CARATTERI DEL MOTO DEI FLUIDI

Il moto di un fluido incomprimibile, che si muove in uno spazio del quale sono noti i contorni, è definito quando sono state calcolate le 4 grandezze incognite: velocità

U = | u, v, w | = f1 ( x, y, z, t )

pressione

p = f2 ( x, y, z, t )

risolvendo le 4 equazioni della idrodinamica che rappresentano: - PRINCIPIO DI CONTINUITÀ che impone la conservazione della materia - PRINCIPIO DELLA QUANTITÀ DI MOTO individuato dalla 2a Legge di Newton: “ la variazione di quantità di moto di un corpo è uguale alla risultate delle forze applicate ed è diretta secondo la direzione di questa “. Questa equazione esprime anche il Principio di Conservazione dell'Energia secondo il quale il lavoro compiuto dalle forze esterne eguaglia l'energia acquisita / ceduta dal corpo. Nello spazio occupato dal fluido in movimento possono essere individuate famiglie di curve aventi particolari proprietà, la cui conoscenza è utile per rappresentare e riconoscere visivamente in maniera intuitiva i caratteri del movimento del fluido. Queste linee non sono una pura astrazione teorica ma hanno un significato concreto: infatti possono essere tracciate analiticamente quando siano note le equazioni che regolano il moto del fluido oppure possono essere visualizzate durante esperienze di laboratorio utilizzando dei traccianti (filetti di fluido colorato, confetti, fili colorati, ecc.) che vengono fotografati a diversi istanti di tempo. La LINEA DI CORRENTE o di flusso, è la curva che, all'istante t = t0 , è in ogni suo punto tangente al vettore velocità. Per semplificare la rappresentazione grafica facciamo riferimento a un moto nel piano (x, y). La sua equazione risulta: u(x, y, to) dx = v(x, y, to) dy

(3.1)

Le linee di corrente non si intersecano. Per definizione una superficie costituita da linee di corrente tra loro adiacenti non viene attraversata da particelle in movimento e quindi si comporta come un tubo le cui pareti sono impermeabili al fluido: questa superficie viene chiamata TUBO DI FLUSSO. La TRAIETTORIA è il luogo dei punti percorsi dalla particella che all'istante t = t0 è passata dal punto di coordinate (x0 , y0). Per semplificare la rappresentazione grafica facciamo riferimento a un moto nel piano (x, y). La sua equazione risulta: dx dy = u (x, y, t; xo, yo,to) v (x, y, t; xo, yo,to) = d t

(3.2)

al generico istante ti traiettoria e linea di corrente sono tra loro tangenti solo nel punto (xi , yi ). La LINEA DI FUMO è la curva che contiene all'istante ti tutte le particelle che nell'intervallo di tempo ti – t0 hanno attraversato il punto (x0 , y0 ), come le particelle di caligine che escono da un

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camino di dimensione infinitesima. L'insieme delle linee di fumo uscite da punti contigui, costituenti una sorgente (comignolo) di dimensioni finite, costituisce un pennacchio. In MOTO PERMANENTE la velocità nel generico punto P del campo di moto, ossia dello spazio occupato dal fluido in movimento, non cambia mai. Al contrario, nella condizione di Moto Vario la velocità delle particelle che si trovano a passare nel generico punto P cambia con il trascorrere del tempo. In moto permanente i caratteri cinematici del moto di un fluido sono indipendenti dal tempo: di conseguenza le traiettorie e le linee di corrente sono in ogni punto tra loro tangenti. Da ciò deriva immediatamente che, in moto permanente, traiettorie, linee di corrente e linee di fumo sono tra loro coincidenti. 3.2

EQUAZIONE DI CONTINUITÀ

Il principio della continuità (o della conservazione della massa) si esprime in diverse forme che si applicano alla soluzione dei vari problemi. Nel seguito ricaveremo forme semplificate (che però sono esatte cioè non approssimate) della equazione di continuità in quanto supponiamo sempre di trattare con un fluido incomprimibile e di uniforme densità. FORMA INDEFINITA DELLA EQUAZIONE DI CONTINUITÀ. Il principio della continuità dice che la quantità di fluido che esce nell'unità di tempo dal volume infinitesimo dV = dx dy dz deve essere uguale a quella che entra in quanto il volume è per definizione indeformabile. Facendo il bilancio mostrato in Fig.3.1 otteniamo: ∂v ∂w ∂u + + = div ( U ) = 0 ∂y ∂z ∂x

(3.3)

ove: u, v, w sono le componenti secondo gli assi x, y, z del vettore velocità U. La eq. (3.3) vale anche se il fluido è comprimibile ma il suo moto è permanente, come si deduce immediatamente dalla eq. (12.2). FORMA GLOBALE DELLA EQUAZIONE DI CONTINUITÀ. Applichiamo il principio della continuità a un tubo di flusso, che può essere rappresentato in un caso pratico da un tubo in gomma o da una condotta in metallo o altro, e ammettiamo che il tubo possa deformarsi. Se nell’intervallo di tempo d t il tronco di tubo lungo d s individuato in Fig.3.2 si gonfia, esso intrappola del liquido e la quantità di liquido uscente dalla sezione terminale del tronco è più piccola della quantità entrante dalla sezione iniziale e il viceversa accade se il tubo si contrae. Questa situazione è descritta dalla equazione differenziale alle derivate parziali: ∂Q ∂A + =0 ∂s ∂t

(3.4)

ove Q = Q (s, t) è la portata che scorre nel tubo, A = A (s, t) è l'area della sezione trasversale del tubo. In moto permanente la equazione di continuità applicata al tubo di flusso fornisce semplicemente:

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dQ ds =0

(3.5)

ossia: Q = costante Notiamo che la relazione (3.5) si applica sempre nella soluzione dei problemi di moto permanente anche se spesso non è dichiarato esplicitamente. Infatti se definiamo la VELOCITÀ MEDIA nella sezione del tubo come: Q Um = A [m s-1]

(3.6)

otteniamo che, tra due sezioni 1 e 2 del medesimo tubo di flusso, vale, in moto permanente: A1 Um1 = A2 Um2 EQUAZIONE DEI LAGHI. E' una espressione molto utile del principio della continuità che si applica a un condotto di lunghezza finita, a un serbatoio o a un lago: dV Qe - Qu = d t

(3.7)

ove: Qe = Qe ( t ) è la portata entrante nel lago, Qu = Qu ( t ) è la portata uscente dal lago, V = V ( t ) è il volume d'acqua immagazzinato nel lago. 3.3

EQUAZIONE DEL MOTO

Applicando a un elemento di fluido avente massa M = ρ ∆V la prima legge di Eulero, che generalizza la seconda legge di Newton, la quale dice che la risultante delle forze di massa F e di superficie S applicate all'elemento fluido ne eguaglia la forza di inerzia, si ottiene l'equazione del moto del fluido: D D t (ρ U ∆V) = ( F + S )

(3.8a)

La derivata dal particolare simbolo maiuscolo, che studieremo in § 3.3.1, sta a significare che consideriamo la variazione della quantità ρ U ∆V mentre l’elemento di fluido si muove, come se l’osservatore lo cavalcasse. Poiché l’elemento fluido non perde né acquista massa durante il suo spostamento, la (3.8a) equivale alla: DU ρ D t ∆V = F + S

(3.8b)

3.3.1 DERIVATA SOSTANZIALE E DERIVATA TOTALE La derivata che esprime l'accelerazione nelle equazioni (3.8) deve considerare che il punto di calcolo si sta spostando con il moto del fluido; pertanto, essendo la velocità: U = U [ x(t), y(t), z(t), t ] la sua derivata si deve calcolare con la regola della derivazione concatenata. Risulta così:

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DU ∂U ∂U dx ∂U dy ∂U dz Dt = ∂t + ∂x dt + ∂y dt + ∂z dt Constatato che: dx dt = u ;

dy dt =v ;

dz dt =w

si ottiene l'espressione: DU ∂U ∂U ∂U ∂U = + u + v + w Dt ∂t ∂x ∂y ∂z

(3.9a)

la quale ci dice che la velocità U dell'elemento fluido cambia perché ( Fig. 3.4): a) nell'intervallo di tempo d t anche la velocità in B è infinitesimamente cambiata, b) l'elemento inizialmente posizionato nel punto A, spostatosi nel tempo infinitesimo d t alla nuova posizione B, a distanza infinitesima da A, trova una velocità diversa da quella che aveva in A. Secondo la definizione data da Reynolds, questo fatto è espresso, a meno di infinitesimi di ordine superiore, dalla (3.9a) che è chiamata DERIVATA MATERIALE – variazione della velocità rilevata dall’osservatore che cavalca il punto materiale – o DERIVATA SOSTANZIALE. La (3.9a) si scrive più sinteticamente in termini vettoriali come prodotto scalare del vettore U e del gradiente del medesimo vettore: DU ∂U . Dt = ∂t +(U ∇)U

(3.9b)

∂U della (3.9b) prende il nome di accelerazione locale a indicare quanto detto ∂t . al punto (a); il secondo termine ( U ∇ ) U prende il nome di accelerazione convettiva in quanto è legata al movimento della particella come si è visto al punto (b).

Il primo termine

La derivata definita dalle (3.9) è comunemente chiamata anche derivata totale. Per la precisione, invece, la DERIVATA TOTALE indica la variazione di velocità rilevata da un osservatore che si muove con generica velocità V diversa da U. Essa è rappresentata con l’usuale simbolo minuscolo: dU ∂U . = + (V ∇)U dt ∂t Notiamo che in moto permanente, ove i caratteri cinematici del moto del fluido sono invariabili nel tempo, la derivata sostanziale non è nulla. Infatti, se: ∂U =0 ∂t risulta: DU ∂U ∂U ∂U Dt = ∂x u+ ∂y v+ ∂z w

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3.3.2 EQUAZIONE INDEFINITA DEL MOTO PER FLUIDO PERFETTO ( EQUAZIONE DI EULERO ) Applichiamo l'equazione (3.8b) al volumetto materiale ∆ V = dx dy dz e proiettiamola sugli assi coordinati di Fig.3.3: Du ρ ∆V D t = Fx + S x Dv ρ ∆V D t = Fy + S y

(3.10)

Dw ρ ∆V D t = Fz + S z La forza di massa (o di volume) è costituita dal peso del volumetto, diretto verticalmente e verso il basso, e ha componenti: Fx = 0 Fy = 0 Fz = - g ρ ∆V Essendo

∂z ∂z ∂z = = 0, = 1, le relazioni precedenti possono porsi formalmente come: ∂x ∂y ∂z

Fx = - ρ g ∆V

∂z ∂x

Fy = - ρ g ∆V

∂z ∂y

Fz = - ρ g ∆V

∂z ∂z

(3.11)

Ammettiamo, per semplicità, che il fluido, detto FLUIDO PERFETTO o IDEALE, sia caratterizzato da una legge costitutiva molto semplice; al suo interno non esistono sforzi viscosi ossia il tensore dello sforzo viscoso introdotto con la (1.5) è ovunque nullo: = 0. Poichè esiste solo la pressione p risulta da Fig.3.3: Sx = -

∂p dx (dy dz) ∂x

Sy = -

∂p dy (dx dz) ∂y

Sz = -

∂p dz (dx dy) ∂z

(3.12)

Sostituendo le relazioni (3.11) e (3.12) nelle equazioni (3.10), otteniamo: Du ∂ ρ Dt =(p+ρgz) ∂x Dv ∂ ρ Dt =(p+ρgz) ∂y

(3.13)

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Dw ∂ ρ Dt =(p+ρgz) ∂z Queste sono le proiezioni secondo le direzioni coordinate della equazione di Eulero: DU ρ D t = - grad (γ z + p)

(3.14a)

Per fluido incomprimibile e avente densità uniforme, possiamo estrarre il peso specifico γ dallo operatore gradiente e dividere per γ, ottenendo il risultato che utilizzeremo nei paragrafi seguenti: p 1 DU g D t = - grad ( z + γ )

(3.14b)

La quantità: h= z+

p γ

(3.15)

è la somma di QUOTA GEODETICA z e ALTEZZA PIEZOMETRICA Y =

p ed è chiamata QUOTA γ

PIEZOMETRICA.

Il problema del moto del fluido affrontato in maniera più generale, ossia considerando la proprietà fisiche del FLUIDO REALE, nel quale è presente lo stato di sforzo viscoso definito con la (1.5), conduce a un'equazione vettoriale parzialmente diversa dalle (3.14). Questo argomento, la cui trattazione esula dal programma di Fondamenti di Idraulica, è presentato in Cap.12. 3.3.3 EQUAZIONE DI BERNOULLI A partire dalla (3.14b) calcoliamo il lavoro che compiono le forze d'inerzia e le forze esterne applicate alla particella elementare (di volume unitario) quando essa si sposta lungo la sua traiettoria (vedi Fig. 3.4) di un tratto: d s = dx i + dy j + dz k . Moltiplicando, con prodotto scalare, le forze per lo spostamento otteniamo il lavoro: 1 DU . . g D t d s = - grad ( h ) d s che, dopo aver sviluppato il prodotto scalare, fornisce: 1 du dv dw dh dh dh ( d x + d y + d z ) = ( d x + d y + g dt dt dt dx dy dzdz) dx Essendo d t = u e così via, si ottiene: 1 2 2 2 2 g d ( u + v + w ) = - dh Essendo il quadrato del modulo del vettore velocità U : U2 = ( u2 + v2 + w2 )

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si ottiene in definitiva l'equazione proposta dal fisico e matematico svizzero Daniele Bernoulli nel 1738 (EQUAZIONE DI BERNOULLI): U2 d(2g +h)=0

(3.16a)

la quale dice che nel suo movimento lungo una traiettoria, l'insieme delle forze inerziali ed esterne applicate a una particella di fluido perfetto non compie lavoro, ossia la particella mantiene costante la sua energia totale. Ricordando le semplificazioni fatte nel corso degli sviluppi analitici di questo e del precedente paragrafo, osserviamo che: -

il primo termine della (3.16) equivale alla energia cinetica della particella, è chiamato ALTEZZA CINETICA ed è indicato con il simbolo: U2 hc = 2 g

(3.17)

-

il secondo termine della (3.16) equivale alla energia potenziale della particella ed è chiamato quota piezometrica, come si è visto nella definizione (3.15);

-

la somma dei due termini della (3.16), che rimane costante nel corso del movimento della particella, è chiamata CARICO TOTALE: U2 H=h+2g

(3.18)

In questo modo si dimostra che, se sulle facce della particella non agiscono sforzi tangenziali, il moto della particella lungo la traiettoria non è dissipativo. La dissipazione di energia è causata dalla azione frenante della viscosità che è rappresentata dalla relazione di Newton (1.7): questo argomento sarà affrontato in Cap. 6, nel caso di moto (assial simmetrico) nei condotti, e, nella sua generalità, in Cap.12. Ovviamente, quando il moto è permanente, l’equazione di Bernoulli (3.16) vale sulla linea di flusso. Utilizzando la definizione di carico totale (3.18), la (3.16a) può scriversi nella forma equivalente: ∂H =0 ∂s

(3.16b)

Ossia, la derivata del carico totale rispetto alla tangente alla traettoria è nulla. 3.3.4 CORRENTE GRADUALMENTE VARIATA Consideriamo il tubo a sezione costante e a sviluppo rettilineo, come in Fig. 3.7, nel quale le linee di flusso sono rettilinee e parallele, come è illustrato nello schema di Fig. 3.5a. Poiché, se il moto è permanente, anche il modulo della velocità si mantiene costante lungo qualunque traiettoria: (1) il vettore velocità è indipendente dal tempo e dalla posizione; (2) per la eq.(3.9), l’accelerazione della generica particella è nulla. In tal caso, l’equazione di Eulero (3.13) si riduce a: p ∂ (z + ) = 0 γ ∂x

(3.19a)

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p ∂ (z + ) = 0 ∂y γ

(3.19b)

p ∂ (z + ) = 0 ∂z γ

(3.19c)

Dalla (3.19a) e (3.19b) si ottiene che su ogni piano orizzontale la pressione è costante. Poiché la (3.19c) dice che: ∂h =0 ∂z si deduce che la pressione varia con la quota z con una legge analoga alla legge di Stevin della Idrostatica (2.5): h= z+

p = cost γ

(3.20)

ossia, per un tubo rettilineo a sezione costante, la quota piezometrica è la stessa in ogni punto di una sezione perpendicolare alla direzione del flusso e, quindi, è sufficiente calcolare o misurare la pressione al centro della sezione per conoscerla in ogni punto della sezione. Consideriamo il secondo schema, illustrato in Fig. 3.5b, nel quale è rappresentata una traiettoria curvilinea. Poiché le traiettorie non sono rettilinee, il vettore velocità non è più costante anche se la sezione del tubo è uniforme (vedi Fig. 3.7) e il modulo della velocità rimane costante. Consideriamo, per semplicità di raffigurazione (vedi Fig. 3.6a), un moto nel piano x – z; le componenti del vettore velocità U variano al variare dell’angolo θ: u (θ) = U cos θ w (θ) = - U sen θ Poiché la posizione della particella lungo la linea di flusso cambia nel tempo, ossia θ = θ (t), le derivate temporali delle componenti della velocità non si mantengono costanti: la particella accelera. Le componenti ax e az dell’accelerazione sono calcolate con la regola di derivazione di funzione di funzione: ax ( θ ) =

∂u ∂u∂θ = ∂t ∂θ ∂t

(3.21a)

az ( θ ) =

∂w ∂w∂θ = ∂t ∂θ ∂t

(3.21b)

Essendo: ∂u ∂ = ( U cos θ) = - U sen θ ∂θ ∂θ

(3.22a)

∂w ∂ = (- U sen θ) = - U cos θ ∂θ ∂θ

(3.22b)

e, poiché s = r θ, ove r è il raggio di curvatura dell’arco di linea di flusso considerato, e la velocità di spostamento della particella lungo la sua traiettoria è U, risulta:

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∂s ∂θ = r -1 = r -1 U ∂t ∂t

(3.23)

otteniamo, sostituendo le (3.22) e la (3.23) in (3.21): U2 ax ( θ ) = - r sen θ

(3.24a)

U2 az ( θ ) = - r cos θ

(3.24b)

Per semplificare le relazioni (3.24) passiamo dalle coordinate assolute alle coordinate locali: infatti se scegliamo opportunamente gli assi coordinati, ponendone l'origine nel punto P e orientandoli in modo che la direzione dell’asse x sia tangente alla linea di flusso mentre l’asse z sia ad essa normale (se adottiamo la convenzione che la direzione della normale esce alla sinistra della traiettoria, quando la traiettoria è percorsa in senso orario, come nell’esempio di Fig. 3.6b, la direzione positiva di n coincide con quella dell’asse z ), le (3.24) si riducono a: at = a x ( 0 ) = 0

(3.25a)

U2 an = az ( 0 ) = - r

(3.25b)

Le (3.25) dicono che l’accelerazione tangenziale è nulla mentre esiste una accelerazione normale alla traiettoria, detta anche accelerazione radiale o, essendo diretta verso il centro di curvatura, accelerazione centripeta. Introducendo la (3.25a) nella prima delle (3.13) otteniamo la (3.19a). Introducendo la (3.25b) nella terza delle (3.13) e ricordando la definizione (3.15), ricaviamo che la variazione della quota piezometrica in direzione normale alla traiettoria è proporzionale alla accelerazione centripeta: ∂h U2 = gr ∂n

(3.26)

ove r è il raggio di curvatura della traiettoria. La quota piezometrica varia sulla sezione perpendicolare all’asse del condotto curvo (gomito) di Fig. 3.7 come ci dice l’equazione (3.26); considerando per semplicità che, spostandosi lungo il raggio normale alle traiettorie dal punto B al punto A, tra loro distanti D, la velocità sia sempre la stessa e la variazione del raggio r sia trascurabile, otteniamo: U2 D hA - hB = g r

(3.27)

Qualora la traiettoria sia percorsa in senso antiorario, nella (3.26) la variazione di h è proporzionale a meno l’accelerazione centripeta. Per completezza, osserviamo che, per tubazione curva giacente sul piano orizzontale x – y avente il versore normale n diretto secondo l’asse y, gli sviluppi esposti sopra forniscono la: ρ U2 ∂p = r ∂n

(3.28)

Per r = ∞ , le equazioni (3.26) e (3.28) si riducono alla (3.20) la quale dice che la quota piezometrica tra traiettorie contigue non cambia. Dunque in una sezione trasversale di una corrente con

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traiettorie rettilinee e parallele esiste una unica quota piezometrica: questa corrente è chiamata CORRENTE GRADUALMENTE VARIATA. Notiamo che l'uguaglianza della quota piezometrica nella sezione di solito implica che il carico totale sia variabile nella sezione. Poiché risulta necessario individuare un unico valore convenzionale del carico totale sulla sezione, al quale riferire il calcolo idraulico, si dovrà definire il carico totale introducendo nella equazione del moto la nozione di velocità media della corrente (3.6) attraverso la dimostrazione presentata in Cap.5.

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4.

FORONOMIA

Con l'equazione di Bernoulli è possibile calcolare la portata che effluisce da una luce aperta nella parete di un serbatoio o che stramazza sopra una paratoia. In questi casi, l'elemento di fluido subisce deformazioni lente e trascurabili e la velocità di deformazione del fluido risulta trascurabile. Ricordando la (1.7) si deduce che gli sforzi viscosi sono anch'essi trascurabili e il fluido reale, che è viscoso, si comporta come il fluido perfetto. 4.1

LUCE DI FONDO

Applicando l'eq. (3.16) tra A, nel serbatoio, e B, punto qualsiasi della sezione contratta della vena effluente, ove la pressione ha valore atmosferico, otteniamo (Fig.4.1): U2 p ( z + )A = ( z + 2 g )B γ

(4.1)

Essendo: (z+

p ) - zB = h + δ γ A

la (4.1) diventa, con riferimento ai simboli della Fig.4.1: U=

δ 2 g h (1 + h )

(4.2a)

Ponendo approssimativamente δ / h = 0 , dalla (4.2a) si ottiene la formula di Torricelli: U=

2gh

(4.2b)

Essendo la velocità effettiva più piccola della velocità torricelliana e l'area della sezione contratta più piccola dell'area della luce, otteniamo la portata: Q = Ue AC = µ A

2gh

(4.2c)

introducendo il: - coefficiente di velocità

Ue = Cv U

- coefficiente di contrazione

Ac = Cc A

- coefficiente di efflusso

µ = Cv CC

Quando la contrazione della vena si esercita lungo l’intero perimetro della luce a spigolo vivo risulta µ = 0.60 ; nel caso di luce con bordo smussato il coefficiente di efflusso aumenta in quanto diminuisce la contrazione della vena e può giungere fino a µ = 0.97 . 4.2

PARATOIA PIANA

Sotto la paratoia piana, posta a sbarrare un canale, è lasciata un luce rettangolare alta a e larga b dalla quale effluisce una corrente come in Fig.4.2: consideriamo ora il caso di efflusso libero nell’atmosfera (Fig.4.2 a). Il più complicato caso di efflusso annegato (Fig.4.2 b) sarà trattato nel corso di Idraulica applicata. Per la situazione descritta in Fig.4.2 a, otteniamo, seguendo la traiettoria tra il punto A, interno 38 10/11/09

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al serbatoio, e il punto B, nella sezione contratta ove la pressione ha distribuzione idrostatica: U2 h = CC a + 2 g da cui : U=

2 g (h - CC a)

(4.3)

essendo approssimativamente CC = 0.61; con le considerazioni viste sopra otteniamo la portata: Q=µab

2 g (h - CC a)

(4.4)

Nella (4.4) il coefficiente di efflusso, che varia leggermente con il rapporto h /a, può porsi in prima approssimazione costante: µ = 0.58. Nel caso in cui la paratoia di Fig.4.2 sia disposta a sbarrare un canale, poiché non può essere trascurato il contributo della velocità in arrivo a monte della paratoia, nel calcolo della portata si dovrebbe includere anche l’altezza cinetica della corrente in arrivo. Solitamente, invece, si utilizza ancora la formula (4.4) con valori dei coefficienti sperimentali modificati. Per un canale rettangolare possiamo accettare per 2 < h/a < 5: CC = 0.72 e µ = 0.59. 4.3

LUCE DI COMUNICAZIONE TRA DUE SERBATOI

La vena che effluisce dal serbatoio superiore si dice annegata. Applicando l'equazione di Bernoulli come in Fig.4.3: HA = HB otteniamo: U=

2g∆

(4.5)

La portata viene calcolata moltiplicando la velocità (4.5) per l'area della sezione contratta. 4.4

LUCE A BATTENTE IN PARETE VERTICALE

Applicando l'equazione di Bernoulli alla luce rettangolare, larga b, illustrata in Fig.4.4 e notando che nella sezione contratta la pressione è ovunque pari alla pressione atmosferica che agisce sul contorno della vena effluente, otteniamo: U=

2 g (h - z)

La velocità di efflusso nella sezione contratta non è uniforme poiché dipende dalla quota del punto considerato; di conseguenza la portata deve essere calcolata come: z1

Q = CC Cv b

2g ⌠ ⌡(h-z)

½

dz

(4.6)

z2

Risolvendo l’integrale (4.6), otteniamo: Q=µb

2 g [ ( h2)3/2 - (h1) 3/2 ]

(4.7)

ove:

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2 µ = 3 CC Cv Se l’apertura nella parete piana è circolare, l’esperienza fornisce i seguenti valori: 2 CC = 0.64 , Cv = 0.98 dai quali risulta µ = CC Cv = 3 0.62 = 0.418. Per altezza della luce piccola, ossia per: ∆ << hm con hm =0.5 (h2 + h1) e ∆ = 0.5 (h2 - h1), sviluppando in serie l’eq. (4.6), arrestando lo sviluppo al termine del primo ordine e definendo l’area della luce A = 2 b ∆, si ottiene una formula semplificata valida quando la luce è di forma qualunque ma di piccole dimensioni: Q=µA

2 g hm

(4.8)

che è uguale alla eq. (4.2c). Qualora venga applicato alla luce un tubo addizionale interno, detto tubo di Borda, si dimostra, applicando la equazione globale dell’equilibrio idrodinamico (cfr. § 7.1), che la portata effluente è ancora data dalla relazione (4.8) con µ = 0.5. 4.5

LUCE A STRAMAZZO

Uno stramazzo è costituito da una luce che abbia il contorno superiore aperto: di solito lo stramazzo ha sezione rettangolare con contorno inferiore orizzontale. Se il liquido a monte dello stramazzo di Fig.4.5 è in quiete, avendo posto: h1 = 0 si ottiene dalla eq. (4.7), avendo rinominato h2 = ∆ : Q=µb

2 g ∆ 3/2

(4.9a)

ove ∆ è detto carico sullo stramazzo. Nella pratica si usa separare la contrazione sul contorno inferiore da quella sui lati. Francis verificò sperimentalmente che la formula: Q = 0.407 ( b - 0.2 ∆ )

2 g ∆ 3/2

(4.9b)

2 è accettabilmente precisa per b > 3 ∆ . Notiamo che il coeffciente di efflusso è µ = 3 0.611 = 0.407. Lo STRAMAZZO BAZIN è un particolare tipo di stramazzo, costituito da una parete verticale posta a chiudere un canale rettangolare: l'altezza t della parete è chiamata petto dello stramazzo. La forma dello stramazzo Bazin utilizzato per la misura della portata in un canale, è stabilita da norme UNI. La sezione contratta si trova a pressione atmosferica solo nel caso di vena aerata. L’analisi dimensionale e la verifica sperimentale mostrano che se, come nello stramazzo Bazin, non è trascurabile la altezza cinetica della corrente in arrivo la (4.9) deve essere leggermente modificata. Con una serie di esperimenti condotti tra il 1888 e il 1898, fornì una prima espressione del coefficiente µ che è stata inseguito sostituita da altre formule più moderne. Si è dimostrata molto valida la formula di Rehbock (1929), che nella sua forma più precisa assume l’espressione: Q=µb

2 g ( ∆ + 0.00125) 3/2

(4.10a) 40 10/11/09

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con: ∆ µ = 0.4013 + 0.0555 t

(4.10b)

che tiene conto del fatto che la corrente giunge allo stramazzo con una velocità di arrivo. La formula di Rehbock fornisce risultati con approssimazioni del 1 ÷ 2 % se il carico sullo stramazzo è misurato a monte dello stramazzo medesimo di una distanza Lmis: Lmis = 2.67 ∆ Nella pratica è accettabile che il rapporto sia compreso tra 2.5 e 3.0. Inoltre deve essere (con valori dati in metri): 0.03 < ∆ <0.75 , b > 0.3 , t > 0.3 , ∆/t <1 . La formula di Rehbock è stata estesa da White (1975) che sulla base di nuovi esperimenti ha proposto la espressione: Q=µb

2 g ( ∆ + 0.001)

3/2

(4.10c)

con: ∆ µ = 0.3988 + 0.0598 t

(4.10d)

che fornisce risultati del tutto simili alla precedente; i limiti di applicazione della formula sono più ampi di quelli della formula precedente: ∆ > 0.02, t > 0.15 , ∆/t < 2.2 Si osservi che non esiste contrazione sui lati del canale. Qualora la vena effluente dallo stramazzo non fosse aerata, come accade quando la faccia inferiore della vena non è a contatto con l’atmosfera, la portata effluente risulta superiore al valore fornito dalla espressione (4.10a). Infatti, se la pressione intorno alla sezione contratta non è ovunque pari alla atmosferica (vedi Fig.4.5), la relazione (4.6) si riscrive introducendo la pressione che si stabilisce nei punti della sezione contratta: z1

Q = CC Cv b

p ½ 2g ⌠ [ z ( z + )] dz 1 ⌡ γ

(4.11)

z2

Sostituito nella (4.11) il termine

p , che risulta: γ

p pd z1 - z = γ γ z1 - z 2 in quanto la pressione nella sezione contratta cresce linearmente con la quota e va dal valore mipd nimo (numero negativo essendo la pressione relativa negativa) che scriviamo come , per z = γ z2 , al valore zero, per z = z1 , si ottiene integrando: Q=µb Notiamo che

2g ∆

3/2

(1-

pd/ γ 1/2 ) ∆

(4.12)

pd < 0 e, quindi, la (4.12) fornisce una portata più grande della (4.9). Si può assuγ

41 10/11/09

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mere, in prima approssimazione, che il coefficiente di efflusso non cambi rispetto a quelli definiti più sopra. Nella pratica oltre allo stramazzo Bazin sono impiegati per misurare la portata uscente da un serbatoio anche (Fig.4.6): lo stramazzo trapezio, detto STRAMAZZO CIPOLLETTI, e lo stramazzo triangolare, detto STRAMAZZO THOMPSON, utile quando la portata da misurare è piccola. Se, come viene illustrato in figura, assumiamo il piano di riferimento dell’asse della quota z positivo verso il basso e passante per il pelo libero, otteniamo: Q = Cc Cv

2g



[b



⌠ ⌡ z dz+2s ⌠ ⌡ z (∆ - z )d z ] 1/2

0

1/2

(4.13)

0

ove: b è la larghezza del petto dello stramazzo, s = tan θ è la pendenza delle sponde dello stramazzo, ∆ è il carico sullo stramazzo. Risolti gli integrali, otteniamo: Q = Cc Cv

2g

[ b 23 z 3/2 + 2 s (∆ 23 z 3/2 - 25 z 5/2 )] ∆0

(4.14)

In definitiva, per lo stramazzo Cipolletti , per il quale è s = 0.25 , si ottiene: Q=µ

2g b∆

3/2

[ 1 + 5∆b ]

(4.15a)

ove il coefficiente di efflusso è, come abbiamo già visto: 2 µ = 3 CC Cv Il termine moltiplicativo, entro parentesi quadra, ha l’effetto di compensare la diminuzione del coefficiente di efflusso dovuta alla contrazione della vena effluente sui lati dello stramazzo. Per lo stramazzo triangolare, essendo b = 0 , si ottiene : Q=µ

4 s 5/2 2g 5 ∆

(4.15b)

Il coefficiente di efflusso può essere assunto in prima approssimazione pari a: µ = 0.401. Al solito per l’apertura triangolare si adotta: θ = 45°

5/2

Q = 1.421 ∆

oppure: θ = 30° 4.6

5/2

Q = 0.820 ∆

TUBO DI PITOT

Questo strumento di misura utilizzato da Pitot nei suoi studi sperimentali sugli effetti della resistenza al moto delle correnti nei canali (1730), fu da lui presentato in una comunicazione alla Accademia Reale di Parigi nel 1732. Il dispositivo ideato da Pitot deduce la velocità in un punto A di un condotto dalla misura diretta della altezza cinetica, rilevabile dalla differenza di lettura di due piezometri (Fig. 4.7). Applicando l'equazione di Bernoulli tra i due punti vicini: A, ove si vuol misurare la velocità, e B, detto punto di ristagno, ove il moto della particella viene arrestato dalla punta dello strumento e quindi la sua velocità si annulla, otteniamo: 42 10/11/09

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la sua velocità si annulla, otteniamo: p

p

U

2

[ zB + ( γ )B ] - [ zA + ( γ )A ] = 2 Ag

Chiamata la differenza di quota piezometrica: ∆ = [ zB + (

p p ) B ] - [ zA + ( ) A ] γ γ

otteniamo: UA = 4.7

2g∆

(4.16)

MISURATORE A GOMITO

E' un dispositivo per la misura della portata che sfrutta l’osservazione fatta in eq.3.27 di § 3.3.4 a proposito della differenza di quota piezometrica tra le estremità della sezione di una corrente in curva. Nell’apparecchio, illustrato in Fig. 4.8, il valore della portata è dedotto dalla lettura ∆ del manometro differenziale attraverso la formula: Q= µA

r γm - γ g ∆ D γ

(4.17)

ove, come si vede in figura, il gomito è a 90° e le prese di pressione sono poste a 45°, ossia a metà curva. Il coefficiente µ è dato sperimentalmente: µ = 1 – 6.5 Re-1/2

(4.18)

La definizione (4.18) del coefficiente di efflusso µ è valida, con un errore di ± 4%, quando il numero di Reynolds del condotto, definito dalla (6.14b), è compreso tra 104 ≤ Re ≤ 106 e, inoltre, il raggio di curvatura è: r / D ≥ 1.25.

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5.

EQUAZIONE DI BERNOULLI GENERALIZZATA

In un tubo di flusso è costante la portata della corrente in moto permanente. Se consideriamo un tubo di flusso di dimensione infinitesima che avvolge la traiettoria alla quale applichiamo la eq. (3.16b) e moltiplichiamo tale equazione per il flusso di liquido pesante γ d Q = γ U d A che è costante lungo il tubo, otteniamo che lungo il tubo di flusso: ∂ ( γ H U d A) = 0 ∂s Il termine che compare entro parentesi è il flusso di energia del fluido (ovvero la potenza della corrente) che attraversa la sezione trasversale del tubo: la relazione soprascritta enuncia che la potenza di un fluido perfetto e incomprimibile che si muove di moto permanente rimane costante. Integrando a un tubo di dimensioni finite con sezione trasversale di area A otteniamo: ∂ (⌠γ H U d A ) = 0 ∂ s ⌡A

(5.1)

Integrando la (5.1) tra due sezioni del tubo di flusso, 1 e 2 , nelle quali la corrente è gradualmente variata e la quota piezometrica è univocamente definita, otteniamo: U2 U2 ⌠ ⌠ [ γ h Q + ⎮ γ 2 g U dA ] = [ γ h Q + ⎮ γ 2 g U dA ] 1 2 ⌡ ⌡ A

A

Se introduciamo la velocità media della corrente sulla sezione, definita come: Q Um=A e il coefficiente di ragguaglio per la potenza cinetica o coefficiente di Coriolis, definito come: ⌠ U3 dA ⌡ α=

A

(5.2)

Um3 A

otteniamo l'espressione formalmente più semplice: Um2 Um2 [γQ(h+α 2g )] =[γQ(h+α 2g )] 1 2

(5.3)

La quantità: Um2 H= h+α 2g

(5.4)

si chiama ancora carico totale; dobbiamo notare, come fatto estremamente importante, che il carico totale della corrente dato con la eq. (5.4) è definito in modo univoco sulla sezione trasversale del tubo (ove la corrente sia gradualmente variata), a differenza del carico totale dato con la eq. (3.17) che varia nella sezione passando da una traiettoria all'altra. Si dimostra che il coefficiente di Coriolis è sempre maggiore di uno; nei casi di importanza pratica risulta α = 1.06 ÷ 1.08 per cui nella soluzione dei problemi pratici si può porre: α = 1.

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In alternativa a questa definizione di carico totale in una sezione della corrente, possiamo definire più direttamente il carico totale medio alla maniera di Boussinesq (1877). Mediando sulla sezione trasversale al tubo di flusso il carico definito nei singoli punti: 1 ⌠ U2 Η = A ⎮ ( h + 2 g ) dA ⌡

(5.5)

A

ricaviamo per corrente gradualmente variata nella sezione: Um2 H= h+β 2g

(5.6)

Il coefficiente β di ragguaglio dell'altezza cinetica media o della quantità di moto della corrente, come si vedrà nel Cap. 7, è detto coefficiente di Boussinesq: 2 ⌠ ⌡ U dA

β=

A

(5.7)

Um2 A

Le due definizioni sono altrettanto valide anche se producono risultati leggermente diversi in quanto, a parità di condizioni, β < α . 5.1

ESTENSIONE AI FLUIDI REALI

Escludendo i casi considerati in cap. 4, la idealizzazione di fluido perfetto non è accettabile nella realtà e la (3.16) non è applicabile. Se, però, consideriamo che la resistenza che il fluido reale incontra nel suo movimento in un tubo o in un canale si traduce in una perdita di potenza della corrente, possiamo tenere conto di tale fatto molto semplicemente trasformando la (5.3) nel modo seguente: Um2 ∂ [(h+α 2g )] =-J ∂s

(5.8)

La quantità J è sempre positiva e rappresenta la perdita di energia subita dall'unità di peso del liquido nel percorrere una distanza unitaria. Essa non ha dimensioni e prende il nome di CADENTE. Integrando la eq. (5.8) tra la sezione 1 e la sezione 2 tra loro distanti L otteniamo (Fig.5.1): H1 - H2 = ⌠ ⌡ J ds

(5.9)

L

La quantità ⌠ ⌡ J ds è denominata correntemente PERDITA DI CARICO CONTINUA o DISTRIBUITA L

in quanto dovuta al sommarsi delle infinitesime perdite che la corrente incontra con continuità lungo il suo percorso. La trattazione svolta sopra segue una procedura euristica utile per lo studio dei problemi semplici dei fondamenti dell'idraulica; per la trattazione più esaustiva dell'argomento, che porta a ricavare le equazioni del moto dei liquidi reali in forma del tutto generale, rimandiamo al Cap.12.

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5.2

MISURATORI DI PORTATA

I misuratori di flusso descritti nel seguito provocano un restringimento del tubo di flusso con aumento della velocità media, alla quale corrisponde una variazione della quota piezometrica; poiché una corrente accelerata non è soggetta a dissipazione localizzata di energia (cfr. § 8.3) e le due sezioni 1 e 2 tra le quali si applica l'equazione di Bernoulli (5.3) sono tra loro vicine, in prima approssimazione possiamo considerare il fluido perfetto. 5.2.1 TUBO CONVERGENTE Applichiamo la equazione di Bernoulli estesa alla corrente tra la sezione iniziale e la sezione finale del dispositivo di Fig. 5.2 , nelle quali la corrente è gradualmente variata. Osservato che l'area della sezione di monte, con diametro D, è pari ad A1, l'area della sezione di valle, con diametro d, è A2 , otteniamo dalla (5.3): 1 1 Q2 δ=α 2g ( A 2 - A 2) 2 1 con: δ = h1 - h 2 Essendo la corrente gradualmente variata nelle due sezioni, la differenza di quota piezometrica δ si ottiene dalla indicazione ∆ del manometro differenziale con la relazione (2.9b). Combinando le relazioni e tenendo conto, con il coefficiente µ , della leggera perdita di energia che la corrente subisce nel convergente (si noti che non esiste contrazione nel convergente raccordato) e del coefficiente di ragguaglio di Coriolis, otteniamo: Q= µ

A1 A2 A12 - A22

2g∆

γm - γ γ

(5.10)

Il valore del coefficiente di efflusso µ è molto vicino alla unità ( 0.984 < µ < 0.995): si può assegnare µ = 0.99 con errore trascurabile. Il principio di funzionamento del dispositivo per la misura della portata in condotta illustrato nella figura, chiamato VENTURIMETRO, fu definito da Giovanni Battista Venturi nel 1797 e fu adottato per la costruzione di apparecchi di misura commerciali da Clemens Herschel nel 1887: il tubo divergente di raccordo, che segue il tronco a sezione ristretta 2, ha allargamento molto graduale per limitare la perdita di energia nello strumento, come si vedrà in § 8.4. La misura della portata è corretta solo se la corrente arriva indisturbata al venturimetro; a tal fine l’apparecchio deve essere preceduto da un tratto di tubo diritto e di diametro costante lungo almeno 60 diametri. 5.2.2 DIAFRAMMA È un dispositivo di misura della portata in un condotto che adotta il principio di funzionamento del venturimetro ed è costituito da una piastra semplicemente forata (Fig. 5.3). Ha lunghezza molto minore del venturimetro e quindi è di installazione più economica ma provoca una maggiore perdita di energia. Detta A l’area del condotto di diametro D e a l’area della luce di diametro d , applicando la equazione di Bernoulli tra la sezione di misura a monte dello strumento e la sezione contratta posta a valle si trova che la portata è data dalla:

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Q= µ a

2g∆

γm - γ γ

(5.11)

Il coefficiente di efflusso è: µ = Cv

CC 1 - CC2 (a / A)2

ove compaiono il coefficiente di velocità Cv e il coefficiente di contrazione CC. Nella pratica il coefficiente µ , determinato per via sperimentale, viene fornito sulla scheda descrittiva dello strumento. Per i diaframmi in condizioni di normale funzionamento si passa da µ = 0.6 per d / D = 0.2 a µ = 0.75 per d / D = 0.8.

d/D

0.2

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

µ

0.61

0.62

0.63

0.65

0.70

0.75

Si noti che i valori del coefficiente di efflusso dati in tabella sono riferiti a correnti defluenti in regime di moto turbolento puro ( cfr. Cap. 6). Inoltre, nel caso di misure di precisione, deve essere attentamente curata la disposizione delle prese dei piezometri, la cui distanza dalla piastra forata influenza il coefficiente di efflusso. 5.2.4 BOCCAGLI Quando il venturimetro classico risulta troppo ingombrante viene impiegato il BOCCAGLIO VENTURI che è più corto, come mostra la Fig. 5.4, e quindi è di più agevole installazione; inoltre, il coefficiente di contrazione dello strumento è di poco inferiore alla unità. Il boccaglio Venturi dovrebbe essere utilizzato solo con: -

0.065 ≤ D (m) ≤ 0.500

-

0.050 < d (m)

-

0.316 ≤ β ≤ 0.775

-

1.5 105 < Re < 2 106

ove β = d / D è il rapporto tra il diametro del tronco ristretto e il diametro del condotto e il numero di Reynolds del condotto è Re = U D / ν . In queste condizioni il coefficiente di efflusso da inserire nella (5.11) è dato dalla formula: µ = 0.9858 –0.196 β4.5

(5.12)

Il BOCCAGLIO, costituito da una piastra sagomata e descritto in Fig. 5.5, è un dispositivo che ha dimensioni intermedie tra il venturimetro e il diaframma: la portata defluente in condotta è calcolata ancora con la formula (5.11). Esistono vari tipi di boccagli normalizzati; il coefficiente di efflusso del tipo ASME long-radius illustrato in figura è dato, con il solito significato dei simboli, dalla formula: µ = 0.9965 – 0.00653 β1/2

6

( 10Re )

1/2

(5.13)

47 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

6.

IL MOTO DEI FLUIDI REALI

Quando un fluido viscoso inizia a scorrere su una superficie fissa, come ad esempio la faccia interna di un condotto che si diparte da un serbatoio, la viscosità fa risentire il suo effetto su uno strato di fluido, chiamato STRATO LIMITE, relativamente sottile e aderente alla parete; al di fuori di questo strato, il fluido si comporta come se fosse perfetto. Nello strato limite la velocità delle particelle di fluido cresce rapidamente dal valore zero in aderenza alla parete, come si disse in § 1.1, alla velocità delle particelle più distanti che non risentono dell'ostacolo, ossia si muovono come se l'ostacolo non ci fosse. Nello strato limite, il gradiente di velocità in direzione perpendicolare alla parete e, quindi, lo è anche la velocità di deformazione angolare. Di conseguenza l'influenza della viscosità è molto forte, all'esterno dello strato limite ove la velocità varia poco con la distanza dalla parete e la velocità di deformazione angolare, definita in eq. (1.8), è praticamente nulla, l'azione della viscosità è trascurabile. Lo spessore δ dello strato limite è definito in vari modi; secondo la convenzione più comune si dice che lo strato limite finisce ove la velocità della particella differisce dell'1% da quella che si avrebbe se il fluido fosse perfetto. 6.1

CRESCITA DELLO STRATO LIMITE

Consideriamo la lastra piana immersa nel fluido che si muove indisturbato come in Fig.6.1. A partire dal labbro iniziale del condotto ( x = 0 ) si sviluppa lo strato limite. La velocità delle particelle varia in direzione perpendicolare alla lastra; le traiettorie si mantengono rettilinee e si dice che le particelle nello strato limite hanno MOTO LAMINARE. Nell'ipotesi che nello strato limite il moto sia uniforme e gradualmente variato, applicando le leggi della meccanica dei fluidi e verificando i risultati del calcolo con gli esperimenti si trova la legge di crescita dello strato limite laminare: δL x = 5.0

( Uν x ) 0

-1/2

(6.1a)

essendo δL lo spessore dello strato limite laminare alla distanza x dall’inizio, U0 la velocità del fluido esternamente allo strato limite, ν la viscosità cinematica del fluido. L’azione della parete che oppone resistenza al moto del fluido, in quanto arresta le particelle ad essa adiacenti, è espressa dal valore dello sforzo tangenziale alla parete τ0 (N m-2) che risulta: τ0 U0 x 2 = 0.332 ν ρ U0

(

)

-1/2

(6.1b)

Nelle relazioni (6.1a) e (6.1b) compare il quoziente adimensionale: Rex =

U0 x ν

(6.2)

che è chiamato NUMERO DI REYNOLDS (Re). A numeratore del quoziente compaiono la lunghezza e la velocità caratteristiche del problema allo studio: nel nostro caso si tratta della lunghezza del tratto di lastra a contatto col fluido, che va dallo spigolo alla posizione in esame e della velocità della corrente indisturbata. Per rimarcare che il Numero di Reynolds riferito alla situazione locale (6.1) dello strato limite non va confuso con il Numero di Reynolds globale che

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sarà introdotto in § 6.14, si usa apporre un pedice al simbolo, scrivendo Rex. Notiamo inoltre che il quoziente: τ0 ρ

u* =

(6.3)

ha le dimensioni di una velocità (m s-1): u* è detta VELOCITÀ D'ATTRITO. Con le definizioni (6.2) e (6.3) la relazione (6.1b) diventa: u*

( U0 )

2

= 0.332 Rex-1/2

(6.4)

Al crescere della distanza x dal labbro del condotto, lo spessore dello strato limite aumenta: quando lo spessore diventa sufficientemente grande, ossia quando Rex ≈ 105 ÷ 106, le particelle prendono a muoversi all'interno dello strato limite in modo disordinato e le traiettorie si intersecano (questo tipo di movimento viene spiegato considerando che al moto "medio" delle particelle si sovrapponga un moto di agitazione). Questa maniera agitata e confusa di muoversi da parte delle particelle viene chiamata MOTO TURBOLENTO e di conseguenza si dice che lo strato limite è turbolento. Contro la parete i movimenti delle particelle sono ostacolati e quindi l'agitazione turbolenta risulta molto smorzata. In prossimità della parete esiste quindi un substrato laminare nel quale le particelle si muovono di moto laminare. Lo spessore del substrato limite laminare risulta: ν δsl = 11.6 u *

(6.5)

Però, se la PARETE è SCABRA le particelle prossime ad essa sono ostacolate nel loro movimento regolare e di conseguenza il substrato laminare viene distrutto. In definitiva, poiché lo spessore del substrato laminare diminuisce al crescere della velocità di attrito, nella maggior parte dei casi pratici accade che in prossimità di una superficie scabra il substrato laminare non esista Fig.6.2. Si dimostra che la legge di crescita dello strato limite turbolento risulta: δT -1/5 x = 0.37 Rex

(6.6a)

e che il valore dello sforzo tangenziale alla parete è: u*

( U0 )

2

= 0.036 Rex-1/5

(6.6b)

Per fissare le idee, consideriamo il caso di una corrente, avente velocità indisturbata U0 = 2 m/s, che si immette in un condotto costituito da due lastre piane e parallele tra loro distanti D = 1 m. Essendo ν = 10-6 (m2 s-1) la viscosità cinematica dell'acqua a 20°C: -

dalla (6.1a) otteniamo che lo strato limite diventa turbolento dopo soli 5 cm dall'inizio del condotto poiché per x = 5 cm lo strato limite laminare raggiunge lo spessore δL = 0.80 mm e il numero di Reynolds definito dalla (6.2) raggiunge il valore 105,

-

per la (6.6a) lo strato limite turbolento, sviluppandosi sia dalla parete superiore che da quella

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inferiore, giunge ad occupare l'intera sezione del condotto quando δT = D/2 ossia dopo un tratto pari a x = 50.3 m dall'imbocco del condotto, con Rex = 1.01 108 , -

il valore della velocità di attrito della corrente turbolenta che occupa completamente il condotto si deduce dalla (6.6b): u* = 0.060 m/s. La (6.5) fornisce lo spessore del substrato limite laminare: δsl = 0.19 mm.

Analoghe considerazioni si possono fare per studiare il moto all'imbocco di un condotto circolare. 6.2

MOTO UNIFORME: FORMULA DI DARCY - WEISBACH

Consideriamo il condotto circolare, inclinato dell’angolo θ rispetto all’orizzontale, di Fig.6.3, nel quale la corrente si muove di moto uniforme. La condizione di equilibrio, lungo l’asse del cilindro, del tronco di lunghezza L fornisce, dal confronto tra le forze attive e la forza resistente: - ∆p π r02 + γ π r02 L sen θ - 2 π r0 L τo = 0

(6.7)

Notando che L sen θ = -∆z , nella relazione (6.7) si può esplicitare la differenza di quota piezometrica: ∆h = ∆z +

∆p γ

che, per la (3.17), equivale alla differenza di carico totale essendo nel moto uniforme ∆U = 0 e, anche, l'altezza cinetica ∆hc = 0: ∆H = ∆h + ∆hc = ∆h ∆H Ricordando anche la definizione (5.5) di cadente, J = - L , e la definizione (6.3) di velocità di attrito, e sostituendo il diametro al raggio del condotto, D = 2 r0 , la (6.7) si riduce a: 4 4 τo = g D u*2 J= D gρ

(6.8a)

1 u* = 2

(6.8b)

ossia: gDJ

Moltiplicando e dividendo per la velocità media della corrente (che da qui in avanti indichiamo col simbolo U lasciando cadere il pedice m), dopo alcune elementari trasformazioni la (6.8a) assume la forma generale detta FORMULA DI RESISTENZA DI DARCY – WEISBACH, proposta da Weisbach nel 1845 e ripresa più tardi (1857) sotto una forma alquanto differente, da Darcy: f U2 J= D 2g

(6.9)

ove compare con il simbolo f il NUMERO INDICE DI RESISTENZA AL MOTO, o fattore di resistenza di Darcy (friction factor): U 8 = ( u* f

)

1/2

(6.10)

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La formula di resistenza (6.9) consente di calcolare la cadente quando siano noti, attraverso D e U , le caratteristiche geometriche e cinematiche e, attraverso l’indice di resistenza f , le caratteristiche dinamiche della corrente. Nei prossimi paragrafi verranno ricavate le espressioni assunte dalla (6.10) nei diversi regimi di moto. Prima di passare all’analisi dei vari regimi di moto riprendiamo ancora il condotto circolare, inclinato dell’angolo θ rispetto all’orizzontale e scriviamo la condizione di equilibrio lungo l’asse del generico cilindretto di lunghezza L , coassiale col tubo di raggio r0 e illustrato in Fig.6.4. Scrivendo l’equilibrio tra le forze attive e la forza resistente, otteniamo: ∆p π r2 + γ π r2 L sen θ = - 2 π r L τ

(6.11a)

Il confronto tra le relazioni (6.7) e (6.11a) mostra che lo sforzo tangenziale nella direzione del moto diminuisce linearmente dal valore massimo τ0 alla parete fino ad annullarsi all’asse del condotto: r τ = τ0 r

(6.11b)

0

Esaminiamo ora i diversi regimi di moto. 6.3

REGIME LAMINARE

Come possiamo osservare in Fig.6.5 il fumo, che in calma d'aria si alza dalla punta di una sigaretta, ha inizialmente un andamento regolare ossia si muove di moto laminare; all'aumentare dello spessore della colonna di fumo iniziano a formarsi vortici di varie dimensioni e si innesca il moto turbolento. Questa immagine, che riproduce in maniera molto semplificata la classica esperienza fatta da Reynolds nel 1883, mostra che il fluido si muove in modo diverso secondo quelli che definiremo regimi di moto. Come abbiamo visto nei due paragrafi iniziali di questo capitolo: -

in regime laminare le particelle elementari di fluido si muovono secondo la direzione loro imposta senza oscillare nè perturbarsi; in regime turbolento invece le particelle si agitano intorno a una traiettoria media.

Esaminiamo ora in dettaglio il moto di una corrente in regime laminare. Questo studio, pur avendo scarsa importanza pratica, riveste un notevole valore didattico in quanto consente di seguire in maniera molto semplice il procedimento di calcolo col quale viene esplicitata la definizione (6.10) del numero indice di resistenza per il caso di moto laminare. Oltre al comportamento dell'acqua, che è il liquido naturale per eccellenza, svolgiamo anche qualche considerazione sul moto dei liquidi non newtoniani, introdotti in § 1.2 e in Fig.1.6, che caratterizzano fenomeni gravitativi, come le colate di fango e di detrito o le frane sottomarine, anche imponenti e, talvolta, disastrosi. Nel condotto circolare di Fig.6.3 il moto ha simmetria radiale e il suo studio viene semplificato se è riferito a coordinate cilindriche come faremo nei prossimi paragrafi. Infatti, per la simmetria non serve la coordinata angolare: il moto è esprimibile in funzione della direzione assiale x e della direzione radiale r.

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6.3.1 REGIME LAMINARE DI LIQUIDO NEWTONIANO Quando il moto di un liquido newtoniano, come l'acqua, è laminare il legame tra lo sforzo tangenziale τrx che compare nella (6.11b) e la velocità di deformazione è espresso con la relazione costitutiva di Reynolds (1.7): du τr x = - µ d r Pertanto la (6.11b) può essere integrata dopo aver separato le variabili, ottenendo: u=-

τ0 r2 +C r0 µ 2

Il valore della costante di integrazione si trova osservando che, per la condizione di aderenza, u = 0 quando r = r0: u=

τ0 u*2 gJ (r02 - r2 ) = (r02 - r2 ) = (r 2 - r2 ) 2 r0 µ 2 r0 ν 4ν 0

(6.12)

La distribuzione di velocità sulla sezione ha la forma di un paraboloide coassiale col condotto con coefficiente di ragguaglio di Coriolis α = 2 che si ricava dalle (6.12) e (6.13b) introdotte nella (5.2). La portata si calcola facilmente con la LEGGE DI HAGEN - POISEUILLE proposta nel 1844 da Jean-Louis-Marie Poiseuille e giustificata teoricamente da Hagen nel 1860: r0 gπJ 4 Q= ⌠ ⌡ 2 π r u dr = 8 ν r0

(6.13a)

0

La velocità media, introdotto il diametro del condotto ( D = 2 r0 ), risulta: Q g J D2 U = = π r02 32 ν

(6.13b)

Esplicitando la cadente e moltiplicando e dividendo per 2 U ricaviamo: 64 ν U 2 64 1 U 2 J = D2 U 2 g = Re D 2 g

(6.14a)

ove abbiamo introdotto il NUMERO DI REYNOLDS DELLA CORRENTE nel condotto: Re =

ρDU DU = µ ν

(6.14b)

La relazione (6.14a) assume la forma generale (6.9) riconoscendo che il numero indice di resistenza al moto f è, nel caso di regime di moto laminare: 64 f = Re

(6.15)

Alla espressione (6.14a) si giunge anche sostituendo nella (6.10) le espressioni della velocità media (6.13b) e della velocità di attrito (6.8b). Solitamente il liquido si muove in regime laminare solo se Re < 2100 ma con particolari accorgimenti si riesce a mantenere il moto laminare fino a Re = 105. Di converso si riesce a realizzare un moto turbolento anche per Re < 2100.

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6.3.2 REGIME LAMINARE DI LIQUIDI NON NEWTONIANI Le curve reologiche di Fig.1.6 sono definibili analiticamente dal modello costitutivo espresso dalla legge monomia di Ostwald - De Wael: du τrx = m | d r

|

n-1

du dr

(6.16a)

ove, in luogo del coefficiente di viscosità costante, compare la viscosità apparente: du µ app = m | d r

|

n-1

(6.16b)

Con riferimento alla Fig.1.6 si riconosce immediatamente che la (6.16b) descrive la reologia di un liquido: - pseudoplastico curva B per n < 1 - newtoniano curva C per n = 1 - dilatante curva D per n > 1 Sviluppando le medesime considerazioni del paragrafo precedente, dalla: du n τ0 r0 r = - m ( d r )

(6.17)

integrando tra [O, r0 ] e inserendo la condizione di aderenza per determinare il valore della costante di integrazione, ricaviamo: n τ0 1/ n u= n+1 (r m) [ r0( n+1) / 0

n

- r ( n+1) / n ]

(6.18a)

Per n =1, ossia per liquido newtoniano, la (6.18a) si trasforma nella (6.12). Sviluppando i calcoli come per la (6.13b) otteniamo l'espressione della velocità media sulla sezione: n τ0 1/ U= 3n+1 (r m) 0

n

r0 ( n+1) /

n

(6.18b)

Dividendo la velocità u per il valor medio U si ottiene il grafico adimensionale della ripartizione della velocità sul diametro del condotto: u 3n+1 r ( n+1) / = [ 1 | U n+1 r0 |

n

]

(6.18c)

La Fig.6.6a, che confronta i profili di velocità di liquidi pseudoplastici con quello dell'acqua, evidenzia il particolare comportamento di questi materiali. Poichè, per n < 1, la viscosità apparente diminuisce con l'aumento del gradiente di velocità, da centro verso la parete, il liquido appare muoversi in modo molto compatto al centro del condotto e sembra scivolare su uno strato sottile di liquido "apparentemente" poco viscoso. Questo moto, che assomiglia molto a quello di un tappo in un tubo ben lubrificato, prende il nome di plug flow. La Fig.6.6b mostra invece che i liquidi dilatanti tendono verso un incremento della velocità costante dalla periferia verso il centro quando cresce l'esponente n . I liquidi dilatanti sono poco frequenti in natura.

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6.4

REGIME TURBOLENTO

Si usa ritenere che lo sforzo tangenziale nel nucleo turbolento della corrente, circondato dal substrato laminare, sia esprimibile (vedi Fig. 6.4) come somma dello sforzo laminare e dello sforzo turbolento, τ = τL + τT ossia: τ = τT (1 +

τL ) τT

U Essendo: τL prop. µ D e τT prop. ρ U2 risulta: τL 1 ν prop. U D = Re τT Dunque, per regime turbolento, dal fatto che Re = O (104 ÷ 106) - l’espressione O (10n ) si legge: ordine di grandezza di 10n - consegue che nel nucleo della corrente lo sforzo laminare è trascurabile a fronte dello sforzo turbolento, ossia: τ ≅ τT La resistenza al moto di una corrente turbolenta assume caratteri diversi in relazione alla differente interazione tra il substrato laminare e la scabrezza della parete come abbiamo già visto in Fig. 6.2. Pertanto, abbiamo: -

il REGIME TURBOLENTO IN CONDOTTO IDRAULICAMENTE LISCIO, quando le asperità della parete sono assenti oppure sono completamente contenute nel substrato laminare,

-

il REGIME TURBOLENTO PURO, quando il substrato laminare è distrutto dalle asperità della parete del condotto,

-

il REGIME TURBOLENTO MISTO, nella situazione intermedia tra le due precedenti, in cui la scabrezza del contorno solo in parte fuoriesce dal substrato laminare.

Per quanto abbiamo visto in § 6.1, a proposito della crescita dello strato limite, risulta evidente che in un condotto scabro di assegnate caratteristiche la corrente può assumere i caratteri di ciascuno dei tre regimi sopra elencati. Un tubo si dice scabro quando la sua superficie interna (a contatto con il fluido) presenta imperfezioni, il cui spessore "medio" o "significativo" indicheremo con ks. Il valore assunto dal NUMERO DI REYNOLDS D'ATTRITO definito come: Re* =

ks u*

(6.19)

ν

distingue le tre situazioni descritte in Fig. 6.2. a)

per:

0 ≤ Re* < 5

lo spessore δ sl del substrato laminare è maggiore dello spessore delle singole scabrezze: la scabrezza non esercita influenza sulla corrente e il condotto si dice IDRAULICAMENTE LISCIO; come abbiamo visto al paragrafo precedente, la distribuzione di velocità segue la legge del tipo:

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u u* = f

(

y u* ν

)

(6.20a)

La formula di resistenza al moto, che definisce l'indice di resistenza della formula di Darcy Weisbach, è del tipo: F (f, Re) = 0

(6.20b)

Essa fornisce l’indice di resistenza f in funzione del numero di Reynolds della corrente Re ed è presentata in § 6.4.1. b)

per:

5 ≤ Re* < 70

dal substrato laminare emergono alcune scabrezze mentre una parte è ancora contenuta in esso: la corrente risente ancora in parte dell'effetto della viscosità in quanto il substrato laminare interviene nel determinare la resistenza al moto; il moto si dice TURBOLENTO MISTO o in regime di transizione e la distribuzione di velocità è del tipo: u y ks u* u* = f ( ks ; ν )

(6.21a)

La formula di resistenza al moto, che definisce l'indice di resistenza della formula di Darcy Weisbach, che lega f a Re e alla SCABREZZA RELATIVA kS /D: F (f, Re, kS / D) = 0

(6.21b)

è presentata in § 6.4.3. c)

per:

70 ≤ Re*

le scabrezze della superficie del condotto distruggono il substrato laminare: la viscosità non fa più risentire direttamente il suo effetto; il moto si dice TURBOLENTO PURO o completamente turbolento e la distribuzione di velocità è del tipo: u y u* = f ( ks )

(6.22a)

La formula di resistenza al moto, che definisce l'indice di resistenza della formula di Darcy Weisbach, è del tipo: F (f, kS /D) = 0

(6.22b)

ed è presentata in § 6.4.2. Le più importanti tra le prime indagini sperimentali sull’argomento si debbono, nel 1932 e 1933, a Nikuradse che, sotto la direzione di Prandtl e von Karman, rese artificialmente scabri dei tubi lisci di piccolo diametro incollando sulla loro faccia interna granelli uniformi di sabbia e ne determinò l'indice di resistenza f. Nel grafico di Fig.6.8a, tratto da (Rouse 1950), i risultati delle misure sperimentali eseguite da

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diversi ricercatori sono confrontati con le curve teoriche: le asperità del contorno emergono tutte insieme dal substrato laminare e quindi la curva della resistenza al moto si stacca bruscamente dalla curva del tubo idraulicamente liscio. Diversamente, se la scabrezza non è uniforme come accade nei tubi commerciali, le scabrezze emergono gradualmente dal substrato laminare, come è illustrato in Fig.6.2: ne risulta il moto turbolento misto al quale corrisponde la curva di resistenza al moto che interpola i punti sperimentali nel grafico di Fig.6.8b tratto da (Rouse 1950). I grafici di Fig.6.8 sono molto scomodi all’uso e, quindi, non sono impiegati nella pratica. Per tubi commerciali con scabrezza non uniforme, la legge di resistenza al moto è presentata nell'ABACO DI MOODY (Fig.6.9), pubblicato nel 1944, sul quale sono tracciate, in scale logaritmiche, le curve dell’indice di resistenza in funzione del numero di Reynolds della corrente: ks f = F (Re, D ) Sull’abaco le curve sono individuate dalla scabrezza relativa del condotto. Si deve anche notare che nel caso dei tubi commerciali la scabrezza relativa non si misura direttamente ma invece si ricava tarando le formule di resistenza con sperimentazioni idrauliche e quindi viene ad assumere il significato di scabrezza idraulica. Applicando la relazione (6.19) alle sopra definite condizioni limite dei regimi di corrente, vengono ricavati con qualche manipolazione algebrica i limiti inferiore - condizione di condotto idraulicamente liscio - e superiore del regime di transizione - condizione di moto turbolento puro - in funzione del Numero di Reynolds del condotto: ks 14 Re = D f 1/2

(6.23a)

ks 200 Re = D f 1/2

(6.23b)

6.4.1 MOTO TURBOLENTO IN TUBO LISCIO Nella sezione trasversale di un tubo liscio il profilo di velocità, indicato in Fig.6.7 esternamente al sottile strato limite laminare, è ricavato dalla teoria della lunghezza di mescolamento proposta da Prandtl nel 1925, secondo la quale lo sforzo turbolento dovuto alle fluttuazioni di velocità esternamente al substrato laminare è proporzionale alla densità del liquido e al quadrato della velocità di deformazione e cresce con la distanza dalla parete. Dalla espressione analitica del profilo di velocità, ricavata in § 11.1 come equazione (A.5), è stata dedotta la EQUAZIONE UNIVERSALE DI PRANDTL PER I TUBI LISCI: 1 1/2 f 1/2 = 2.0 Log10( Re f ) - 0.8

(6.24a)

il cui risultato può essere approssimato dalla formula esplicita di più facile uso: 1

0.9 f 1/2 = 2.0 Log10 ( Re ) – 1.51

(6.24b)

Nel 1913 Blasius aveva già proposto una relazione sperimentale per i tubi lisci il cui uso è limitato a un ristretto campo di variazione del Numero di Reynolds. La formula di Blasius, data dalla 56 10/11/09

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espressione: f = 0.316 Re

– 0.25

(6.24c) 4

4

4

risulta valida per: 0.3 10 < Re ≤ 10 10 . Per Re > 10 10 è utilizzabile la formula di Nikuradse (1932): f = 0.0032 + 0.221 Re

– 0.237

(6.24d)

6.4.2 MOTO TURBOLENTO PURO La FORMULA DI PRANDTL PER I TUBI SCABRI con corrente in regime completamente turbolento, è ricavata in § 11.2. La espressione è presentata nei manuali in una delle due forme alternative seguenti. Esse sono: 1 f

1/2

D = 2.0 Log10 ( 2 k ) + 1.74 s

(6.25a)

oppure, estraendo la costante ½ dal logaritmo: 1 f

1/2

D = 2.0 Log10 ( k ) + 1.14 s

(6.25b)

6.4.3 MOTO TURBOLENTO MISTO Nel 1937 i britannici Colebrook e White condussero una estesa indagine di laboratorio con misure di resistenza al moto in tubi commerciali in acciaio e in ghisa, internamente rivestiti e non. L'anno successivo, analizzando anche le misure eseguite da altri ricercatori su tubazioni in acciaio variamente rivestite, Colebrook propose una formula che interpreta sufficientemente bene i risultati sperimentali nel regime di movimento compreso tra il moto in condotto liscio e il moto puramente turbolento. La FORMULA DI COLEBROOK – WHITE (1938), che è ricavata in § 11.3, assume l'espressione: 1 f

1/2

ks 2.52 = - 2.0 Log10 ( Re f 1/2 + 3.71 D )

(6.26a)

Numerosi Autori hanno ricavato formule esplicite che approssimano la (6.26a) che, essendo implicita nell'incognita f , deve essere risolta per tentativi. Ad esempio, nel 1973, Churchill e Barr hanno proposto l'uso della più comoda relazione: 1 f

1/2

ks 1.65 = - 2 Log10 ( Re0.9 + 3.71 D )

(6.26b)

Più recente è l'espressione approssimante presentata da Haaland (1983): 1 f

1/2

1.11 ks 6.9 = - 1.8 Log10 [ Re + ( 3.71 D ) ]

(6.26c)

che riproduce molto bene la formula di Colebrook e White con errori decisamente inferiori al cinque per mille nel caso di scabrezza relativa piuttosto grande: ks/D > 0.0045. Per condotti poco scabri ( ks/D < 0.0045 ) risulta più precisa la formula recentemente proposta

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

(2006) da Sonnad e Goudar: 1 f

1/2

= 0.8686 ln (

0.4587 Re s s/(s+1) )

(6.26c)

ove compare: s = 0.124

Re ks D + ln ( 0.4587 Re )

Dalle Fig.6.10 ove sono confrontati i risultati ottenuti dalle formule (6.26) notiamo che la formula di Churchill e Barr fornisce i risultati che maggiormente si discostano da quelli delle altre formule di resistenza al moto. Queste differenze, che sono mediamente inferiori all'1%, risultano però insignificanti in ragione della incertezza delle misure della scabrezza fatte nei reali casi applicativi, come si mostra in § 11.4. 6.5

LE LEGGI CLASSICHE DI RESISTENZA AL MOTO

Quasi sempre, nella soluzione dei problemi pratici di idraulica si deve calcolare la resistenza al moto della corrente in regime puramente turbolento. Per tale ragione nei secoli scorsi, prima dello sviluppo della teoria della turbolenza illustrata nei paragrafi precedenti, sono state proposte formule pratiche per il calcolo della resistenza al moto turbolento senza distinguere tra i vari regimi di moto. Nelle formule classiche di resistenza al moto è spesso introdotto il RAGGIO IDRAULICO R definito come rapporto tra l'area della sezione trasversale A e il suo contorno bagnato P: A

R= P

È immediato riconoscere che per un condotto circolare completamente occupato dal fluido è: D

R =4

Dalla formula di resistenza di Darcy-Weisbach, con alcune semplici trasformazioni otteniamo le principali formule classiche. Quando il diametro D viene sostituito con il raggio idraulico moltiplicato per quattro - 4 R - in una formula di resistenza al moto, questa può essere applicata a un condotto di sezione qualunque. In realtà, se la sezione si discosta molto dalla forma circolare, si dovrebbe introdurre nella formula un coefficiente o fattore di forma che corregga i risultati ottenuti per condotti circolari in quanto la distribuzione della velocità nella sezione si discosta da quella studiata in §11.1.1. È stato verificato sperimentalmente che tale sostituzione è accettabile se la sezione - di tipo ovoidale, a ferro di cavallo, quadrata o rettangolare - non si differenzia molto dalla forma circolare e se il regime di corrente è turbolento con Re > 500 000: in questo caso il fattore di forma è pari a uno. 6.5.1 CENNI STORICI Nel suo testo Hydraulik del 1914, Forchheimer richiama che i primi studi quantitativi sulla resistenza al moto furono svolti nel secolo XVIII dal francese Couplet (1732), per le condotte in

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pressione, e dal tedesco Brahms, per i canali. Altri studiosi - Woltmann, Eytelwein, Weisbach, Gaukler, Manning, Kutter e Bazin - proseguirono in questi studi, che furono essenzialmente sperimentali, e pubblicarono formule pratiche che, per le condotte a sezione circolare, si possono scrivere nella forma monomia nella quale compare la costante di proporzionalità C (m1-β s-1): U = C Jα Dβ

(6.27)

La tabella seguente riporta, per le formule di maggior interesse storico, il nome dell'Autore, l'anno della pubblicazione e i valori delle costanti C, α, β: possiamo osservare che: -

0.5 ≤ α ≤ 0.59

-

0.5 ≤ β ≤ 0.765. AUTORE

ANNO

C (m1-β s-1)

α

β

WOLTMANN

1791

45.8

0.57

0.57

EYTELWEIN

1796

25.1

0.5

0.5

HUMPHREYS E ABBOT (1)

1861

-

0.25

0.5

FLAMANT

1892

68 ÷ 75

0.57

0.714

1907

37.6

0.51

0.599

1907

23.2

0.50

0.58

SCOBEY

1930

37.1

0.529

0.577

STUKY

1943

57.25

0.55

0.645

SCIMEMI

1951

61.55

0.56

0.68

UNWIN

(2)

UNWIN

(3)

(1)

dedotta con misure sul Mississippi e da utilizzarsi ponendo nella (6.24) D = 4 R

(2)

per tubi in ghisa nuovi

(3)

per tubi in ghisa vecchi

Dunque, per quanto abbiamo visto nei paragrafi precedenti, le formule storiche si riferiscono a condizioni di moto turbolento puro oppure, ma meno frequentemente, a moto turbolento misto. Alcune di queste formule furono sviluppate interpretando un numero limitato di esperimenti: poiché il loro campo di applicazione è molto ristretto, il loro impiego generale è decisamente sconsigliato. Solo le formule discusse in dettaglio nei paragrafi seguenti sono ancora in uso, in quanto si adattano molto bene alle espressioni più moderne e teoricamente giustificate. 6.5.2 LA FORMULA DI CHEZY Esplicitando nella (6.9) la velocità media, si calcola con la relazione ricavata per via puramente sperimentale da Chezy e da lui proposta nel 1768 per il progetto di alimentazione 59 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

dell’acquedotto di Parigi con le acque del fiume Yvette:

R J

U=C

(6.28a)

ove C è il coefficiente di resistenza di Chezy che si misura in ( m1/2 s-1) e ha l'espressione: 8g f

C=

(6.28b)

il valore dell'indice di resistenza è fornito, a seconda del regime di moto, dalle relazioni (6.15), (6.24), (6.25), (6.26). Se il moto del liquido (acqua) è puramente turbolento il coefficiente di Chezy può essere calcolato con formule pratiche, che risalgono al secolo scorso, nelle quali la scabrezza è rappresentata da coefficienti che si trovano tabellati nei manuali. A lungo rimase in uso la formula proposta nel 1869 da Ganguillet e da Kutter modificata in seguito (1897) da Bazin. La formula di Bazin risulta: 87

C=

(6.28c)

γ

1+

R

Alcuni valori del coefficiente di Bazin γ sono dati qui sotto. CONDOTTO IN

γ

CEMENTO O LEGNO LISCIATO

0.06

NUOVO IN ACCIAIO TRAFILATO (TUBI MANNESMANN)

0.10

CEMENTO SENZA GIUNTI O MURATURA LISCIA

0.12

NUOVO IN GHISA O LAMIERA SALDATA E GIUNTI CONICI

0.16

GHISA INCROSTATA O TUBERCOLIZZATA

0.36

MURATURA IN CATTIVE CONDIZIONI

0.46

CANALI IN TERRA BEN MANTENUTI

0.85

CANALI IN TERRA IN CONDIZIONI ORDINARIE

1.30

6.5.3 LA FORMULA DI MANNING Semplificando la legge di resistenza per moto puramente turbolento, Strikler nel 1923 propose la seguente espressione per l’indice di resistenza: f = 0.176 (

ks

R )

1/3

(6.29)

che, introdotta nella (6.29) fornisce la formula proposta indipendentemente dall'inglese Manning nel 1889 che interpretò le proprie misure sperimentali e dal francese Gauckler nel 1868 che interpretò le misura di Bazin, Kutter e Ganguillet: U=

R 2/3 J1/2

(6.30a)

n

60 10/11/09

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nella quale il valore del coefficiente di resistenza di Manning n , che ha dimensioni (m-1/3 s), è legato alla scabrezza da: ks1/6 n = 21.1

(6.30b)

e si trova tabulato sui manuali in funzione del materiale costituente le pareti del condotto: spesso in luogo del coefficiente di Manning si trova tabulato il coefficiente di resistenza di Strikler: 1 k= n Si va da n = 0.011 (m-1/3 s) per condotti metallici nuovi, in ghisa internamente rivestita o in acciaio, a valori di n = 0.017 (m-1/3 s) per condotti in calcestruzzo grezzo. Nell’uso pratico spesso si tollera l'uso di formule di moto puramente turbolento, come in effetti è la formula di Manning, anche per il calcolo della resistenza al moto in condotti idraulicamente lisci, come nel caso di vetro o materiale plastico. Si consideri inoltre che vengono rappresentate con il coefficiente di resistenza di Manning anche le perdite nei giunti di collegamento tra i tronchi di tubazione. Il coefficiente di resistenza aumenta con l’età di esercizio del condotto a causa di incrostazioni e/o di erosioni con formazione di cavità, in condotti lapidei, o di tubercoli, in tubazioni metalliche, giungendo fino a n = 0.035 ÷ 0.045 (m-1/3 s). La formula di resistenza di Manning, che essendo il prodotto del contributo di diversi Autori viene citata in molti testi come formula di Manning-Gauckler-Strikler, entrò nell’uso piuttosto tardi, quando, nel 1918, King la inserì nel suo manuale di idraulica. Nella seguente tabella sono forniti alcuni valori (medi) del coefficiente di resistenza di Manning e di Strikler per materiali di uso comune nelle costruzioni idrauliche. CONDOTTO IN

n (m-1/3 s)

k ( m1/3/s)

MATERIALE PLASTICO

0.009

110

VETRO

0.01

100

ACCIAIO FLANGIATO O SALDATO

0.012

85

CALCESTRUZZO LISCIATO

0.013

75

GHISA NON RIVESTITA INTERNAMENTE

0.014

70

GRES VETRIFICATO

0.014

70

MATTONI CON INTONACO

0.015

67

CALCESTRUZZO GREZZO

0.017

60

6.5.4 LE FORMULE PRATICHE Per calcolare la resistenza idraulica in condotte di specifico materiale si possono utilizzare formule pratiche, che spesso vengono proposte dai produttori medesimi dei tubi. Molto popolare per il calcolo della resistenza in tubi di acquedotto nuovi (per tubi usati viene raddoppiato il coefficiente β), costruiti in acciaio o in ghisa e con diametro D < 0.5 m, è la FOR-

61 10/11/09

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MULA DI DARCY:

Q2 J = β D5

con

-1

β = 0.00164 + 0.000042 D

(6.31)

Dal confronto della (6.31) con la espressione di Darcy – Weisbach (6.9) abbiamo: β = 8 f / g π2. La esplicitazione del coefficiente β attraverso la formula di Prandtl – von Karman (6.25) mostra che nella formula di Darcy (6.31), la scabrezza relativa viene fatta decrescere col diametro: ks -0.41 D = 0.000944 D Negli Stati Uniti è molto diffuso l’impiego della FORMULA DI HAZEN-WILLIAMS, proposta nel 1933: U = 0.849 CH R

0.63

J0.54

(6.32)

Il coefficiente di resistenza assume valori compresi tra: -

CH = 150 (m-0.37 s) per condotti piuttosto lisci (nuovi, in acciaio o ghisa centrifugata) e di grande diametro,

-

CH = 55 (m-0.37 s) per condotti molto vecchi e usurati di piccolo diametro, inferiore a 0.10 m.

62 10/11/09

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7.

L’EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO IDRODINAMICO

L'equazione globale dell'equilibrio idrodinamico è una relazione vettoriale che si ottiene dalla integrazione dell'equazione (3.8) a un volume liquido: lo sviluppo della forma globale della equazione dell’idrodinamica richiede l’applicazione di alcuni teoremi della analisi matematica. Questi teoremi saranno illustrati nel paragrafo seguente senza proporne la dimostrazione, che esula dai limiti di un corso di Fondamenti. L'equazione globale viene utilizzata per la soluzione dei problemi di idraulica in sostituzione dell'equazione di Bernoulli, quando quest'ultima non è applicabile per la particolare natura del problema, come, ad esempio, in zone di corrente ove il fluido ricircola con formazione di macrovortici. 7.1 IL TEOREMA DEL TRASPORTO Questo teorema generalizza, estendendolo a un volume finito, il risultato espresso dalla derivata totale (3.9) in quanto spiega come cambiano le proprietà del fluido contenuto in un volume di controllo a causa del moto della corrente. Risulta piuttosto intuitivo il significato del teorema del trasporto applicato a un quantità scalare. Per fissare le idee valutiamo come cambia la densità ρ del liquido contenuto nel VOLUME DI CONTROLLO V di dimensioni finite (Fig.7.1), chiuso dalle due sezioni permeabili A1 e A2 , che per semplicità consideriamo piane, e dal contorno Ac impermeabile; il liquido entra dalla sezione 1 ed esce dalla sezione 2. Il contorno del volume di controllo è dato dalla unione delle tre superfici: A = A1 ∪ A2 ∪ Ac

(7.1)

L’equazione del trasporto si applica al movimento di una qualunque proprietà della corrente (densità del liquido, velocità della corrente, concentrazione di sostanza in sospensione nella corrente, ecc.). Per fissare le idee con un caso intuitivo, consideriamo la variazione totale della concentrazione di una sostanza inerte sospesa nel liquido contenuto nel volume V, descritta dalla equazione: ∂C d ⌡ C un dA - ⌠ ⌡ C un dA + ⌠ ⌡ ∂ t dV ⌡ C dV = ⌠ dt⌠ A1 A2 V V

(7.2a)

ove consideriamo positivo il verso della corrente entrante, il volume solido contenuto in V è Vs = C V, la portata di solido entrante o uscente da V è: Qs = ⌡ ⌠ C un dA A

Nel suo complesso, il volume di solido sospeso nel volume V cambia nel tempo in quanto: 1. attraverso la sezione A1 fluisce, con velocità un (componente della velocità perpendicolare alla sezione A), ed entra in V un liquido con una sospensione di contrazione C che parzialmente si sostituisce a quello presente in precedenza, 2. attraverso A2, il liquido che abbandona il volume di controllo, porta con sé la sospensione di contrazione C,

63 10/11/09

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3. il solido sospeso che rimane all’interno del volume di controllo cambia nel tempo la sua concentrazione, ad esempio, a causa di un processo di decadimento chimico. Il termine (3) è nullo nel caso di moto permanente. Il teorema del trasporto chiarisce che le proprietà del liquido contenuto nel volume di controllo, cambiano nel tempo anche se il moto è permanente, in quanto la corrente sposta le particelle e fa entrare nel volume di controllo nuove particelle sostituendole a quelle prima residenti. Analogamente a quanto appena visto, applichiamo il teorema per rappresentare la variazione di proprietà vettoriali, come è ad esempio la velocità U del liquido. In questo caso si scrive semplicemente sostituendo in (7.2a) la quantità vettoriale allo scalare: d ∂U U dV = U U U U dA dA + dV ⌠ ⌠ ⌠ ⌠ n n ⌡ ⌡ ⌡ ⌡ dt V ∂t A1 A2 V

(7.2b)

Per il caso di moto permanente, il terzo addendo a destra della uguaglianza si annulla e la (7.2b) diventa: d ⌡ U dV = ⌠ ⌡ U Un dA - ⌠ ⌡ U Un dA dt⌠ V A1 A2

7.2

(7.3)

IL TEOREMA DELLA DIVERGENZA

Negli sviluppi del paragrafo seguente utilizziamo un corollario del teorema della divergenza, dovuto a Gauss, che, per un generico volume V chiuso da una superficie di contorno A dà l’espressione: ⌠ ⌡ grad (p) dV = ⌠ ⌡ p n dA V

(7.4)

A

ove n è il versore normale entrante dalla superficie di contorno. 7.3

IL TEOREMA GLOBALE DELL’IDRODINAMICA

Per semplicità, la dimostrazione che segue è ottenuta sotto le varie ipotesi restrittive adottate usualmente per la soluzione dei problemi di idraulica elementare ossia che il fluido sia perfetto e pesante e che il moto sia stazionario. Può essere dimostrato che il risultato ottenuto ha validità più generale. Per integrare la seconda legge di Newton sul volume di controllo V di Fig.7.1, scriviamo: DU ⌠ ⌡ ρ D t dV = ⌠ ⌡ ( F + Π ) dV V V

(7.5)

Trasformiamo i membri di destra e di sinistra della (7.5). Assumiamo ρ costante e consideriamo la normale entrante positiva, come in (7.3). Essendo il liquido perfetto e pesante possiamo scrivere, ricordando le (3.11) e le (3.12):

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⌠ ⌡ ( F + Π )dV = - ρ ⌠ ⌡ g dV - ⌠ ⌡ grad (p) dV V

V

V

Essendo il moto permanente, l’equazione del trasporto (7.3) fornisce: dU ⌠ ⌡ U Un dA - ρ ⌠ ⌡ U Un dA ⌡ ρ d t dV = ρ ⌠ V A1 A2 Sostituendo queste due espressioni nella (7.5) e ricordando la trasformazione (7.4) risultante dal teorema della divergenza, otteniamo: ρ⌠ ⌡ U Un dA - ρ ⌠ ⌡ U Un dA + ρ ⌠ ⌡ g dV + ⌠ ⌡ p n dA = 0 A1

A2

V

(7.6)

A

Il primo e il secondo termine della (7.6) che hanno la forma: M=⌡ ⌠ ρ U Un dA

(7.7)

A

rappresentano quantità vettoriali che sono i FLUSSI DI QUANTITÀ DI MOTO, o inerzia convettiva, che attraversano, il primo in entrata e il secondo in uscita, due sezioni A1 e A2 . Il terzo termine della (7.6) rappresenta il peso del liquido contenuto nel volume di controllo: G=⌡ ⌠ ρ g dV

(7.8)

V

Il quarto termine della (7.6) rappresenta la spinta che l’esterno esercita sul liquido attraverso la superficie di contorno, che può essere scomposta nelle spinte esercitate sulle tre superfici A1, A2 e Ac . ⌠ ⌡ p n dA = Π1+ Π2+ ΠC

(7.9)

A

La relazione (7.6) può ora essere scritta in maniera simbolica come l’equilibrio tra forze di volume e forze di superficie applicate al liquido contenuto nel volume di controllo: M1 – M2 + G + Π 1 + Π 2 + Π C = 0

(7.10)

Per un liquido reale: 1) se nell’intorno delle sezioni A1 e A2 la corrente è gradualmente variata la distribuzione delle pressioni è idrostatica come nel fluido perfetto, come si è visto in par.3.3.4, 2) debbono essere considerati anche gli sforzi tangenziali τ agenti sul contorno Ac . Si dimostra che, in questo caso, a ΠC deve sostituirsi: FC = ⌠ ⌡ ( p + τ ) dA

(7.11)

Ac

65 10/11/09

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ΠC

In tutti i casi pratici che esamineremo nel Capitolo seguente risulta p >> τ e, quindi, FC≈

3) il calcolo del flusso di quantità di moto M viene definito facendo comparire la velocità media della corrente attraverso la sezione con una ulteriore trasformazione dovuta a Boussinesq. Essendo la corrente gradualmente variata nelle sezioni piane 1 e 2, la espressione (7.7) può essere semplificata in quanto risulta: ⌠ U2 n dA = n ⌡ ⌠ U2 dA ⌠ U Un dA = ⌡ ⌡ A

A

(7.12a)

A

Se, analogamente a quanto si fece con la equazione (5.2), definiamo il flusso di quantità di moto facendo esplicitamente comparire la velocità media sulla sezione e il coefficiente di Boussinesq β: 2 ⌠ ⌡ U dA

β=

A

(7.12b)

Um2 A

otteniamo che il modulo di M è esprimibile come: | M | = ρ β Um ( Um A ) = ρ β Um Q

(7.13)

In definitiva l’equazione globale dell’equilibrio idrodinamico applicata al volume di fluido indicato in Fig.7.1 è una relazione vettoriale che si scrive: Π1+ M1 + Π2 – M2 + G + FC = 0 7.4

(7.14)

APPLICAZIONI

Nel capitolo seguente l'equazione globale della idrodinamica sarà utilizzata per determinare la perdita di energia che si realizza nei brevi tronchi di corrente, nei quali si formano vortici di grandi dimensioni. In questi tronchi la corrente dissipa energia in modo diverso da quanto descritto in Cap. 6, dando luogo alle perdite di carico localizzate. Inoltre, una versione dell'equazione dell'equilibrio idrodinamico di un tronco di corrente è alla base dello studio delle macchine idrauliche, che esula dagli argomenti del corso di Fondamenti di Idraulica. Tra le svariate applicazioni della (7.14), consideriamo i seguenti utili e curiosi casi. 7.4.1 LA BOCCA DI BORDA Se la luce di efflusso della corrente non è semplicemente formata da un foro in una parete piana ma è dotata del tubo addizionale interno illustrato in Fig. 7.2, il coefficiente di contrazione della vena effluente è inferiore al valore CC = 0.61 assegnato sperimentalmente in § 4.1 alla luce in parete piana. Il coefficiente CC della bocca di Borda può essere determinato teoricamente applicando la (7.14)

66 10/11/09

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al volume liquido illustrato in figura, chiuso tra una sezione interna al serbatoio, 1, ove il liquido è ancora in quiete, e la sezione contratta della vena effluente, 2. La proiezione della equazione vettoriale (7.14) sull'asse del tubo di Borda fornisce: γ h A - ρ U2 CC A = 0

(7.15)

ove compaiono, oltre alle grandezze indicate in figura, la velocità media nella sezione contratta, U, e la sezione della luce, A. Confrontando il risultato della (7.15) con la relazione della foronomia (4.2) otteniamo: CC = ½

(7.16)

7.4.2 IL CARRELLO A GETTO Nella parete del serbatoio, montato su ruote, è aperta una luce, come illustra la Fig. 7.3a. Considerando condizioni di moto permanente, applichiamo al volume liquido individuato in figura dal contorno blu, la equazione dell'equilibrio globale idrodinamico, proiettandola sull'asse della luce. Introducendo la relazione (4.2), otteniamo che la forza F esercitata dal liquido sulle pareti del serbatoio vale: F = ρ CC A (2 g h)

(7.17)

I simboli sono indicati in figura: A è l'area della luce. Essendo la forza opposta alla direzione del getto effluente, il carrello si sposta verso sinistra. Lo stesso risultato potrebbe essere raggiunto osservando che la chiamata di sbocco, riducendo la pressione del liquido lungo il contorno della luce, provoca uno squilibrio nella spinta che vale appunto F: il calcolo richiederebbe, però, l'uso di complesse procedure della fisica - matematica per analizzare il moto del fluido all'interno del serbatoio. È stato così descritto il principio della propulsione a getto. Invece, il carrello immerso in un serbatoio pieno d'acqua, come in Fig. 7.3b, non si muove: questa osservazione, a prima vista contrastante con quanto detto sopra, è chiamata paradosso di Bergeron. Se, infatti, applichiamo la (7.14) a tutto il volume liquido dei due serbatoi, otteniamo semplicemente che la spinta idrostatica esercitata dal liquido sulle pareti è uguale alla forza di reazione delle pareti sul liquido come, d'altro canto ci dice la terza legge di Newton. A un ulteriore risultato a prima vista paradossale, si giunge considerando il caso descritto in Fig. 7.3c: dalla luce, aperta, del serbatoio di sinistra esce un getto che impatta contro la piastra semplicemente appoggiata, che chiude la luce del serbatoio di destra. Le due luci, coassiali, hanno le medesime dimensioni, con area A. Poiché la spinta idrodinamica del getto contro la piastra vale, per la (7.17): F1 = 2 γ CC A h = 1.22 γ A h1

(7.18a)

se CC = 0.61, mentre la spinta idrostatica del serbatoio di destra contro la piastra vale: Π2 = γ A h2

(7.18b)

la piastra non cade fino a che:

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

h2 ≤ 1.22 h1

(7.18c)

diversamente a quanto avviene in condizioni statiche, ove la condizione di caduta della piastra è: h2 ≤ h1. Il fenomeno è facilmente spiegato considerando i diagrammi delle pressioni in Fig. 7.3c: la spinta sulla parete del serbatoio di sinistra è inferiore al valore idrostatico e la parte di spinta mancante viene ceduta alla corrente, la cui spinta idrodinamica, conseguentemente, è superiore al valore della spinta idrostatica esercitata da destra sulla piastra.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

8.

PERDITE LOCALIZZATE

Nei tratti di condotta (allargamenti e restringimenti più o meno bruschi, ostruzioni costituite da valvole o paratoie, curve, ecc.) ove la corrente sviluppa una accentuata turbolenza, con formazione di vortici, si verificano perdite localizzate di energia. Queste perdite sono generalmente espresse in funzione della altezza cinetica della corrente (a monte o a valle del tratto in questione): U2 ∆HL = k 2 g

(8.1)

il coefficiente moltiplicativo k è denominato coefficiente di perdita. In molti casi la perdita di carico può valutarsi per via teorica applicando l'equazione globale dell'equilibrio idrodinamico. 8.1

PERDITA PER BRUSCO ALLARGAMENTO

Applichiamo l’equazione globale della idrodinamica (7.14) al volume contenuto nel tronco di condotta rappresentato in Fig.8.1 e consideriamo la sua proiezione lungo l'asse. Se la corrente è gradualmente variata nelle sezioni di entrata e di uscita della corrente dal tronco di condotta in esame, otteniamo: p1 A1 + β ρ U1 Q – p2 A2 - β ρ U2 Q + G sen θ + ΠC – T = 0 Poiché la spinta sulla corona circolare di raccordo dei due tubi di diverso diametro è: ΠC = p1 (A2 – A1) e la proiezione del peso nella direzione del moto vale, con i simboli indicati in figura: G sen θ = γ A2 L sen θ = γ A2 (z1 – z2) approssimando: β = 1 e T = 0 otteniamo, dopo aver diviso per γ A2 : p1 U1 U2 p2 U22 z1 + + g - z2 - g =0 γ γ Ridisponendo i termini, otteniamo con alcuni passaggi algebrici la FORMULA DI BORDA: ∆HL =

(U1 - U2) 2 2g

(8.2)

o anche possiamo definire il coefficiente di perdita da inserire nella (8.1) ove si fa comparire l’altezza cinetica della corrente nella sezione 2 del condotto a valle del brusco allargamento: A2 k=( A -1)2 1

(8.3)

Allo sbocco della condotta in un serbatoio (U2 = 0) la corrente subisce una PERDITA DI SBOCCO pari alla sua altezza cinetica. Il brusco aumento della sezione del condotto, che provoca la diminuzione (8.2) del carico totale, causa un corrispondente aumento della quota piezometrica della corrente. Infatti, esplicitando con semplici passaggi algebrici la differenza di quota piezometrica, otteniamo dalla (8.2) la: h1 - h 2 = ( z 1 +

p1 p2 U2 ) - ( z2 + ) = g ( U2 - U1 ) γ γ

(8.4)

69 10/11/09

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Poiché la differenza di velocità è negativa, in quanto la corrente rallenta, risulta che la quota piezometrica, o la pressione se il tubo è orizzontale, aumenta; ossia, la diminuzione di altezza cinetica è sempre maggiore della diminuzione di carico totale. 8.2

PERDITA DI IMBOCCO

Per l'imbocco non raccordato, descritto in Fig.8.2, il coefficiente di perdita dovuta alla espansione della corrente tra la sezione contratta e la sezione del condotto è fornito dalla: 1 k = ( C - 1 ) 2 = 0.41 C

(8.5)

essendo il coefficiente di contrazione dell’imbocco a spigolo vivo dal serbatoio pari al coefficiente di contrazione della luce vista in § 4.1: CC = 0.61. Aggiungendo l'effetto del coefficiente di velocità otteniamo infine - per la dimostrazione completa si rimanda a (Citrini, Noseda 1971) - il valore del coefficiente di perdita: k = 0.50

(8.6a)

che moltiplica l’altezza cinetica della corrente in condotta. Se l’imbocco è ben raccordato si pone: k = 0.10

(8.6b)

Se nell'imbocco viene inserito un tubo addizionale interno, detto bocca di Borda, risulta: k = 1.16

(8.6c)

Infatti, si ottiene dalla (8.5) ricordando la (7.16) k = 1; a questo valore si deve aggiungere il coefficiente di velocità, pari a Cv = 0.16, per ottenere il coefficiente (8.6c). Si noti inoltre che, nel caso di imbocco non raccordato (8.6a), l'altezza cinetica nella sezione contratta vale: 1 U2 U2 UC2 2 g = CC2 2 g = 2.7 2 g 8.3

(8.7)

PERDITA PER RESTRINGIMENTO

Il fenomeno descritto nel paragrafo precedente si verifica anche al passaggio brusco dal tubo di diametro maggiore al tubo di diametro minore rappresentato in Fig.8.3, ma con contrazione della vena meno accentuata che non nel caso dell’imbocco. Pertanto nella (8.5) viene inserito un coefficiente CC che dipende dal rapporto tra le aree dei condotti; con la procedura appena vista viene calcolato il valore del coefficiente di perdita k, che moltiplica l’altezza cinetica nella sezione 2 , a valle della transizione. Il suo valore è tabulato qui sotto in funzione del rapporto tra le aree delle sezioni A2 , a valle, e A1 , a monte, della transizione: A2/A1

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1.00

k

0.50

0.48

0.45

0.41

0.36

0.29

0.21

0.13

0.07

0.01

0.00

Se il restringimento è raccordato con un tronco di tubo convergente, con angolo di convergenza θ° Fig.8.4, la perdita di carico diminuisce. Il valore del coefficiente di perdita k è fornito dalla

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

seguente tabella.

8.4

A2 /A1

8° - 20°

45°

90°

0.50

0.04

0.12

0.26

0.25

0.04

0.17

0.43

0.10

0.05

0.19

0.48

PERDITA PER ALLARGAMENTO RACCORDATO

Per il calcolo della perdita di carico localizzata in un raccordo troncoconico, diffusore, tra un condotto di diametro inferiore e il successivo di maggior diametro Fig.8.5 può essere utilizzata la formula derivata dalla (8.2): ∆HL = p

(U1 - U2) 2 2g

(8.8)

Il coefficiente riduttivo p della perdita di Borda è dato nella tabella seguente in funzione del rapporto tra i diametri e dell’angolo di divergenza.

8.5

D2 /D1

10°

20°

30°

40°

50°

60°

70°

80°

90°

1.5

0.4

0.95

1.20

1.15

1.10

1.08

1.03

1.025

1.01

3.0

0.4

0.80

1.07

1.06

1.05

1.03

1.03

1.03

1.03

PERDITA NEI GOMITI

Nei tronchi di condotto curvo si stabilisce una differenza di pressione (maggiore all’estradosso e minore all’intradosso) data dalla (3.26b) e che, nel caso di liquido perfetto, fa incurvare le traiettorie per consentire alla corrente di adattarsi alle pareti del tubo. Nel caso di un liquido reale, che si muove lentamente nello strato limite vicino alle pareti, la differenza di pressione risulta eccessiva e costringe le traiettorie a curvare più del necessario. Le particelle acquistano in tal modo una componente di velocità trasversale alla direzione prevalente del moto e si muovono con un movimento a doppia elica. Questo disturbo provoca una dissipazione di energia che si rappresenta con la solita espressione (8.1) nella quale il coefficiente di perdita dipende dal rapporto tra il raggio di curvatura e il diametro del condotto r/D e dall’angolo al centro della curva θ° definiti in Fig.8.6. Inoltre il tronco di tubo curvo riceve una spinta dinamica calcolabile con la (7.14) che viene contrastata appesantendo la condotta con un blocco di ancoraggio. Secondo gli studi di Beij (1938) il valore del coefficiente di perdita non dipende dal numero di Reynolds se Re >200 000. Vari studi sperimentali mostrano che la perdita di carico è relativamente più grande in tubi di piccolo diametro rispetto a quelli di diametro maggiore: pertanto, i valori di k della tabella seguente possono essere eccessivi in alcuni casi.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

r/D

45°

0

8.6

90°

180°

1.1

5

0.12

0.21

0.36

10

0.21

0.35

0.48

15

0.38

0.65

0.96

PERDITA CAUSATA DA UNA PARATOIA

Una paratoia è costituita da una lastra (usualmente di metallo) che, mossa da un meccanismo, entra nella condotta per ostacolare il movimento della corrente creando una perdita di carico. La paratoia completamente abbassata chiude il condotto e blocca il deflusso del fluido. Con riferimento alla situazione illustrata in Fig. 8.7 , indichiamo il rapporto tra l'area libera sotto la paratoia e l'area della sezione del tubo, con: A1 m= A il rapporto di strozzamento della paratoia. Il coefficiente di perdita risulta: 2 1 k=(mC -1) c

(8.9)

Il coefficiente di contrazione varia gradualmente da: CC = 0.73 per m = 0.30 fino a CC = 0.80 per m = 0.80. Nelle valvole la parte mobile si trova sempre all’interno della corrente e viene spostata avanti o indietro per chiudere o aprire il condotto Fig.8.8. Le paratoie e le valvole disturbano la corrente e quindi provocano una dissipazione di energia anche quando sono completamente aperte. Si può assumere per: -

saracinesche (paratoie)

k ≈ 0.1 ;

-

valvole a clapet

k=2;

-

valvole a farfalla

k = 2.5 ;

-

valvole sferiche

k = 5 ÷ 10.

Osserviamo che, a differenza di quanto accade in una valvola, in una paratoia completamente aperta l'otturatore esce quasi del tutto dal contatto con la corrente: per tale ragione il coefficiente di perdita della saracinesca aperta è molto più piccolo di quello di una qualsiasi valvola.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

9.

LE MACCHINE IDRAULICHE

Distinguiamo tra: -

macchine motrici o TURBINE che trasformano l'energia della corrente in energia meccanica,

-

macchine operatrici o POMPE che, col loro movimento, imprimono energia alla corrente liquida; nel caso di gas la macchina è detta COMPRESSORE.

Delle macchine idrauliche non studiamo i principi di funzionamento ma soltanto il loro effetto sulla corrente idrica con la quale interagiscono. 9.1

TURBINE

Le macchine capaci di utilizzare l’energia dei fluidi, che furono già impiegate nell’antichità, costituiscono i primi esempi di sfruttamento di energia disponibile in Natura. L’energia meccanica prodotta dal movimento della ruota idraulica, azionata dalla corrente d'acqua o, successivamente, di aria, era dedicata, quasi esclusivamente, all’azionamento delle mole. La nascita delle moderne turbine idrauliche data però alla seconda metà del settecento a partire dalla ruota a reazione di Barker (1750) e dalla teoria delle turbine idrauliche di Eulero (1754). Verso la metà del XIX secolo, J. B. Francis perfezionò i precedenti modelli di turbine a reazione proponendo il modello di macchina che ancora porta il suo nome. Nel 1880 lo statunitense L.A. Pelton sviluppò la turbina ad azione e, infine, nel 1913 V. Kaplan propose la turbina a pale regolabili. Attualmente le turbine idrauliche possono raggiungere potenze elevatissime: 350 MW per le turbine di tipo Pelton; 870 MW per le Francis; 230 MW per le Kaplan. Nel mondo, sono installate turbine idrauliche per una potenza complessiva di circa 730 GW con una produzione di quasi 2800 TWh / anno. La produzione idroelettrica italiana è di 50 TWh /anno e copre il 19% del fabbisogno elettrico del paese: la potenza idroelettrica installata in Italia assomma a 15 GW. Consideriamo lo schema di impianto idroelettrico illustrato in Fig.9.1. La turbina assorbe energia dalla corrente e provoca la perdita di carico o SALTO UTILE definito da: ∆H = HM - HV

(9.1)

come è illustrato in Fig. 9.2. Di conseguenza la potenza ceduta dalla corrente alla macchina risulta: PT = γ Q ∆H

(9.2)

La potenza è espressa in watt (W) se il peso specifico γ è espresso in (N m-3): solitamente si divide per 1000 e si esprime la potenza in (kW). A causa delle resistenze meccaniche e idrauliche e delle perdite di portata attraverso le tenute la potenza in uscita dalla turbina è minore di quella assorbita in quanto ceduta dalla corrente. Definito il rendimento η come rapporto tra le due potenze sopra menzionate otteniamo la potenza effettivamente prodotta: PE = η γ Q ∆H

(9.3)

Il rendimento è sempre minore dell'unità.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

L'energia prodotta dalla macchina in un periodo di tempo T vale: T

E = ⌠ ⌡ PE d t

(9.4)

0

e si misura in (kWh) se il tempo è dato in ore. 9.2

POMPE

In ragione delle loro caratteristiche idromeccaniche le pompe si distinguono in: -

pompe a palettaggi rotanti che, a seconda della direzione della corrente nella zona della girante, si definiscono: pompe a flusso radiale - centrifugo, pompe a flusso semiassiale o conico, pompe a flusso assiale ad elica fissa oppure di tipo Kaplan con palettaggio registrabile in situazione di marcia. Le parti della pompa, di cui è data una visione aperta in Fig. 9.3a, è sono: (a) cassa, detta anche statore, formata esternamente dalla incastellatura e internamente dalla voluta-spirale, (b) girante palettata, (c) dispositivi di completamento ( coperchi, scatole di tenuta, supporti portanti e di spinta, dispositivi di equilibramento, ecc.). Le figure 9.3 mostrano la cassa e la girante di alcuni modelli della ditta Flygt: la Fig. 9.3b descrive un modello a girante chiusa idoneo per il sollevamento di acque reflue e fanghi civili o industriali; la Fig. 9.3c mostra un modello con girante aperta a vortice, in voluta, per il sollevamento di acque viscose o contenenti solidi e filamenti; il modello di pompa con girante a elica di Fig. 9.3d è idoneo al sollevamento di acque pulite, gregge o leggermente cariche. Il principio di funzionamento di queste pompe è il seguente. Il moto trasmesso, attraverso un riduttore di giri, dal motore di azionamento all'albero della girante della pompa spinge radialmente il liquido che attraversa i vani tra le palette e ne aumenta la velocità: di conseguenza, cresce l'altezza cinetica dei filetti fluidi che escono dalla girante. Nella voluta spirale la corrente rallenta, con una perdita di carico piuttosto piccola e che il progettista cerca di minimizzare, trasformando in altezza piezometrica l'altezza cinetica acquisita all'uscita dalla girante. Le pompe a palettaggi possono essere monogiranti oppure multiple che sono formate da più elementi disposti in serie per fornire una elevata prevalenza oppure (caso meno frequente) da più elementi in parallelo per sollevare una grande portata. In pompe di questo tipo: la portata sollevata Q è funzione circa lineare - Q = C1 n - mentre la prevalenza totale ∆H è funzione circa quadratica - ∆H = C2 n2 - del numero di giri n (s-1) della girante. Le pompe a palettaggi rotanti sono indicate per il sollevamento di liquidi poco o mediamente viscosi, aventi viscosità cinematica ν < 550 (cS) di poco superiore a quella di un olio lubrificante SAE 30, come si riscontra dalla tabella di § 1.3. Queste pompe hanno ingombro e peso ridotto e costo moderato, mantengono un rendimento elevato quando sono regolate per variazione del numero di giri della girante, sono azionabili direttamente da elettromotori, sono adatte per sollevare liquidi aggressivi e, in definitiva, sono le pompe di impiego più diffuso;

-

pompe rotative a capsulismo: ad ingranaggi, a rotori con vite elicoidale, a rotori con alette, a rotori con lobi, ecc., utilizzate per il sollevamento di liquidi alimentari che richiedono di essere manipolati con cura oppure liquidi molto viscosi come gli oli minerali, essendo il limite di funzionamento posto a un valore di viscosità cinematica estremamente elevato - ν < 11000 (cS) -, o con elevata concentrazione di solidi sospesi come le acque provenienti da fognature nere, ecc. Per questa ragione le pompe a ingranaggi bielicoidali e le pompe con roto-

74 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

ri a vite elicoidale, come le pompe di Archimede, sono utilizzate negli impianti petroliferi e negli impianti di trattamento delle acque di rifiuto; -

pompe alternative a stantuffi impiegate per il sollevamento di portate ridotte con elevate prevalenze. Esse danno prevalenze notevoli anche a basso numero di giri, hanno rendimento indipendente dal rapporto portata/prevalenza e possono impiegarsi per sollevare liquidi molto caldi o chimicamente aggressivi; di converso richiedono un notevole spunto al motore in fase di avviamento, sono piuttosto voluminose e, diversamente dalle pompe a palettaggi e dalla pompe rotative, sollevano la portata in modo pulsante per cui richiedono dispositivi di regolarizzazione del flusso.

La pompa inserita nell'impianto di sollevamento illustrato in Fig. 9.4 riceve la corrente dalla condotta di monte o di aspirazione e la immette nella condotta di valle o di mandata, detta anche premente. Definito il dislivello tra i carichi totali alle sezioni di uscita e di entrata della pompa come PREVALENZA TOTALE: ∆H = HV - HM

(9.5)

Se le sezioni di entrata e di uscita della pompa hanno la stessa area si riconosce immediatamente che la prevalenza totale è uguale alla PREVALENZA MANOMETRICA, che si ottiene direttamente dalla lettura dei manometri inseriti alle due estremità della pompa: ∆H = ∆h Si scrive che la potenza ceduta dalla pompa alla corrente è: PP = γ Q ∆H

(9.6)

mentre è più grande la potenza PA effettivamente assorbita dalla macchina (elettrica o a combustione interna o altro) che la aziona, in quanto, attraverso il rendimento η della pompa, si deve tenere conto delle perdite: PA =

γ Q ∆H η

(9.7)

La scelta delle pompe costituisce spesso uno degli elementi principali del progetto di un impianto di approvvigionamento idrico o di movimentazione o smaltimento di fluidi. La curva caratteristica della pompa fornisce la portata che la pompa è in grado di sollevare al variare della prevalenza e viene definita sperimentalmente dal fabbricante della pompa. La effettiva curva caratteristica della pompa ha la forma convessa illustrata in Fig. 9.5 mentre alla pompa di assegnata potenza e con rendimento unitario corrisponderebbe, teoricamente, il legame tra portata e prevalenza - ∆H = f ( Q ) - espresso dalla (9.6) e rappresentato sul grafico da un ramo di iperbole (curva blu in figura). Nella realtà, il valore di η dipende dalla condizione di funzionamento: è massimo nel punto di funzionamento ottimo, ove la differenza tra la curva teorica e la curva reale è minima, e diminuisce allontanandosi da esso. In Fig. 9.5 sono presentate le curve caratteristiche (curve nere in figura), tipiche di due pompe diverse, che assorbono uguale potenza - P = 80 kW - e hanno uguale rendimento massimo - η = 0.74 - ma diversa curva della efficienza (curve rosse in figura): la prima pompa opera con media prevalenza e portata ridotta mentre la seconda solleva una grande portata a bassa prevalenza. Al punto di massimo rendimento, la potenza che una delle due pompe può cedere alla corrente è P = 59.20 kW e il corrispondente legame tra portata e prevalenza è rappresentata dalla iperbole a tratto blu.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

Il progettista dell’impianto di sollevamento deve scegliere la pompa, che ha normalmente numero di giri fisso (ossia ruota a velocità costante), in modo che il punto di funzionamento della pompa, nel quale si incrociano la curva caratteristica dell’impianto e la curva caratteristica della pompa, si trovi nella zona di massimo rendimento della pompa (Fig. 9.6). La curva caratteristica dell’impianto definisce la variazione della prevalenza totale richiesta alla pompa in funzione della portata da sollevare e deve essere calcolata dal progettista. In figura sono illustrate 3 diverse curve caratteristiche dell'impianto. La curva di tipo 1 è riferita a un circuito idraulico nel quale la prevalenza geodetica è significativamente maggiore delle perdite di carico. Invece le curve 2 sono tipiche di un impianto nel quale la prevalenza totale è data essenzialmente dalle perdite di carico: inoltre osserviamo che la resistenza al moto dei condotti nel periodo iniziale di funzionamento (condizione di tubi nuovi) è più piccola rispetto alla situazione successiva quando i condotti saranno usurati (condizione di tubi usati). Poiché l'impianto di sollevamento deve essere adeguato alla condizione di tubi usati, la pompa risulta sovradimensionata quando i tubi sono nuovi; se non si vuole sollevare una portata maggiore di quanto stabilito in progetto si deve inserire una valvola, o una saracinesca, che viene inizialmente parzializzata per riportare il punto di funzionamento nella posizione voluta; la valvola viene aperta col passare del tempo per mantenere invariata la curva caratteristica del circuito idraulico all'aumentare della scabrezza dei condotti. Quando le condizioni di esercizio dell’impianto di sollevamento (portata e/o prevalenza alla pompa) variano nel tempo, può essere conveniente l’installazione di pompe a velocità variabile: in Fig. 9.7 sono riportate, in forma percentuale rispetto al punto di funzionamento ottimo della pompa, le curve caratteristiche al variare del numero di giri. Osserviamo che, benché il rendimento della pompa diminuisca al diminuire del suo numero di giri, esiste una zona di funzionamento nel quale il rendimento è molto vicino al valore massimo. La figura mostra anche il grafico della curva di potenza della pompa in funzione della portata sollevata. Talvolta, si richiede alla pompa di operare in depressione, ossia la pressione (relativa) del fluido al suo interno è negativa. Se la depressione aumenta, ossia se la pressione assoluta del liquido nella pompa diminuisce fino a raggiungere la tensione di vapore del liquido stesso, questo cavita (cfr. par.1.2) provocando la brusca caduta del rendimento della pompa e l’erosione delle superfici interne della pompa. Pertanto, il fabbricante della pompa indica il valore minimo ammissibile della pressione assoluta, usualmente espressa in colonna d’acqua, al di sotto del quale non è consigliabile scendere. Questo valore limite è detto NPSH ( net pressure suction head ). Poiché, per convenzione il valore di NPSH è riferito all’asse della pompa, se questa è disposta con asse orizzontale, oppure alla faccia inferiore della girante, se l’asse della pompa è verticale (Fig. 9.8), l’installazione della pompa è corretta solo se la pressione disponibile è più grande del NPSH (m); ossia: p

* D

> NPSH

*

p

γ

(9.8a)

ove: p

*

pv* = hE + - zM γ γ γ D

0

(9.8b)

nella quale compaiono:

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hE

quota piezometrica della corrente alla flangia di aspirazione della pompa,

zM

quota del piano di riferimento del NPSH *

*

p

0

pv*

p pressione assoluta di riferimento:

0

= 10.33 m, se la pompa è al livello del mare γ tensione di vapore del fluido che dipende dalla temperatura secondo la relazione (1.10).

9.2.1 POMPE IN SERIE E IN PARALLELO Quando non è possibile fornire il servizio di sollevamento con un'unica pompa, l'impianto è realizzato collegando più pompe, in serie o in parallelo tra loro. Nel caso in cui sia necessario aumentare la portata sollevata, le pompe si dispongono in parallelo. La curva caratteristica del complesso di più pompe si ottiene sommando, a parità di prevalenza, le portate date dalle curve caratteristiche delle singole pompe, come in Fig. 9.9 riferita al caso della disposizione in parallelo di due pompe ciascuna delle quali non è in grado di sollevare la richiesta portata di 0.6 m3/s. In particolare, se le pompe sono tra loro uguali, la curva caratteristica totale si ottiene moltiplicando la portata sollevata dalla singola pompa per il numero di pompe impiegate. I grafici presentati in figura sono stati costruiti ipotizzando che le pompe siano a palettaggi rotanti e che operino a numero di giri costante. Dobbiamo ricordare che il circuito idraulico di collegamento tra le pompe richiede l'impiego di pezzi speciali - gomiti, inserti a T, tronchi a diametro gradualmente crescente - le cui perdite localizzate di carico deveno essere computate nel tracciamento della curva caratteristica dell'impianto. Nel caso in cui sia necessario aumentare la prevalenza, le pompe si dispongono in serie. La curva caratteristica del complesso di più pompe si ottiene sommando, a parità di portata, le prevalenze date dalle curve caratteristiche delle singole pompe. Nella maggior parte degli impianti reali, per non aumentare le pressioni nella condotta di mandata aumentando in una sola volta la quota piezometrica della corrente si preferisce scaglionare i sollevamenti lungo la condotta: in questo caso, le pompe poste in successione alla prima si dicono pompe di rilancio.

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10.

CONDOTTE

10.1 CONDOTTE IN DEPRESSIONE: MOTO A CANALETTA La linea piezometrica non può sottostare alla condotta di una altezza superiore al valore critico zcr , ossia deve sempre essere: *

*

p0 - p v zd ≤ zcr = γ

(10.1)

Nella relazione (10.1) compaiono: p0* , pressione atmosferica (p0* / γ = 10.33 m) e pv*, tensione di vapore del fluido che scorre in condotta; la tensione di vapore dipende dalla temperatura del liquido come indica la relazione (1.10). Nel punto M del tubo a sifone, indicato in Fig.10.1, si stabilisce la pressione relativa (negativa): pd = - p0* + pv* Il calcolo idraulico per la determinazione della portata nella situazione illustrata in figura deve fare riferimento alle pressioni assolute. L'equazione di Bernoulli generalizzata fornisce: Uc r2 f Uc r2 zA = zM - zc r + 2 g + D 2 g L + ∆Hi

(10.2)

ove Uc r è la velocità media che si stabilisce in condotta quando il deflusso avviene nelle condizioni di pressione indicate dalla (10.1). Fino all'apice del gomito - sezione del punto M - la corrente occupa l'intera sezione. A valle del gomito la condotta si abbassa: poiché in essa si mantiene la pressione uguale a pd: -

la piezometrica scende con l'asse del condotto, in quanto l'altezza piezometrica mantiene sempre lo stesso valore (negativo),

-

la linea dei carichi totali scende invece secondo la cadente, calcolata ad esempio con la (6.9).

Di conseguenza aumenta l'altezza cinetica e, con essa, la velocità media della corrente e la sezione trasversale della corrente, che defluisce a pelo libero, va restringendosi. Infatti, poiché la portata è costante si riduce l'area occupata dalla corrente: la tubazione è occupata nella parte inferiore dal liquido, che scorre come in un canale (moto a canaletta), al di sopra del quale c'è vapore. alla pressione: p = pd Nel tratto finale di condotta, a monte dello sbocco nel serbatoio B ove la pressione è maggiore del valore minimo possibile: p > pd il deflusso in condotta avviene a sezione piena. Nella sezione finale del tratto a canaletta, ove la sezione della corrente aumenta bruscamente di sezione, si realizza una perdita di energia data dalla (8.2). Dobbiamo ricordare che: -

il tratto di corrente a canaletta, comunque breve sia, disconnette il serbatoio di monte da quello di valle e quindi la portata non aumenta anche se il livello di quest'ultimo viene ab78 10/11/09

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bassato, -

il moto deve essere innescato creando, mediante aspirazione, la depressione che consente inizialmente di far muovere il liquido.

10.2 LUNGHE CONDOTTE Nelle applicazioni pratiche, spesso, dobbiamo determinare le caratteristiche idrauliche di correnti che scorrono in condotte di notevole lunghezza. In tal caso il problema può essere semplificato in quanto: -

la lunghezza effettiva della condotta può essere confusa con quella della sua proiezione orizzontale, se la condotta, come accade di solito, non è troppo pendente;

-

la linea del carico totale si confonde con la linea piezometrica;

-

le perdite di carico localizzate nelle singolarità idrauliche 1, 2, …, N possono essere trascurate rispetto a quelle continue; infatti osserviamo che la complessiva perdita di carico localizzata: U2 U2 ∆H = k 2 g = (k1 + k2 + ... + kN ) 2 g è trascurabile rispetto alla perdita di carico continua nella condotta di lunghezza L , data ad esempio con la formula di Darcy-Weisbach, se: f k
Posto ad esempio p = 4 %, f = 0.025 ed espressa la lunghezza L in diametri di condotta: L = m D otteniamo: m > 1000 k Pertanto, in condotte senza valvole né saracinesche, per le quali k ≤ 2, e lunghe almeno 2000 volte il diametro, possono essere trascurate le perdite di carico localizzate di imbocco e di sbocco e di cambio di sezione. Ovviamente, le perdite di carico in valvole e paratoie con coefficienti di perdita elevati debbono essere messe in conto. Si noti che non possono però essere trascurate le perdite di carico in paratoie o valvole strozzate quando ad esse corrispondono valori di k molto grandi. L'impiego delle formule pratiche per il calcolo della resistenza al moto consente di risolvere con facilità anche problemi di reti di condotte. 10.3 SISTEMI DI CONDOTTE Gli impianti di adduzione e distribuzione di acqua, per uso potabile (acquedotti urbani), industriale (acquedotti industriali) o per irrigazione per aspersione, sono costituiti da condotte di vario diametro tra loro collegate per connettere i punti di alimentazione con i punti di utenza. La rete è costituita da Fig.10.2: RAMI o lati, condotte percorse da una portata costante e nelle

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quali possono essere inclusi dispositivi idraulici, pompe o valvole di regolazione, che modificano il carico ma non la portata, ovvero presentano erogazioni distribuite di portata (in tal caso la portata in condotta diminuisce gradualmente lungo il percorso), NODI INTERNI, ai quali concorrono i rami tra loro connessi e nei quali possono essere fissati dei punti di utenza con erogazione concentrata di portata, NODI DI CONTORNO, punti di alimentazione o di utenza, che fissano le condizioni al contorno del sistema idraulico essendovi fissate le condizioni idrauliche (portata erogata e, spesso anche, carico totale) richieste per lo svolgimento del servizio. Le condotte possono essere tra loro connesse secondo: 1. una configurazione ad albero, nel quale la traiettoria collegante un qualsiasi punto di alimentazione a una qualsiasi utenza è univocamente definita, 2. una configurazione a maglie, che consente di raggiungere l’utenza seguendo due o più percorsi alternativi a partire dalla alimentazione. Per il calcolo sono disponibili: M equazioni del moto, una per ciascun ramo, e N equazioni di continuità, una per ciascun nodo. Se, per fissare le idee e per semplicità, consideriamo che nei nodi esterni siano noti la portata e il carico totale, si presentano due alternative di calcolo: a) problema di verifica: il funzionamento idraulico della rete di condotte viene individuato calcolando le portate che scorrono nelle singole condotte e tracciando, di conseguenza, l’andamento delle linee di carico totale. Sono incogniti i valori di portata Q i , i = 1…M negli M rami del sistema e i valori del carico totale H j , j = 1…N negli N nodi interni. Fissato a priori il senso di percorrenza della corrente nei condotti, il sistema risolutivo si presenta composto dalle equazioni dei rami: H r – H k = Ji Li

i=1…M

(10.3a)

ove il lato i-esimo collega il nodo r-esimo al nodo k-esimo e dalle equazioni ai nodi ove P j è il numero di rami confluenti nel generico j-esimo nodo e p è l’indice dei rami concorrenti al nodo dal quale viene erogata la portata E j: Pj

Σ

p=1

Q p = Ej

j=1…N

(10.3b)

b) problema di progetto: vengono calcolati gli M diametri delle condotte che costituiranno l’acquedotto ovvero le caratteristiche dei dispositivi idraulici che consentono di raggiungere le condizioni di servizio fissate a priori. Poiché il numero delle equazioni disponibili è inferiore al numero delle incognite (M diametri, M portate nei rami, e N carichi ai nodi) il problema di progetto risulta indeterminato se non vengono poste condizioni aggiuntive: al solito si impone una condizione economica generale, ad esempio che il costo del sistema sia minimo. Poiché la scelta a priori della direzione della corrente nei rami della rete può rivelarsi sbagliata è opportuno che la relazione di resistenza al moto, ad esempio la (6.31a), sia posta nella forma: n2 Q |Q | J = A2 R4/3

(10.4)

che, legando il segno della portata al valore della differenza tra i carichi di estremità del condotto, corregge automaticamente la scelta iniziale.

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11.

SVILUPPO DELLE FORMULE DI RESISTENZA AL MOTO

Nel seguito sono ricavate le espressioni di resistenza al moto della corrente defluente in un condotto circolare con regime turbolento. La discussione generale dell'argomento è presentata in Cap. 6: qui sono riportati per esteso gli sviluppi analitici e sono richiamate le approssimazioni di calcolo. 11.1 MOTO TURBOLENTO IN TUBO LISCIO Nella sezione trasversale di un tubo liscio il profilo di velocità, esternamente al sottile substrato limite laminare, è del tipo indicato in Fig.6.7; nel grafico, y indica la distanza dalla parete del punto nel quale si vuol conoscere la velocità. Il significato degli altri simboli è noto. Secondo la teoria della lunghezza di mescolamento proposta da Prandtl nel 1925, lo sforzo turbolento dovuto alle fluttuazioni di velocità esternamente al substrato laminare è proporzionale alla densità del liquido e al quadrato della velocità di deformazione e cresce con la distanza y dalla parete secondo la relazione: du τ = ρ κ2 y2 ( d y )2

(11.1)

ove viene adottata la posizione τ ≅ τT . Il coefficiente di proporzionalità è dato dalla costante di von Karman: κ = 0.4. Prandtl ammette che sia ovunque: τ = τ0 ; l’ipotesi è valida solo vicino alla parete mentre, ricordando la (6.11b), riconosciamo che è chiaramente sbagliata in prossimità dell’asse. Il risultato della teoria di Prandtl viene però accettato perché si accorda abbastanza bene con i risultati sperimentali. Introducendo la velocità di attrito (6.3) e riducendo alla radice quadrata la (11.1) otteniamo: du u* = κ y d y

(11.2)

che può essere integrata separando le variabili, ottenedo: u 1 u* = κ ln y + C Il valore della costante di integrazione si ricava osservando che la velocità del nucleo turbolento deve uguagliare la velocità usl della corrente laminare al contorno del substrato laminare, il cui spessore δsl è definito dalla (6.5): u 1 y usl u* = κ ln δsl + u*

(11.3)

Dal profilo di velocità in regime laminare (6.12), essendo r02 - r sl2 ≅ δsl D al contorno del subgDJ δsl u*2 δ equivalente a usl = . In definitiva, ricordando la (6.5), strato laminare, si ha usl = 4 ν sl ν usl abbiamo u = 11.6. Pertanto la (11.3) diventa: *

81 10/11/09

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u 1 y u* 1 u* = κ ln ν - κ ln 11.6 + 11.6

(11.4)

u y u* = 2.5 ln + 5.5 u* ν

(11.5)

ossia:

Si osserva dalla (11.5) che, a causa della incongruente ipotesi di sforzo tangenziale costante, all’asse del condotto la velocità di deformazione e, quindi, lo sforzo tangenziale non sono nulli, contrariamente a come dovrebbe essere per rispettare la condizione di simmetria. Integrando la (11.5) come in (6.13a), calcoliamo la portata e quindi, dividendo per l'area della sezione, otteniamo la velocità media. Poiché la diretta soluzione dell'integrale: r0 r0 δsl u*2 y u* 2 2 Q= ⌠ 2 π r u dr = 2 π [ (r r ) r dr + u + 5.5) r dr] (11.6) ⌠ ⌠ * ⌡ (2.5 ln ⌡ ⌡ 2 r0 ν 0 ν 0

δsl

0

porta a una espressione piuttosto lunga e, perciò, poco adatta all'uso pratico, preferiamo ricorrere a una approssimazione che fornisce un risultato in accordo con i rilievi sperimentali. Osservato che il contributo del deflusso nello strato limite contribuisce relativamente poco alla portata, diciamo che la velocità si annulla alla distanza dalla parete pari a: ν y0 = 0.1 u *

(11.7)

che è chiaramente inferiore allo spessore δsl del substrato laminare fornito dalla (6.5). Con questa nuova condizione, la (11.3) si riduce a: u 1 y u* = κ ln(y0)

(11.8)

e l'integrale (11.6) si riduce al più semplice: U=

r0 r0 2 u* r0 1 y y 2 π r u dr = [ r ln( ) dy y ln( ⌠ ⌠ ⌠ 2 ⌡ 2 0 ⌡ ⌡ y0 y0) dy ] π r0 κ r0 0

0

(11.9)

0

ove si è posto r = r0 -y e dr = - dy . Inoltre, per semplicità e con approssimazione del tutto accettabile, l'integrale è esteso a [0, r0] in luogo del più corretto intervallo [y0, r0]. La soluzione dell'integrale (11.9) risulta: U=

2 u*

κ r02

y y2 y y2 r0 u* r 3 [ r0 y ln( y ) - r0 y - 2 ln( y ) + 4 ] 0 = κ [ ln( y0 ) - 2 ] 0 0 0

(11.10)

Sostituendo nella (11.10) le espressioni (6.10) e (11.7) e introducendo il diametro del condotto, otteniamo: U 1 2.5 D U f 1/2 u* = f 1/2 = 8 [ ln(10) Log10( 2 ν 0.1 8 ) - 1.5 ]

(11.11)

Ricordando che il logaritmo del prodotto equivale alla somma dei logaritmi dei fattori, semplifichiamo la (11.11) e giungiamo a rappresentare il numero indice di resistenza in funzione del 82 10/11/09

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numero di Reynolds del condotto: 1

1/2 f 1/2 = 2.03 Log10( Re f ) - 0.82

(11.12)

Gli esperimenti, consigliando di modificare leggermente i coefficienti della (11.12), portano alla (6.21a). 11.1.1 DIAGRAMMA DELLA VELOCITÀ La Fig.6.7 mostra il diagramma della velocità nel condotto liscio senza precisare in dettaglio come la velocità varia in prossimità del substrato limite laminare: sulla scorta dei risultati or ora ottenuti in § 11.1, riprendiamo in modo più puntuale l’argomento di § 6.4. Il confronto tra le componenti, viscosa e turbolenta, dello sforzo tangenziale di Fig.6.4 ci ricorda che presso la parete il moto è quasi esclusivamente laminare mentre nel nucleo della corrente esistono solo gli sforzi turbolenti; in un limitatissimo intervallo presso la parete, i due sforzi sono tra loro comparabili. La teoria della lunghezza di mescolamento trascura questo intervallo di moto di transizione, di importanza pratica secondaria, e collega direttamente il diagramma della velocità di moto laminare a quello della velocità turbolenta “mediata sul tempo” (vedi § 12.3). Nel grafico adimensionale della distribuzione della velocità lungo un raggio della sezione, riportante, rispettivamente sulle ascisse e sulle ordinate: y+ =

y u* ν

distanza adimensionale del punto di misura della velocità dalla parete data in forma di Numero di Reynolds,

u u+ = u

*

rapporto tra la velocità in un punto della sezione e la velocità di attrito,

la velocità laminare in un punto dello strato limite è data dalla relazione dedotta trasformando la: u=

1 u* (r0 - r) (r0 + r) u* 2 (r02 - r2 ) = 2 u* r0 2 r0 ν ν

(6.12)

e notando che la distanza del punto dalla parete è: y = (r0 - r) e che, con approssimazione analoga (r0 + r) a quella fatta nel paragrafo precedente, si può porre r ~ 2 in quanto il punto si trova nello 0 strato limite e quindi vicinissimo alla parete, per cui r ~ r0 . La distribuzione della velocità adimensionale nello strato limite è dunque lineare: u+ = y+

(11.13)

e ciò giustifica il nome di strato lineare dato da qualche Autore al substrato laminare. Ovviamente la (11.13) vale finché y+ ≤ y0+ con y0+ = 11.6 per la (6.5). Il grafico adimensionale della velocità turbolenta, che vale per y+ > y0+, si ottiene direttamente dalla (11.5): u+ = 2.5 ln y+ + 5.5

(11.14)

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Il grafico delle (11.13) e (11.14) è illustrato in Fig. 11.1: la scala logaritmica delle ascisse serve per amplificare la zona di corrente vicina alla parete. Le numerosissime misure sperimentali eseguite da diversi Autori confermano molto bene la curva teorica ad esclusione della zona di transizione: ad esempio, Deissler e Laufer (1953) verificarono indipendentemente tra loro la validità della curva teorica. 11.2 MOTO TURBOLENTO PURO Anche in questo caso, la distribuzione della velocità della corrente sulla sezione è dedotta con la teoria della lunghezza di mescolamento. Se, per semplicità, ammettiamo che la velocità si annulla a una distanza dalla parete pari a: y0 = 0.03 kS

(11.15)

troviamo che la soluzione (11.10) dell'integrale (11.9), qui sotto richiamata: u*

r0 3 [ ln ( y ) - 2 ] κ 0

U= risulta:

1 2.5 D D U u* = f 1/2 = 8 [ ln(10) Log10( 2 0.08 kS ) - 1.5 ] = 2.03 Log10( kS ) + 1.16

(11.16)

L'adattamento ai risultati degli esperimenti consiglia le leggere modifiche dei coefficienti che portano alla espressione (6.22b). 11.3 MOTO TURBOLENTO MISTO Molto semplicemente, Colebrook e White posero la distanza del punto di velocità nulla dalla parete pari alla somma delle distanze (11.7) e (11.14). Introducendo nella (11.10): ν y0 = 0.1 u + 0.03 kS *

(11.17)

otteniamo: 1 f

1/2

=-

2.5 2 ν { ln(10) Log10( D [0.1 u + 0.03 kS ] ) + 1.5 } 8 *

(11.18)

Con qualche semplice passaggio giungiamo alla: 1 f

1/2

2.53 kS = - 2.03 Log10( Re f 1/2 + 3.718 D )

(11.19)

che, arrotondando, equivale alla (6.26a).

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11.4

LA SCABREZZA SUPERFICIALE

La rugosità della parete interna di una tubazione è molto irregolare e la misura diretta del suo valore significativo - ks - è onerosa e molto incerta. Le tecniche di misura diretta messe a punto alla metà del secolo scorso non hanno avuto seguito; è ormai pratica corrente la determinazione indiretta della scabrezza attraverso prove idrauliche eseguite: in laboratorio, per tubi di piccolo diametro, in sito sulla condotta posata, per tubi di grande diametro. Il valore della scabrezza così definita include anche le dissipazioni di energia provocate da giunti, da asperità isolate, come cordoni di saldatura o chiodature, oppure da disallineamenti nella posa della condotta. Nell'abaco di Moody di Fig. 11.2, accanto alla curva dei tubi lisci e alla curva Re* =70, compaiono le curve di resistenza al moto (6.26a) o (6.26b) tarate sulle misure sperimentali: la procedura indiretta consiste nell'adattare alle misure sperimentali, attraverso la scelta dell'opportuno valore di ks, una delle curve di resistenza al moto ricavate nei precedenti paragrafi. Le prove idrauliche su tubazioni di minor diametro avvengono di norma con corrente in regime turbolento misto mentre il regime è turbolento puro nelle condotte di diametro maggiore. Nel primo caso i produttori della tubazione forniscono formule di resistenza sperimentali calibrate esclusivamente sul tipo di tubazione messa in commercio, nelle quali, pertanto, non compare direttamente nè la scabrezza significativa nè il numero indice di resistenza. Queste formule sono riportate sui fogli di descrizione tecnica del prodotto ai quali si rimanda. Sui siti internet dei fabbricanti sono presentate interfacce di calcolo idraulico, personalizzate per i prodotti commercializzati. Nel secondo caso, sono molto utili le tabelle riportate qui sotto, che sono state ricavate dalla banca dati di misure del U.S. Bureau of Reclamation. La prima è riferita a condotte in calcestruzzo di adduzione a impianti idroelettrici o a grandi acquedotti o impianti di irrigazione. VALORI DI SCABREZZA SIGNIFICATIVA ks (mm) DI CONDOTTE IN CALCESTRUZZO

DESCRIZIONE

minimo

massimo

0.6

3.0

0.4

0.6

FINITURA GRANULOSA: in buone condizioni e giunti bene allineati

0.18

0.4

TUBI IN CALCESTRUZZO CENTRIFUGATO

0.15

0.5

LISCIE: tubo nuovo o seminuovo, casseforme metalliche, manodopera normale, bolle d'aria sulla finitura, giunti bene allineati

0.06

0.18

0.016

0.06

ECCEZIONALMENTE SCABRE: casseforme in legno grezzo, calcestruzzo scadente eroso, difetti di allineamento ai giunti SCABRE: erose dal passaggio di materiale abrasivo, difetti di realizzazione e di posizionamento delle casseforme

Eccezionalmente liscie: casseforme metalliche posizionate, manodopera particolarmente capace, giunti bene allineati

La seconda è riferita a condotte forzate di impianti idroelettrici e di grandi impianti industriali.

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VALORI DI SCABREZZA SIGNIFICATIVA ks (mm) DI CONDOTTE METALLICHE CONTINUE (*)

DESCRIZIONE

minimo

massimo

GRAVEMENTE TUBERCOLIZZATE O INCROSTATE

3.0

12.0

ESTESAMENTE TUBERCOLIZZATE

1.0

3.0

RIVESTIMENTO SCABRO: bitume o resine sintetiche stese in opera

0.35

1.0

LEGGERMENTE ARRUGGINITO

0.15

0.35

RIVESTIMENTO CEMENTIZIO: applicato in fabbrica

0.05

0.15

RIVESTIMENTO BITUMINOSO: applicato a caldo

0.06

0.15

RIVESTIMENTO IN RESINA SINTETICA: applicata in fabbrica, tubo nuovo

0.008

0.06

(*) le tubazioni sono saldate in testa

A scopo esemplificativo, le curve di resistenza al moto di alcune delle grandi condotte in calcestruzzo elencate dal U.S. Bureau of Reclamation sono riportate in Fig. 11.2 a (le curve in figura sono contrassegnate con i numeri dei seguenti elenchi): 1. galleria di adduzione all'impianto di Castelletto in esercizio da 10 anni, di diametro D = 2.42 m e scabrezza significativa ks = 0.12 mm: le misure furono eseguite sotto la direzione di G. De Marchi nel 1932-36; 2. galleria di adduzione all'impianto di Chelan (Wa., Stati Uniti) nuova, rivestita con anelli di calcestruzzo preformati, di diametro D = 4.27 m e scabrezza significativa ks = 0.22 mm; 3. galleria Eklutna (Alaska) in esercizio da 5 anni, rivestita con calcestruzzo gettato in casseforme metalliche lubrificate, avente diametro D = 2.76 m e scabrezza significativa ks = 0.27 mm; 4. acquedotto di San Diego (Ca., Stati Uniti) condotta nuova in elementi di calcestruzzo accuratamente giuntati: diametro D = 1.83 m e scabrezza significativa ks = 0.57 mm. Appare evidente dalla figura che: (a) la scabrezza del rivestimento di calcestruzzo è sempre molto piccola per cui il regime della corrente è in tutti i casi turbolento misto; (b) le formule di resistenza per il moto turbolento misto sono poco flessibili e spesso interpretano male le misure che, però non sono sempre precise. In Fig. 11.2 b sono presentate alcune curve di resistenza al moto in: 5. condotte metalliche di derivazione dell'impianto di Teillet - Argenty, in Francia, saldate in testa ogni due metri, aventi D = 2.50 m e ks = 6.5 mm: durante le prove, che furono eseguite nel 1947 dopo 34 anni di esercizio dell'opera, non furono rilevate tracce di incrostazioni. La figura mostra che le due condotte dell'impianto hanno comportamento leggermente diverso; 6. condotte in ghisa di ridotto diametro - D = 0.20 m - che, provate in laboratorio con regime turbolento misto, confermano la formula di Colebrook e White con scabrezza significativa ks = 0.115 mm; 7. condotte forzate, aventi D = 1.0 m, al servizio dell'impianto idroelettrico di Cavaglia in Val Poschiavo (cantone svizzero dei Grigioni). Le condotte sono formate da elementi laminati in acciaio, uniti tra loro da speciali giunti a bicchiere: nel corso dell'ispezione furono rilevate in

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alcuni punti imperfezioni millimetriche. Di conseguenza, le condotte si differenziano tra loro per la scabrezza significativa: condotta (a) ks = 1.07 mm, condotta (b) ks = 0.06 mm.

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12.

LE EQUAZIONI DIFFERENZIALI DEL MOTO DEI FLUIDI

Riprendendo le osservazioni di § 3.1, ricordiamo che il moto del fluido è completamente definito quando si conoscono in ogni punto del campo di moto i valori della velocità U, della pressione p e della densità ρ: nel caso di flussi di calore entro il fluido o di scambi con l'esterno, la temperatura T si aggiunge alle altre variabili. Poiché la legge di Eulero - Newton (3.8) lega la derivata sostanziale della velocità U alle forze applicate al fluido e, di conseguenza, agli sforzi interni, è necessario esprimere questi ultimi in funzione della velocità di deformazione mediante le equazioni costitutive, per ridurre il numero delle incognite. La densità, se variabile, viene espressa in funzione della pressione e della temperatura mediante l'equazione di stato e la temperatura, se variabile, viene espressa in funzione delle altre grandezze mediante le leggi della termodinamica. Nei seguenti paragrafi ricaveremo le quattro equazioni che consentono di risolvere i problemi che richiedono di definire velocità U e pressione p. Per concisione e semplicità di scrittura delle formule, le espressioni matematiche saranno svolte con la simbologia del calcolo vettoriale: il significato dei simboli indicanti gli operatori del calcolo differenziale applicato ai vettori sarà ogni volta richiamato al loro apparire. 12.1 L’EQUAZIONE DI CONSERVAZIONE DELLA MASSA L'incremento della massa interna al volumetto fisso ∆V = ∆x ∆y ∆z descritto in Fig.12.1, compensa la differenza tra flusso uscente ed entrante: ∂ρu ∂ρv ∂ρw ∂ρ ∂ t ∆x ∆y ∆z + ∂ x ∆x ( ∆y ∆z ) + ∂ y ∆y ( ∆x ∆z ) + ∂ z ∆z ( ∆x ∆y ) = 0

(12.1)

dividendo per ∆V e introducendo l'operatore divergenza ∇⋅ (ρU) scriviamo: ∂ρ . ∂ t + ∇ (ρU) = 0

(12.2)

che, per fluido incomprimibile ossia per ρ = costante, si riduce alla forma indefinita (3.3) dell'equazione di continuità. 12.2 LE EQUAZIONI DEL MOTO Le equazioni del moto laminare di un fluido viscoso risultano dal contributo dato in tempi diversi da eminenti fisici matematici del XIX secolo: i francesi Navier nel 1821 e Poisson nel 1831, e l’inglese Stokes nel 1845. 12.2.1 L’EQUAZIONE DEGLI SFORZI Con riferimento all'elemento infinitesimo di Fig.12.2 proiettiamo nelle direzioni coordinate la (3.8b), analogamente a quanto si fece in §3.3.2 per il semplice caso di fluido ideale.

88 10/11/09

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Ricordando quanto detto in §1.3 e considerando il fluido pesante soggetto alla sola forza di gravità, otteniamo: D u ∂ txx ∂ tyx ∂ tzx ρ ∆V D t = ∂ x ∆x ( ∆y ∆z ) + ∂ y ∆y ( ∆x ∆z ) + ∂ z ∆z ( ∆x ∆y ) Dv ∂ txy ∂ tyy ∂ tzy ρ ∆V D t = ∂ x ∆x ( ∆y ∆z ) + ∂ y ∆y ( ∆x ∆z ) + ∂ z ∆z ( ∆x ∆y )

(12.3)

Dw ∂ txz ∂ tyz ∂ tzz ρ ∆V D t = -g ρ ∆V + ∂ x ∆x ( ∆y ∆z ) + ∂ y ∆y ( ∆x ∆z ) + ∂ z ∆z ( ∆x ∆y ) dividendo tutti i termini per ∆V e ricordando che la divergenza del tensore è: ∂ txx ∂ tyx ∂ tzx ∂ txy ∂ tyy ∂ tzy ∂ txz ∂ tyz ∂ tzz ∇. ( ) = ( ∂ x + ∂ y + ∂ z ) i + ( ∂ x + ∂ y + ∂ z ) j + ( ∂ x + ∂ y + ∂ z ) k e richiamando la (3.11), otteniamo la forma compatta: DU ρ D t = -g ρ ∇( z ) + ∇. ( )

(12.4a)

oppure, esplicitando il tensore dello sforzo viscoso come in (1.5), ricaviamo: DU ρ D t = - g ρ + ∇. (

-p )

(12.4b)

Poichè, come si riconosce facilmente, la divergenza ∇. ( p ) equivale al gradiente della pressione ∇ ( p ) otteniamo la forma finale: ∂U ρ [ ∂ t + ( U . ∇ ) U ] = - g ρ ∇ ( z ) − ∇ ( p ) + ∇. ( ) Nel caso di fluido ideale di densità costante, per il quale la relazione costitutiva è disse in §3.3, la (12.5) diventa uguale alla (3.14b). 12.2.2

(12.5) = 0 come si

IL MOVIMENTO E LA DEFORMAZIONE DELLA MASSA FLUIDA

Vediamo come una massa fluida si mette in movimento a partire dalla condizione di quiete a causa della modifica delle condizioni al contorno come accade, ad esempio, per l'apertura di una paratoia originariamente chiusa, posta sul bordo di un serbatoio. Le particelle di fluido accelerano e ciascuna modifica la sua posizione rispetto alle vicine in quanto l'accelerazione convettiva (§ 3.3.1) varia da punto a punto: le particelle vicine all'uscita acquistano più prontamente velocità di quelle retrostanti poste in fondo al serbatoio o vicino alle pareti. Ne consegue che l'elemento fluido si sposta e si deforma. La equazione del moto (12.5) ci fa apprezzare che lo sforzo origina dalla opposizione del materiale costituente l'elemento fluido a deformarsi. Per la legge di Newton, introdotta con la relazione (1.8a) lo sforzo viscoso esiste ove esiste una velocità di deformazione. Gli sviluppi seguenti mostreranno che solo una parte della accelerazione convettiva dà deformazione nel fluido; il resto della accelerazione convettiva sposta (in particolare fa ruotare) le particelle mantenendone la forma originaria (ad esempio, la forma cubica) senza deformarle.

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Dapprima scriviamo per esteso il risultato della applicazione dell'operatore gradiente al vettore velocità, ricavando così il tensore non simmetrico:

| ∂∂ ux ∂v ∇(U) =| ∂ x | ∂∂ wx

∂u ∂y ∂v ∂y ∂w ∂y

∂u ∂z ∂v ∂z ∂w ∂z

| | |

(12.6)

Se ci limitiamo a considerare un fluido di viscosità isotropa, per il quale il valore del coefficiente di viscosità non dipende dalla giacitura della faccia sulla quale si esercita lo sforzo, alla simmetria del tensore dello sforzo (1.4d) deve corrispondere la simmetria del tensore della velocità di deformazione, che d'ora innanzi indicheremo col simbolo . Infatti per la richiamata isotropia della viscosità deve essere, ad esempio: dxy dyx = τxy τyx da cui deriva dxy = dyx poiché τxy = τyx. Analogamente si dimostra che: dyz = dzy e dxz = dzx . Dunque il tensore non simmetrico, definito dalla (12.6), non è il tensore cercato; infatti, come vedremo qui sotto, contiene sia lo spostamento della particella che la sua deformazione. Questi due effetti si separano facilmente; come è ben noto, ogni matrice può essere scomposta nella somma di una matrice simmetrica e di una emisimmetrica con la banale trasformazione: dij = ½ ( dij - dji ) + ½ ( dij + dji )

(12.7)

come al solito, gli indici i e j indicano due generiche direzioni cooordinate. Otteniamo così che: ∇(U) =

+

(12.8)

ossia, il tensore (12.6) è dato dalla somma del TENSORE DI VORTICITÀ diviso per 2, emisimmetrico:



| 0 | ( ∂∂ vx - ∂∂ uy ) | - ( ∂∂ uz - ∂∂ wx )

∂v ∂u -(∂x -∂y) 0

∂u ∂w (∂z- ∂x ) ∂w ∂v -( ∂y -∂z)

∂w ∂v ( ∂y -∂z)

0

| | |

(12.9a)

| | |

(12.9b)

e del TENSORE DELLA VELOCITÀ DI DEFORMAZIONE simmetrico:



| | |

∂u 2∂x ∂v ∂u (∂x+∂y) ∂u ∂w (∂z+ ∂x )

∂v ∂u (∂x +∂y) ∂v 2∂y ∂w ∂v ( ∂y +∂z)

∂u ∂w (∂z+ ∂x ) ∂w ∂v ( ∂y + ∂z) ∂w 2 ∂z

Osserviamo che la VORTICITÀ ω è data, in notazione vettoriale, dal rotore del vettore velocità:

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

ω = ∇ x(U) =

| ωx | | ∂∂ wy - ∂∂ vz | | ωy | = | ∂∂ uz - ∂∂ wx | | ωz | | ∂∂ vx - ∂∂ uy |

(12.9c)

mentre, nella notazione tensoriale utilizzata dalla (12.9a), la vorticità ω risulta:

ω =2

(12.9d)

Il significato fisico della definizione matematica viene chiarito qui di seguito. Facciamo alcune considerazioni fisiche, dopo avere osservato che ogni argomento sviluppato a proposito di una singola componente della velocità di deformazione è direttamente generalizzabile a tutte le altre in quanto vale la sovrapposizione degli effetti. Come al solito, facciamo riferimento al piano x - z di Fig.12.3 e constatiamo che l'elemento fluido si sposta nella direzione x trasportato dalla velocità u e si deforma (nel nostro caso si allunga) in quanto è differente la velocità della faccia posta alla ascissa x da quella della faccia alla ascissa x +∆x : il legame di proporzionalità tra componente (normale) del tensore di sforzo e corrispondente velocità di deformazione si scrive dunque: ∂u τxx prop. ∂ x

(12.10a)

Il legame tra componente tangenziale dello sforzo e velocità di deformazione angolare non è così evidente; infatti la Fig.12.4a ci spiega che il movimento angolare dell'elemento di fluido è composto da una rotazione rigida dell'elemento alla quale si sovrappone la deformazione angolare. Ponendo attenzione ai segni delle componenti e assumendo come positive le rotazioni orarie si trova che la rotazione rigida è rappresentata dal termine in prima riga e terza colonna della (12.9a): ∂u ∂w (∂z- ∂x ) mentre la deformazione corrisponde all'analogo termine della (12.9b) che schiaccia il volumetto: ∂u ∂w (∂z+ ∂x ) In Fig.12.4a è rappresentata solo la velocità u nella direzione x. Per completare la descrizione, la Fig.12.4b mostra la scomposizione quando sono attive entrambe le componenti nelle direzioni x e z; la generalizzazione a movimenti tridimensionali è del tutto ovvia. La interpretazione delle Fig.12.4 non è banale in quanto richiede che sia stato ben compreso il significato delle componenti dei tensori definiti qui sopra. Presa l'origine del sistema di coordinate locali della faccia x - z dell’elemento cubico nel vertice in basso a sinistra, troviamo che il punto di ascissa iniziale ∆x si sposta (nell'intervallo di tempo dt) nella direzione z della quantità dzx oppure ωzx e, analogamente il punto di ordinata ∆z si sposta nella direzione x di dxz oppure ωxz. Ovviamente le coordinate del punto posto inizialmente in (∆x, ∆z) diventano: (∆x + ωxz , ∆z + ωzx) e la faccia dell'elemento ruota in senso orario, oppure (∆x + dxz , ∆z + dzx) e la faccia assume la forma di un rombo in conseguenza della deformazione angolare.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

La rotazione rigida non genera sforzo tangenziale, in quanto non deforma l'elemento fluido: forma un vortice che si dice rigido e che può essere descritto anche dalla teoria del fluido perfetto, attraverso le equazioni di Eulero (3.14). Invece risulta per la legge di Newton: ∂v ∂u τyx prop. ( ∂ x + ∂ z )

(12.10b)

In questo modo abbiamo isolato nella (12.6) la parte che ci interessa. Paragonando il risultato ora trovato con quanto si vide in Cap. 3 a proposito del moto del fluido perfetto, osserviamo che: -

la teoria del fluido perfetto ammette rotazioni rigide; nel caso particolare di moto irrotazionale dimostreremo in § 12.4 che l'equazione (3.16) vale per qualunque linea tracciata nel fluido e non solo lungo una traiettoria;

-

le deformazioni della massa fluida non sono contrastate dagli sforzi interni e quindi, con la eccezione dei casi particolari esaminati in Cap. 4, la teoria del fluido ideale fornisce risultati incongruenti.

12.3

LA LEGGE DI NEWTON E L'EQUAZIONE DEL MOTO LAMINARE

Se la viscosità, oltre che isotropa, è anche costante e il fluido è incomprimibile per cui la equazione di continuità (3.3) è soddisfatta, vale la diretta proporzionalità tra i tensori di sforzo viscoso e di velocità di deformazione che, generalizzando le (12.10), si scrive: =2µ

(12.11)

L'ultimo termine della (12.5) può dunque essere sviluppato nel modo seguente, ricordando dal precedente § 12.2.1 come si esegue la divergenza di un tensore: ∂2 u ∂2 v ∂2 u ∂2 u ∂2 w . . ∇ ( ) = 2 µ ∇ ( ) = µ { [ 2 ∂x2 ] i + [ ∂x2 + ∂x ∂y ] j + [ ∂x ∂z + ∂x2 ] k + ∂2 v

∂2 u

∂2 v

∂2 w

∂2 v

[ ∂x ∂y + ∂y2 ] i + [2 ∂y2 ] j + [ ∂y2 + ∂y ∂z ] k + ∂2 v ∂2 w ∂2 u ∂2 w ∂2 w [ ∂z2 + ∂x ∂z ] i + [ ∂y ∂z + ∂z2 ] j + [ 2 ∂z2 ] k }

(12.12a)

La espressione (12.12a) è riorganizzata nella seguente maniera: ∂2 u ∂2 u ∂2 u ∂ ∂ u ∂v ∂w ∇. ( ) = µ { [ ∂x2 + ∂y2 + ∂z2 + ∂x ( + + )]i+ ∂x ∂y ∂z ∂2 v ∂2 v ∂2 v ∂ ∂u ∂v ∂w [ ∂x2 + ∂y2 + ∂z2 + ∂y ( ∂ x + ∂ y + ∂ z ) ] j + ∂2 w ∂2 w ∂2 w ∂ ∂ u ∂v ∂w [ ∂x2 + ∂y2 + ∂z2 + ∂z ( ∂ x + ∂ y + ∂ z )] k } = µ ∇2 U

(12.12b)

L'ultimo passaggio si esegue ricordando che i termini entro parentesi tonda sono nulli in virtù della (3.3) e che l'operatore di Laplace è definito come:

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

∂2 ∂2 ∂2 ∇2 = ∂x2 + ∂y2 + ∂z2 Pertanto, con le ipotesi di fluido a densità e viscosità costante, la (12.5) diventa: ∂U p . 2 ∂ t + ( U ∇ ) U = - g ∇( z + γ ) + ν ∇ U

(12.13a)

L'equazione vettoriale (12.13a), che prende il nome di EQUAZIONI DI NAVIER - STOKES e descrive il moto laminare del fluido newtoniano, è l'approssimazione del secondo ordine alla equazione di Boltzmann del movimento molecolare mentre la (5.14) - ossia le equazioni di Eulero - ne è l'approssimazione del primo ordine. L'equazione (12.13a) si riduce ai casi particolari già studiati portando alle equazioni: -

(3.14b) se ν = 0,

-

(6.12) se la corrente si muove in un condotto e, quindi, il problema ha simmetria radiale.

si presenta interessante Sommando al membro di sinistra della (12.13a) il membro di sinistra della (12.2), che è uno scalare nullo, moltiplicato per il vettore velocità, si ottiene la "forma divergente" delle equazioni di Navier - Stokes: ∂ρ p ∂U . [ ∂ t + ( U ∇ ) U ] + [ ∂ t + ∇. (ρU) ] U = - g ∇( z + ) + ν ∇2 U γ Sviluppando i calcoli si ottiene facilmente: ∂ρU . ∂t +∇ (

) = - g ∇( z +

p ) + ν ∇2 U γ

(12.13b)

nel quale è esplicitato il tensore simmetrico di flusso di quantità di moto:

|ρu |ρuv |ρuw 2

=

12.4

ρuv ρ v2 ρvw

| ρvw | ρww | ρuw

(12.13c)

L'EQUAZIONE DEL MOTO IRROTAZIONALE DEL FLUIDO PERFETTO

Dunque, se il fluido è perfetto (non viscoso) abbiamo osservato che la (12.13a) si riduce alla (3.14b): 1 ∂U p . ∇ ) U ] = - ∇( z + ) [ + ( U g ∂t γ

(12.14)

Se il moto del fluido ideale è anche irrotazionale, come ad esempio accade nelle vicinanze di una luce aperta in un serbatoio, sono nulle le rotazioni rigide dell’elemento fluido, come abbiamo notato in Fig.12.4. Matematicamente, l'irrotazionalità si traduce nell'annullamento di tutte le componenti del tensore di vorticità, come abbiamo visto in § 12.2.2: questo fatto conduce al seguente interessante risultato. Rielaboriamo il termine dell'accelerazione convettiva che, ricordando la (3.9) si scrive:

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

(U.∇)U=[

∂u ∂u ∂u ∂v ∂v ∂v ∂w ∂w ∂w u+ v+ w] i + [ u+ v+ w] j + [ u+ v+ w] k(12.15) ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

Aggiungendo e sottraendo rispettivamente i termini evidenziati in blu e in verde qui di seguito: (U.∇) U= [

∂u ∂u ∂u ∂v ∂v ∂w ∂w u+ v+ w+ vv+ ww]i+ ∂x ∂y ∂z ∂x ∂x ∂x ∂x

[

∂v ∂v ∂v ∂u ∂u ∂w ∂w u+ v+ w+ uu+ ww]j+ ∂x ∂y ∂z ∂y ∂y ∂y ∂y

[

∂w ∂w ∂w ∂u ∂u ∂v ∂v u+ v+ w+ uu+ vv]k ∂x ∂y ∂z ∂z ∂z ∂z ∂z

e, raggruppando i vari termini, otteniamo: (U.∇) U= [ ½

∂v ∂u ∂u ∂w ∂ ( u2 + v2 + w2 ) - v ( )+w( )]i+ ∂x ∂x ∂y ∂z ∂x



∂v ∂u ∂w ∂v ∂ ( u2 + v2 + w2 ) + u ( )-w( )]j+ ∂y ∂x ∂y ∂y ∂z



∂u ∂w ∂w ∂v ∂ ( u2 + v2 + w2 ) - u ( )+ v( )]k ∂z ∂z ∂x ∂y ∂z

Ricordando che: -

il quadrato del modulo della velocità è la grandezza scalare: U2 = u2 + v2 + w2

-

∂ U2 ∂ U2 ∂ U2 i+ j+ k il gradiente di U è: ∇ ( U ) = ∂x ∂y ∂z

-

i termini entro parentesi sono le componenti del tensore di vorticità (12.9a).

2

2

La (12.15) si trasforma nella equivalente: ( U . ∇ ) U = ½ ∇ ( U2 ) +

(12.16)

.U

Ma, per la condizione di irrotazionalità, è: =0 Ne risulta che l'equazione del moto irrotazionale del fluido perfetto è: 1 ∂U p U2 + ∇( z + + )=0 g ∂t γ 2g

(12.17)

Per moto permanente, la (12.17) dice che il carico totale ha lo stesso valore in ogni punto del fluido. Il risultato ora ottenuto non è uguale a quello di § 3.3.3. Infatti: -

l'equazione di Bernoulli (3.16) vale per il moto di fluido perfetto, senza restrizioni, e stabilisce che il carico totale si mantiene costante lungo una traettoria, ossia il valore del carico totale in un punto P del fluido è condizionato dal valore assunto nel punto iniziale della traettoria percorsa dalla particella per giungere fino a P;

-

l'equazione (12.17) vale solo se il moto del fluido perfetto è irrotazionale e stabilisce che il carico totale è il medesimo in ogni punto del fluido.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

Lo studio dei moti irrotazionali, che non affronteremo in Fondamenti di Idraulica ha portato allo sviluppo di teorie di importanza fondamentale per l'idraulica e, anche, per le applicazioni pratiche. Si vedano, ad esempio, le teorie classiche delle onde che si propagano sugli specchi liquidi, quali sono le onde del mare. 12.5

L'EQUAZIONE DEL TRASPORTO

Tutte le equazioni, nelle quali compare a sinistra dell'uguale la derivata sostanziale di una grandezza scalare o vettoriale, descrivono le modalità con le quali tale grandezza è trasportata dalla corrente: esse sono dette EQUAZIONI DEL TRASPORTO mentre la derivata sostanziale è chiamata OPERATORE DI TRASPORTO. Le equazioni di Eulero e le equazioni di Navier - Stokes sono equazioni del trasporto di una proprietà del fluido in movimento: la velocità. In § 13.4 saranno introdotte le equazioni del trasporto di un'altra proprietà: la vorticità. Per chiarire il significato di questa definizione consideriamo il caso di trasporto di una sostanza in soluzione. La massa di soluto ∆ m = ρm c ∆V = ρm c ∆x ∆y ∆z contenuta nel volume elementare di riferimento varia in quanto varia la concentrazione volumetrica c della sostanza all'interno del volumetto. Il bilancio del soluto contenuto nel volumetto di Fig. 12.5 che evidenzia il trasporto del soluto attraverso le pareti del volumetto, si scrive notando che la materia in soluzione si diffonde in direzione della concentrazione decrescente e che la sostanza può subire trasformazioni chimiche. Trascurando i termini di secondo ordine, con ovvie semplificazioni risulta: ρm

∂c ∂u ∂c ∂v ∂c ∂w ∂c ∂2 c ∂2 c ∂2 c + ρm [ c +u +c +v +c +w ] - ρm [ k ( + + )] = ρm S ∂t ∂x ∂x ∂y ∂y ∂z ∂w ∂ x2 ∂ y2 ∂ w2

(12.18a) avendo considerato costante il coefficiente k di diffusione molecolare e avendo indicato con ρm S ∆V la variazione di quantità di sostanza nel volumetto di riferimento causata delle reazioni chimiche. La (12.18a) si semplifica ricordando l'equazione di continuità (3.1) per ottenere la equazione del trasporto della concentrazione: ∂c . 2 ∂ t + (U ∇) c = k ∇ c + S

(12.18b)

La (12.18b) ci dice che nel volume elementare che si muove lungo una traettoria la concentrazione di soluto può variare per una causa endogena - la trasformazione chimica - e per una causa esogena - lo scambio molecolare con il fluido circostante - . Con una procedura simile a quella descritta si ricava la equazione del trasporto della entalpia nel caso di trasmissione del calore.

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

13.

IL MOTO TURBOLENTO

Il moto laminare è naturalmente instabile in quanto ogni ostacolo, ancorché infinitesimo, che influisce sul moto della particella fluida, ne deforma la traettoria, come si vede nello schema di Fig. 13.1a: ne segue che nel tubo di flusso indicato con 1 nell'esempio illustrato in figura, la velocità diminuisce e, per l'equazione di Bernoulli, la pressione aumenta mentre nel limitrofo tubo, indicato con 2, la velocità aumenta e, di conseguenza, la pressione diminuisce. Lo squilibrio di pressione amplifica la fluttuazione della traettoria e della velocità. Se viene sottratta alla velocità locale fluttuante la velocità media della corrente si riconosce che la fluttuazione corrisponde a un vortice il cui periodo è funzione della lunghezza d'onda della fluttuazione di velocità come mostra la Fig. 13.1b. Il vortice - i vortici nel caso in cui la perturbazione permanga nel tempo - viene trasportato dalla corrente e si deforma. Benché il moto dei vortici sia, ovviamente, rappresentabile con le equazioni di Navier - Stokes, risulta più opportuno fare riferimento alla equazione vettoriale di trasporto del vettore vorticità per spiegare il fenomeno. 13.1 IL TRASPORTO DELLA VORTICITÀ Estraiamo l'equazione del trasporto della vorticità applicando l'operatore rotore ai singoli termini della equazione di Navier - Stokes (12.13a): ∂U p . ∇ x { ∂ t + ( U ∇ ) U} = - g ∇ x {∇( z + )} + ν ∇ x {∇2 U} γ e osserviamo che:

(13.1)

1. il primo termine di sinistra e il secondo termine di destra sono lineari: scambiando l'ordine di derivazione e ricordando la definizione di vorticità data con la (12.9c), risultano rispettivamente: ∂U ∂ ∂ω ∇ x( ∂ t ) = ∂ t ( ∇ x U ) = ∂ t

(13.2a)

ν ∇ x [ ∇2 U ] = ν ∇2 ω

(13.2b)

2. il rotore del gradiente è sempre nullo, come è facile dimostrare,e quindi: p )] = 0 (13.2c) γ Invece, lo sviluppo del secondo termine di sinistra ∇ x [ ( U . ∇ ) U ] è piuttosto laborioso. ∇ x [ ∇( z +

Se, per semplificare la scrittura dei passaggi analitici, scriviamo la (12.15): ( U . ∇ ) U = [u

∂u ∂u ∂u ∂v ∂v ∂v ∂w ∂w ∂w +v +w ] i + [u +v +w ] j + [u + v +w ]k ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

nella forma:

( U . ∇ ) U = fX i + fY j + fZ k = f

(13.3)

con evidente significato dei simboli, il rotore di f risulta: ∇ x f = ( ∂y fZ - ∂z fY ) i + ( ∂z fX - ∂x fZ ) j + ( ∂x fY - ∂y fX ) k

(13.4)

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Per semplificare la scrittura della (13.4) e delle successive espressioni, il convenzionale simbolo di derivata è stato sostituito con la più sintetica forma: ∂x fY =

∂fY ∂2w ; ∂xyw = ∂x ∂x∂y

e così via. Seguiamo in dettaglio gli sviluppi del termine secondo l'asse coordinato x: ( ∂y fZ - ∂z fY ) = ∂yu ∂xw + u ∂xyw + ∂yv ∂yw + v ∂yyw + ∂yw ∂zw + w ∂zyw + - (∂zu ∂xv + u ∂xzv + ∂zv ∂yv + v ∂yzv + ∂zw ∂zv + w ∂zzv )

(13.5)

Raccogliendo e sommando e sottraendo alcuni termini otteniamo: ( ∂y fZ - ∂z fY ) = u ∂xωx + v ∂yωx + w ∂zωx + ωx ( ∂xu + ∂yv + ∂zw ) - [ωx ∂xu + ωy ∂yu + ωz ∂zu ] nella quale compaiono le componenti del vettore di vorticità definite dalla ( 12.9c) e che si semplifica ricordando che ( ∂xu + ∂yv + ∂zw ) = 0 per la (3.3) dando: ∂y fZ - ∂z fY = U ∇ ωx - ω ∇ u .

.

(13.6a)

Con sviluppi analoghi a quelli appena svolti si ottengono: ∂z fX - ∂x fZ = U ∇ ωy - ω ∇ v

(13.6b)

∂x fY - ∂y fX = U ∇ ωz - ω ∇ w

(13.6c)

.

.

.

.

e l'equazione (13.1) diventa: ∂ tω + ( U ∇ ) ω = ( ω ∇ ) U + ν ∇ 2 ω .

.

(13.7a)

che, come si vide in § 12.5, è l'equazione del trasporto della vorticità. Il secondo termine a sinistra dell'uguale e del primo termine a destra, nei quali si scambiano le variabili - velocità e vorticità -, causano la diffusione della vorticità generata in un punto. Per spiegare il senso di questa osservazione consideriamo un caso semplice: immaginiamo che in un certo istante una instabilità puntuale abbia formato un filamento vorticoso, ad esempio con asse in direzione z, si sia formato in un fluido che si muove di moto laminare e con velocità variabile da punto a punto. Dunque, all'istante iniziale del fenomeno, esiste solo la componente ωz = ωz ( x0, y0, z0; t = 0 ) della vorticità e la (13.7) si riduce a: D ωx D t = ωz ∂zu D ωy D t = ωz ∂zv D ωz 2 D t = ωz ∂zw + ν ∇ ωz

(13.7b)

Le prime due equazioni (13.7b) mostrano che la vorticità nella direzione z estrae energia dal moto di insieme del fluido per generare vorticità secondo le altre direzioni coordinate: in altre parole, il vortice originario è deformato dal campo di moto del fluido. Ovviamente ciò non accadrebbe se il fluido si muovesse con velocità uniforme. La terza equazione mostra che il vortice originario si stira nella direzione del suo asse ossia riduce il suo raggio man mano che si sposta dal punto in cui si è formato.

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Dunque, dopo l'istante iniziale la vorticità diventa tridimensionale, i vortici si deformano e si assottigliano allontanandosi dal punto di origine, interferiscono tra di loro e inizia il moto turbolento che, a differenza del vortice iniziale, è di natura tridimensionale. Il termine dissipativo della (13.7b) - ν ∇2 ωz che non dipende dalla velocità del fluido ma solo da quella del vortice - può smorzare la turbolenza sul nascere. Infatti se la cessione di energia dalla corrente al vortice, che dipende dalla velocità di insieme del fluido, è inferiore alla energia che il vortice dissipa nel suo movimento, il moto si mantiene laminare: affinchè l'iniziale instabilità evolva in moto turbolento della corrente, il rapporto: .

(ω ∇)U ν ∇2 ω deve essere superiore a un valore di soglia. L'analisi dimensionale chiarisce il significato del rapporto R in quanto, indicando con U e con L rispettivamente la dimensione "velocità" e la dimensione "lunghezza", possiamo scrivere: R=

[( ω ∇ ) U ] = [ U2 L-2 ] .

[ ∇2 ω ] = [ U L-3 ] ricordando che l'espressione tra parentesi quadra ha il significato di dimensione della grandezza esaminata in funzione delle grandezze fondamentali. Si riconosce così che il rapporto: [R]=[

U2 L-2 UL ] -3 ] = [ ν UL ν

ha le dimensioni del numero di Reynolds: il risultato ora raggiunto è analogo a quello di § 6.1. A conclusione di questo paragrafo introduttivo è importante ricordare che il moto turbolento non è causato dalla viscosità del fluido, la quale ha, invece, la funzione di regolare l'energia turbolenta che aumenterebbe all'infinito in un ipotetico e inimmaginabile caso di moto turbolento di un fluido ideale. La trasformazione della energia cinetica della turbolenza in calore si rappresenta aggiungendo alle equazioni del moto quelle della termodinamica. Questo studio esula dai limiti del corso. 13.2 IL MOTO MEDIO Le particelle di un fluido che si muove di moto turbolento si agitano in modo apparentemente disordinato e il loro movimento non può essere descritto da equazioni che, come quelle considerate in Cap. 12, non sono in grado di seguire le fluttuazioni rapide delle particelle. Per mantenere lo studio del moto turbolento a un accettabile grado di semplicità ci si accontenta di descrivere il moto medio del fluido con equazioni che considerano, in luogo dei valori istantanei delle grandezze, le loro medie temporali. Ad esempio per la componente della velocità nella direzione x, la media temporale risulta: t+∆t _ 1 u = 2 ∆t ⌠ ⌡ u dt t-∆t

(13.8)

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A rigore l'operazione di media (13.8) vale solo se la corrente è in moto permanente e non presenta vortici; poichè ciò accade molto raramente, dovremmo utilizzare la media di insieme (ossia la media di misure eseguite al tempo t su un numero molto grande di esperimenti ripetuti sempre allo stesso modo) in luogo della media temporale (13.8). Si supera questa difficoltà eseguendo la media su un periodo temporale 2 ∆t sufficientemente piccolo. _ La variabile originaria si scrive dunque come somma del valor medio u e della fluttuazione turbolenta u' intorno alla media: _ u = u + u'

(13.9)

La fluttuazione turbolenta viene spesso considerata come una variabile casuale a distribuzione gaussiana N(0, σ) e il suo andamento temporale come un processo stocastico: il valor medio della fluttuazione turbolenta è nullo per costruzione mentre non è nulla la sua varianza: 2

〈 (u') 〉2∆t

t+∆t 1 2 = 2 ∆t ⌠ ⌡ (u') dt t-∆t

(13.10)

Il simbolo 〈 〉2∆t è tradizionalmente impiegato per indicare la media di una funzione sull'intervallo temporale individuato a pedice. Il coefficiente di variazione della grandezza: 2

2

σ = 〈 (u') 〉2∆t =

〈 (u')2〉2∆t  _ u

(13.11)

costituisce una conveniente misura della fluttuazione turbolenta della grandezza e prende il nome di INTENSITÀ TURBOLENTA. Le medesime considerazioni possono essere svolte per le altre componenti del vettore velocità e per la pressione. In Fig13.2 è riportato il tracciato della componente di velocità u' misurata in un punto di un canale di laboratorio da un Acoustic Doppler Velocimeter con frequenza di acquisizione di circa 45 Hz: la media (13.8) calcolata con ∆t = 5.54 (s) è ancora leggermente fluttuante _ intorno al valore medio dell'intero periodo di registrazione che è pari a u = 0.461 (m/s). 13.3

L’EQUAZIONE DELLA CONTINUITÀ

Considerando il fluido incomprimibile e a densità costante e ricordando la (3.3), risulta: _ _ ∇. ( U ) = ∇. ( U + U' ) = ∇. ( U ) + ∇. ( U' ) = 0

(13.12)

Se la (13.12) è valida ad ogni istante di tempo, allora è valida anche in media; la media su 2∆t della equazione segue l'esempio della (13.8): t+∆t _ 1 [ ∇. ( U ) + ∇. ( U' ) ] dt = 0 ⌠ ⌡ 2 ∆t t-∆t

(13.13a)

Scambiando l'ordine di integrazione con quello di derivazione (la divergenza è una somma di derivate), otteniamo:

99 10/11/09

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∇. [

t+∆t _ t+∆t 1 1 . U dt ] + ∇ [ ⌠ ⌠ U' dt ] = 0 2 ∆t ⌡ 2 ∆t ⌡ t-∆t t-∆t

(13.13b)

Poichè il secondo termine della (13.13b) è identicamente nullo e, per definizione: t+∆t _ _ 1 U= ⌠ U dt 2 ∆t ⌡ t-∆t risulta che l'equazione di continuità mediata nel tempo è: _ ∇. ( U ) = 0

(13.14a)

Dalla (13.12) otteniamo che, ad ogni istante di tempo, risulta anche: ∇. ( U') = 0 13.4

(13.14b)

L’EQUAZIONE DEL MOTO

Anche in questo caso mediamo su 2∆t l'equazione di Navier-Stokes (12.13a): t+∆t t+∆t 1 ∂U 1 p . [  + ( U ∇ ) U ] dt = [  g ∇( z + ) + ν ∇2 U ] dt ⌠ ⌠ ⌡ ⌡ ∂t 2 ∆t 2 ∆t γ t-∆t t-∆t

(13.15)

Ricorrendo all'argomento del paragrafo precedente osserviamo che l'integrale del 1° termine di sinistra e dei termini di destra della (13.15) sono: _ t+∆t 1 ∂U ∂U ] dt = ∂ t ⌠ [ 2 ∆t ⌡ ∂ t t-∆t

(13.16a)

_ t+∆t 1 p p [ ∇( z + ) ] dt = ∇( z + ) ⌠ ⌡ γ 2 ∆t γ t-∆t

(13.16b)

t+∆t _ 1 [ ∇2 U ] dt = ∇2 U ⌠ ⌡ 2 ∆t t-∆t

(13.16c)

L'integrazione del 2° termine di sinistra, che a differenza degli altri contiene un prodotto delle variabili, richiede che sia dapprima svolto l'argomento scrivendo: t+∆t t+∆t _ _ 1 1 . [  ( U ∇ ) U ] dt = { [( U + U' ) . ∇ ) ( U + U' ] } dt ⌠ ⌠ ⌡ ⌡ 2 ∆t 2 ∆t t-∆t t-∆t

(13.16d)

dopo avere sviluppato il prodotto all'interno all'integrale, troviamo che:

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t+∆t _ t+∆t _ 1 1 . . [  ( U ∇ ) U' ] dt = U ∇( ⌠ ⌠ U' dt ) = 0 2 ∆t ⌡ 2 ∆t ⌡ t-∆t t-∆t poiché la media della fluttuazione turbolenta è nulla; t+∆t _ _ _ _ 1 . . [  ( U ∇ ) U ] dt = ( U ∇ ) U ⌠ 2 ∆t ⌡ t-∆t per definizione; t+∆t t+∆t _ _ 1 1 . . [  (U' ∇ ) U ] dt = [ ( U' dt ) ∇ ] U =0 ⌠ ⌠ 2 ∆t ⌡ 2 ∆t ⌡ t-∆t t-∆t e, infine il termine: t+∆t 1 . ⌠ [ (U' . ∇ ) U' ] dt = 〈 ( U' ∇ ) U' 〉2∆t 2 ∆t ⌡ t-∆t non è nullo, analogamente a quanto osservammo per la (13.11). Dimostriamo che vale l'uguaglianza: .

( U ∇ ) U = ∇ . (U U )

(13.17)

in quanto, ricordando la (12.15), è: (U.∇)U= [

∂u ∂u ∂u ∂v ∂v ∂v ∂w ∂w ∂w u+ v+ w] i + [ u+ v+ w] j + [ u+ v+ w] k (13.18a) ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

Invece, esplicitato il tensore (U U ): ( UU)=

|u | |u | |v | |v | |w| |w|

=

| uu | vu | wu

uv vv wv

uw | vw | ww |

ne traiamo la divergenza:

∇ . (U U ) =

| ∂∂uxu | ∂∂vxu | ∂∂wxu

∂uv ∂y ∂vv ∂y ∂wv ∂y

∂uw ∂z ∂vw ∂z ∂ww ∂z

| | |

che possiamo scrivere nel modo seguente, facendo comparire i versori i, j, k e raggruppando: ∇ . (U U ) =

∂u

{u(∂x ∂u

{v(∂x

+

∂v ∂w ∂u ∂u ∂u + )+ u+ v+ w ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

}i+

+

∂v ∂w ∂v ∂v ∂v + )+ u+ v+ w ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

}j+

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Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

∂u

{w(∂x

+

∂v ∂w ∂w ∂w ∂w + )+ u+ v+ w ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

}k

(13.18b)

Poiché i termini entro parentesi tonda sono nulli in virtù della equazione di continuità (3.3), la (13.17) è dimostrata. Dopo lo sviluppo degli integrali e ricordando la (13.10), il 2° termine della (13.8): t+∆t _ _ 1 . . [  ( U ∇ ) U ] dt = ( U ∇ ) U + ∇ . 〈 U' U' 〉2∆t ⌠ 2 ∆t ⌡ t-∆t

(13.18c)

Ne deriva che l'equazione del moto mediata sull'intervallo 2∆t è: _ _ _ _ _ p ∂U 2 . ∇ ) U = - g ∇( z + + ( U ) + ν [ ∇ U - ∇ . 〈 U' U' 〉2∆t ] ∂t γ

(13.19)

Il tensore ρ 〈 U' U' 〉2∆t , che ha le dimensioni di uno sforzo, è definito come TENSORE DELLO SFORZO TURBOLENTO o TENSORE DEGLI SFORZI DI REYNOLDS dal nome di chi lo propose nel 1895: t=

- ρ 〈 U' U' 〉2∆t

(13.20a)

Riconosciamo subito che la matrice simmetrica 〈 U' U' 〉2∆t costituisce una stima, nel senso spiegato in §13.2, della matrice di covarianza delle componenti turbolente della velocità:

〈 U' U' 〉2∆t =

| | cov{v'u'} | cov{w'u'}

cov{u'u'} cov{u'v'} cov{u'w'}

| cov{w'w'} |

cov{v'v'} cov{v'w'} cov{w'v'}

| (13.20b)

Ove la turbolenza si può considerare isotropa, le fluttuazioni di velocità e le loro derivate sono indipendenti da cambiamenti di coordinate. Ne segue che: cov{u'v'}= cov{u'w'}= cov (v'w') = 0 cov{u'u'}= cov{v'v'}= cov{w'w'} e la (13.20b) si riduce a: 〈 U' U' 〉2∆t = 〈 (u')2〉2∆t

(13.20c)

In definitiva, l'equazione del moto turbolento di un fluido incomprimibile e con viscosità isotropa si scrive come: _ _ _ _ _ _ ∂U p . ρ [ ∂ t + ( U ∇ ) U ] = - g ρ ∇( z + )+∇.( + t) γ

(13.21)

In § 6.4 osservammo che in ogni punto sufficientemente distante dalla parete, il contributo dello sforzo viscoso è trascurabile. Dunque, si può porre nella (13.21):

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_

=0

senza commettere errore. Infatti al di fuori del substrato laminare, lo sforzo viscoso, dovuto alla coesione molecolare, è di parecchi ordini di grandezza inferiore allo sforzo turbolento, dovuto al mescolamento tra le particelle nel corpo della corrente. Inoltre si può scrivere, in analogia con la (12.11): _ t

= 2 µt

_

(13.22)

Sempre per la medesima analogia, µ t viene chiamato COEFFICIENTE DI VISCOSITÀ TURBOLENTA o eddy viscosity.

103 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

14.

BIBLIOGRAFIA

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104 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

15.

LISTA DELLE FIGURE

1.1

Deformazione dei corpi solidi e liquidi

1.2

Forze di massa e forze di superficie

1.3

Tetraedro di Cauchy

1.4

Effetto della tensione superficiale

1.5

Fluido viscoso: relazione di Newton

1.6

Leggi reologiche dei liquidi

1.7

Schema del viscosimetro a rotazione o reometro Couette

1.8

Definizione delle componenti del tensore degli sforzi

2.1

Dipendenza della pressione in un punto dal suo affondamento sotto il p.c.i.

2.2

Manometro semplice

2.3

Manometro differenziale

2.4

Manometro metallico

2.5

Spinta su superficie piana

2.6

Spinta su una superficie piana rettangolare

2.7

Spinta su una superficie piana circolare

2.8a

Esempio di calcolo diretto della spinta su una parete curva: vista assonometrica

2.8b

Esempio di calcolo diretto della spinta su una parete curva: sezione trasversale

2.9

Spinta su una parete curva aggettante

2.10

Spinta su una parete curva rientrante

2.11

Applicazione dell’equazione globale dell’idrostatica: caso del semitubo verticale

2.12

Equilibrio di un corpo galleggiante

2.13

Equilibrio relativo: calcolo dalla pressione

2.14

Equilibrio relativo: spostamento rettilineo

2.15

Equilibrio relativo: rotazione

3.1

Forma indefinita dell’equazione di continuità

3.2

Forma globale dell’equazione di continuità

3.3

Equazione di Eulero

3.4

Equazione di Bernoulli

3.5

Variazione della quota piezometrica lungo le traiettorie: rettilinea e curvilinea

3.6

Accelerazione centripeta

3.7

Variazione della quota piezometrica in un tubo ad asse curvo

4.1

Efflusso da una luce aperta sul fondo di un serbatoio

105 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

4.2

Efflusso al di sotto di una paratoia piana: (a) libero, (b) annegato

4.3

Efflusso da una luce annegata

4.4

Efflusso da una luce di dimensioni finite aperta su una parete verticale

4.5

Luce a stramazzo

4.6

Tipi di stramazzo

4.7

Tubo di Pitot

4.8

Misuratore a gomito

5.1

Cadente

5.2

Venturimetro

5.3

Diaframma

5.4

Boccaglio Venturi

5.5

Boccaglio

6.1

Crescita dello strato limite

6.2

Effetto della scabrezza sullo strato limite

6.3

Definizione della formula di resistenza di Darcy - Weisbach

6.4

Distribuzione dello sforzo tangenziale lungo il raggio

6.5

Fumo di sigaretta in regime laminare e turbolento

6.6a

Profili di velocità di liquidi pseudoplastici

6.6b

Profili di velocità di liquidi dilatanti

6.7

Moto turbolento in tubo liscio: profilo di velocità

6.8a

Resistenza al moto in tubi con scabrezza uniforme

6.8b

Resistenza al moto in tubi con scabrezza eterogenea

6.9

Abaco di Moody

6.10

Confronto tra le formule di resistenza al moto in regime turbolento misto

7.1

Equazione globale dell’equilibrio idrodinamico

7.2

Bocca di Borda

7.3a

Carrello a getto

7.3b

Paradosso di Bergeron

7.3c

Spinta su una piastra

8.1

Brusco allargamento

8.2

Imbocco da un serbatoio

8.3

Brusco restringimento

8.4

Restringimento graduale

106 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

8.5

Allargamento graduale

8.6

Gomito

8.7

Paratoia parzializzata

8.8

Tipi di valvole

9.1

Schema degli impianti idroelettrici dell'Alto Chiese

9.2

Definizione di salto utile

9.3

Pompe a palettaggi rotanti: modelli ITT Flygt

9.4

Schema di impianto di sollevamento

9.5

Curva caratteristica della pompa

9.6

Curve caratteristiche di pompa e di impianto

9.7

Curve caratteristiche di pompe a numero di giri variabile

9.8

Definizione del NPSH

9.9

Curva caratteristica di un sistema di pompe tra loro diverse collegate in parallelo

10.1

Sifone: moto a canaletta

10.2

Reti di condotte

11.1

Grafico adimensionale della velocità in tubo liscio

11.2a

Determinazione della scabrezza significativa in grandi condotte in calcestruzzo

11.2b

Determinazione della scabrezza significativa in grandi condotte metalliche

12.1

Equazione di conservazione della massa

12.2

Sforzi applicati all'elemento fluido

12.3

Spostamento e deformazione lineare

12.4

Rotazione e deformazione angolare

12.5

Bilancio della sostanza in soluzione

13.1

Disturbo e instabilità del moto laminare

13.2

Esempio di misura di velocità turbolenta

107 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

16.

LISTA DEI SIMBOLI

A

area della sezione trasversale del tubo [ m2 ]

c

concentrazione di una sostanza disciolta in un fluido

C

coefficiente di resistenza di Chezy [ m1/2 s-1 ]

Ca

numero di cavitazione

Cc

coefficiente di contrazione (adimensionale)

CH

coefficiente di resistenza di Hazen - Williams [ m-0.37 s ]

cS

calore specifico [J kg -1 °C-1 ]

CT

capacità termica [ J / C°]

Cv

coefficiente di velocità (adimensionale)

f

numero indice di resistenza al moto

g

accelerazione di gravità: g = 9.806 [ m s2]

h

quota piezometrica [ m s.l.m. ]

hG

affondamento del baricentro sotto il piano dei carichi idrostatici [ m ]

hc

altezza cinetica [ m ]

H

carico totale [ m s.l.m.]

k

coefficiente di perdita (adimensionale)

ks

scabrezza significativa della parete [ m ]

J

cadente (adimensionale)

m

rapporto di strozzamento della paratoia

M

flusso di quantità di moto o inerzia convettiva [ N ]

n

coefficiente di resistenza di Manning [ m-1/3 s ]

NPSH

net pressure suction head

p

pressione relativa [ Pa ]

p*

pressione assoluta [ Pa ]

po*

pressione atmosferica [ Pa ]

pV*

tensione di vapore [ Pa ]

PA

potenza assorbita dalla pompa [ W ]

PE

potenza effettivamente prodotta dalla turbina [ W ]

PP

potenza ceduta dalla pompa alla corrente [ W ]

PT

potenza ceduta dalla corrente alla turbina [ W ]

Q

portata attraversante una sezione del tubo [ m s ]

r

raggio di curvatura della traiettoria [ m ]

3

-1

108 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

R

raggio idraulico [ m ]

Re

numero di Reynolds

Re*

numero di Reynolds di attrito

s

tensione superficiale [ N m ]

S

spinta del liquido sul contorno curvo [ N ]

tn

sforzo sulla superficie con normale n [ N m ]

u, v, w

componenti secondo gli assi x, y, z del vettore velocità U [ m s -1 ]

Um

velocità media nella sezione del tubo [ m s ]

u*

velocità d'attrito [ m s ]

xC

distanza del centro di spinta dalla linea di sponda [ m ]

y

altezza piezometrica [ m ]

z

quota geodetica [ m s.l.m.]

α

coefficiente di Coriolis (adimensionale)

β

coefficiente di Boussinesq (adimensionale)

δsl

spessore del substrato limite laminare [ m ]



indicazione del manometro a mercurio [ m ]



carico sullo stramazzo (in foronomia) [ m ]

∆HL

perdita di carico localizzata [ m ]

Ε

modulo di elasticità di volume [ Pa ]

Φn

forza per unità di superficie o sforzo unitario [ N m-2 ]

κ

costante di von Karman (adimensionale)

γ

peso specifico [ N m ]

µ

viscosità dinamica [ N s m-2]

µ

coefficiente adimensionale di efflusso (in foronomia)

µt

coefficiente di viscosità turbolenta o "eddy viscosity" [ N s m-2]

ν

viscosità cinematica [ m s ]

Π

spinta della superficie piana di contorno sul liquido [ N ]

ρ

densità [ kg m ]

ρm

densità del materiale disciolto nel fluido [ kg m ]

τij

componente del tensore di sforzo viscoso [ N m ]

τ0

sforzo tangenziale alla parete [ N m ]

-1

-2

-1

-1

-3

2

-1

-3

-3

-2

-2

109 10/11/09

Luigi Natale - Fondamenti di Idraulica

t

tensore dello sforzo turbolento o tensore degli sforzi di Reynolds tensore di vorticità [s-1]

110 10/11/09