Giornale Medico - Ordine dei Medici Viterbo

Nature Reviews Neuroscience ..... Review. 8. ACOG Technical Bulletin. Dystocia and the augmentation of labor n° 218. ..... visualizza la chiusura dell...

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n. 1 2012 Attualità Interviste FNOMCeO E.C.M. Formazione e aggiornamento Mostre, Viaggi Libri, Poesie, Racconti

Registrazione Tribunale di Viterbo N. 449 del 07/07/97 - Spedizione in AP 70% Filiale di Viterbo - Art. 2 comma 20D legge 662/96 Fil. Viterbo

ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI VITERBO

della

Giornale Medico

TUSCIA

In questo numero: “È possibile rilevare l’area cerebrale del senso morale?”. Un quesito del postmoderno. S. Giovagnoli Partoanelgesia: un sogno, una possibile realtà I. Mattozzi La cataratta F. Ricci

SOMMARIO 3

EDITORIALE

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“È possibile rilevare l’area cerebrale del senso morale?”. Un quesito del postmoderno. S. Giovagnoli

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Partoanelgesia: un sogno, una possibile realtà. I. Mattozzi

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Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno o Obstructive Sleep Apnea Syndrome (OSAS) P. Scavalli

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La cataratta F. Ricci

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La terapia radiologica del varicocele M. Ortenzi, E. Pofi

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Iter diagnostico-terapeutico del paziente con aneurisma dell’aorta addominale rotto A. Borghetti

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Rischio Psicosociale: aspetti legislativi, preventivi, formativi nei contesti sanitari S. Apolito, S. De Simoni

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Linee Guida in tema di abuso sui minori | 2° parte

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FNOMCEO

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ECM

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MOSTRE

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POESIE

EDITORIALE

ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI VITERBO Consiglio direttivo: Dott. Antonio Maria Lanzetti Dott. Luciano Sordini Dott. Andrea Casella Dott. Giulio Maria La Novara (odont.) Dott. Bernardino Bernardini Dott. Mario Gobattoni Dott. Sandro Marenzoni Dott. Claudio Picca Dott. Mauro Rocchetti (odont.) Dott. Luigi Trisciani Dott. Enrico Zonghi

Presidente V. Presidente Segretario Tesoriere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere Consigliere

Commissione Odontoiatri: Dott. Mauro Rocchetti Dott. Enrico Arelli Dott. Giulio Maria La Novara Dott. Stefano Pesaresi Dott. Alfredo Riccardi

Presidente Componente Componente Componente Componente

Revisori dei Conti Dott. Domenico Caresta Dott. Andrea Leoncini Dott. Luciano Meschini Dott.ssa Miriam Galletti

Presidente Componente Componente Supplente

Il Giornale Medico della Tuscia è pubblicato dall’Ordine da diversi anni, con la collaborazione di Colleghi appartenenti a numerose specialità d’interesse comune, che hanno accettato con entusiasmo di produrre elaborati a carattere divulgativo, dedicati all’approfondimento di argomenti di attualità utili alle esigenze di aggiornamento di una classe medica che non sempre riesce a seguire l’enorme mole di informazioni fornite dalla comunità scientifica. Gli articoli, di norma brevi e di facile lettura, sono stati integrati da Linee Guida delle più importanti Società Scientifiche, dedicate a chi desidera conoscere gli argomenti in maniera esaustiva. A completamento del Giornale, una serie di comunicazioni estratte di volta in volta dalle pubblicazioni più recenti della FNOMCeO, oltre ad annunci e resoconti di ECM, alla rubrica delle mostre d’arte programmate in Italia e all’estero, e, infine, una serie di poesie degli autori del mondo passato e recente, considerate oggi come veri e propri classici. A tutti i Colleghi va un sentito e caloroso ringraziamento del Comitato di Redazione, e a tutti va rinnovato l’invito a partecipare, inviando i loro articoli, preferibilmente se a contenuto divulgativo generale, senza però trascurare la possibilità di impegnarsi in argomenti specifici di attualità. A tutti i Colleghi che ricevono il Giornale Medico della Tuscia va l’invito della Redazione ad esprimere i loro parere sul modello attuale, segnalando suggerimenti e modifiche che ritengono utili all’interesse generale. Infine, un ringraziamento particolare ai Colleghi componenti del Consiglio Direttivo dell’Ordine, per la supervisione e per le competenze d’indirizzo che consentono la realizzazione e la vita del giornale. Il Comitato di Redazione

Il sito dell’Ordine dei Medici di Viterbo è online all’indirizzo:

www.ordinemediciviterbo.it

Direttore responsabile Dott. Vincenzo Gasbarri Responsabile scientifico e delle iniziative culturali Dott. Riccardo Paloscia In copertina: Attimi d’inverno Progetto grafico e impaginazione: Frasi di Silvia Cruciani

Comitato di redazione Dott. Riccardo Paloscia Dott. Giulio Maria La Novara Dott. Mario Gobattoni

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BIOETICA

BIOETICA

“È possibile rilevare l’area cerebrale del senso morale?”. Un quesito del postmoderno. Dr. Subino Giovagnoli Scienza & Vita, Gruppo di Viterbo

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terattiva crea il dialogo ma già intorno al 1928 Max Scheler, filosofo della simpatia e dell’empatia, parlava di “conoscenza emozionale” precorrendo i tempi.

Con i suoi studi su Phineas P. Gage, un operaio che subì un gravissimo trauma cranio-encefalico nel 1848 a Cavendish, nel Vermont, e che perse il senso morale, Damasio risulta come "uno dei principali esponenti della tesi che le emozioni sono fondamentali per l'agire morale" (pag. 55). I risultati più interessanti ai fini della ricerca neuroetica stanno arrivando dagli studi sulla corteccia prefrontale ventromediale. La perdita di sostanza encefalica può significare sovvertimento comportamentale e degenerazione della vita etica.

La Prof.ssa Laura Boella che insegna Filosofia morale presso l’università di Milano ed è autrice del libro “Neuroetica, la morale prima della morale”, si diffonde tra l’altro sulla scoperta dei neuroni specchio da parte del nostro Giacomo Rizzolatti (1995). La loro presenza ha aperto nuove prospettive allo studio sulle relazioni tra emozione e percezione. «La scoperta dei neuroni specchio, che fanno 'vivere' le azioni altrui che vediamo, permette poi di meglio apprezzare un sentimento chiave come l’empatia». Esiste cioè una base biologica che spiega la possibilità di partecipazione agli eventi che coinvolgono gli altri.

ntonio Rosa Damasio portoghese è docente alla University of Southern Caliphornia, ed è autore del libro L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, [Milano, Aldephi, 1995].

«Le neuroscienze non solo ci dicono che le emozioni hanno grande rilievo in molti nostri comportamenti, ma che esse sono indispensabili per quella che il senso comune ritiene essere una condotta 'normale'. Pazienti che hanno subito lesioni ad aree specifiche del cervello, in particolare quelli che hanno perso la capacità di coinvolgimento emotivo, messi di fronte a dilemmi morali, manifestano o un cinismo utilitaristico o un’acuta irrazionalità. Recuperare le emozioni equivale a ridare significato e valore al corpo, con i suoi atteggiamenti originari di interesse, empatia e cura verso l’altro». La comunicazione partecipata ed in-

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Ma anche la medicina psicosomatica trova agganci strutturali per i suoi reperti clinici. Lo stesso Damasio, con il concetto di marcatore somatico, spiega infatti l’origine psicosomatica dei messaggi corporei: lo stomaco si contrae in caso di paura, le spalle sobbalzano per una risata convulsa. Le emozioni di base, frutto dell’evoluzione, non decidono per noi, bensì ci aiutano ad orientarci nel mondo. Poi, tocca al nostro io spirituale la decisione. D’altra parte la nostra mente è in grado di astrarre le idee, di giudicare e di ragionare, cavalcando le emozioni, fino a giungere ai principi universali di con-

dotta e di interpretazione del mondo, e questa attività è impensabile a livello del solo funzionamento del cervello, considerato quale organo. Esso è a disposizione della mente ma non vi si identifica. Il puro neurologismo non ha motivo di sussistere. Anche sul problema della mediazione chimica delle informazioni e dei sentimenti che elaboriamo di conseguenza, dobbiamo concludere che la neurobiologia spiega solo la prima parte del discorso. Prendiamo ad esempio un sistema di valore che rilascia il neurotrasmettitore dopamina. Questo sistema si trova nei gangli della base e nel tronco encefalico. Il rilascio di dopamina agisce come un sistema di ricompensa che facilita l’apprendimento, tramite l’incasellamento mnesico mediato dal glutammato e dall’NMD aspartato. Altri sistemi rilasciano neurotrasmettitori differenti; quelli che rilasciano serotonina governano l’umore e quelli che rilasciano acetilcolina possono modificare le soglie nello stato di veglia e nel sonno. (vedi anche adrenalina e nor-adrenalina). I sistemi di valore forniscono le propensioni e le ricompense”. [G.Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Cortina, Milano 2007, pp. 26-27] . Ma ricordiamoci che i desideri nascono dai bisogni, e che nell’uomo «breve è la via dal bisogno alla bramosia». Per questo consideriamo indispensabile un esercizio etico e bioetico alla luce dei valori. Senza la nostra possibilità di scegliere coscientemente, quella cioè che Aristotele ed Epitteto chiamavano pro-airesis, non ci spiegheremmo in alcun modo le decisioni personali e le infinite sfumature del mondo etico comportamentale, comprese le difficili situazioni legate alle aporie, gli eventi senza sbocco risolutivo. “Ciò che nel pensiero è affermazione o negazione, nel desiderio è ricerca o fuga, di modo che, siccome la virtù è uno stato abituale che produce scelte, e la scelta è un desiderio deliberato, proprio per questo se la scelta è la migliore, il ragionamento deve essere vero e il desiderio corretto, e l’uno deve affermare, e l’altro perseguire gli stessi oggetti”. [Aristotele (Etica a Nicomaco)]. Aristotele in sostanza

...le emozioni hanno grande rilievo in molti nostri comportamenti, ma esse sono indispensabili per quella che il senso comune ritiene essere una condotta 'normale'. Pazienti che hanno subito lesioni ad aree specifiche del cervello, in particolare quelli che hanno perso la capacità di coinvolgimento emotivo, messi di fronte a dilemmi morali, manifestano o un cinismo utilitaristico o un’acuta irrazionalità. sapeva già che quando le cose vanno per il verso giusto, ragioniamo sulle buone emozioni e sui corretti desideri. Quello auspicato dallo Stagirita è un equilibrato ragionamento empatico per raggiungere uno scopo, e basta riflettere che noi ragioniamo meglio se stiamo tranquilli e vigili, cioè in presenza di un minimo di mediatori deputati a mantenere lo stato di veglia. In altre parole noi emettiamo un giudizio equilibrato solo se la coscienza riposa in uno stato di stabile emotività e mai sull’assenza di ogni emotività. Le decisioni etiche richiedono poi un sapere che non si dimentica, diverso da quello tecnico, ma che neppure si può apprendere perfettamente nei minimi particolari, poiché si è costretti già dalla situazione, ad esercitare illico et immediato cioè “lì e subito”, la propria Phronesis, la saggezza morale, ogni volta che capiti, adattandosi con i necessari accorgimenti ad ogni occasione (H.G. Gadamer). Dunque, esistono aree cerebrali pre-

disposte e comuni, per un comportamento morale condiviso tra gli esseri umani ognuno dei quali può scegliere, e spesso, in condizioni drammatiche. Ma non possiamo assumere che singole aree cerebrali siano responsabili unicamente di funzioni mentali specifiche, né si può concludere che l'attivazione di quelle regioni ci dica cosa una persona sta pensando. Perciò è anche impossibile dire se l'aumento o la riduzione di attività in una particolare regione del cervello debba essere considerata “migliore” o “anormale”. Non diversamente da quanto si potesse arguire fin dai primi anni del secolo scorso, quando Charles S. Sherrington (1857-1952) con il libro “L’azione integrativa del sistema nervoso” del 1906, sostenne l’esistenza di vari livelli cognitivi e decisionali attivati con meccanismi integrativi e in tal senso si può parlare oggi anche di neurobioetica. In ogni caso, tramite le tecniche di neuroimaging, alcune aree sono ben conosciute e mappate, quali lo striato ventrale (ricompensa), la corteccia prefrontale orbitomediale (volizione), la corteccia prefrontale mediale (sentirsi connesso), la corteccia cingolata anteriore (conflitto) e l'amigdala (paura / sfida); e si sa che esse si attivano sinergicamente. [ cfr. E. Racine, O. BarIlan, and J. Illes, “fMRI in the Public Eye.” Nature Reviews Neuroscience 6, no. 2 (2005): 159–64. (Functional Magnetic Resonance Imaging).] Siamo dunque ben lontani dal relativismo etico. Possiamo perciò superare la separazione radicale tra ragione e sentimento che ha caratterizzato molta parte della storia della filosofia. La neuro-etica deve mettere insieme le conoscenze di neurobiologia con i sistemi valoriali umani, ed è perciò rischioso usare della stessa al di fuori dei principi della bioetica. Ciò si dice ad evitare la possibilità di separare con artifici tecnici, i cervelli giudicati malati e meno produttivi, da quelli cosiddetti sani, ai fini giuridici, legali e assicurativi, oltre a quelli strettamente clinici. Il discorso merita un approfondimento che si spera di realizzare quanto prima nelle nostre iniziative di formazione professionale.

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ATTUALITÀ

ATTUALITÀ

Partoanelgesia: un sogno, una possibile realtà. Dott. Ivano Mattozzi AUSL Viterbo - Ospedale Acquapendente Responsabile Ambulatorio di terapia del dolore e cure palliative Acquapendente (VT)

l parto è l’esperienza più alta della vita della donna, momenti in cui alle emozioni forti di chi vive l’evento in prima persona si associa la preoccupazione per l’evoluzione dello stesso. Istanti in cui i sentimenti di gioia per la nuova vita sono velati dal dolore da travaglio; in queste fasi la donna soffre senza che nessun sanitario, nella maggior parte dei casi, le somministri un analgesico o, peggio ancora, le offra una parola di conforto perché è ormai inveterata la convinzione che la madre che vuole alleviare il dolore del parto è una madre «inadeguata». Alcune donne riescono ad affrontare l'ansia e la paura legata al parto e ad accettare il dolore del travaglio mentre per altre donne il dolore può rappresentare un evento fortemente negativo che impedisce di vivere la nascita di un bambino in modo sereno. La legge n° 38 del 15 marzo 2010 sancisce all’articolo 1 “….il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore”, mettendo in risalto che nessun dolore può attendere.

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Il dolore del travaglio di parto Nel travaglio di parto la sintomatologia algica acuta, che spesso si protrae per diverse ore, è caratterizzata da tutte e tre le componenti del dolore acuto (viscerale, somatico e riferito), che insorgono in fasi diverse, fondendosi nei momenti finali della nascita. Inoltre questo tipo di percezione è gravato da una notevole valenza psicologica, tale da far attendere, e temere, il momento del parto, fino a diverse settimane prima. I fattori che influenzano tale sintomatologia dolorosa possono essere riassunti in: OSTETRICI: 1) dimensioni fetali,

Alcune donne riescono ad affrontare l'ansia e la paura legata al parto e ad accettare il dolore del travaglio mentre per altre donne il dolore può rappresentare un evento fortemente negativo che impedisce di vivere la nascita di un bambino in modo sereno.

pegno del prodotto del concepimento verso il canale vaginale: a questo punto si raggiunge il massimo picco della componente algica, venendosi ad unire il dolore viscerale delle ultime contrazioni uterine con il dolore somatico determinato dalla distensione delle strutture del pavimento pelvico, fino al momento della nascita. Lo stress algico del travaglio, oltre ad avere connotazioni di stimolazione adrenergica sulla partoriente (tachicardia, ipertensione, stimolazione simpatica), può avere altresì ripercussioni negative anche sul nascituro: la liberazione di catecolamine da una parte (vasocostrizione utero placentare con riduzione del flusso ematico) e l’iperventilazione da dolore dall’altra (ipocapnia) possono aggravare una situazione ipossica latente. Analgesia epidurale lombare L’epidurale rappresenta la tecnica ideale per l’analgesia in travaglio di parto per varie motivazioni quali l’efficacia, in quanto le contrazioni uterine vengono percepite senza dolore,

per la sicurezza sia materna che fetale, infatti i bassissimi dosaggi farmacologici e la possibilità di modulare la quantità di analgesico a seconda della fase del travaglio e dell'intensità del dolore, non vengono ad influenzare le dinamiche fisiologiche del travaglio e del parto e non hanno alcun effetto sul neonato e sull’allattamento. Oggi il criterio per decidere quando iniziare un’analgesia epidurale non è il grado di dilatazione cervicale ma la richiesta materna così che l’analgesia può essere iniziata in qualsiasi momento del travaglio su richiesta della partoriente, indipendentemente dal grado di dilatazione cervicale, ovviamente in assenza di controindicazioni e previo consenso informato. (American Society of Anesthesiologists e ACOG). Protocollo comportamentale per l’esecuzione della analgesia peridurale Il blocco epidurale viene eseguito dall’anestesista avvalendosi della collaborazione di un’ostetrica o di un’infermiera. Si incannula una vena peri-

ferica (cannula 17G o 18G) prima di posizionare il catetere epidurale. Il blocco epidurale può essere eseguito con la donna in decubito laterale o seduta. Non è necessaria pre-idratazione. Durante l’esecuzione del blocco vengono monitorate frequenza cardiaca, pressione arteriosa e saturimetria in O2. Dopo l’esecuzione del blocco (e dopo ogni rifornimento epidurale) è necessario il controllo della PA e della FC ed il monitoraggio cardiotocografico per circa 30 minuti. Il monitoraggio continuo di PA, FC può essere necessario solo in particolari condizioni cliniche su indicazione dell’anestesista. Il monitoraggio della SaO2 può essere richiesto nei primi 30 minuti se per l’analgesia vengono utilizzati oppiacei. Durante l’esecuzione del blocco è buona regola mantenere sempre un contatto verbale rassicurante con la donna.. Se si usa una analgesia a basso dosaggio è necessario ricordare alla donna e all’ostetrica che tale tecnica è compatibile con la deambulazione,

2) tipo di presentazione, 3) intensità e durata delle contrazioni, 4) rapidità della dilatazione cervicale, 5) durata della fase di riposo. MATERNI: 1) fattori psicologici, 2) esperienze precedenti, 3) fatica, 4) ansia, 5) mancanza di sonno, 6) ambiente circostante. È evidente che il combinarsi di tutte queste variabili rende l’esperienza del parto un evento praticamente unico tutte le volte che si presenta. Nel travaglio di parto si distinguono normalmente diverse fasi: a) la FASE PRODROMICA, che consiste nelle prime avvisaglie delle contrazioni uterini a sintomatologia algica (dolore viscerale), b) il PERIODO DILATANTE, che viene caratterizzato da dolore ingravescente con l’avanzare della dilatazione del collo uterino sotto contrazione (d. viscerale e riferito), c) il PERIODO ESPULSIVO con l’im-

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ATTUALITÀ

nell’osservanza delle opportune procedure di sicurezza. Tutta la procedura viene riportata su apposita cartella contenente dettagliate informazioni sulla tecnica ed i farmaci impiegati, tutti i dati clinici rilevanti e le raccomandazioni post-analgesia. Fuori travaglio • sufentanil 10 gamma (o fentanil 50 gamma) in 10 ml di SF Travaglio iniziale primipara (non indotta) • levobupivacaina 0,0625% 20 ml + sufentanil 10 gamma in bolo. • dopo 30m’ (se l’analgesia è adeguata) iniziare l’infusione continua mediante pompa infusionale con levobupivacaina 0,0625% + sufentanil 0,5 gamma/ml alla velocità 10ml/h. • se l’analgesia non è adeguata somministrare boli di levobupivacaina 1015 ml a concentrazione maggiore: 0,0833%, 0,1% . 0,125% (senza sufentanil) Travaglio iniziale primipara indotta e Travaglio pluripara (qualsiasi stadio) • iniziare con bolo 20 ml levobupivacaina 0,1% o 0,125% + sufentanil 10 gamma e continuare con pompa infusionale alla concentrazione 0,0625% come descritto sopra • se analgesia non adeguata: boli levobupivacaina 0,125% 10 ml (senza sufentanil) • se iniziale o parziale blocco motorio sospendere infusione continua • quando si inizia l’analgesia con una dilatazione del collo uterino maggiore di 6-7 cm non somministrare oppiacei. Per l’episiorrafia: quando necessario lidocaina 2% 6 -7 ml (latenza 5-10 m’). Inconvenienti, reazioni indesi-

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derate, complicazioni Come in tutti gli atti medici, anche nell’analgesia del parto possono manifestarsi reazioni indesiderate, inconvenienti e complicazioni legati alla tecnica della perdurale. Tra gli inconvenienti e le reazioni indesiderate possono esservi: comparsa di parestesie, cioè scosse e formicolii, al sacro e agli arti inferiori; comparsa di vertigini e brividi; realizzazione di una analgesia monolaterale o non uniforme. Questi eventi possono talvolta richiedere la ripetizione della puntura e in casi estremi l’abbandono della tecnica. In ogni caso nel 3% dei casi l’analgesia può risultare inefficace. Le complicanze della peridurale sono rare, la loro percentuale è bassissima, ma devono essere menzionate per una scelta consapevole. Complicanze neurologiche minori La cefalea è una complicanza che può seguire la puntura accidentale della dura madre. La sua frequenza è compresa tra lo 0,2 è il 4% dei casi. In genere si manifesta dopo circa 24 ore dalla puntura perdurale, in sede occipitale, compare in posizione eretta e scompare in posizione supina. Può durare circa una settimana. In alcuni casi vi possono essere associati, nausea, vomito e disturbi visivi o auditivi. Il trattamento richiede riposo a letto, idratazione e somministrazione di farmaci antinfiammatori. Dopo il parto una percentuale di donne compresa tra il 20 e il 40% lamenta dolori di schiena e talvolta dolori di tipo sciatico e ciò indipendentemente dal fatto di avere eseguito una peridurale. Nella maggior parte dei casi questi fenomeni sono legati allo stress cui è sottoposta la colonna vertebrale e i nervi della regione pelvica durante il travaglio e il parto e alle prolungate ed anomale posizioni assunte dalla paziente sul lettino. Talvolta questi disturbi precedono il parto e generalmente si risolvono dopo alcune settimane. Solo raramente nel post-partum un dolore limitato alla sede della puntura con una durata inferiore a 3-4 giorni può essere attribuito alla tecnica epidurale ed essere legato ai ripetuti tentativi nel reperimento dello spazio epidurale.

Il mio sogno è di promuovere la nascita di una equipe anestesiologica all’interno dell’ospedale di Viterbo, autonoma, che pratichi la parto-analgesia... Complicanze neurologiche maggiori dovute al trauma diretto dell'ago e/o del catetere; ad infezione; ad effetti tossici degli anestetici locali o di altre sostanze iniettate nello spazio peridurale; ad ischemia e a compressione da ematoma perdurale. In campo ostetrico le segnalazioni di incidenti neurologici maggiori in donne che hanno partorito con la peridurale sono molto rare con una incidenza variabile tra lo 0 e 1 caso su 6000. Tutti questi inconvenienti e complicazioni sono assai rari e la grande maggioranza delle nostre pazienti è soddisfatta di avere scelto di partorire con l’analgesia. Conclusioni Il mio sogno è di promuovere la nascita di una equipe anestesiologica all’interno dell’ospedale di Viterbo, autonoma, che pratichi la parto-analgesia, posto che il travaglio è un elemento di stress psicologico e fisiologico tanto per la partoriente quanto per il feto, ( articolo 2 comma 1h “ assistenza specialistica di terapia del dolore”), così da restituire al parto il solo momento della felicità per il lieto evento, così da rispondere al diritto di ogni donna di scegliere di partorire senza dolore, garantendo gli standard di sicurezza per l’unità materno fetale, attraverso un team anestesiologico dedicato, utilizzando la tecnica epidurale, attualmente il gold standard per il controllo del dolore da parto. Requisiti Team anestesiologico dedicato H24 Team di sala parto: ginecologo, pediatra o patologo neonatale, ostetrica, infermiere professionale Organizzazione Per far sì che ogni donna possa acce-

dere alla parto-analgesia in modo semplice, consapevole e in sicurezza, sarà organizzato un “ PERCORSO” che si articola nelle seguenti tappe: Conferenza informativa La conferenza è tenuta da uno specialista in Anestesia e Rianimazione che dopo avere illustrato i principali aspetti medici, tecnici e organizzativi della parto-analgesia come è praticata presso il nostro ospedale, risponderà ai quesiti che gli verranno posti sull’argomento in questione. La partecipazione alla conferenza è libera, gratuita e non richiede alcuna prenotazione, ma è indispensabile per poter poi ricevere la parto-analgesia. Visita preparto Dopo aver partecipato alla conferenza informativa, le donne che desiderano partorire in analgesia devono sottoporsi ad una visita personalizzata con l’anestesista che valuterà la situazione clinica della futura madre e prescriverà, se non già eseguiti, alcuni esami clinici. Esami clinici Per poter ricevere la parto-analgesia è necessario avere eseguito i seguenti esami del sangue: PT, PTT, PIASTRINE, FIBRINOGENO. Gli esami non

sono indispensabili al momento della visita preparto, ma lo sono prima dell'esecuzione dell'analgesia. Consenso informato Qualunque trattamento sanitario, medico o infermieristico, necessita del preventivo consenso del paziente. Il fine della richiesta del consenso informato è quello di promuovere l'autonoma scelta dell'individuo nell'ambito delle decisioni mediche. La parto - analgesia potrà quindi essere effettuata solo dopo che la futura madre, che ha ricevuto e compreso le informazioni fornite durante la conferenza preparto, avrà firmato il modulo del consenso informato Bibliografia 1. La legge n° 38 del 15 marzo 2010. 2. Gribble RK, Meier PR. Effect of epidural analgesia on the primary cesarean rate. Obstet Gynecol. 1991 Aug;78(2):231-4. 3. Fogel ST, Shyken JM, Leighton BL, Mormol JS, Smeltzer JS. Epidural labor analgesia and the incidence of cesarean delivery for dystocia. Anesth Analg. 1998 Jul;87(1):119-23. 4. Sharma SK, Sidawi JE, Ramin SM, Lucas MJ, Leveno KJ, Cunningham FG. Cesarean delivery: a randomized trial of epidural versus patient-controlled meperidine analgesia during labor. Anesthesiology. 1997 Sep;

ANALGESIA PERIDURALE NEL TRAVAGLIO DI PARTO PROTOCOLLO OPERATIVO SALA TRAVAGLIO RICHIESTA DELLA DONNA OSTETRICA - Accoglie la richiesta di analgesia o ne individua il bisogno - Valuta il reperto ostetrico - Monitorizza e valuta i parametri materni ostetrici e fetali GINECOLOGO -Verifica le condizioni ostetriche (anamnesi ostetrica, score di Bishop) -Verifica benessere fetale (tracciato CTG: attività uterina, BCF) ANESTESISTA -Verifica le condizioni cliniche (anamnesi) -Verifica le condizioni permittenti (parametri vitali: PAO, Fc, Sat % O2, esami di laboratorio, terapie farmacologiche recenti) - Richiede il consenso informato Quindi l’equipe assistenziale (ostetrica + ginecologo + anestesista) -verifica le condizioni permittenti -decide i tempi del posizionamento peridurale -monitorizza l’evoluzione del travaglio.

87(3): 487-94. 5. Segal S, Blatman R, Doble M, Datta S.The influence of the obstetrician in the relationship between epidural analgesia and cesarean section for dystocia. Anesthesiology. 1999 Jul;91(1):90-6. 6. Alexander JM, Sharma SK, McIntire DD, Leveno KJ. Epidural analgesia lengthens the Friedman active phase of labor. Obstet Gynecol. 2002 Jul;100(1):46-50. 7. Zhang J, Klebanoff MA, DerSimonian R. Epidural analgesia in association with duration of labor and mode of delivery: a quantitative review. Am J Obstet Gynecol. 1999 Apr;180(4):970-7. Review. 8. ACOG Technical Bulletin. Dystocia and the augmentation of labor n° 218. Obstet Gynecol, 1995. 9. Howell CJ.Epidural versus non-epidural analgesia for pain relief in labour. Cochrane Database Syst Rev. 2000;(2):CD000331. Review. 10. Beilin Y, Leibowitz AB, Bernstein HH, Abramovitz SE. Controversies of labor epidural analgesia. Anesth Analg. 1999 Oct;89(4):969-78. Review. 11. Lieberman E, O’donoghue C. Unintended effects of epidural analgesia during labor: a systematic review. Am J Obstet Gynecol. 2002 May;186(5 Suppl Nature):S31-68. Review. 12. Halpern SH, Leighton BL, Ohlsson A, Barrett JF, Rice A. Effect of epidural vs parenteral opioid analgesia on the progress of labor: a meta-analysis. JAMA. 1998 Dec 23-30; 280(24): 2105-10. 13. Aveline C, Bonnet F. The effects of peridural anesthesia on duration of labor and mode of delivery. Ann Fr Anesth Reanim. 2001 May;20(5):471-84. Review. French. 14. Leighton BL, Halpern SH. The effects of epidural analgesia on labor, maternal, and neonatal outcomes: a systematic review. Am J Obstet Gynecol. 2002 May;186(5 Suppl Nature):S69-77. Review. 15. Leighton BL, Halpern SH. The effects of epidural analgesia on labor, maternal, and neonatal outcomes: a systematic review. Am J Obstet Gynecol. 2002 May;186(5 Suppl Nature):S69-77. Review. 16. Lyon DS, Knuckles G, Whitaker E, Salgado S. The effect of instituting an elective labor epidural program on the operative delivery rate. Obstet Gynecol. 1997 Jul;90(1):135-41. 17. Scott DB, Hibbard BM. Serious nonfatal complications associated with extradural block in obstetric practice. Br J Anaesth. 1990 May;64(5):537-41.

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ATTUALITÁ

ATTUALITÁ

Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno o Obstructive Sleep Apnea Syndrome (OSAS) Patrizia Scavalli Asl Viterbo - Servizio di Fisiopatologia Respiratoria ed Allergologia | Centro per la cura dei disturbi respiratori sonno-correlati (DRSC) disturbi respiratori del sonno, in particolare la Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno (OSAS), costituiscono un problema frequente e di rilevanza crescente nella popolazione generale sia per il rischio di incidenti, lavorativi e stradali, dovuti alla sonnolenza diurna, sia per le conseguenze cardiovascolari e neurologiche che essa comporta. L’OSAS si può manifestare in tutte le età, con una prevalenza pari al 4% negli uomini e al 2% nelle donne tra i 30 e i 60 anni. Il principale fattore di rischio per OSAS è la condizione di sovrappeso e/o obesità, seguita dalle anomalie anatomiche del nasofaringee, quali l’ipertrofia adenotonsillare (specie nell'età pediatrica) e la deviazione del setto nasale. Altre condizioni, come il collo corto, la retrognazia e la macroglossia sono meno frequenti. Sul piano fisiopatologico l’OSAS si caratterizza per il collasso delle vie aeree superiori ed episodi ciclici di chiusura parziale o completa dell'ipofaringe, che si traducono nella presenza di eventi apnoici e/o ipopnoici (Fig. 1) e, allo stesso tempo, alla riduzione della saturazione in ossigeno del sangue arterioso (SpO2) (ipossiemia); i successivi sforzi inspiratori messi in atto dal soggetto per consentire il passaggio dell'aria possono provocare micro-risvegli ripetuti durante il sonno che rendono quest’ultimo inefficace. A tali meccanismi sono dovuti i sintomi frequentemente lamentati dai pazienti con OSAS, e cioè il russamento e l’eccessiva sonnolenza diurna. Il russamento è un sintomo diffuso nella popolazione generale essendone affetti il 35-45% degli uomini e 15-28% delle donne; pertanto, da solo è poco predittivo di OSAS, diventando più specifico qualora associato alla presenza di pause respiratorie e

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Il principale fattore di rischio per OSAS è la condizione di sovrappeso e/o obesità, seguita dalle anomalie anatomiche del nasofaringee...

Fig 1. Normale pervietà delle vie aeree agli altri sintomi. La sonnolenza eccessiva è il sintomo diurno più frequente: essa è dovuta ad un peggioramento della qualità del sonno e la sua entità può essere valutata in modo soggettivo ed oggettivo utilizzando appositi questionari standardizzati, autosomministrati, quali la Epworth Sleepness Scale (EES). Tale scala prevede la somministrazione di 8 domande a ognuna delle quali viene attribuito un punteggio da 0 a 3: un punteggio totale superiore o uguale a 10 è indicativo di eccessiva sonnolenza diurna e deve indurre pertanto ad un approfondimento diagnostico. Tale sintomo può avere gravi conseguenze essendo responsabile di incidenti stradali e lavorativi dovuti ad improvvisi colpi di sonno. Altri sintomi tipici di OSAS sono: cefalea e secchezza delle fauci al risveglio, alterazione dell’umore, del comportamento e della funzione cognitiva (facile irritabilità, deficit di memoria, attenzione e concentrazione), incontinenza uri-

naria e ritardi di crescita (nei bambini). L’OSAS è largamente sottodiagnosticata: si stima che essa non sia individuata nel 93% delle donne e nell'82% degli uomini con sindrome moderata-grave: in molti casi ciò è dovuto alla sottovalutazione dei sintomi da parte del paziente. Segni clinici spesso associati alla presenza di OSAS sono: indice di massa corporea (BMI) > 29 Kg/m2, circonferenza collo > 43 cm (maschi) o > 41 cm (femmine), anomalie orofaringee in grado di determinare riduzioni del calibro delle prime vie aeree, quali ad esempio, deviazione del setto nasale, ipertrofia dei turbinati e ipertrofia tonsillare. La presenza di OSAS deve essere sospettata sulla base della presenza dei sintomi e segni suddetti. La polisonnografia (PSG) rappresenta il gold-standard per la conferma diagnostica. Essa consiste nella registrazione durante il sonno del flusso aereo nasale, del russamento, dell’attività toraco-addominale, della SpO2, della posizione corporea, del ritmo cardiaco, associato o meno alla valutazione dell’attività cerebrale. Tale esame può essere eseguito, a seconda delle esigenze, in ambito ospedaliero o domiciliare. La PSG permette di quantificare la severità del problema valutando il numero di apnee (interruzioni del flusso aereo per una durata non inferiore a 10 secondi, associate ad una caduta della SpO2≥4%) ed ipopnee (riduzioni del flusso aereo superiore al 50% del valore basale per una durata non inferiore a 10 secondi, associate ad una caduta della SpO2≥4%. Si definisce Indice di Apnea-Ipopnea (AHI) il numero totale di episodi per ora di sonno: un valore > 5/ora di sonno suggerisce la possibile presenza di OSAS. La terapia dell’OSAS prevede, a

Fig. 2. Terapia notturna con cPAP ostruzione al flusso aereo nell’OSAS seconda della severità e della causa sottostante, l’attuazione di specifiche norme comportamentali, l’esecuzione della ventilazione non-invasiva (NIV), il ricorso a interventi chirurgici mirati. Tra le misure comportamentali il dimagrimento è sicuramente l’elemento più importante: una riduzione di solo il 10% del peso corporeo è spesso in grado di migliorare in maniera clinicamente significativa l'indice di apnea-ipopnea. Altre misure utili sono il decubito notturno sul fianco, l’astensione da alcool e sedativi prima di coricarsi, la limitazione dell’abitudine al fumo. La NIV durante il sonno rappresenta il cardine terapeutico dell’OSAS, essendo spesso l’unica terapia efficace per la risoluzione immediata delle apnee e della sintomatologia diurna. Essa consiste nell’erogare una pressione positiva continua (cPAP) durante il sonno in modo da favorire il mantenimento della pervietà delle vie aeree superiori (Fig. 2). Il trattamento chirurgico dell’OSAS è rivolto alla correzione di eventuali difetti anatomici o di anomalie ostruttive delle vie aeree superiori, generalmente indicato dal chirurgo maxillo-facciale o dallo specialista otorinolaringoiatra. Gli interventi più frequenti sono a carico del naso e quelli di tonsillectomia, in particolare nei bambini. L’OSAS: esperienza presso il DRSC di Civita Castellana Nel settembre del 2008 è stato instituito presso il nostro centro di Fisiopatologia Respiratoria a Civita Castellana il Servizio di Polisonnografia (PSG) per la cura dei disturbi respiratori sonno-correlati (DRSC). Da allora ad oggi, Dicembre 2011, sono state effettuate oltre 750

polisonnografie. Fra i pazienti per cui è stata posta diagnosi di OSAS (oltre il 75%) il 72% erano uomini, il 28% donne; l’età media era di 50 anni (range: 30-70) negli uomini e di 55 anni nelle donne (range: 40-60); il BMI medio era di 38 Kg/cm2 negli uomini e di 32 Kg/cm2 nelle donne (Tab 1). I pazienti affetti da OSAS erano per lo più pensionati, impiegati in vari settori e autisti. Il 46% dei pazienti avevano una OSAS grave, il 26% una OSAS moderata ed il restante 28% una OSAS lieve (Tab 1). Circa 100 pazienti risultati affetti da OSAS (46%) sono stati sottoposti a terapia con NIV (CPAP e/o Bi-Level) presso il nostro centro; i restanti pazienti o non hanno aderito alla terapia o sono stati inviati presso gli specialisti otorinolaringoiatri per intervento chirurgico mirato o sono stati seguiti da altri centri (Tab 1). Tra i pazienti trattati presso il nostro Servizio, il 90% ha mostrato un’ottima compliance alla NIV ed ottenuto un controllo ottimale della patologia, dimostrato dalle PSG e dalle pulsos-

simetrie notturne periodiche di controllo; nel restante 10% il controllo della patologia non è risultato ottimale, anche a causa della mancata messa in atto delle misure igienicocomportamentali da parte dei pazienti (Fig 1). Bibliografia

L. Ferini-Strambi, R. Manni, O. Marrone, S. Mondini, C. Spaggiari. Linee Guida di Procedura Diagnostica nella Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno dell'Adulto. Berg S. Obstructive sleep apnoea syndrome: current status. Clin Respir J. 2008 Oct;2(4):197-20.

Tab 1. Caratteristiche dei pz affetti da OSAS presso il nostro centro Uomini

Donne

Sesso (%)

72

28

Età (aa)

50

55

BMI medio (Kg/cm2)

38

32

Distribuzione severità OSAS (%) Lieve 28 Moderata 26 Grave 46

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ATTUALITÀ

ATTUALITÀ

La cataratta Dr. Francesco Ricci, oculista Ospedale San Carlo, Roma Villa Santa Margherita - Villa Serena Montefiascone l’intervento in assoluto più praticato dopo il parto; in Italia ne vengono effettuate circa 300000 l’anno, delle quali il 99% avvengono oramai senza necessità di ricovero. Che cos’è la cataratta? Alcuni pazienti credono che sia un velo che scende da non si sa bene dove!

È

In realtà, si tratta di un fenomeno legato alla progressiva opacizzazione del cristallino. Generalmente questo processo avviene progressivamente e molto lentamente dopo i sessanta anni, anche se si osservano sempre più di frequente cataratte in soggetti giovani. Una volta opacizzatosi il cristallino, si verifica una riduzione significativa del visus con la comparsa di difficoltà nella guida e nella maggior parte delle attività quotidiane. L’unica soluzione è l’intervento chirurgico. La tecnica chirurgica è da diversi anni standardizzata, possiamo suddividere l’intervento in due step: rimozione e sostituzione del cristallino catarattoso con un cristallino artificiale.

È l’intervento in assoluto più praticato dopo il parto; in Italia ne vengono effettuate circa 300000 l’anno, delle quali il 99% avvengono oramai senza necessità di ricovero. 12

Attualmente consigliamo di operare quando i disturbi iniziano a limitare la qualità Fig 1. Cristallino con cataratta pre-op

Fig 3. incisione per introduzione del cristallino artificiale

Fig 2. Visione paziente con cataratta

Fig 4. Lenti accomodative

Negli anni 90 alcune case farmaceutiche hanno a messo in commercio alcuni colliri “anti-cataratta”, ma seppur “incoraggiate” da alcuni pazienti restii a farsi operare, i risultati sono stati molto deludenti. Una domanda importante a cui gli oculisti si trovano a dover rispondere a molti pazienti è: “Quando va operata la cataratta?”.

della sutura. Attualmente consigliamo di operare quando i disturbi iniziano a limitare la qualità di vita del paziente (difficoltà nella guida notturna, presenza di aloni, visione doppia). In altre parole la decisione viene presa dal medico su “indicazione” del paziente.

Fino a qualche anno fa si attendeva che la cataratta divenisse “matura”, in poche parole si aspettava il suo indurimento completo per facilitarne l’asportazione in toto attraverso una grande incisione chirurgica, questo comportava qualche giorno di degenza ospedaliera, un lungo periodo di convalescenza (spesso senza potersi piegare in avanti...) e la necessità di tornare in ospedale per la rimozione

La tecnica che ha rivoluzionato questo tipo di chirurgia prende il nome di facoemulsificazione mediante ultrasuoni. I vantaggi possono essere riassunti in: 1. ridotto trauma chirurgico (incisione i cornea chiara di circa 2.2- 2.8 mm) 2. rapido recupero visivo (minimo astigmatismo indotto); 3. impianto di cristallini artificiali sempre pieghevoli ed efficienti (possibilità di azzerare difetti visivi da vici-

di vita del paziente

Fig 6. Cristallino per miopie elevate

Fig 8. Cristallino artificiale posizionato nel bulbo (fine intervento)

Fig 5. Iniettore da microincisione

Fig 7. Cristallino artificiale multifocale

Fig 9. Rimozione cristallino con facoemulsificatore

no o da lontano o entrambi); 4. anestesia sempre più superficiale (molto più sicura per pazienti anziani o in cura con farmaci anticoagulanti) 5. intervento ambulatoriale senza ricovero; 6. assenza suture.

cendo in maniera drastica i tempi di recupero. Si rese conto dal suo dentista che gli ultrasuoni erano la chiave per risolvere il problema.

ancora a sufficienza. Di pari passo con lo sviluppo tecnologico delle macchine, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’evoluzione incredibile dei cristallini artificiali pieghevoli; fino a pochi anni fa era possibile correggere solo alcuni difetti visivi, con una qualità visiva appena accettabile.

Questo tipo di tecnologia ha reso la chirurgia più prevedibile e sicura con un recupero visivo molto rapido nel post-operatorio. Ma come funziona il Facoemulsificatore? Il primo ad utilizzare questa metodica applicata all’Oculistica è stato il Dr Kelman alla fine degli anni 60’, il suo fine era quello di trovare un modo per asportare la cataratta attraverso una piccola incisione, eliminando la necessità di ricovero ospedaliero, anestesia generale, ridu-

Attualmente utilizziamo la facoemulsificazione per frantumare e rimuovere il cristallino catarattoso direttamente nel sacco capsulare, inserendo con un iniettore nel sacco una lente pieghevole (o cristallino artificiale con un’ottica di circa 5mm). Le moderne macchine ci consentono di utilizzare basse potenze di ultrasuoni e una grande potenza della fluidica con grande sicurezza e una notevole riduzione dei tempi chirurgici. Le tecniche Aqualase, l’energia Laser e l’energia Sonica sono in competizione con la tecnica ad Ultrasuoni, ma a mio parere non sono state sviluppate

Oggi possiamo correggere praticamente tutti i difetti visivi contestualmente alla rimozione della cataratta con lenti di grande qualità ottica. Le ultime novità tecnologiche sono rappresentate dalle lenti Toriche (in grado di correggere l’Astigmatismo preoperatorio), dalle lenti Multifocali (in grado di correggere miopia o ipermetropia e la presbiopia) dalle lenti da microincisione (1,8 mm) e dalle lenti accomodative.

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ATTUALITÁ

ATTUALITÁ

La terapia radiologica del varicocele Dott. Mariano Ortenzi, Dott. Enrico Pofi* - Direttore Struttura Semplice di Angiografia e Radiologia Interventistica Ospedale Belcolle Viterbo - * Direttore Struttura Complessa Diagnostica per Immagini e Radiologia Interventistica Ospedale Belcolle Viterbo Introduzione Il varicocele è una patologia varicosa che interessa la vena spermatica interna, estendendosi al plesso pampiniforme intorno al testicolo. Nella maggior parte dei casi si sviluppa a sinistra ed è asintomatico; tuttavia può essere responsabile di fastidio, sensazione di pesantezza e dolore inguino-scrotale o compromettere la spermatogenesi. La terapia si basa sulla chiusura della vena spermatica interna. Esistono diverse opzioni chirurgiche: legatura retroperitoneale, legatura inguinale, sub-inguinale, tecniche microchirurgiche, interventi di legatura e sclerotizzazione, tecnica laparoscopica. La moderna alternativa alla chirurgia è la terapia radiologica che consiste nell’occlusione della vena spermatica interna mediante sclerotizzazione o sclero-embolizzazione, eseguita per via percutanea in regime ambulatoriale. Si tratta di una procedura interventistica minimamente invasiva, realizzata sotto controllo fluoroscopico in anestesia locale, senza le complicazioni che si possono riscontrare nell’intervento chirurgico e nell’anestesia generale. Può essere effettuata con le stesse modalità anche su bambini o su adolescenti. Rispetto alla chirurgia ha una maggiore percentuale di successo, minore percentuale di recidive, ridotto costo e scarse complicanze e pertanto può essere considerata l’approccio terapeutico di prima istanza. Presso l’Ospedale di Belcolle, la terapia radiologica del varicocele è realizzata con ottimi risultati nella sezione di Angiografia e Radiologia Interventistica del Reparto di Diagnostica per Immagini. Anatomia e fisiopatologia del varicocele Le vene testicolari (superficiali e pro-

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Fig 1. Schema di accesso trans femorale con cateterismo selettivo della vena spermatica interna sinistra fonde) si uniscono e dopo aver raccolto le vene dell'epididimo, risalgono ed entrano a far parte del funicolo spermatico costituendo il plesso pampiniforme. Da quest’ ultimo origina la vena spermatica interna che, a destra, sbocca nella vena cava inferiore ad angolo acuto e a sinistra confluisce nella vena renale ad angolo retto. Le vene spermatiche presentano lungo il loro decorso rare valvole spesso incomplete e sono accompagnate da vene satelliti, variabili per numero, dimensioni e lunghezza, variamente anastomizzate con la vena principale. La relazione tra incontinenza della vena spermatica, dilatazione del plesso pampiniforme e ipofertilità maschile è stata dimostrata in vari lavori della letteratura

(11). Il varicocele è ritenuto la causa più frequente d’ infertilità nell’uomo e colpisce il 9-15 % circa della popolazione maschile (6). Il varicocele interessa prevalentemente la vena spermatica sinistra; la causa di ciò è imputabile alle modificazioni che il sistema venoso addominale subisce durante il periodo embriologico (17 ). Tale processo, che comporta il rimaneggiamento del sistema venoso di sinistra, può determinare: il decorso più lungo della vena renale, l’assenza o l’insufficienza del sistema valvolare rispetto al lato destro, la variabilità di sbocco e di morfologia della vena spermatica interna, la compressione della vena renale sinistra ad opera dell’arteria mesenterica superiore. Ne consegue l’instaurarsi di un regime ipertensivo a livello della vena renale sinistra con reflusso nella vena spermatica interna, sia per mancanza della valvola, sia per sfiancamento dell’ostio valvolare nella vena renale, sia per rifornimento aberrante garantito da uno o più rami del seno venoso renale. Il reflusso determina nel tempo la progressiva dilatazione della vena spermatica e la comparsa del varicocele. Diverse ipotesi sono state formulate per spiegare il danno testicolare che si sviluppa come conseguenza del varicocele, manifestandosi con ipotrofia del didimo ed alterazione della spermatogenesi. Tra le più citate ricorrono: ipossia locale-ischemica, diffusione intratesticolare di radicali liberi, aumento della temperatura intra-scrotale, reflusso di metaboliti renali e surrenalici, aumento della pressione interstiziale. Queste alterazioni possono associarsi a difetti molecolari-genetici che incidono sul grado d’infertilità (19). Molti studi in letteratura suggeriscono la rimozione precoce del varicocele, anche in età adolescenziale, prima dell’instaurarsi del danno cronico (2-7-8-9). L’età migliore per il

Grado

Dilatazione venosa > 3 mm diametro

I II III

assente presente presente

Reflusso venoso + alla manovra di Vaslava + alla manovra di Vaslava presente a riposo

Tabella 1. Grado ECD Varicocele; tratta da Gandini e modificata

Fig 2. Cateterismo selettivo della vena spermatica sinistra che appare marcatamente ectasica; paziente con varicocele di III grado; presenza di vene satelliti dilatate; si effettua sclerotizzazione.

Fig 3. Varicocele di II grado; cateterismo selettivo della vena spermatica di sinistra per via trans-femorale; presenza di vene satelliti dilatate. Si effettua sclerotizzazione.

Fig 4. Presenza di varicocele sinistro alimentato anche da vene aberranti ectasiche provenienti dal seno renale; si effettua sclerotizzazione.

trattamento è tra i 16 ed i 20 anni; oltre i 35 anni la malattia si considera stabilizzata.

le all’inguine o di una vena della piega del gomito; non necessita di anestesia né di sedazione. Il paziente, giunge al reparto di radiologia con gli esami ematochimici necessari per l’iniezione di mezzo di contrasto (MDC) (creatininemia, elettroforesi proteica, emocromo, valori coagulazione AP e PTT); viene quindi posizionato supino sul letto radiologico. Nell’approccio femorale si effettua una piccola anestesia locale. L’accesso trans-brachiale è realizzato a livello della vena basilica (1316). Sotto guida fluoroscopica, mediante un filo guida metallico ed un idoneo catetere del calibro di 2-3 millimetri (4-5 French), si raggiunge la vena cava inferiore, si incannula la vena renale sinistra e poi la vena spermatica interna (Fig 1); con una iniezione di MDC si realizza la venografia che permette di valutare l’ectasia della vena spermatica interna, la presenza di circoli collaterali, di vene satelliti e la dilatazione del plesso pampiniforme (Fig 5). Se il varicocele è localizzato a destra la vena spermatica si incannula direttamente dalla vena cava inferiore. Si possono evidenziare 4 tipi morfologici secondo la classificazione di Lenz: I) vena spermatica interna con ramo unico con o senza sottili rami collaterali; II) duplice sbocco della vena spermatica interna nella vena renale; III) precoce sdoppiamento

della vena spermatica interna in uno o più rami collaterali di consistenti dimensioni; IV) duplice sbocco della vena spermatica interna: uno nella vena renale e uno nel seno renale (14) (Fig. 4). Una volta analizzata l’anatomia si procede alla sclerotizzazione mediante iniezione di farmaco sclerosante nel lume della vena spermatica attraverso il catetere in precedenza posizionato in modo selettivo (4-6 ml di Atossisclerol al 3%: Kreussler & Co. Chemische Fabrik GmbH, o 2-4 ml di Fibro-Vein al 3%: STD Pharmaceutical Products Ltd, comunemente utilizzati per il trattamento delle varici degli arti inferiori) (Fig 2). Per favorire il contatto della sostanza sclerosante con le pareti della vena si crea una schiuma miscelando il farmaco con una piccola quantità d’aria (1-3-4). Al fine di evitare il reflusso della sostanza sclerosante nel plesso pampiniforme con possibile flebotrombosi, si può attuare una moderata compressione esterna del plesso venoso lungo il canale inguinale con un apposito dispositivo meccanico. Normalmente, durante l’iniezione del farmaco sclerosante, il paziente non avverte dolore; in alcuni casi è riferita modesta dolenzia in sede lombare di breve durata. Dopo qualche minuto, attraverso il catetere ancora in sede, si esegue l’iniezione di controllo con MDC che

Diagnostica L’esame obiettivo permette di rilevare l’ectasia del plesso testicolare come uno sfiancamento del sacco scrotale e la presenza di un tessuto soffice alla palpazione, costituito dai gomitoli venosi posti lungo il cordone spermatico, nel canale inguinale e nello scroto. La classificazione di Dubin, basata sull’esame obiettivo, prevede tre gradi di malattia: I grado, in cui la dilatazione è palpabile solo durante la spinta addominale; II grado (diametro 1-2 cm), facilmente rilevabile alla palpazione; III grado ( diametro maggiore di 2 cm), grave, già visibile alla sola ispezione visiva. La diagnosi strumentale è effettuata con l’eco-color-doppler testicolare che consente di valutare le dimensioni del didimo, la dilatazione del plesso pampiniforme e l’entità del reflusso venoso (tabella 1) (3). L’esame del liquido seminale è indispensabile per stabilire la presenza di alterazioni del numero, della motilità e della morfologia degli spermatozoi e per individuare una condizione di ipo-infertilità (18). Terapia radiologica Si esegue in regime ambulatoriale mediante puntura della vena femora-

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Fig 5. Sclero-embolizzazione effettuata con posizionamento di due spirali metalliche nella vena spermatica interna di sinistra. visualizza la chiusura della vena prodotta dell’azione sclerosante del farmaco. Il farmaco, a contatto con le pareti del vaso, determina una reazione infiammatoria acuta che prosegue per alcuni giorni fino alla chiusura completa della vena principale e dei vasi collaterali per trombosi. Nelle vene molto dilatate, oltre al farmaco sclerosante, possono essere posizionate una o più spirali metalliche embolizzanti (Fig 5) fino all’arresto del flusso ematico (sclero-embolizzazione). Il catetere viene quindi rimosso e si attua la compressione manuale del punto di iniezione percutaneo. Il paziente è tenuto in osservazione per circa 1 ora nel reparto di radiologia e successivamente dimesso con la seguente prescrizione: 3 giorni di terapia antiinfiammtoria orale (2 dosi da 100 mg/d di nimesulide; 5 giorni di terapia antibiotica (1 g/d di amoxicillina); 3 giorni di riposo. Il follow-up è effettuato con controlli a 6 - 12 mesi mediante eco-color-doppler. La chiusura del varicocele è dimostrata dall’assenza di reflusso nel plesso pampiniforme durante la manovra di Valsalva. Il successo tecnico della procedura si osserva nel 90-95% dei

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casi di varicocele di II-III grado. Il mancato incannulamento selettivo e profondo della vena spermatica per ragioni anatomiche è raro e non consente l’esecuzione della procedura; esso può essere conseguente alla presenza di valvole continenti, alla tortuosità della confluenza venosa, alla presenza di vene collaterali ectasiche, alle variabilità anatomiche della confluenza, a rifornimenti aberranti (13). Le complicanze sono infrequenti( 4,5%); si tratta di complicanze minori che consistono prevalentemente nella perforazione o rottura della vena spermatica interna ( non comporta dolore né comparsa di ematomi retroperitoneali) e nello spasmo venoso che impedisce la prosecuzione dell’esame; la flogosi acuta del plesso pampiniforme (0,5% ) è trattata con terapia antiinfiammatoria per 10 giorni. L’intera procedura ha una durata di 30-45 minuti con una media fluoroscopica variabile da 3 a 10 minuti (15). In caso d’insuccesso non è preclusa la terapia chirurgica. Terapia chirurgica E’ effettuata in regime di ricovero. -Legatura retroperitoneale (soprainguinale): è la tecnica più diffusamente utilizzata per la cura chirurgica del varicocele. Presenta il vantaggio di essere semplice e gravata da poche complicanze. E’ realizzata in anestesia generale e prevede l'apertura della parete muscolare. Si esegue un'incisione di circa 4-5 cm in fossa iliaca poco sotto all’ombelico. Può essere effettuata la sola legatura della vena spermatica interna (Ivanissevich 1960), o la legatura in blocco di tutto il fascio vascolare (Palomo 1949). La prima ha lo svantaggio di determinare una chiusura spesso incompleta delle vene satelliti e collaterali che, mantenendo il reflusso venoso verso il testicolo, portano in breve tempo alla recidiva del varicocele (circa il 20% dei casi). La seconda ha una percentuale di successo più alta (95%), ma può causare l'interruzione dei vasi linfatici del testicolo con conseguente idrocele (circa il 12% dei casi). -Legatura a livello inguinale: questa metodica ha il vantaggio di poter ispezionare ed eventualmente legare anche le vene extrafunicolari come la spermatica esterna, che possono essere

responsabili di recidive dopo legatura della spermatica interna. Tuttavia, dentro il canale inguinale le vene sono molto numerose e quindi risulta più difficile separarle dall'arteria; per questo motivo la legatura presenta una più alta percentuale d’insuccesso. Richiede inoltre un maggior tempo d’esecuzione per il numero di vene da legare e una elevata accuratezza da parte dell’operatore per evitare di ledere le strutture del funicolo; consente però l’individuazione di tutte le vene ectasiche sia intra che extrafunicolari. -Legatura a livello sub-inguinale: l’intervento non comporta l’incisione del piano fasciale, unitamente ad una minima incisione cutanea; ha il vantaggio di permettere una rapida ripresa del paziente e può essere eseguita in anestesia locale. E’ descritta come il trattamento chirurgico a più bassa incidenza di recidive e complicanze se l'operazione viene condotta con l'ausilio del microscopio (tecniche microchirurgiche). Tuttavia l’impiego di quest’ultimo ne limita l'utilizzo e comporta tempi operatori più lunghi, spesso necessitando di anestesia generale. -Tecnica laparoscopica: la laparoscopia, non comporta un miglioramento dei risultati né una riduzione dell'invasività, essendo sempre necessaria l'anestesia generale. Esistono però i potenziali rischi, anche se rari, di perforazione accidentale di organi endoaddominali e i costi sono nettamente superiori alle tecniche tradizionali per l'utilizzo di apparecchiature sofisticate. Sono raramente utilizzate le seguenti tecniche: -anastomosi microchirurgiche: la vena spermatica viene collegata con la vena grande safena (intervento di Ishigami 1970) o con la vena epigastrica (intervento di Belgrano 1984); -interventi di legatura e sclerotizzazione (Tauber 1994, Marmar 1994) : in anestesia locale si isola il funicolo spermatico, si incannula una delle vene dilatate e si inetta mezzo di contrasto verificando l’opacizzazione della vena spermatica sino allo sbocco in vena renale; si inietta la sostanza sclerosante (sclerotizzazione anterograda) e dopo aver rimosso l’agocannula si procede alla legatura delle vene isolate. In generale le tecniche chirurgiche comportano una percentuale d’insuccesso che arriva al 25%. Le complicanze pos-

sono essere precoci (edema scrotale, idrocele temporaneo da stasi linfatica, parestesie della faccia interna della coscia e dello scroto da irritazione del nervo ileo-inguinale, ematoma a livello del canale inguinale) con tempi di risoluzione intorno ai 10 gg. Le complicanze tardive sono costituite da idrocele persistente (conseguente alla legatura dei vasi linfatici), atrofia testicolare (per danno dell’arteria testicolare), persistenza di varicocele. Indicazioni alla terapia radiologica e conclusioni La terapia del varicocele deve essere effettuata: nel paziente giovane, che presenta alterazione della morfologia, del numero e della motilità degli spermatozoi; nel paziente con dolore scrotale, o con fastidio e pesantezza lungo la faccia interna della coscia; nel paziente con varicocele recidivo dopo terapia chirurgica. L’esame eco-color-doppler deve dimostrare un varicocele di II-III grado. Il varicocele di I grado, in assenza di sintomi e di alterazioni del liquido seminale, in genere non richiede intervento ed è controllato nel tempo. Il trattamento radiologico del varicocele è una procedura interventistica percutanea mini-invasiva che richiede solo l’anestesia locale nella sede di puntura. L’approccio trans brachiale è preferito dal paziente rispetto all’approccio trans femorale e consente il trattamento del varicocele bilaterale con un solo catetere. La visualizzazione delle vene ectasiche in fluoroscopia durante l’iniezione di MDC dal catetere, consente di dosare la quantità di farmaco sclerosante che andrà a distribuirsi nei rami satelliti e collaterali o di usare le spirali embolizzanti, producendo l’occlusione completa della della rete venosa spermatica, riducendo così il rischio di recidiva. Anche le donne, più raramente, possono presentare dilatazione delle vene ovariche ed in particolare della sinistra; il quadro che ne deriva è descritto come varicocele pelvico o ovarico; si manifesta clinicamente con dolori pelvici aspecifici, sensazione di pesantezza pelvica, dolori da congestione durante il rapporto sessuale; il varicocele pelvico è documentabile con l’ ecografia trans vaginale e beneficia dello stesso trattamento radiologico

di sclero-embolizzazione analogamente al varicocele maschile (12). I dati della letteratura sono concordi nel dimostrare che la terapia radiologica del varicocele, con sclerotizzazione o sclero-embolizzazione determina: -il miglioramento significativo del numero e della motilità degli spermatozoi nei pazienti con alterazioni del liquido seminale; - l’ aumento sostanziale del numero di gravidanze in caso di pazienti con alterazioni degli spermatozoi nel pretrattamento (10); - la riduzione o scomparsa del dolore nel varicocele sintomatico; - la riduzione delle recidive rispetto al trattamento chirurgico(5). La facilità d’esecuzione in regime ambulatoriale, l’assenza di anestesia, il ridotto costo, l’alta percentuale di successo, il basso tasso di recidiva e di complicazioni, fanno della sclero-embolizzazione radiologica la terapia di prima scelta nel trattamento del varicocele. Ringraziamenti: si ringraziano i colleghi ed i collaboratori TSRM e IP che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro. Riferimenti: dott. Mariano Ortenzi, Ospedale Belcolle Viterbo, Diagnostica per Immagini e Radiologia Interventistica, Tel–fax 0761.338205; mail: [email protected] Bibliografia

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Iter diagnostico-terapeutico del paziente con aneurisma dell’aorta addominale rotto Dott. Alfredo Borghetti Dirigente U.O. C. Pronto Soccorso POC Ospedale Viterbo AL PRONTO SOCCORSO CON L’ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE ROTTO… PREMESSA Negli USA, ogni anno muoiono circa 15.000 persone a causa della rottura di un aneurisma dell’aorta. La predilezione è per il sesso maschile. Il picco di incidenza nei maschi si ha intorno ai 70 anni di età, mentre molti studi condotti dimostrano che la prevalenza di AAA nei soggetti maschi di 60 anni è di circa il 2-6%, con un'altissima differenza tra i fumatori e i non fumatori (8 a 1) e tra sesso maschile e sesso femminile (4-6 a 1). La rottura di un AAA avviene nel 1-3% dei soggetti di sesso maschile di età uguale o superiore ai 65 anni, con una mortalità del 70-95%. Brevissimo riepilogo anatomofisiopatologico… Il calibro dell’aorta sottoaddominale è 1,5-2 cm; quando è maggiore di due volte e mezzo questo valore (quindi 4 cm) si parla di aneurisma; quando, di converso è inferiore ai 4 cm si parla di ectasia. Gli aneurismi dell'aorta addominale si localizzano generalmente distalmente alla biforcazione delle arterie renali e possono assumere un aspetto sacculato o fusiforme. Il diametro può raggiungere anche i 15 cm con una lunghezza variabile fino a 25cm. Quando il processo patologico si continua caudalmente si può avere l'interessamento aneurismatico delle arterie iliache. Possono inoltre essere distinti 2 ulteriori tipi di AAA: a) gli aneurismi infiammatori dell’aorta addominali, caratterizzati da fibrosi e infiltrazione macrofagica ad eziologia ignota. b) gli aneurismi micotici dell'aorta addominale in cui la placca ateromasica viene infettata da microrganismi circolanti come la Salmonella, provocando

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Gli aneurismi dell'aorta addominale si localizzano generalmente distalmente alla biforcazione delle arterie renali e possono assumere un aspetto sacculato o fusiforme. un indebolimento della tonaca media e un'accelerazione del processo aneurismatico. L'aorta addominale è la più coinvolta dall'aneurisma. Tale reperto può essere spiegato in base alle tipiche condizioni idrodinamiche che caratterizzano il flusso ematico attraverso il segmento addominale dell'aorta. Condizioni genetiche La sindrome di Marfan aumenta il rischio di AAA, in accordo con la maggiore lassità del tessuto connettivo che caratterizza questi soggetti. Inoltre, soprattutto negli individui di genere maschile, si può riconoscere una certa familiarità per gli eventi critici aneurismatici. Condizioni emodinamiche Il flusso nell'aorta toracica e nella prima sezione dell'aorta addominale è un flusso laminare, in accordo con la previsione stabilita dal calcolo del numero di Reynolds. Tuttavia, si può facilmente prevedere che distalmente alle arterie renali, che accolgono il 20% della gittata cardiaca, vi sia un certo grado di flusso turbolento provocato dallo scompaginamento operato dalla biforcazione di tali vasi sulle lamine di flusso. Il flusso turbolento che si genera nella porzione distale alla biforcazione delle arterie renali rende disarmonico lo sviluppo della pressione idrostatica operata dalla colonna ematica; in particola-

re, un flusso turbolento genera una pressione sulla parete di svariate volte superiore rispetto a quella operata dalla flusso laminare, condizione che predispone e sostiene lo sfiancamento delle pareti aortiche. Non solo; mano a mano che il diametro in aorta aumenta, si ha un aumento della tensione radiale esercita dalla pressione sanguigna in accordo con la legge di Laplace. Si consideri inoltre che con l'aumento del diametro del vaso, viene consensualmente ad aumentare una variabile che condiziona positivamente il numero di Reynolds; questo porta ad una turbolenza sempre maggiore, con progressione della malattia vascolare. Condizioni anatomiche La parete dell'aorta è vascolarizzata da capillari (vasa vasorum) che diminuiscono nel tratto sottorenale, che quindi risulta essere meno vascolarizzato. Con il tempo questo tratto è maggiormente predisposto a sclerosi con conseguente ulteriore diminuzione della perfusione (soprattutto per fattori di rischio quali fumo, diabete, ipertensione) e maggiore predisposizione. RICORDIAMO QUINDI CHE… Gli aneurismi dell’aorta addominale, sono comuni tra gli anziani, Aumentano in frequenza e dimensioni con l’età. Si espandono molto più rapidamente degli aneurismi dell’aorta toracica. Circa il 98% degli aneurismi dell’aorta addominale è sottorenale in origine e, spesso, coinvolge le arterie iliache comuni prossimali. Meno del 2% degli aneurismi dell’aorta addominale si estende sopra il livello delle arterie renali, che colpiscono la porzione toracoaddominale dell’aorta, l’asse celiaco, l’arteria mesenterica superiore o le arterie renali. Gli aneurismi dell’aorta addominale devono essere distinti sempre dalla DISSECAZIONE AORTICA. Gli aneurismi aortici sono quasi sempre silenti, finché non raggiungono o

sono vicini al punto di rottura. Una rottura di solito, inizia come una piccola perforazione, tamponata per ore o anche giorni dalla pressione di un coagulo ematico retroperitoneale In un contesto anamnestico ed obiettivo suggestivo, la diagnosi di AAA si fonda sulla tomografia assiale computerizzata con e senza mezzo di contrasto, in grado di dare informazioni sull'estensione dell'aneurisma, sulla possibile rottura o dissecazione e sulla presenza di trombosi. La TAC deve essere eseguita con sezioni di 3 mm per conoscere bene le misure del colletto prossimale, del colletto distale, dell'aneurisma e del calibro, per sapere di che misura deve essere la protesi. Tre sintomi: • Shock, • Massa addominale pulsante, •Distensione dell’addome da emoperitoneo, cioè accumulo di sangue nel peritoneo. All’esame obiettivo l’unica tecnica di dimostrato valore per l'individuazione di un AAA risulta la palpazione dell'addome mirata alla rivelazione di un'aorta aumentata di diametro. Anche se un reperto positivo all'esame obiettivo aumenta notevolmente la probabilità di avere un AAA, meno della metà dei pazienti ad alto rischio con sospetto clinico avranno una conferma diagnostica, e solo un quarto avranno un elevato rischio di rottura (diametro > 5 cm). Pertanto qualora si sospetti una rottura dell'aneurisma, gli studi di imaging si impongono a prescindere dai reperti obiettivi addominali. Infine sia l'obesità (in particolare una circonferenza vita >100cm) che una palpazione addominale non mirata sembrano ridurre la sensibilità della palpazione. Uno degli errori da evitare è quello di cercare di correggere lo stato ipotensivo. Ci si trova davanti ad un pz che ha 80 mmHg di PAO e 120 di freq e si può pensare che sia corretto somministrare farmaci che aiutino a riportare la pressione a valori migliori, di normotensione. Questo è un grandissimo errore, perché aumentando la pressione del pz si eleva anche il rischio di emorragie. Quindi anche se la PAO del pz è a 60-70 mmHg non si devono usare farmaci atti ad incrementare la pressione arteriosa. L’accuratezza del solo esame obiettivo, nel porre la dia-

gnosi precisa di aneurisma dell’aorta addominale, va dal 30 al 90%, e nei rimanenti casi, che potremmo definire “sintomatici”. Il quadro clinico esordisce con DOLORE ADDOMINALE vago, non continuo e poco localizzato. Se c’è una veloce espansione dell’aneurisma, il sintomo “dolore” diventa importante, e dipende dalla trazione che la massa pulsante esercita sul retroperitoneo. Di solito, il dolore è EPIGASTRICO, diviene costante e si irradia posteriormente, al rachide dorsolombare. La ROTTURA dell’aneurisma deve essere sospettata dove il dolore si associ ai segni dello shock. L’aneurisma comprime le strutture vicine, e ciò provoca sintomi, quali la LOMBOSCIATALGIA. Può coesistere erosione-compressione di un certo numero di vertebre, disturbi della canalizzazione intestinale, da compressione, ( in pratica, l’aumento di volume dell’aorta crea una pressione sull’intestino e il transito degli alimenti in parte assorbiti, e in parte trasformati in materiale fecale, è ostacolato). Altro reperto compatibile è rappresentato da IDRONEFROSI, dovuta a compressione ureterale. Pezzettini di trombo aneurismatico possono essere causa della formazione di un embolo, con conseguente ischemia acuta degli arti inferiori (in pratica, alle gambe giunge una quantità di sangue minore - insufficiente). Si può dire che la patologia aneurismatica progredisce in modo asintomatico, generalmente, finché non si arriva alla rottura, che inevitabilmente si manifesta. La rottura dell'aneurisma può portare a morte in tempi brevissimi. IL QUADRO CLINICO CHE SI PRESENTA ALL’ACCESSO IN PRONTO SOCCORSO Se la rottura dell’aneurisma si realizza direttamente nel cavo addominale, rapidamente si crea un quadro di shock emorragico. Se le strutture anatomiche vicine all’aneurisma riescono a tamponare l’emorragia, il paziente può giungere al TAVOLO OPERATORIO, anche se in condizioni gravi, e con una mortalità del 50%. Un aneurisma può essere sospettato a volte, dopo che è stata eseguita una rx addominale per altri motivi. Una proiezione anteroposteriore può indicare una calcificazione aortica curvilinea vicina alla linea mediana, ma la cal-

cificazione può essere vista meglio in una proiezione laterale, che può evidenziare il profilo delle pareti calcifiche, anteriore e posteriore, dell’aneurisma. L’ecografia è il metodo di scelta per confermare la diagnosi. Essa è virtualmente accurata nel 100% dei casi, fornendo informazioni precise su dimensioni, forma e localizzazione dell’aneurisma. La probabilità di rottura è direttamente correlata al diametro trasverso e a quello anteroposteiore dell’aneurisma e inversamente correlata alla sua lunghezza. La rottura non è probabile quando il diametro è < 5 cm; quando il diametro è maggiore, la frequenza di rottura aumenta rapidamente. Qualche volta, il primo sintomo è rappresentato dal crearsi di una fistola aorto – enterica (tra aorta e intestino), causata dall’erosione, da parte dell’aneurisma, della terza porzione del duodeno, con perdita di sangue attraverso il cavo orale e le feci, il tutto accompagnato da dolore addominale e lombare. LA DIAGNOSI La diagnosi di AAA si basa sull’esame obiettivo e su tecniche diagnostiche per immagini, la ECOTOMOGRAFIA, la ECO-COLOR DOPPLER, la TC, SPINALE, l’AORTOGRAFIA RADIOGRAFICA, la RISONANZA MAGNETICA e l’ANGIO-RISONANZA MAGNETICA, tecniche che permettono anche di misurare l’aneurisma. ASINTOMATICI SINTOMATICI: DOLORE EPIGASTRICO, DOLORE LOMBARE, COMPRESSIONE VIE URINARIE, TUBO GASTROENTERICO, ISCHEMIA ACUTA PERIFERICA-TROMBOEMBOLIA, AAA ROTTO, SCHOK + DOLORE ADDOMINALE PIU’ LOMBARE, SCHOK + SANGUINAMENTO INTESTINAELE, EDEMI ARTI INFERIORI SCOMPEMSO CARDIACO. BIBLIOGRAFIA

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Rischio Psicosociale: aspetti legislativi, preventivi, formativi nei contesti sanitari Dr. Simona Apolito - Psicologa, psicoterapeuta Dr. Simona De Simoni - Psicologa, psicoterapeuta AUSL VT

PRIMA PARTE 1.La salute in ambito lavorativo: un bene individuale e collettivo irrinunciabile 2.Il rischio da stress lavoro correlato e la normativa legislativa 3. Definizione dello stress e dello stress lavoro correlato: responsabilità dei datori di lavoro e dei lavoratori 4. Conclusioni SECONDA PARTE 1. I Corsi ECM sul rischio psicosociale per medici, psicologi e personale socio-sanitario svolti all’ Ordine dei Medici di Viterbo 2. Conclusioni 3. Bibliografia PRIMA PARTE La salute in ambito lavorativo: un bene individuale e collettivo irrinunciabile La salute è di sicuro il bene più prezioso che abbiamo, tale da non poter essere scambiato neanche con dei reali bisogni occupazionali. Pertanto è fondamentale per i professionisti avere e mantenere una qualità della vita lavorativa soddisfacente, capendo, affrontando e prevenendo i fattori che a volte possono ostacolare il benessere lavorativo causando stress lavoro correlato. Schopenhauer afferma nei suoi Aforismi: “I nove decimi della nostra felicità si fondano sulla salute. Quando siamo in buona salute tutto diventa sorgente di piacere, mentre, al contrario, nessun bene esteriore di qualsiasi natura esso sia, è godibile; perfino gli altri beni soggettivi (le qualità dello spirito, dell’animo, del temperamento) vengono ridotti e guastati da una salute cagionevole”… “La maggiore tra tutte le sciocchezze è quella di sacrificare la salute per qualsiasi cosa sia, guadagni, promozioni, cultura, fama, per non parlare poi dei piaceri e dei godimenti passeggeri”. In termini di stress l’operatore socio-

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sanitario si trova a dover gestire con le proprie risorse, spesso limitate, incertezze personali, familiari, lavorative e sociali. Il Sistema Sanitario Nazionale attraversa un periodo di profonda trasformazione con l’identificazione di nuove regole di gestione e di funzioni che si ripercuotono sulla vita dell’operatore chiamato ad adattarsi a questa nuova situazione e riprogrammare obiettivi e progetti futuri, sia personali sia aziendali. Le stesse tensioni vengono vissute nelle istituzioni private dove regole apparentemente più rigide disciplinano i contratti di lavoro. Il patrimonio delle aziende che erogano servizi per la salute è fondamentalmente costituito da persone, tanto che il “capitale umano” è considerato oggi un bene prezioso da tutelare e incentivare. Molti sono gli studi di settore nell’ambito delle risorse umane. La produttività e il benessere nei luoghi di lavoro sono al centro dell’attenzione degli psicologi sociali e del lavoro al fine di conoscere e approfondire quali siano i fattori e i meccanismi che sostengono l’agire umano e determinano il benessere individuale e collettivo. Ai fini dell’intervento è cruciale saper identificare e valorizzare le variabili individuali e di

gruppo (atteggiamenti, convinzioni, disposizioni, motivazioni e comportamenti) che negli specifici contesti organizzativi possono concorrere al conseguimento degli obiettivi e rafforzare il legame tra individuo e organizzazione, assicurandone la migliore integrazione. Le categorie di lavoratori più esposti a sviluppare stress correlato al lavoro sono le helping professions che richiedono particolari competenze e una precisa propensione al rapporto umano e all’empatia; in questi casi il carico emotivo ha un peso maggiore connesso alla tipologia stessa della mansione svolta, anche quando l’operatore appare ben motivato e soddisfatto della scelta professionale. Nei due corsi ECM sul Rischio Psicosociale (Rischio psicosociale: strumenti e tecniche di valutazione, prevenzione e intervento e Rischio psicosociale: aspetti legislativi, informativi, preventivi e formativi nei contesti sanitari) tenuti nel 2011 presso la Sala Conferenze dell’Ordine dei Medici di Viterbo che gentilmente ha accolto la nostra richiesta, mostrandosi sensibile ad un tema di fondamentale risonanza sociale e culturale e organizzando in breve tempo ben due corsi ECM, abbiamo affrontato

temi come: l’importanza della comunicazione efficace nella relazione operatore paziente, la comprensione, la valutazione e la prevenzione dei fattori individuali ed organizzativi riguardanti lo stress lavoro correlato. Inoltre sono state introdotte tecniche psicopedagogiche formative per una conoscenza esperienziale. Il rischio da stress lavoro correlato e la normativa legislativa. Lo stress da lavoro è considerato, a livello internazionale, un problema sia dai datori di lavoro che dai lavoratori. Avendo individuato l’esigenza di un’azione comune specifica in relazione a questo problema e anticipando una consultazione sullo stress da parte della Commissione, le parti sociali europee hanno inserito questo tema nel programma di lavoro del dialogo sociale 2003-2005. Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro. Lo scopo dell’accordo è migliorare la consapevolezza e la comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, attirando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza di problemi di stress da lavoro. L’obiettivo di questo accordo è quello di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello operativo che consenta di individuare e di prevenire o gestire i problemi di stress da lavoro. Lo stress lavorativo è definito come lo squilibrio che viene a crearsi in un individuo tra le risorse disponibili e le richieste che provengono sia dal mondo interiore sia dall’esterno, non riuscendo più a rispondere in modo adeguato ai propri obiettivi e alle richieste della struttura e del paziente. Da ciò deriva un decremento in termini di produttività che si rivela frustrante per l’operatore e dannoso per colui che dovrebbe usufruire del servizio erogato, ossia il paziente. L’attuale quadro normativo di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, costituito dal Decreto Legislativo 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni, oltre ad aver specificamente individuato lo “stress lavoro-correlato” come uno

La maggiore tra tutte le sciocchezze è quella di sacrificare la salute per qualsiasi cosa sia, guadagni, promozioni, cultura, fama, per non parlare poi dei piaceri e dei godimenti passeggeri dei rischi oggetto sia di valutazione, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004, puntualmente richiamato dal decreto stesso, sia di una conseguente adeguata tutela, ha altresì demandato alla Commissione Consultiva permanente per la salute sicurezza del lavoro, il compito di “elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato”. La valutazione del rischio stress lavoro-correlato va condotta secondo le indicazioni già individuate per altri rischi lavorativi poiché è parte integrante della valutazione generale dei rischi, sulla base del modello consolidato previsto dai recepimenti delle direttive europee. La valutazione del rischio, di per sé, non riduce lo stress lavoro-correlato, ma facilita il percorso finalizzato all’adozione di misure correttive. Questo sottolinea l’importanza di integrare la componente psicologica della dimensione collettiva delle organizzazioni e la sicurezza

dei luoghi di lavoro. Deve essere effettuata dal datore di lavoro avvalendosi del responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). Si articola in due fasi: - valutazione preliminare oggettiva: somministrazione di questionari per la rilevazione dell’indicatore del livello di rischio stress lavoro correlato e produzione del DVR, se risulta dagli indicatori un rischio lieve, il lavoro termina e ci si riserva di fare solo dei monitoraggi a distanza di un anno. - valutazione secondaria soggettiva: se da questa risulta un livello di rischio medio si realizzano interventi di informazione e formazione di gruppo rivolti a tutto il personale di ciascun livello dell’azienda in esame, se il rischio è alto vengono realizzati interventi diagnostici psicologici individuali. E’ importante definire uno strumento di rilevazione delle dimensioni psicosociali delle organizzazioni del lavoro. Lo strumento deve avere un’attendibilità e una validità statistica, garantire una valutazione oggettiva, una affidabilità nel tempo. Inoltre è fondamentale una verifica e un monitoraggio periodico sull’andamento del fenomeno. 2.1 Attuazione e controllo nel tempo In base all’art. 139 del Trattato questo accordo-quadro europeo volontario impegna i membri dell’UNICE/ UEAPME, del CEEP e della CES (e del Comitato di Collegamento EUROCADRES/CEC) ad implementarlo in accordo con le procedure e le pratiche proprie delle parti sociali nei vari Stati membri e nei paesi dell’Area

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La situazione lavorativa rafforza la salute e il benessere personale e l’accesso al mercato del lavoro e il mantenimento del posto di lavoro migliorano globalmente la salute della popolazione. Economica Europea. I firmatari invitano anche le loro organizzazioni affiliate nei paesi candidati ad attuare questo accordo. L’implementazione di questo accordo sarà effettuata entro tre anni dalla data della sua firma. Le organizzazioni affiliate notificheranno l’applicazione dell’accordo al Comitato del dialogo sociale. Nel corso dei primi tre anni successivi alla firma dell’accordo il Comitato del dialogo sociale predisporrà una tabella annuale riassuntiva della situazione relativa all’implementazione dell’accordo. Nel corso del quarto anno il Comitato redigerà un rapporto completo sulle azioni intraprese ai fini dell’attuazione dell’accordo. I firmatari valuteranno e riesamineranno l’accordo in qualunque momento su richiesta di uno di loro una volta trascorsi cinque anni dalla data della firma. In caso di domande in merito al contenuto dell’ accordo le organizzazioni affiliate interessate possono rivolgersi congiuntamente o separatamente ai firmatari che risponderanno loro congiuntamente o separatamente. L’attuazione di questo accordo non costituisce un valido motivo per ridurre il livello generale di protezione concesso ai lavoratori nell’ambito di questo accordo. 2.2 Decreto Legislativo del 9 Aprile 2008 Premettiamo che già ai sensi del D.Lgs 626/94 i risultati della valutazione dei rischi dovevano essere esposti in una relazione obbligatoria nota come “Documento di Valutazione dei Rischi” (DVR), la quale doveva necessariamente contenere i criteri adotta-

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ti per la valutazione, nonché le eventuali misure preventive e correttive ritenute più idonee a garantire nel tempo i livelli di sicurezza. In base alle norme contenute nel D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 e le indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro nominata dal Ministero del Lavoro, elaborate nel documento del 17 novembre 2010 affermano che la valutazione del rischio stress lavoro correlato è parte integrante della valutazione generale dei rischi presente negli ambienti di lavoro e deve essere effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro, avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RSL). Inoltre viene previsto che la data del 31 dicembre 2010, decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1-bis del D.Lgs n. 81/2008, debba essere intesa come data di avvio delle attività di valutazione del rischio stress lavoro correlato. Definizione dello stress e dello stress da lavoro – Responsabilità dei datori di lavoro e dei lavoratori Alcuni autori definiscono lo stress come: “Una reazione aspecifica dell’organismo a quasi ogni tipo di esposizione, stimolo e sollecitazione” (Seyle 1936); “Reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifestano quando le richieste lavorative non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore” (National Institute for Occupational

Safety and Health, NIOSH 1999). Stress e Lavoro: alcuni dati europei -- Lo stress è il secondo problema di salute legato all’attività lavorativa riferito più frequentemente. -- Il 22% dei lavoratori dichiara di essere soggetto a stress (dopo il mal di schiena col 28%). -- Dagli studi condotti emerge che più del 50% di tutte le giornate lavorative perse è dovuta allo stress. -- Il costo economico dello stress legato all’attività lavorativa nell’UE è di circa 20 Miliardi di EURO. -- Il numero di persone che soffrono di stress legato all’attività lavorativa è destinato ad aumentare. Oltre 2 milioni e 800 mila persone riconoscono proprio nell’attività lavorativa le cause dei propri problemi di salute. Le donne, con il 5,4%, mostrano una maggiore esposizione degli uomini (4,1%). Se si guarda all’età dei lavoratori più vulnerabili dal punto di vista psicologico, si trovano soprattutto persone di 35-44 anni. Altri dati interessanti: Il 50% degli insegnanti dichiara di soffrire di stress lavoro correlato Il 35% delle Forse dell’Ordine Il 30% del personale che lavora in Sanità Il 20% degli operai In Europa il 22% dei lavoratori che lavora in Sanità dichiara di soffrire di stress lavoro correlato In Italia il 27% dei lavoratori che lavora in Sanità dichiara di soffrire di stress lavoro correlato In Europa un lavoratore su tre circa soffre di stress lavoro correlato e vengono persi in Europa circa il 50%

di giorni lavorativi per assenze dovute a motivazione collegate allo stress lavoro correlato Da Fulvio Giordana (Palermo 2011) Cosa stressa di più gli operatori sanitari: Non ricevere aiuto per i propri problemi personali (38%) Non riuscire a non prendersela per le critiche (33%) Non sentirsi a proprio agio quando si è al centro dell’attenzione (16%) Non sentirsi una persona con i nervi saldi (13%) Non riuscire a concentrarsi (13%) Non sentirsi calmi e rilassati (12%) Sentirsi inferiori agli altri (12%) Le donne tendono ad essere più stressate degli uomini (Gigantesco 2004) Conclusioni Dai dati sovraesposti si evince che lo stress da lavoro oggi è un fenomeno purtroppo presente in maniera consistente e preoccupante all’interno delle organizzazioni. In particolare sono maggiormente a rischio le professioni socio sanitarie, dove è quotidianamente presente il contatto con la sofferenza umana. Per far fronte a tale problematica la Commissione Europea imposta una nuova strategia comunitaria 20072012 che conferma la necessità di promuovere un approccio globale al benessere sul luogo di lavoro. La situazione lavorativa rafforza la salute e il benessere personale e l’accesso al mercato del lavoro e il mantenimento del posto di lavoro migliorano globalmente la salute della popolazione. Occorre perciò promuovere il mutamento dei comportamenti dei lavoratori e approcci orientati alla salute presso i datori di lavoro. Ogni professionista sanitario nel suo lavoro clinico accanto al lavoro tecnico svolge un’attività basata soprattutto sulla comunicazione e sulla relazione con i pazienti. Il lavoro clinico prevede per l’operatore il coinvolgimento di aspetti emotivi, comportamentali e cognitivi. È importante pertanto tenere in considerazione l’aspetto di prevenzione e valutazione. In particolare, come già detto sopra, con il D.Lgs 9 Aprile 2008/n.81, la valutazione del rischio stress lavoro correlato è parte integrante della valutazione generale dei rischi presente negli

ambienti di lavoro e deve essere effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro, avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RSL) che devono vigilare sulla sua corretta applicazione, nella tutela della salute dei lavoratori. SECONDA PARTE La nostra esperienza con medici, psicologi e personale socio-sanitario ECM presso la Sala Conferenze dell’Ordine dei Medici Nel primo corso ECM rivolto a medici, psicologi, psicoterapeuti e infermieri che abbiamo condotto presso la Sala Conferenze dell’Ordine dei Medici di Viterbo, dal titolo Rischio psicosociale: strumenti e tecniche di valutazione, prevenzione e intervento, sono state affrontate le diverse tematiche inerenti l’ambito dello stress lavoro correlato. Questo Corso si è svolto in quattro giornate, 30 aprile, 14 e 28 maggio, 11 giugno 2011 e ha riguardato il tema del rischio psicosociale, illustrandone gli strumenti, le tecniche di valutazione, prevenzione e intervento. Nella prima giornata ci sono state esposte le seguenti relazioni: Epidemiologia ed incidenza del rischio psico-sociale nel personale sanitario: il costo per le aziende (Dr. G. Cimarello) La comunicazione nel rapporto operatore-paziente: valutazione, strumenti e tecniche di intervento (Dr. S. De Simoni) Neurobiologia dello stress e terapie appropiate (Dr. A. Bisogno) Aspetti relazionali nel modello assistenziale (A. Corsetti). La prevenzione del disagio lavorativo, valutazione e strumenti (Dr. S.Apolito) Al termine dell’ultima relazione e collegato al tema degli incontri successivi riguardante gli interventi formativi, abbiamo presentato uno strumento valutativo: il questionario S.A.R. “Scala Alessitimica Romana”. Si tratta di uno strumento messo a punto dai ricercatori Baiocco, Giannini e Laghi dell’Università “La Sapienza” di Roma, Facoltà di Psicologia, nel 2005. La

S.A.R. valuta le capacità di riconoscere, esprimere e verbalizzare le proprie emozioni e individua una modalità relazionale basata su uno specifico stile cognitivo-affettivo. Questo questionario viene usato con gli operatori e con gli studenti delle professioni socio-sanitarie al fine di individuare l’insorgenza dello stress lavoro correlato, dato che in questi ambiti dove il contatto continuativo con la sofferenza può diventare particolarmente stressante, soprattutto per chi ha più difficoltà a tenere sotto controllo le emozioni. Lo strumento prende in esame cinque fattori: 1. Espressione somatica delle emozioni 2. Difficoltà ad identificare le proprie emozioni 3. Difficoltà a comunicare agli altri le proprie emozioni 4. Pensiero orientato esternamente 5. Mancanza di empatia Abbiamo chiesto ai partecipanti se erano d’accordo a compilare in forma anonima i questionari e a riconsegnarceli per la siglatura e l’elaborazione, questo al fine di evidenziare eventuale elementi di rischio lavoro correlato e poter quindi intervenire a livello formativo attraverso le tecniche presentate negli incontri successivi, tutti i partecipanti si sono dimostrati favorevoli alla proposta e si è realizzata la somministrazione. Presentazione dei risultati – calcolo dei punteggi. I nostri risultati.

In Europa il 22% dei lavoratori che lavora in Sanità dichiara di soffrire di stress lavoro correlato... 23

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Considerazioni Nel campione in esame prevale il genere femminile, con un 62% di donne e un 38% di uomini ed è presente una netta prevalenza di medici (71%) seguiti da psicologi (21%) e infermieri (8%). I risultati rivelano punteggi orientati su un rischio sostanzialmente basso in tutti e cinque i fattori, concentrandosi in generale su un livello medio. Osservando il confronto tra i fattori si denota nel primo fattore “espressione somatica delle emozioni” un punteggio di disagio “lieve” del 78%, “normale” del 22%, evidenziando una difficoltà ad esprimere le proprie emozioni e ad essere in contatto con il proprio Sé interiore. Nel secondo fattore “identificare le proprie emozioni”, il disagio “lieve” è notevolmente più basso, 44%, e prevale un punteggio “normale” (56%). Nel terzo fattore “difficoltà a comunicare agli altri le proprie emozioni” compare un disagio del 6%, un disagio lieve dell’83% e normale dell’11%. Questo indica in maniera evidente la difficoltà nella comunicazione delle proprie emozioni. È un dato interessante, innanzitutto perché, come abbiamo detto, il campione è per la maggior parte composto da medici, in secondo luogo perché evidenzia uno dei maggiori fattori di rischio stress lavoro correlato: la carenza di una adeguata comunicazione. Pertanto, come diremo in seguito, in questo caso sono necessari interventi di formazione basati sull’apprendimento di una comunicazione efficace: la comunicazione assertiva. Ogni operatore socio sanitario nel suo lavoro clinico, accanto alla professionalità tecnica, svolge un’attività in cui gli aspetti della comunicazione e della relazione sono essenziali. È infatti in queste professioni che si realizza un entrare in contatto con l’altro attraverso diversi livelli contemporanea-

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mente presenti: verbale, paraverbale, analogico. Nell’analisi del quarto fattore “pensiero orientato esternamente” compare un disagio del 6%, un disagio lieve del 39% e normale del 55%. Meno differenze dunque rispetto al precedente fattore tra i livelli “lieve” e “normale”, ma comunque è presente un disagio del 6%, ad indicare quanto scarso sia il contatto con il Sé e quanto prevalgano gli aspetti pratici su quelli simbolici. Nel quinto fattore “mancanza di empatia” il punteggio si orienta su un livello normale per il 61 % e lieve per il 39%. Di fatto il nostro campione si è rivelato piuttosto empatico nel contatto con gli altri. Il confronto tra i cinque fattori è illustrato dal grafico 6. Nelle successive giornate si è parlato del modello dell’Ipnosi Ericksoniana, del Modello Cognitivo, del Problem Solving, dello Psicodramma Analitico, del RolePlaying e del Focus Group. Facendo partecipare i discenti a lezioni che si sono svolte sia attraverso l’esposizione di concetti teorici che attraverso esercitazioni esperienziali. Si è infine parlato delle tecniche di rilevazione del rischio-psicosociale e di modelli teorici di intervento sulla comunicazione operatore-paziente. Abbiamo proposto diversi orientamenti teorici per permettere all’utente partecipante al corso di avvalersi di una metodologia quanto più vasta possibile di formazione sia teorica che esperienziale. Ricordiamo che la formazione è un’attività educativa sul sapere il cui obiettivo è educare in merito alle relazioni e alla comunicazione tra individui in un gruppo di lavoro. Riguarda la tutela della salute poiché si occupa del benessere degli individui in ambito lavorativo. Nei percorsi formativi si lavora sulle difficoltà o sui problemi di comunicazione, che possono riguardare: le dinamiche di

gruppo, i problemi con i pazienti e/o con i familiari, la gestione di un problema lavorativo. I risultati del corso sono stati sorprendenti in termini di apprendimento da parte dei partecipanti, sia per quanto ha riguardato la parte teorica, sia la parte pratica. Siamo perciò contenti di poter dire che il nostro ECM ha rappresentato non solo una necessaria informazione su un tema tanto attuale e necessario, ma anche la trasmissione di modalità nuove ed efficaci di prevenzione e gestione dello stress lavoro correlato. Il secondo ECM si è svolto il 27 giugno 2011 e ha preso in esame il rischio psicosociale negli aspetti legislativi, informativi, formativi e preventivi nei contesti sanitari. Era più specificatamente rivolto ai datori di lavoro e ai direttori sanitari, ma sono stati presenti anche molti medici con funzioni diverse e altre figure professionali appartenenti all’ambito sanitario. Il corso si è aperto con la presentazione del dott. G. Cimarello che ha esposto l’incidenza del rischio psicosociale nel personale sanitario, illustrando i costi per le aziende. Successivamente la dott.ssa De Simoni ha presentato una panoramica sui possibili interventi informativi, preventivi e formativi nei contesti sanitari. Tra gli interventi formativi, oltre alla già citata tecnica del roleplaying, si utilizza anche la tecnica del Focus Group. Questo metodo consiste in una discussione guidata in piccolo gruppo con la presenza di un moderatore su un argomento che si vuole indagare in profondità. Serve a conoscere le percezioni, atteggiamenti, opinioni, emozioni di un gruppo riguardo a un tema specifico; pone l’attenzione sugli aspetti psicologici e culturali. Favorisce la discussione, il confronto interpersonale e la comunicazione tra i partecipanti. Questa tecnica formativa è stata scelta dalla Commissione Consuntiva

del Ministero del Lavoro, come tecnica elettiva per gli interventi correttivi nei confronti dello stress lavoro correlato. La successiva relazione, della dott.ssa Apolito, ha riguardato la presentazione di diversi strumenti di valutazione usati nell’ambito della prevenzione del disagio lavorativo. In seguito si sono svolte esercitazioni pratiche e discussioni di casi clinici seguiti da una prova finale. Conclusioni L’esperienza da noi vissuta come organizzatori e docenti dei corsi ECM “Rischio Psicosociale: strumenti e tecniche di valutazione, prevenzione e intervento”; “Rischio Psicosociale: aspetti legislativi, interventi informativi, preventivi, formativi nei contesti sanitari” ci ha arricchito sia come professionisti che come formatori. Parlare di stress correlato al lavoro è oggi quanto mai attuale e purtroppo in moltissime, forse troppe istituzioni, una difficile realtà quotidiana. È importante per le aziende essere a conoscenza, come da obbligo di legge, delle normative relative alla valutazione del rischio da stress, considerato, ripetiamo, al pari degli altri fattori di rischio. Infatti i datori di lavoro hanno l’obbligo di compilare il DVR e di procedere alla valutazione del rischio. In seguito, in base al grado di rischio rilevato – alto, medio, basso - si applicano le relative misure: interventi di informazione , di formazione per tutto il personale, fino a interventi di diagnosi individuale. Non si tratta per le organizzazioni solo di un obbligo di legge, ma di sensibilizzazione umana volta alla tutela della salute dei lavoratori, e questo in ultima analisi può anche essere letto in termini di vantaggi per le aziende, poiché il lavoratore che sta bene e non è stressato assiste meglio il paziente. Le tecniche da adottare nel caso di interventi formativi possono essere diverse, sia teoriche che espe-

rienziali. Noi abbiamo proposto quattro fondamentali modelli teorici a confronto: il gruppo psicodinamico e la tecnica del Role-Playing, la teoria cognitiva e il Problem Solving, l’Ipnosi Ericksoniana e il Focus Group. Con notevole soddisfazione da parte nostra, abbiamo ottenuto un piacevole riscontro dei partecipanti, sia nella proposta diversificata in quanto a teorie di riferimento, sia nelle tecniche mostrate, tutte esperienziali, pratiche e di immediata attuazione. Il gruppo si è amalgamato in modo produttivo e ha creato lui stesso proposte innovative e funzionali come soluzioni a problemi legati a stress lavoro-correlato. Siamo inoltre stati soddisfatti di aver raggiunto gli obiettivi che ci eravamo inizialmente proposti: fornire ai partecipanti un aggiornamento normativo, medico, formativo, informativo in merito alle conoscenze del medico su questo interessante argomento di rilevanza sociale, permettendo l’indispensabile apprendimento di strumenti e tecniche per prevenire il rischio psico-sociale e attuare una corretta dimensione comunicativo-relazionale sia con i pazienti che con ifamigliari che con i colleghi. Bibliografia

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LINEE GUIDA IN TEMA DI ABUSO SUI MINORI • PARTE 2°

8. Procedure operative 8.1 La rete: organizzazione dei servizi integrati Data la complessità e i possibili livelli di gravità delle situazioni di abuso, nell'affrontare il problema è possibile pensare agli interventi sugli abusi all'infanzia in rapporto a due diverse condizioni: A) Intervento in Urgenza B) Intervento Programmabile A) Intervento in Urgenza Tipologie delle urgenze Urgenze oggettive: sono situazioni oggettive di maltrattamenti fisici (sindrome bambino battuto, ustioni, ecc.), di abusi sessuali o patologie della somministrazione delle cure (in particolare condizioni di abbandono, incidenti domestici legati a violenza o incuria, Sindrome di Munchausen per

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procura, chemical abuse). Urgenze soggettive sono situazioni di sospetto o di convinzione di abuso soggettivamente tenute da familiari o da professionisti con connotazione emotiva di preoccupazione ed angoscia. L'intervento Le situazioni di urgenza richiedono disponibilità di strumenti facilmente accessibili, e strutture in grado di fornire un adeguato e pronto intervento nella situazione oltre ad un attento lavoro di collegamento tra i Servizio Territoriale, le Strutture Ospedaliere e l'Autorità Giudiziaria. Obiettivi dell'intervento in urgenza • Diagnosi medica, medico-legale, psicologica e sociale. • Terapia medica, sostegno psicologico

e iniziative di protezione (se ne sussistono le necessità) (Caffo, 2003 b). • Adempimento degli obblighi di legge: segnalazione di sospetto o accertato abuso e/o maltrattamento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario che può attivare, se lo ritiene necessario, gli opportuni interventi di tutela del minore. Competenze delle strutture ospedaliere e dei servizi territoriali rispetto allo specifico intervento 1) Strutture Ospedaliere Il D.E.A. o le U.O. con guardia pediatrica 24 h e di Neuropsichiatria infantile procedono a ricoverare il minore: a) in presenza di segni fisici importanti; b) qualora non sia chiaramente garantita la protezione del minore o in assenza di un genitore o parente

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protettivo; Se il medico ritiene indispensabile il ricovero che non viene accettato dal genitore e legale responsabile, occorre trattenere il bambino e inoltrare richiesta urgente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per essere autorizzati alla temporanea non consegna del bambino. All'interno di questo intervento va svolto un iter diagnostico secondo le modalità descritte al punto B) (Intervento Programmabile). Ciò richiede che la struttura sanitaria sia fornita di risorse per l’attuazione del processo diagnostico previsto. Svolto l'iter diagnostico, se viene confermata l'ipotesi di abuso, è necessario: • un ulteriore collegamento con l'Autorità Giudiziaria, secondo gli obblighi di legge, e con il Tribunale per i Minorenni, al fine di attivare ulteriori strumenti di tutela per il bambino; • un collegamento tra la struttura ospedaliera e i servizi territoriali per: 1. fornire informazioni, raccolte durante il ricovero, ai Servizi territoriali che già hanno in carico il caso soprattutto se vengono assunte iniziative di protezione o per la successiva presa in carico. 2. strutturare il percorso di dimissione e concordare la sequenza delle iniziative da attivare in collaborazione con le Strutture Territoriali. 2) Strutture territoriali Le strutture operative NPI in collaborazione con i pediatri svolgeranno un iter diagnostico secondo le modalità descritte nel capitolo sui criteri di valutazione clinica. Gli operatori predisporranno il ricovero: a) quando il bambino presenta segni fisici la cui diagnosi sia realizzabile solo in ambito ospedaliero o nel caso in cui presenti segni fisici importanti b) quando non sia presente un genitore protettivo e non sia possibile l'affidamento a strutture residenziali adeguate In entrambi i casi, qualora l'intervento non venisse accettato dal genitore legale responsabile. è necessario fare richiesta urgente alla

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La collocazione del bambino presso la famiglia di origine corrisponde ad uno specifico diritto riconosciuto dalla legge italiana (art. 1, L. 184/83) e dalla Convenzione di New York e, sino a prova contraria, si deve presumere che la famiglia desideri trattenere il figlio presso di sé. Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, per essere autorizzati alla temporanea non consegna del bambino. Raccomandazione 8.1.1 (Opzione Clinica. Forza della Evidenza: Sufficiente. Forza della Raccomandazione: Sufficiente) I provvedimenti di allontanamenti del bambino dall’ambiente familiare sono per loro natura provvisori, ma rischiano, qualora non si fondino su elementi di realtà sufficientemente corroborati di produrre conseguenze gravi e durature sull’equilibrio psichico e adattivo del bambino stesso, legate alle angosce di separazione e agli effetti traumatici generati da un distacco brusco e prolungato dai genitori. Inoltre, le statistiche più recenti dimostrano che i periodi di lontananzadall’ambiente familiare tendono a prolungarsi per periodi anche molto lunghi. L’esperienza di collocazione extrafamiliare dovrebbe infatti avere durata temporanea ed essere accompagnata da un progetto globale sul nucleo familiare che definisca anche i tempi del rientro del bambino nella famiglia di origine, sulla base del lavoro psicologico al quale la famiglia stessa ha accettato di sottoporsi (ivi compreso il genitore che si

sia reso autore di comportamenti abusanti, maltrattanti o gravemente trascuranti). Questo tipo di decisioni dovrebbe quindi essere assunto solo dopo che gli elementi raccolti configurino l’esistenza di un reale, concreto pregiudizio per la salute psicofisica del minore, e dopo che si sia esclusa la possibilità di attivare e sostenere le risorse presenti nei famigliari stessi. La collocazione del bambino presso la famiglia di origine corrisponde ad uno specifico diritto riconosciuto dalla legge italiana (art. 1, L. 184/83) e dalla Convenzione di New York e, sino a prova contraria, si deve presumere che la famiglia desideri trattenere il figlio presso di sé. Pertanto, qualora si ritenga indispensabile allontanare un bambino o un ragazzo dalla propria famiglia, chiunque sia chiamato ad intervenire è tenuto a verificare: - che il minore di età sia effettivamente danneggiato e si trovi in situazione di pericolo; - che l’attuale situazione del minore non possa essere modificata in modo autonomo; - che l’allontanamento sia meno dannoso della permanenza in famiglia. Raccomandazione 8.1.2 (Opzione Clinica. Forza della Evidenza: Sufficiente. Forza della Raccomandazione: Sufficiente) Anche per quanto riguarda gli interventi di tutela ed i trattamenti di natura psicosociale si pone il problema di attuare ricerche cliniche volte a valutare gli esiti in relazione alla loro efficacia, attraverso studi controllati e confronti tra i diversi tipi di intervento che si dimostrano più utili a seconda della situazione ambientale e delle problematiche psicopatologiche presenti nel bambino. Raccomandazione 8.1.3 (Opzione Clinica. Forza della Evidenza: Sufficiente. Forza della Raccomandazione: Sufficiente) Risulta auspicabile una differenziazione degli interventi di controllo, effettuati in collaborazione con la

Autorità giudiziaria minorile secondo il c.d. principio di legalità, e degli interventi di sostegno con finalità trattamentali, da svolgersi secondo il consenso informato dell’utente sotto l’egida del c.d. principio di beneficità. B) Intervento Programmabile L’Intervento Programmabile si basa sui criteri di valutazione clinica descritti per gli abusi fisico, psicologico ,per la patologia delle cure e per l’abuso sessuale e prevede la centralità dell’intervento dei Servizi territoriali sanitari e sociali. L’ intervento territoriale sugli abusi ai minori richiede una specifica programmazione nell’ambito dei servizi di Neuropsichiatria Infantile delle ASL strettamente coordinati con i Servizi Sociali dei Comuni. Il modello d’intervento territoriale nasce dall’esigenza di affrontare il problema dell’abuso e maltrattamento ai bambini e ragazzi, in termini sia di prevenzione sia di intervento psicosociale, nella realtà territoriale dove il problema nasce e si evidenzia. La realizzazione di un progetto di intervento territoriale, deve rispondere ai seguenti obiettivi prioritari: • rappresentare un sostegno alla relazione genitori-figli, per il contrasto alla violenza in famiglia e la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. • attuare gli interventi di prevenzione (primaria, secondaria e terziaria) possibili e necessari per contenere il fenomeno dell’abuso e maltrattamento; • mettere in comune gli strumenti per cogliere i segnali di allarme tra gli operatori che, per motivi diversi, sono in contatto diretto con i bambini e con le famiglie; • garantire, in situazioni di dubbio, un percorso protetto per i bambini per i quali l’avvio di procedure cliniche e legali, se non guidato e definito, può accrescere e aggravare il trauma. L’aspetto innovativo e centrale di un progetto di intervento territoriale risiede nel tentativo di integrare coerentemente esigenze territoriali e multidisciplinarietà della risposta specialistica, al fine di ottenere sinergie

L’équipe del Centro di Consulenza deve essere costituita da neuropsichiatri infantili, psicologi e assistenti sociali dotati di specifica competenza e formazione in tema di abusi in età evolutiva, e svolge attività di psicodiagnosi clinica, consulenza, documentazione e formazione. operative nuove tra Istituzioni ed Enti e restituire così ai minori abusati un ambiente armonico e realmente protettivo (si pensi ad esempio alla difficoltà di armonizzare la fase investigativa della magistratura con quella riabilitativa del trattamento psicoterapico della vittima e della famiglia). Gli aspetti relativi alla connotazione territoriale e all’ integrazione dell'intervento si possono concretizzare nelle seguenti iniziative: B.1 Centro di Consulenza a valenza aziendale o interaziendale; B.2 costituzione di équipe multidisciplinari; B.3 attuazione di percorsi di formazione integrata. B.1 Il Centro di Consulenza aziendale o interaziendale Il Centro di Consulenza aziendale o interaziendale deve essere collocato nel territorio cui è destinato possibilmente all’interno di una struttura non connotata a valenza socio-sanitaria o sociale (ad es. centro per la famiglia, consultorio); deve essere dotato di personale competente e strumenti idonei per l’accoglienza, l’osservazione e la consulenza ai bambini e alle famiglie e per l’incontro e la formazione degli operatori (che dovrà essere comune e integrata). Il Centro rappresenta quindi uno

spazio intermedio e neutrale che permette la separazione dei luoghi dell’accertamento da quelli della cura (rispettivamente sotto l’egida del c.d. principio di legalità e del c.d. principio di beneficità vedi Raccomandazione 8.1.3) consentendo una più facile presa in carico successiva ad opera dei servizi del territorio. L’équipe del Centro di Consulenza deve essere costituita da neuropsichiatri infantili, psicologi e assistenti sociali dotati di specifica competenza e formazione in tema di abusi in età evolutiva, e svolge attività di psicodiagnosi clinica, consulenza, documentazione e formazione. Intervento clinico del Centro di Consulenza - L’assessment psicodiagnostico presso il Centro ha la doppia finalità di fornire una valutazione psicodiagnostica del minore e della famiglia, con relativa proposta di intervento operativo, e valutazione psicologico-forense utile all’Autorità Giudiziaria e al Tribunale per i Minorenni nel percorso giudiziario. Il percorso diagnostico si realizza attraverso la valutazione clinica (valutazione delle capacità genitoriali, valutazione dei fattori di rischio e protettivi presenti nel minore, valutazione dei pattern di attaccamento) già descritta al punto 7.2. Al termine dell'assessment psicodiagnostico il Centro restituisce -con documentazione scritta - il caso al servizio territoriale competente per la presa in carico terapeutica, con specifiche indicazioni relative alle risorse psicologiche del minore e della famiglia (fattori prognostici positivi e negativi in ordine alle capacità genitoriali) ed all'eventuale programma di trattamento. Gli operatori del Centro forniscono inoltre una consulenza diretta agli operatori dei competenti Servizi territoriali. Servizio di Documentazione Un’adeguata prevenzione dei fenomeni di maltrattamento ed abuso può essere pensata solamente attraverso una integrazione tra aspetti di ricerca, di intervento sociale e di formazione

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degli operatori coinvolti nel campo. Per questo motivo si ritiene importante che presso il Centro di consulenza sia predisposto un Servizio di Documentazione multimediale sull’infanzia e l’adolescenza con archivio informatizzato per la catalogazione e la consultazione di libri e periodici scientifici, su argomenti di psicologia giuridica e psichiatria forense, psicopatologia dell’età evolutiva, politiche sociali, diritto minorile e della famiglia e nel campo della tutela dell’infanzie e dell’adolescenza (per il censimento di strutture residenziali, semi-residenziali destinate al recupero di minori devianti). B.2 L’Equipe multidisciplinare La costituzione dell’équipe multidisciplinare nasce dalla constatazione della molteplicità e della varietà di interventi degli operatori appartenenti alle diverse istituzioni che a vario titolo entrano nel percorso di rilevazione, diagnosi e trattamento delle situazioni di abuso ai minori. L’équipe multidisciplinare è costituita da: • referenti dei Servizi di Neuropsichiatria Infantile delle Asl; • referenti dei Servizi Sociali dei Comuni; • insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado; • rappresentanti delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. La funzione delle équipe multidisciplinari all'interno della rete di lavoro sul child abuse- Le realtà locali risultano in larga parte prive di una reale sinergia tra interventi medici, sociali, psicoeducativi e di ordine pubblico sul child abuse. Le attuali politiche per l’infanzia, però, spingono gli operatori territoriali - attraverso il confronto plurispecialistico - verso un modello operativo di lavoro condiviso che, in quanto tale, facilita lo scambio di informazioni tra le diverse istituzioni coinvolte (la famiglia, la scuola, i servizi socio-sanitari, le forze dell’ordine e la magistratura). La carenza maggiore nell’affrontare le problematiche dell’età evolutiva e, a maggior ragione, quelle relative alla

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Il problema «abuso» va affrontato non solo come un problema clinico, giuridico e di ordine pubblico (per quanto concerne la prevenzione e repressione del possibile reato), ma anche da un punto di vista di informazione-formazione della popolazione e degli operatori che a diverso titolo se ne occupano.

violenza sull’infanzia, sembra corrispondere alle difficoltà di realizzazione di un intervento unico-unificato intorno ad un minore, come se le istituzioni non si rivolgessero ad uno e ad un solo soggetto, ma piuttosto a più parti dello stesso, tante quanti sono i Servizi che se ne occupano. La costituzione delle équipe multidisciplinari risponde a questo obiettivo. Il suo scopo è, infatti, quello di integrare coerentemente le esigenze territoriali e la multidisciplinarietà della risposta specialistica nel child abuse, determinando sinergie operative nuove e più funzionali tra Istituzioni ed Enti. Gli operatori della équipe multidisciplinare lavorano in stretta collaborazione con l'équipe degli specialisti del Centro di Consulenza Aziendale o interaziendale, per la definizione di un percorso diagnostico e della presa in carico congiunto. Si mira così, pur mantenendo ciascuno le singole

competenze, a garantire il massimo sforzo perché il trattamento della vittima (e della sua famiglia) ad opera dei servizi territoriali competenti abbia successo. Negli incontri delle équipe multidisciplinari viene favorita la crescita personale e istituzionale attraverso la rilettura gruppale della situazione problematica, allo scopo di promuovere la giusta distanza emotiva assolutamente necessaria all'operatore coinvolto per rappresentarsi la situazione in modo da potere operare una trasformazione adeguata alla funzione del compito istituzionale che egli deve svolgere. In tale contesto gruppale, l’integrazione del lavoro degli operatori territoriali mira alla creazione di un progetto di presa in carico basato su una diagnosi plurispecialistica all’interno della quale interpretare e contestualizzare il fenomeno dell’abuso. Tutto questo lavoro si dovrebbe svolgere all'interno di un delicato equilibrio tra provvedimenti legislativi ed interventi psicologici ed assistenziali, che rappresentano lo specifico “setting” per affrontare l'abuso in modo integrato. Per questo è necessario promuovere una nuova competenza nei servizi territoriali, basata sulla condivisione multidisciplinare “in rete” della specifica problematica dell’abuso e degli interventi che lo riguardano. Il filo conduttore che soggiace a tale sforzo di leggere gli eventi e di unificare gli interventi il più possibile, è la consapevolezza del danno iatrogeno che, ad un minore già abusato, comporta il ripetersi delle visite, degli accertamenti e delle interviste da parte dei diversi “esperti”. B.3 La formazione integrata Occuparsi della formazione degli operatori in equipe multidisciplinare è importante soprattutto al fine di costruire un linguaggio comune e condiviso dai diversi professionisti coinvolti: medici, magistrati, psicologi, insegnanti, forze dell'ordine, avvocati, operatori sociali, ecc. Spesso, infatti, le differenti specificità professionali possono produrre

fraintendimenti e divergenze sostanziali su aspetti di primaria importanza, come la tutela dei minori o l'apertura di procedimenti civili e penali a carico degli adulti. Il problema «abuso» va affrontato non solo come un problema clinico, giuridico e di ordine pubblico (per quanto concerne la prevenzione e repressione del possibile reato), ma anche da un punto di vista di informazione-formazione della popolazione e degli operatori che a diverso titolo se ne occupano. Questi diversi aspetti devono essere considerati elementi di un unico tema che, se affrontato con un taglio multidisciplinare, può permetterci di conoscere meglio il fenomeno, di realizzare una valutazione epidemiologica e, insieme, di disporre efficaci mezzi di prevenzione, rilevazione, diagnosi e, quando necessario, di terapia. L’intervento psicosociale, infatti, acquista senso solo quando nasce dalla integrazione reale dei

diversi soggetti coinvolti e viene condotto con la consapevolezza che le vittime di abuso appartengono comunque ad una realtà familiare e sociale complessa e articolata. Per garantire la massima integrazione degli interventi, i membri delle équipe multidisciplinari e gli operatori del Centro di Consulenza condividono incontri di formazione e spazi comuni di incontro per la definizione di protocolli operativi e la verifica dei risultati offrendo così un’opportunità in più per l'aggiornamento degli operatori sociosanitari sul tema specifico delle violenze sui minori. 8.2 Percorso del caso nel modello territoriale L’attuazione di un modello di intervento territoriale prevede, dopo una prima fase di rilevazione delle caratteristiche sociodemografiche del territorio, l'articolazione di itinerari specifici per la prevenzione, la diagnosi e la cura degli abusi in età evolutiva.

8.2.1. Fase valutativa La segnalazione precoce dei casi di abuso, identificati dagli operatori dei diversi presidi Asl o delle scuole, viene raccolta dalle équipe multidisciplinari e gestita in modo da assicurare la massima coerenza e compatibilità dei mezzi e delle finalità terapeutico-riabilitative con le esigenze investigative della Magistratura. Quando nel contesto territoriale si verifica una segnalazione o anche solamente emerge una ipotesi o un dubbio di un abuso di qualsiasi natura nei confronti di un minore, l'équipe multidisciplinare: • dispone l’indagine socio ambientale; • invia il minore per l'approfondimento diagnostico alla équipe clinica del Centro di Consulenza aziendale o interaziendale, nel caso in cui l'accertamento clinico lo richieda; • dispone se necessario il ricovero ospedaliero (o anche in day hospital); • effettua contestualmente la segnalazione all’Autorità Giudiziaria

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La fase valutativa -svolta in spazi neutri (famiglia, scuola) e presso la sede del Centro con l’ausilio di mezzi audiovisivi - avviene attraverso una valutazione globale, clinico-osservativa ed ambientale. Alla fine dell' assessment l'équipe clinica del Centro riferisce sull'esito dell'indagine clinico-forense svolta sul minore e sulla famiglia, restituendo il caso al Servizio Territoriale di competenza per la realizzazione dell'intervento clinico. Oggetto di valutazione non sono solamente le dinamiche relazionali patologiche che connesse all'abuso, ma anche le risorse evolutive del nucleo malfunzionante: senza mai cadere nella mera colpevolizzazione dei genitori. Occorre riuscire a definire la loro responsabilità nelle dinamiche relazionali non funzionali al bambino; se a questo punto viene riscontrata la disponibilità da parte dei genitori di modificare tali dinamiche, la famiglia in difficoltà deve essere aiutata a cambiare. Il Centro di Consulenza, oltre a produrre una diagnosi ed un progetto terapeutico, sulla base della valutazione prognostica sulla famiglia, riferisce, direttamente o indirettamente attraverso i servizi di Neuropsichiatria infantile della Asl, alla Magistratura competente circa l'esito della valutazione. L'intervento giudiziario dovrebbe permettere di risolvere la dicotomia tra aiuto e controllo, collocando ad un livello logico e gerarchico superiore il controllo, sotto l’egida del principio di legalità, all'interno del quale si inseriscono tutti gli interventi di sostegno ed aiuto secondo il principio di beneficità. Il mandato del Tribunale, inoltre, permette di confrontarsi apertamente con la famiglia sul malessere dei bambini e sulle responsabilità genitoriali, consentendo quella trasparenza di rapporto necessaria ad un serio lavoro di valutazione. 8.2.2. Fase del Trattamento Modello terapeutico territoriale

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Lo Spazio Neutro si qualifica come intervento relativamente breve, mirato a verificare la possibilità che il processo di riavvicinamento possa evolvere e proseguire in ambiti più naturali, comunque supportato dal lavoro degli operatori territoriali.

integrato- Attraverso il modello territoriale integrato si auspica di poter offrire al bambino vittima di abuso una cornice terapeutica che lo metta al riparo da possibili reiterazioni del reato o di qualsiasi altra forma di predazione dei suoi diritti. Si tratta di un passaggio propedeutico verso il ripristino di un luogo di rappresentazione degli affetti che la condizione di abuso spesso ha ridotto, distorto o eliminato, promuovendo nuovi patterns di relazione senza correre il rischio di introdurre elementi inducenti o suggestivi e mantenendo -a favore della Magistratura stessa- una visione quanto più possibile obiettiva sui fenomeni osservati. Per quanto concerne la attuazione degli interventi psicosociali di terapia, si rimanda al punto 7.3. Area dello Spazio Neutro Questo servizio prende avvio dal-

l’esigenza di disegnare e costruire uno spazio mirato a facilitare il riavvicinamento relazionale ed emotivo tra i genitori (o adulti diìùriferimento) e i figli che abbiano avuto un’interruzione di rapporto, determinata da dinamicheì gravemente conflittuali interne al nucleo familiare o conseguenti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria. Si tratta di uno spazio relazionale protetto, nell’ambito del quale la presenza di un operatore assume anche la funzione di sostegno emotivo al bambino, facilitando il concretizzarsi delle condizioni per un incontro positivo. Esso si propone quindi come un contenitore “qualificato”, un luogo terzo, uno spazio e un tempo intermedi, lontani dal quotidiano, in grado di offrire ed implementare risorse e possibilità più che di ingiungere meccanismi di controllo rivolti alla famiglia. Lo Spazio Neutro si qualifica come intervento relativamente breve, mirato a verificare la possibilità che il processo di riavvicinamento possa evolvere e proseguire in ambiti più naturali, comunque supportato dal lavoro degli operatori territoriali. In caso contrario, preso atto dell’impossibilità di contribuire ad attivare per il bambino condizioni adeguate di relazione, i Servizi proposti dovranno ipotizzare una prosecuzione d’intervento di tutela con risorse diverse. I bambini interessati appartengono a nuclei sottoposti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria (alla quale si è tenuti a riferire) e sono a carico sia ai Servizi Sociali del Comune sia ai Servizi Socio-sanitari. La molteplicità degli interventi impone l’individuazione di un percorso d’intervento che tenga conto della necessità della collaborazione tra i diversi Servizi e istituzioni in termini funzionali all’obiettivo comune: far emergere le potenzialità di sviluppo di una sana relazione tra minori e adulti di riferimento. Il focus è posto sul riconoscimento del bisogno del bambino di veder protetta, per quanto e fin quando possibile, la relazione affettiva ed educativa con entrambi i genitori, al di là delle vicende che potreb-

bero impedirne la continuità, come condizione che maggiormente garantisce una prospettiva di crescita sana ed equilibrata e l’acquisizione di un’identità adulta adeguata. Principale destinatario dell’intervento è il bambino e il diritto del bambino stesso “separato da uno o da entrambi i genitori a mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando ciò è contrario al maggior interesse del bambino” (ONU, Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 9, New York 1989). La tipologia di questo tipo di intervento va dalle situazioni familiari multiproblematiche, in presenza di decreti gravemente limitativi della potestà genitoriale, con interventi sostitutivi al nucleo d’origine, a situazioni che presentano una pesante conflittualità di coppia dovuta quasi esclusivamente al processo di elaborazione della separazione coniugale. Nel caso di minori in affido eterofamiliare, la complessità e le difficoltà relazionali tra le famiglie può esigere, per gli incontri tra bambini e famiglia d’origine, un accompagnamento, un supporto e un luogo fisicamente diverso dalle rispettive dimore. Un’altra area d’intervento specifica è quella del mantenimento della relazione tra bambino e genitore in carcere o con provvedimenti limitativi la libertà personale conseguenti a procedimenti penali in seguito a violenze sui minori. Area della prevenzione nel modello territoriale- La letteratura nazionale e internazionale utilizza con molta cautela il termine “prevenzione” in riferimento al problema degli abusi all’infanzia. Nella definizione di un modello di intervento territoriale, è necessario prevedere uno spazio per la informazione /formazione degli insegnanti tenuto conto del fatto che la Scuola rappresenta uno dei luoghi più importanti di rilevazione del fenomeno Il problema dei maltrattamenti

Il focus è posto sul riconoscimento del bisogno del bambino di veder protetta, per quanto e fin quando possibile, la relazione affettiva ed educativa con entrambi i genitori, al di là delle vicende che potrebbero impedirne la continuità, come condizione che maggiormente garantisce una prospettiva di crescita sana ed equilibrata e l’acquisizione di un’identità adulta adeguata.

all’infanzia viene spesso affrontato con molti pregiudizi da parte del mondo adulto. È per questo che un intervento informativo e preventivo deve prima di tutto mirare alla promozione di una nuova cultura dell’infanzia, intesa come una maggiore conoscenza da parte degli adulti del bambino, con le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue passioni – ma anche con la sua maggiore fragilità e vulnerabilità La prevenzione dei maltrattamenti e la difesa dei bambini, infatti, si realizza in primo luogo creando un clima di reciproca fiducia. Se il bambino non riceve ascolto, attenzione e cure adeguate sarà più vulnerabile e tenderà in misura maggiore ad esporsi a situazioni rischiose. L’acquisizione di una sua autonomia e capacità di giudizio critico della realtà, invece, gli permetterà più facilmente di proteggersi o di chiedere aiuto in caso di bisogno. Proprio per questo la scuola che costituisce non

solo il luogo in cui bambini e adolescenti passano molte ore della giornata per diversi anni, ma che rappresenta anche un osservatorio privilegiato sulla condizione del bambino e del ragazzo, riveste un’importanza fondamentale nella prevenzione degli abusi e nella protezione dei bambini. La scuola dovrebbe quindi poter promuovere programmi di prevenzione e informazione per tutte le fasce di età, adeguando tali programmi al bambino, compresi eventuali percorsi adeguati e corretti (e condivisi con le famiglie) di educazione sessuale. Si tratta non solo di informare, ma anche fornire strumenti utili (ad esempio giochi e programmi educativi adeguatamente e specificamente predisposti) per affrontare in maniera adeguata tali tematiche e permettere ai bambini, attraverso il coinvolgimento in situazioni interattive con coetanei o adulti, di sperimentare imparando a discriminarle tra lorosituazioni di pericolo e/o situazioni fisiologiche che possono essere valutate di volta in volta con l’aiuto della figura adulta. Quest’ultima avrà il compito di chiarire e confrontare il bambino progressivamente con situazioni-tipo, dirigendolo nell’acquisizione di un maggior spirito critico e quindi di una maggiore conoscenza e consapevolezza dei propri diritti relazionali così come sono sanciti dalla Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo di New York (1989, ratificata dal nostro ordinamento legislativo nel 1991).

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Camici bianchi tra stress, precarietà e paura del futuro

La “carica rosa”: verso il ricambio totale dei medici di medicina generale

Burocrazia, stress e cattivi rapporti con Asl e Regione avvelenano il presente dei medici italiani. L'insicurezza e la paura, invece, rabbuiano il futuro. La fotografia di una professione sempre più in crisi d'identità emerge da un'indagine dell’Enpam, l'ente previdenziale dei camici bianchi, condotta su un campione di 2.055 iscritti e tesa a esplorare le aspettative della categoria. Tre su quattro sono molto preoccupati per la pensione, più di uno su tre è insoddisfatto della relazione con le aziende sanitarie e le amministrazioni locali, oltre il 21% considera seriamente l'ipotesi del pensionamento anticipato. Un desiderio di fuga alimentato dalla delusione: il livello di stress è alto, l'insofferenza verso il “modo in cui oggi si lavora” anche. Il presidente FNOMCeO, Amedeo Bianco, ammette: “È lo specchio di un vissuto professionale particolarmente difficile, dominato dall'incertezza”.che penalizza soprattutto i giovani. Lo studio dell'Enpam, come già detto, è stato condotto su 2.055 medici estratti dal totale degli iscritti all'archivio Enpam, il 12,2% dei quali è già in pensione: il 44% del campione è composto da dipendenti Ssn, il 35% da liberi professionisti, il 12,9% da Mmg, il 4,4% da pediatri di libera scelta e il 3,5% da specialisti ambulatoriali. I segnali della crisi sono già tutti nei primi dati: la percentuale di soddisfatti del proprio lavoro è pari al 72,5% del totale ma cala progressivamente dal 95,7% degli over 66 (i pensionati, appunto, condizionati dalla nostalgia del passato) al 63,7% degli under 35 e dall'82,4% di chi ha un reddito oltre i 90mila euro al 53,8% di chi guadagna meno di 30mila euro. In sintesi: sono i giovani i più delusi, sia a livello economico sia a livello di aspettative professionali. E

Più giovani e più donne. In vent'anni la medicina generale cambierà radicalmente pelle: sarà ancora in servizio appena il 12% dei medici di famiglia attivi oggi. E le dottoresse saranno la maggioranza, come d'altronde si prevede per la professione nel suo complesso. A interrogarsi sul presente e sul futuro dei camici bianchi generalisti è stata la Fimmg, il maggior sindacato di categoria, che ha lavorato su più fonti: l'archivio dati dell'Enpam, l'ente di previdenza dei medici, I'annuario statistico 2010 del Ministero della Salute, il sito del Ministero del Lavoro, l'archivio Fimmgest e le informazioni fornite direttamente dalle segreterie regionali. Obiettivo: prevedere il più accuratamente possibile quale avvenire aspetta la galassia della medicina generale, per arrivare preparati alla "rivoluzione" demografica. Al 2010 i medici di famiglia in servizio erano 43.932: la Lombardia è la Regione con il più alto numero di Mmg (6.727), seguita da Lazio e Sicilia, con oltre 4mila professionisti. Il numero medio di pazienti per medico di base varia molto. E’ legato da un lato alla scelta dei cittadini, dall'altro alle politiche regionali sul rapporto ottimale (fissato dalla convenzione nazionale a un medico per 1.000 abitanti), come evidenziato da Tommasa Maio della Fimmg che ha curato la raccolta e l'elaborazione dei dati. Non a caso a livello nazionale il numero di pazienti per camice bianco è costantemente aumentato, passando da poco più di 1.092 del 2000 a 1.124 del 2008. In media, il 64% dei generalisti percepisce indennità per l'adesione a forme associative, anche in questo caso con una forte variabilità territoriale: si va dal 33% della Calabria all'82,5% del Piemonte. Gli uomini oggi sono la netta maggioranza: rappresentano il 72% dei medici di famiglia, 31.795 in valore assoluto contro 12.137 donne. Contano sul proprio territorio più di mille dottoresse di base soltanto un pugno di Regioni:

“...la percentuale di soddisfatti del proprio lavoro è pari al 72,5% del totale...” la delusione aumenta quando si tocca il tasto dolente dei rapporti con Asl e Regione: la quota dei soddisfatti precipita al 32,9%, quella degli insoddisfatti sale al 36,7%. Il malumore è alto soprattutto tra i convenzionati, ma anche per il 32,4% dei dipendenti la relazione non è soddisfacente. L'incertezza sul futuro è palpabile: il 35% (con punte del 40,5% tra i liberi professionisti e del 35,1% tra i dipendenti) non riesce a fare alcuna previsione sull'ammontare netto mensile della propria pensione. I più ottimisti sono ancora i pediatri; il 61,7% pensa di incassare tra i 1.500 e i 3.000 euro, il 21,6% fino a 4.500 euro. Di nuovo i giovani, invece, sono i più spaesati: quasi la metà degli under 35 e il 46% di chi ha tra 36 e 45 anni non riesce a fare alcuna previsione, contro il 26,3% di chi ha tra 56 e 65 anni. Al contrario, i più anziani riferiscono aspettative o realtà retributive più elevate. L'insicurezza fa anche paura: il 76,3% dei camici bianchi è preoccupato per la pensione. Ma il ricorso a forme integrative è ancora scarso: riguarda appena il 30% delle interpellati. Il 53%, di contro, ha un'assicurazione sulla vita e i più anziani si dotano frequentemente di un'assicurazione sanitaria. Non solo: il 20,6% già versa contributi facoltativi per migliorare la pensione, il 14,1% ci sta pensando e il 32,7% ancora la decisione alla valutazione del rendimento.

Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, La¬zio e Lombardia (che ne annovera poco più di 2mila). In percentuale, però, le donne superano il 30% della categoria solo in Emilia Romagna,Valle d' Aosta, Lombardia, Friuli Ve¬nezia Giulia, Piemonte e Sardegna (nell'isola raggiungono il 35% del totale). Guardando all'anno di nascita, già si intravede come la situazione vada verso il capovolgimento: dai nati nel 1965 in poi il numero di donne raggiunge quello degli uomini, fino a superarlo a partire dai nati negli anni Settanta. Le nuove forze della categoria, per intendersi, sono femminili: tra gli under 50 le dottoresse oggi sono già la maggioranza. Specularmente, tra gli uomini, gli over 60 sono ben il 32%.

Ultima nota,: il reddito medio de¬gli uomini è di 64.482 euro, quello delle donne è di 56.723 euro. Le dottoresse guadagnano il 13,7% in meno. E’ dalle previsioni della Fimmg su chi esce e chi resta in servizio che arrivano le sorprese maggiori. Tra dieci anni sarà ancora in servizio il 74% dei medici attivi oggi. Ma tra 15 anni quella quota si abbasserà drasticamente al 34% fino a raggiungere il 12% tra vent'anni. In un modello teorico ideale in cui l'immissione nella professione avviene a circa 30 anni e la pensione a 70, dopo 40 anni di attività, in 20 anni si dovrebbe realizzare la quiescenza del 50%. Nell’ ipotesi della Fimmg, invece, si verifica il pensionamento dell'88% di chi oggi è attivo. Ed è una previsione ottimistica sirnulando che tutti decidano di attendere i 70 anni. I nuovi ingressi saranno con tutta probabilità soprattutto al femminile, se già oggi nelle scuole di formazione in medicina generale le donne sono il 69% del totale. La tendenza è europea: in tutti i Paesi Ue la maggioranza dei giovani laurea¬ti in medicina tra i 25 e i 34 anni è ormai composta da dottoresse.

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REPORT: diminuiscono gli operatori del SSN Oltre 5.200 unità di personale in meno in un solo anno nel Ssn: -0,75% nel 2010 rispetto al 2009. In realtà, però, a ridursi drasticamente da un anno all'altro sono soprattutto i medici e i dirigenti non medici che perdono rispettivamente l'1,3 e il 7% delle forze lavoro. Soprattutto quelle di sesso maschile visto che le donne au¬mentano invece di quasi 2mila unità, di cui 880 dottoresse (il 45%). L'appello degli organici del Ssn (e di tutta la Pa) lo fa il Conto annuale 2010 della Ragioneria generale dello Stato, appena pubblicato. Un anno, per la prima volta, tutto col segno meno per Ie varie categorie di operatori della salute, con le perdite percentuali più pesanti tra i dirigenti amministrativi che perdono il 5,11% di organici, con un forte calo percentuale per i direttori generali (-8%), che nel 2010 sono 57 in meno rispetto al 2009. Ma nonostante il calo rispetto al 2009, alcune categorie di personale sono più numerose di quelle in servizio nel 2004, anno di riferimento per il conte-

nimento di spesa previsto nelle varie manovre estive che detta un tetto pari alla spesa di quell'anno meno l'1,4%. II personale in genere nel 2010 è "solo" lo 0,14% in più del 2004, ma mentre tutte le categorie sono in calo (i dirigenti del ruolo amministrativo anche del 18,9% e i profili del ruolo professionale del 19,3%), i medici aumentano dell'1,92%, con un altro segno "più" solo per il personale sanitario non medico. Rispetto agli altri comparti del pubblico impiego, tra quelli che perdono personale nel 2010 rispetto al 2009 il Ssn è a metà classifica (la riduzione maggiore e il -5,3% della carriera penitenziaria), ma ci sono anche tre comparti che invece aumentano gli organici: forze armate (+0,8%), Afam (un settore del ministero dell'Università, +4,7%) e presidenza del Consiglio (+7,6%). Ssn in testa invece per il numero di operatori stabilizzati: 4.892 di cui 50 dai lavori usuranti su un totale nel 2010 di circa 10mila: il 49%. Ma il Ssn ha anche un altro primato: quello delle

assenze. Nel 2010, con 26,5 giornate medie tra retribuite e non retribuite, Asl e ospedali sono primi in classifica con i corpi di polizia al secondo posto (25) e una media di tutta la Pa di 21,7 giornate. Infine il capitolo delle retribuzioni. II costo del personale nel 2010 è stato di 41,3 miliardi: il Ssn è il secondo comparto della Pa in quanto a numerosità del personale dopo la scuoIa e lo è anche, sempre dopo la scuola, per i costi delle retribuzioni. In realtà, però, la retribuzione media annua del settore sanitario non è tra le più alte. Si ferma a 38.773 euro nel 2010, contro gli oltre 43mila euro degli enti pubblici non economici o i 42mila degli enti di ricerca. AI top ci sono i quasi 133mila euro della magistratura, circa 94mila euro della carriera diplomatica e 86mila di quella prefettizia. Metà classifica invece per quanto riguarda il tasso di crescita delle retribu¬zioni che nel 2010 rispetto al 2009 è stato dell’1,15 contro il 14,7% dell'Afam e sul versante opposto il 1,6% delle agenzie fiscali.

Stipendi dei medici in Europa: i camici bianchi italiani possono sorridere I medici dipendenti d'Italia secondo un rapporto della Fems non si possono affatto lamentare, anzi non possono che sorridere guardando le tasche degli altri colleghi d'Europa. I nostri carnici bianchi hanno, difatti, gli stipendi tra i più alti nel Vecchio Continente: siamo addirittura terzi dopo belgi e danesi nella classifica dei salari massimi. E quinti dopo olandesi, belgi (che però negli ospedali hanno un rapporto libero-professionale), danesi e francesi

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“I medici dipendenti d'Italia secondo un rapporto della Fems non si possono affatto lamentare, anzi non possono che sorridere...”

per quelli minimi. A fare i conti in tasca, è proprio il caso di dirlo, ai dottori dipendenti in Europa è un'indagine curata dalla Fems, la “Federazione europea dei medici salariati”, che non senza qualche difficoltà e con le cautele del caso sulla precisione dei dati ha messo in fila tutte le buste paga. Un confronto con diverse sorprese, questo, che è stato presentato nei giorni scorsi a Catania durante l'incontro sulle condizioni di lavoro del medico in

Europa, organizzato dall'Anaao Assomed insieme alla Fems, a cui il sindacato aderisce e che tiene a precisare come il taglio degli stipendi dei medici non è la giusta via per risparmiare, ma solo per abbassare la qualità delle cure. Ebbene, come detto, i medici che lavorano nei nostri ospedali arrivano a guadagnare al massimo della loro carriera 10mila euro al mese lordi (9.425 se il dato si aggiusta con il potere d'acquisto), escludendo ovviamente altri introiti importanti come la libera professione. I valori riportati, precisa la Ferns nel suo documento, sono da intendersi prima delle imposte sul reddito e delle trattenute previdenziali, ma questa seconda voce, a causa di differenti regole nella struttura del salario, nei singoli Paesi, possono essere assenti. Si guadagna di più indossando un camice (almeno ai livelli massimi) solo in Belgio (16.600 euro che diventano 15.901 in base al potere d'acquisto) e Danimarca (13.330 euro che diventano 9.491 in base al costo della vita). Guadagnano di meno, tra gli altri, i medici inglesi, olandesi, francesi, svedesi e spagnoli. Quest'ultimi per gli sti-

pendi massimi possono contare su buste paga che sono la metà dei colleghi italiani. Per quanto riguarda gli stipendi minimi i medici italiani sono al quinto posto con 4.569 euro lardi al mese (che diventano 4.241 in base al potere d'acquisto): si guadagna di più in Danimarca, Olanda, Belgio e Francia. Ma sono dietro di noi, tra gli altri, Germania, Finlandia, Spagna, Svezia e Inghilterra. Il documento messo a punto dalla Federazione europea dei medici ha poi messo a confronto gli stipendi dei dottori con i salari medi nazionali guadagnati in ognuno dei Paesi preso in esame. E anche qui le sorprese non mancano. In alcuni casi (Finlandia, Francia, Germania, Polonia Slovenia), scrive il documento, il salario minimo dei medici è pari al salario medio nazionale; in Belgio, Danimarca, Italia, Olanda e Slovacchia il salario minimo dei medici è superiore al salario medio nazionale; in Austria, Irlanda, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia e Regno Unito, il salario medio è collocato fra i valori minimo e massimo dei salari dei medici; in alcuni casi il salario massimo dei medici è uguale al salario

medio nazionale (Grecia e Malta) o persino inferiore (Repubblica Ceca e Ungheria). Dallo studio risulta anche che dove si spende di più per il Welfare si guadagna di più come medico: La protezione sociale, sottolinea la Fems, è maggiore nei Paesi membri dove anche i salari sono maggiori. Nel mirino delle critiche della Fems c'è l'ipotesi a cui molti Governi stanno pensando, e cioè di tagliare gli stipendi dei medici per risparmiare: i salari, negli ospedali, incidono per il 60-65% dei costi totali, perciò il loro taglio rappresenterebbe un metodo immediato per risparmiare conseguente riduzione della qualità delle cure. Altro aspetto e non ultimo da considerare, è il grande problema rappresentato dalle differenze esistenti fra i salari dei diversi Stati membri: la libera circolazione dei professionisti, nel nostro particolare caso dei medici, può produrre forti spinte migratorie da Paesi con più basse condizioni di lavoro e di salari, verso Paesi con carenza di medici, dove le condizioni sono molto migliori.

Nel mirino delle critiche della Fems c’è l’ipotesi a cui molti Governi stanno pensando, e cioè di tagliare gli stipendi dei medici per risparmiare...

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Comunicazione n. 8 Ai Presidenti degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri Ai Presidenti degli iscritti per le commissioni all'albo degli odontoiatri Cari presidenti, facendo seguirò alla Comunicazione n. 1 del 3 gennaio 2012 si ritiene opportuno segnalare che nella seduta di giovedì 19 gennaio 2012 le commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera dei Deputati durante l'esame degli emendamenti riferiti al DL 216/2011 recante "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative" - C. 4865A Governo - hanno approvato un emendamento presentato dall'On. Anna Margherita Miotto che fissa al 30 giugno 2012 il termine per lo svolgimento dell'attività libero professionale intramurali, recependo, quindi, il parere approvato i sede consultiva dalla Commissione Affari Sociali nella seduta del 18 gennaio 2012 (All. n. 1) è stato approvato inoltre un ulteriore emendamento presentato dall'On. Anna Margherita Miotto che fissa al 30 giugno 2012 il termine per consentire alle regioni di completare il programma finalizzato alla realizzazione di strutture sanitarie per l'attività professionale intramuraria. In conclusione si rileva che nella seduta di venerdì 20 gennaio 2012 le Commissioni riunite I e V hanno deliberato di conferire ai relatori Gianclaudio Bressa, per la I Commissione, e Gioacchino Alfano, per la V Commissione, il mandato a riferire all'Assemblea in senso favorevole sul provvedimento in esame come modificato per effetto degli emendamenti approvati dalle Commissioni riunite. Nella seduta del 24 gennaio 2012 l'Assemblea della Camera dei Deputati ha votato il rinvio in Commissione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative (C 4865-A9. Amedeo Bianco 216/2011 : Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, C 4865 Governo. Parere approvato dalla Commissione La XII Commissione, esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge C 4685 Governo, recante "Conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative", esprime: PARERE FAVOREVOLE con le seguenti osservazioni: a) all'articolo 2, valutino le Commissioni di merito l'opportunità di abbreviare il termine del 30 settembre 2012 fino al quale è stato prorogato l'incarico del Commissario straordinario della Croce rossa italiana; b) all'articolo 10, comma 2, valutino le Commissioni di merito l'opportunità di abbreviare il termine del 31 dicembre 2012, di proroga della facoltà di utilizzazione straordinaria del proprio studio professionale per l'esercizio dell'attività libero-professionale intramurali; c) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di inserire una disposizione volta a prorogare il termne di cui all'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 207 del 2001.

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ECM Come è noto Il nostro Ordine professionale è stato accreditato Provider dalla Commissione Nazionale Formazione Continua e propone, come ogni anno, per i propri iscritti eventi che danno la possibilità di acquisire i crediti formativi ECM. Si ricorda che la Commissione Nazionale ECM ha stabilito per il triennio 2011/2013 che ogni professionista della sanità deve acquisire 150 crediti formativi. Il Comitato scientifico dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Viterbo ha proposto per l’anno 2012 la seguente programmazione: • CORSO BLS-D PER ESECUTORE E ISTRUTTORE; • NEUROETICA: NEUROSCIENZE E PERSONA; • STRESS FISICO E MENTALE NELLO SPORT E NELL’AMBIENTE LAVORATIVO; • LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA. ATTUALI ORIENTAMENTI; • ODONTOIATRIA PEDIATRICA; • LA SINDROME METABOLICA NELL’ADOLESCENZA E NELLA TERZA ETA’; • STROKE E COMPLICANZE.

Al fine di migliorare la fruibilità dei servizi dell'Ordine gli interessati potranno iscriversi agli eventi formativi organizzati dal nostro Ordine direttamente collegandosi sul sito web, all'indirizzo www.ordinemediciviterbo.it (sezione AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE - LISTA EVENTI). Direttamente da casa, dal proprio studio o da qualsiasi altro luogo, si potranno quindi esaminare l’elenco dei corsi ECM proposti, e selezionando l’evento di proprio interesse, procedere direttamente alla preiscrizione. Bisogna seguire le indicazioni dell'apposita area e compilare un modulo-on line. I dati fondamentali allo scopo dell'iscrizione sono quelli anagrafici, codice fiscale, dati d'iscrizione all'albo, il codice EMPAM e la e-mail. La nostra attenzione per rendere sempre più fruibili i servizi dell'ordine è massima. Il nostro personale è a disposizione per ogni richiesta di chiarimento. Se ancora non si è provveduto ti ricordo di comunicare la e-mail per poter ricevere le nostre comunicazioni riguardanti gli eventi formativi ECM.

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MOSTRE, VIAGGI, LIBRI, POESIE E RACCONTI

MOSTRE

CEEZANNE ET PARIS BORGHESE I MARMI RITROVATI CARAVAGGIO, QUADRI DALLE COLLEZIONI DEI MUSEI ITALIANI E VATICANI IL SETTECENTO A VERONA

CEEZANNE ET PARIS Celebra il nero dei quadri di Cézanne, che richiama in qualche modo anche Rembrandt, parla della creazione del mondo, delle nature morte. Un suo detto:”il colore è il luogo in cui il nostro cervello e l’universo si incontrano”. Dove: Parigi, al Palais de Luxembourg Quando: fino al 26 febbraio 2012 www.museumdeluxembourg.fr

BORGHESE I MARMI RITROVATI Tornano a casa 60 statue della famiglia Borghese vendute da Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte al cognato Napoleone nel 1807. All’epoca la vendita riguardava 695 opere, “una foresta di statue” come l’aveva definita il Bernini. Le statue saranno ricollocate dove lo erano in passato, nell stanza del Moro, nella Stanza delle 3 Grazie, nella Stanza del Centauro e così via.

Dove: Roma, Galleria Borghese Quando: dal 7 dicembre al 9 aprile 2012 INFO: 06/32810 www.mondomostre.it CARAVAGGIO, QUADRI DALLE COLLEZIONI DEI MUSEI ITALIANI E VATICANI Al museo Puskin di Mosca 11 opere del grande maestro in omaggio all’anno degli scambi culturali Italia-Russia. Grande folla di cittadini curiosi e

desiderosi di sapere come il personaggio così stravagante abbia potuto dipingere simili opere. Dove: Mosca Museo Puskin, fino al 29 gennaio 2012 Info: www.mondomostre.it IL SETTECENTO A VERONA Tiepolo, Cignaroli, Rotari La nobiltà della pittura in esposizione nella città preziosa ed elegante, colta

ARTEMISIA GENTILESCHI, STORIA DI UNA PASSIONE ESPRESSIONISMO MAURIZIO CATTELAN ALL MONDRIAN, L’ARMONIA PERFETTA NEL SEGNO DI MICHELANGELO E DI RAFFAELLO IL SIMBOLISMO IN ITALIA ROMA AL TEMPO DI CARAVAGGIO VAN GOGH E IL VIAGGIO DI GAUGUIN CEZANNE, LES ATELIERS DU MIDI

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MOSTRE

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e aperta al confronto tra il maestro e i pittori della sua epoca.

il più celebre e quotato degli artisti italiani contemporanei.

Dove: Verona, Palazzo della Gran Guardia Quando: dal 26.11.2011- 9 .4. 2012 Info: 0458062611 www.settecentoaverona.it

Dove: New York, Museo Guggheneim Quando: fino al 22 gennaio 2012 Info: Box Office at 212 423 3587.

ARTEMISIA GENTILESCHI, STORIA DI UNA PASSIONE Contesa da tutti i maggiori potentati d’Europa, celebre piuttosto che per le sue opere, per un processo di stupro a suo danno perpetrato da un collega del padre, Orazio gentileschi, tenuto nel 1612. Era l’emblema della emancipazione femminista. Per lungo tempo dimenticata, ma attualmente riabilitata come l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, impasto e colore, e altre essenzialità (Roberto Longhi). Dove: Milano, Palazzo Reale Quando: fino al 29 gennaio 2012 Info: www.mostrartemisia.it ESPRESSIONISMO Oltre 100 opere in arrivo dal museo berlinese Bruck-museum, organizzata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, che riconoscono le loro origini nel movimento - comunità di artisti fondatori del movimento DIE BRUCK (il Ponte), inizialmente sconfessati e combattuti, per lavori e sperimentazioni che sono alla base dell’espressionismo. Dove: Passariano di Codroipo (UDINE) Villa Manin Quando: fino al 4 marzo 2012 Info: 0422429999 MAURIZIO CATTELAN ALL 130 opere del grande artista verranno legate al soffitto del Museo Guggenheim di New York, per celebrare la sua capacità di prendersi gioco di tutti, maestro dello sberleffo e dell’elusione, nell’ambito della postmodernità. E’ considerato come

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MONDRIAN, L’ARMONIA PERFETTA Una mostra che racconta l’ossessione del pittore olandese verso il progresso, e l’origine del suo stile definito neoplasticismo. Presenza di artisti contemporanei.

Dove: Roma,Vittoriano, Piazza Venezia Quando: fino al 29 gennaio 2012 Info: 066780664 www.comune.roma.it NEL SEGNO DI MICHELANGELO E DI RAFFAELLO 180 opere in mostra dei due grandi maestri a Palazzo Sciarra, protagonisti del Rinascimento, da Papa Giulio II a Clemente VII, con l’organizzazione della Fondazione Roma. Tra le opere, Michelangelo ritratto da Sebastiano dal Piombo e Federico Zuccari.

Dove: Roma Palazzo Sciarra Quando: fino al 12 febbraio 2012 Info: 06 697645 599 IL SIMBOLISMO IN ITALIA 100 opere provenienti da privati e stranieri, a celebrare il simbolismo, con 8 sezioni a tema, dal Realismo al Decadentismo, con temi condivisi sulle grandi questioni dell’umanità, da Pellizza da Volpedo a Alberto Martini, fino al più grande Arnold Bocklin, il padre nobile dei simbolisti. Dove: Padova, Palazzo Zabarella Quando: fino al 12 febbraio 2012 Info : 0498753100 ROMA AL TEMPO DI CARAVAGGIO La mostra, a cura di Rossella Vodret, intende rispondere a questa domanda ricostruendo per la prima volta, attraverso l'esposizione di circa 140 dipinti provenienti dai maggiori musei italiani ed esteri, alcuni mai esposti in Italia, il tessuto connettivo del panorama artistico della Città eterna in cui visse e operò il grande genio lombardo. Dove: Roma, Palazzo Venezia Quando: Fino al 5 febbraio 2012 Info : 0632810

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VAN GOGH E IL VIAGGIO DI GAUGUIN 80 capolavori della pittura europea e americana del XIX e del XX secolo e una decina di lettere originali di Van Gogh - ha come tema il viaggio, che si può interpretare anche come avventura interiore.Al centro dell'esposizione sono 40 opere di Van Gogh e il celebre quadro di Paul Gauguin Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, che il museo di Boston presta solo per la seconda volta in Europa. Inoltre Rothko, Turner, Morandi, Kandinsky, Monet e tanti altri protagonisti della scena artistica degli ultimi due secoli. Dove: Genova, Palazzo Ducale Quando: fino al 15 aprile 2012 Info: 0422 429999 www.lineadombra.it CEZANNE, LES ATELIERS DU MIDI In occasione dell’anniversario della morte di Paul Cézanne, a Milano si tiene la prima mostra che vuole ricostruire il lavoro svolto dal maestro tra i 2 Ateliers du Midi (Jas de Bouffan e Lauves. La mostra è costituita da 60 dipinti e 30 opere su carta, tra ritratti, paesaggi e nature morte. Dove: Milano, Palazzo Reale Quando: fino al 26 febbraio 2012 Info: 0292800375 www.mostracezanne.it

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POESIE

POESIE

Archiloco fu il primo lirico della letteratura greca: egli fece entrare nella sua poesia elementi di vita che possono definirsi autobiografici e fu profondamente criticato da Crizia (fr. 295 W = test. 46 T) e da Pindaro (Pitica 2,54), per il fatto che parlò malissimo di sé stesso e che utilizzava un linguaggio troppo aggressivo. Tuttavia proprio in queste tematiche e in questo linguaggio si può riconoscere l’originalità di un genere nuovo contrapposto all’epica, i cui massimi rappresentanti erano stati Omero ed Esiodo. Nella produzione di Archiloco compaiono una tecnica e un’etica militare del tutto nuova, la presenza di ambienti e situazioni che niente hanno di eroico e la rappresentazione dell’amore fisico e del sesso che in Omero era completamente bandita. Il poeta toccò anche una gamma assai vasta di reazioni umane, dall’amore, all’odio al dolore, riprendendo tematiche nobilitate dall’epos.

POESIE DI ARCHILOCO Malattia d'amore Giaccio in preda all'amore, disperato, senza respiro, da dolori atroci per volontà divina trafitto nelle ossa. Smarrimento Tale voglia d'amore, abbarbicandosi al di sotto del cuore, mi versò fitta nebbia sugli occhi e, come un ladro, strappò dal petto l'anima indifesa. Esortazioni a se stesso Cuore, cuore sconvolto da tormenti che non hanno rimedio, risollevati, resisti ai tuoi nemici, protendendo contro di loro il petto, e resta saldo nel corpo a corpo. Non mostrarti troppo arrogante se vinci, e non abbatterti, se vinto, fra i lamenti e ai mali affliggiti senza strafare, impara a riconoscere quale alterna vicenda regge gli uomini. Con una fronda di mirto Con una fronda di mirto giocava

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ed una fresca rosa; e la sua chioma le ombrava lieve e gli òmeri e le spalle. Forza mio cuore Cuore mio, devastato da mali senza fine, svegliati! c'è da lottare, ai nemici fa' guerra, faccia a faccia combattili, sta' duro! Non esaltarti se vinci, se perdi non chiuderti in casa a piangere: sii allegro, sii anche amaro ma sii sempre te stesso: tu lo sai sotto quale destino l'uomo lotta. Con la grande coppa vieni spesso tra i banchi Con la grande coppa vieni spesso tra i banchi della nave veloce, e togli i tappi agli orci panciuti; fino alla feccia spilla il vino rosso: noi, in questa guardia, non potremo essere sobri. Sul banco della nave sta la mia focaccia impastata; sul banco della nave sta il vino d'Ismaro; disteso sul banco io bevo.

Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi, o negare giurando, o che desti stupore, da che Zeus, il padre degli dèi nell'Olimpo, fece notte nel mezzo del giorno, occultando la luce al sole splendente. E una triste paura sugli uomini venne. Tutto da allora è degno di fede, tutto dall'uomo può essere atteso: nessuno di voi si stupisca, nemmeno se vede le fiere scambiar coi delfini il pascolo marino, e che ad esse le onde echeggianti del mare siano più gradite della terra, così come ai delfini il monte boscoso. Non amo un generale alto... Non amo un generale alto, che sta a gambe larghe, fiero dei suoi riccioli e ben rasato. Uno basso ne voglio, con le gambe storte, ma ben saldo sui piedi, e pieno di coraggio.

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Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Viterbo Via Genova, 48 • 01100 Viterbo • Tel. 0761 342980 E-mail: [email protected]