CESARE BRANDI una teoria del restauro sul LA RECENSIONE DI

CESARE BRANDI (1906-1988): una teoria del restauro sul ... (Cesare Brandi, Sulla filosofia di Sartre) LA REALTA’ DELL’OPERA D’ARTE E’ UNA REALTA’ PURA...

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CESARE BRANDI (1906-1988): una teoria del restauro sul fondamento dell’estetica

•La sua riflessione costituisce un ambizioso tentativo di istituire un organico raccordo tra la pratica del restauro - a partire dal campo pittorico - e la disciplina estetica: “il problema del restauro, in quanto non un problema di gusto, ma problema che fa tutt’uno con quello dell’essenza dell’arte e dunque dell’Estetica” (Il fondamento teorico del restauro, 1950) •L’equivoco brandiano: da premesse “fenomenologiche” in funzione anticrociana, arriva in realtà ad inferire un pervicace idealismo, attraverso la critica a Sartre e l’interpretazione equivoca del kantismo •4 dialoghi estetici dedicati alle arti: ciclo dell’ Elicona Carmine o della pittura 1945, Arcadio o della scultura (1943-1951) Eliante o dell’architettura (1944-1953, editi insieme nel 1956) Celso o della poesia (1945-1953, uscito nel 1957).

LA RECENSIONE DI BENEDETTO CROCE AL CARMINE

“forse avrebbe fatto meglio a scegliere altro modo letterario di esposizione che non sia il dialogo, perché, il suo, dialogo non è, consistendo in una lunga trattazione dottrinale, che un “Carmine” di rado e con poca forza interrompe e commenta. (...) Tanto valeva adottare la diretta forma dottrinale, la quale lo avrebbe vantaggiosamente indotto a citare metodicamente la letteratura dell’argomento e a mettere in rilievo dove egli la svolga e dove se ne discosti e la corregga” “non che contenga concetti o avviamenti fondamentalmente nuovi in quella teoria, perché esso si muove (né poteva altrimenti) nella cerchia segnata e coltivata dal lavoro italiano di estetica (...) e lo stesso spirito animatore, che è quello del carattere, come si suol dire, “ideale” e meglio si direbbe “astorico”, dell’arte è di tutta questa estetica (ora minacciata, è vero, di morte dai nuovi ariosteschi “Atlanti” (...) montanti l’ippogrifo del materialismo storico. Per altro il Brandi non ripete, ma riporta e riespone a modo suo quei concetti e quelle critiche acquisite e così li presenta rinfrescati”

IL RITRATTO: UN TEMA FENOMENOLOGICO

•la presa di distanza di Brandi dal crocianesimo è portata sul tema del ritratto •l’argomentazione che Brandi per bocca di Eftimio contrappone alla teoria di Croce è costruita sulla falsariga di quella esposta da Jean-Paul Sartre ne L’Imaginaire. Psychologie phénomenologique de l’imagination edito in Francia nel 1940 •Brandi opera una deformazione della fenomenologia sartriana che, staccata dal riferimento esistenzialistico, è piegata ad esprimere sì una “presa di posizione contro l’inaridito idealismo” ma pur sempre nella direzione - è Brandi medesimo a dichiararlo - di “un nuovo idealismo svincolato dal totalitarismo della dialettica hegeliana, e ricondotto alle radici stesse del criticismo kantiano”

Sartre mette in guardia contro l’illusione d’immanenza: “la maggior parte degli psicologi e dei filosofi hanno adottato questo punto di vista, che è anche quello del senso comune. Quando dico: «ho un’immagine» di Pietro, pensano che in questo momento io abbia nella mia coscienza un certo ritratto di Pietro. Oggetto della mia coscienza attuale sarebbe precisamente tale ritratto”

“pensavamo, senza neppure rendercene conto, che l’immagine fosse nella coscienza e che l’oggetto dell’immagine fosse nell’ immagine”, figurandoci “la coscienza come un luogo popolato di piccoli simulacri: le immagini” (Sartre, L’imaginaire)

“l’immagine non è qualcosa che sta nella coscienza, non è uno stato psichico. Non ci sono immagini nella coscienza, poiché la coscienza non è un contenitore o una scatola. L’immagine è invece un certo tipo di coscienza, è un atto intenzionale e non una cosa. (Carlo Sini, I segni dell’anima)

IL PRIMO MOMENTO DELLA FENOMENOLOGIA DELLA CREAZIONE ARTISTICA: LA COSTITUZIONE D’OGGETTO (Carmine o della pittura)

•L’approccio brandiano è invece orientato a descrivere in terza persona quanto accade all’interno della coscienza dell’artista all’opera: “quanto allora l’artista vuol fare, non è l’arte, che è resultato ancora ignoto finché non è raggiunto, ma salvare l’improvviso rigoglio che gli è sorto dentro, indistinto, confuso, senza forma, eppure carico come un campo magnetico, pronto ad esplodere e imminente come la folgore” “la costituzione di oggetto è un atto sintetico della coscienza, con il quale la coscienza si costituisce a se stessa in immagine” “ad un tratto un’immagine acquista una evidenza preminente quasi che una parte dell’oscuro fluido segreto, che lo agita, ne avesse risalito le sottili vene come una colonna di mercurio. (…) quest’immagine diviene consacrata” •la coscienza dell’artista è “non contenuto ma contenente” di immagini.

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BRANDI CONTRO LA TESI DI IRREALTA’

•La “tesi di irrealtà” costituisce la conclusione della psicologia fenomenologica dell’immaginazione proposta da Sartre l’operazione di isolamento caratteristica del formare immagini ha come suo presupposto la possibilità da parte della coscienza di “porre una tesi di irrealtà”:

“l’irrealtà dell’oggetto in immagine di contro all’oggetto della realtà esistenziale non può essere nemmeno discussa”

immaginare l’amico Piero al suo ritorno da Berlino vuol dire tagliarlo fuori da ogni realtà ed annientarlo, “presentificandolo come nulla”:

“se l’intenzione della coscienza quando si dà in immagine, mira alla realtà, dà luogo ad una struttura esistenziale (Sartre direbbe ontologica), per cui l’immagine non vale più come irreale ma come surrogato del reale; il reale si presentifica nell’immagine, quasi per interposta persona, per mandato”

“la condizione essenziale perché una coscienza possa formare immagini” è che “essa abbia la possibilità di porre un “tesi” d’irrealtà (...). Così l’atto negativo è costitutivo dell’immagine”

LA REALTA’ DELL’OPERA D’ARTE E’ UNA REALTA’ PURA E ASTANTE

L’opera d’arte dunque non è affatto un irreale ma anzi si colloca con piena positività nel dominio della realtà: “dunque la coscienza, che è intuizione e intelletto, può andare anche oltre e depurare interamente la realtà dall’esistenza, porre cioè una realtà che non sia, come nell’incubo, una realtà che ha ancora carattere esistenziale, ma sia realtà solo se sicuramente, ineccepibilmente priva di esistenza (...): realtà che merita il nome di pura, appunto perché è indipendente dall’esistenza empirica” “la distinzione della realtà pura dalla realtà esistenziale non rappresenta dunque un artificio dialettico, ma rispecchiando una struttura effettiva della spiritualità umana, fonda la condizione indispensabile per pensare l’arte: poiché solo all’arte compete la realtà pura”

IL SECONDO MOMENTO DELLA FENOMENOLOGIA DELLA CREAZIONE ARTISTICA: LA FORMULAZIONE DI IMMAGINE

“Sartre qualifica l’opera d’arte come un irreale. Ora non basta che irreale si contrapponga a reale per poter cogliere l’essenza dell’opera d’arte (...). Senza passare per il concetto di forma è impossibile avvicinarsi all’opera d’arte” (Cesare Brandi, Sulla filosofia di Sartre)

ASTORICITA’ DELL’OPERA D’ARTE

“l’opera d’arte è dunque il massimo sforzo che possa compiere l’uomo per trascendere la propria transeunte esistenza, togliendosi dal tempo e conformandosi nell’immutabile dell’eternità. Ma appena compiuto lo sforzo, l’opera si stacca dal suo creatore, chiusa e perfetta, sottratta al divenire eppure continuamente attratta nel presente della coscienza che l’accoglie in sé. Nata come simbolo dell’ineffabile, di un’urgenza interiore e segreta, si manifesta nel mondo non più come un simbolo, verità velata che rimanda ad un’essenza, ma come realtà pura, priva di esistenza. Sorta come supremo arbitrio di una individualità che si riconosce senza giustificazione logica negli oggetti più eterocliti, appare alla coscienza con l’assolutezza della legge, l’universalità del concetto, l’inviolabilità della natura. Alimentata nel travaglio interno alla sua nascita dalle reazioni emotive più commosse, si offre come sublime purificazione di ogni passionalità umana, catarsi dell’uomo e del destino”

BRANDI E IL CRITICISMO KANTIANO

•La “formulazione d’immagine” è il passaggio inverso alla costituzione d’oggetto, attraverso il quale l’immagine viene fissata nella forma dell’oggetto artistico:

•Vi è una “inclusione originaria dello spazio e del tempo nell’immagine mentale” e si tratta di uno spazio e di un tempo adeguati al carattere inesteso e atemporale della realtà ideale dell’immagine, vale a dire:

“procedimento per cui l’artista dall’oggetto arriva a costituirsi il simbolo, quindi a renderlo esterno, fisso, inalienabile nella forma”.

“uno spazio privo di estensione fisica e di un tempo che non ha attualità, sospesi dunque dalla realtà esistenziale”.

“siamo giunti a riconoscere una realtà pura separata dalla realtà esistenziale e nella realtà pura si è identificata la forma”.

“ora la realtà pura dell’immagine non potrebbe egualmente disfarsi dello spazio e del tempo, dato che si determina realtà pura solo per la coscienza, né la coscienza ha altro modo di fondare la realtà a sé stessa. Senonché lo spazio e il tempo che devono agire d’accordo per segnalare la realtà pura dell’immagine, non sono lo spazio e il tempo esistenziali, ma le condizioni formali premesse all’intuizione” •È evidente che in questi passi Brandi intenda riferirsi alla definizione, discussa da Kant nella Critica della ragion pura, dello spazio e del tempo in quanto “forme pure di intuizione sensibile, come princìpi della conoscenza a priori”

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UNA PRIMA OBIEZIONE ALLA INTERPRETAZIONE BRANDIANA DI KANT •Brandi usa ben al di là dei loro limiti di validità spazio e tempo come forme a priori della sensibilità, inclinando verso una considerazione assoluta di esse in quanto coordinate della sua “realtà pura”. • Nel paragrafo dedicato ai chiarimenti dopo l’esposizione trascendentale dei concetti di spazio e tempo, Kant afferma: “tempo e spazio sono pertanto due fonti del conoscere, dalle quali possono essere attinte a priori varie conoscenze sintetiche (...). Essi cioè sono tutti e due, forme pure di tutte le intuizioni sensibili; e così rendono possibili proposizioni sintetiche a priori. Ma queste fonti a priori della conoscenza si determinano da sé proprio perciò (che sono semplicemente condizioni della sensibilità) i loro confini: cioè si riferiscono agli oggetti solo in quanto questi sono considerati come fenomeni, ma non rappresentano cose in sé. Solo quelli sono il campo della loro validità, fuori del quale, ove se ne esca, non c’è più uso oggettivo di esse”

UNA SECONDA OBIEZIONE ALLA INTERPRETAZIONE BRANDIANA DI KANT •il capitolo Dello schematismo dei concetti puri dell’intelletto risponde al problema di come sia possibile la sussunzione delle intuizioni sensibili sotto i concetti puri dell’intelletto, vale a dire, di come sia possibile applicare le categorie ai fenomeni: “ora è chiaro che ci ha da essere un terzo termine il quale deve essere omogeneo da un lato colla categoria e dall’altro col fenomeno, e che rende possibile l’applicazione di quella a questo. Tale rappresentazione intermediaria deve essere pura (senza niente di empirico), e tuttavia, da un lato, intellettuale, dall’altro sensibile. Tale è lo schema trascendentale. (...) Ora io chiamo schema di un concetto la rappresentazione di procedimento generale onde l’immaginazione porge a esso concetto la sua immagine”

BRANDI E LO SCHEMATISMO KANTIANO (Celso o della poesia)

•Come il Carmine anche il Celso è scritto in polemica con Croce. Ma se nel Carmine Brandi usa il grimaldello della fenomenologia nell’intenzione di scardinare l’”estetica corrente” crociana, nel Celso, dialogo dedicato alla discussione sulla poesia e sul linguaggio, Brandi muove contro il crocianesimo facendo leva sul criticismo kantiano. “con l’immagine la coscienza si costituisce una conoscenza concreta dell’oggetto, di quell’oggetto cui arriverà al possesso mentale nel concetto empirico: la mediazione fra immagine e concetto è data dallo schema. Kant diceva che lo schema era il monogramma dell’immaginazione pura” “È così che nasce lo schema preconcettuale dell’oggetto, che intanto non si forma su un’unica immagine, ma da varie, multiple immagini dell’oggetto, dalle quali deduce una struttura costante. (...) ma da tutte queste istantanee che si fonderanno in una multiforme immagine mentale, io estrarrò una sostanza conoscitiva comune e questa sostanza conoscitiva sarà lo schema”

IN CONCLUSIONE: CHE COSA E’ L’OPERA D’ARTE PER BRANDI?

•L’acquisizione fondamentale della teoria estetica che Brandi sviluppa nei quattro dialoghi del ciclo dell’ Elicona è la caratterizzazione dell’opera d’arte come realtà pura e astante, cioè priva di esistenza. Questo è l’esito, tutto interno all’idealismo, del tentativo brandiano di contrapporsi all’estetica crociana aggiornando il proprio linguaggio filosofico orecchiando di fenomenologia e di kantismo. Per Brandi l’opera d’arte è, nella scia della tradizione iconofila e metafisica della cultura occidentale, l’invisibile dietro il visibile, la cosa in sé, la forma, l’ idea, l’ immagine (ειδος), il principio formale, la realtà pura, sottratta di principio alle condizioni spazio-temporali del divenire esistenziale, ma conformata nello spazio-tempo trascendentali delle kantiane forme a priori della sensibilità.

•In Kant dunque lo schema trascendentale è attivo in quel processo di riduzione del concetto all’intuizione sensibile che permette la successiva applicazione della categoria ai fenomeni e non ha niente a che vedere con lo schema preconcettuale delineato da Brandi

L’ANALOGIA CON LA SCRITTURA

LE CONSEGUENZE DELLA REALTA’ DICOTOMICA DELL’OPERA D’ARTE SULLA TEORIA DEL RESTAURO

•Un paragone che può aiutare a comprenderne la natura – e che illumina la discendenza alfabetica dell’intera metafisica – è quello della scrittura. Così come il senso di una parola scritta non è dato dai segni materiali di cui è costituita ma dal significato a cui il segno rimanda, così per Brandi l’opera d’arte non è data dalla sua consistenza fisica ma è quell’invisibile, quella cosa in sé, forma, immagine, realtà pura a cui quella consistenza fisica rimanda.

•È ovvio che pensare in questo modo l’opera d’arte non può che condurre Brandi sulla strada dei paradossi o delle tautologie quando si tratta di affrontare il problema del restauro. È questa infatti la dicotomia di fondo che si riflette nella esigenza di distinguere una istanza estetica, che rende conto della natura ideale dell’opera d’arte – lo ricordiamo, sottratta all’esistenza e dunque alle stesse condizioni di degrado – da una istanza storica, che rende conto della componente fisica, materiale dell’opera d’arte.

•Brandi ripete insomma, nella sua pretesa fenomenologia dell’opera d’arte, la dicotomia tra significato e significante, tra corpo e anima della parola, in cui la parte materiale non è che il medium trasparente, e tutto sommato indifferente, del significato, il mezzo attraverso il quale il significato attua la sua epifania.

“l’avere ricondotto il restauro in rapporto diretto con il riconoscimento dell’opera d’arte in quanto tale, permette ora di darne la definizione: il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro” (Cesare Brandi, Teoria del restauro)

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ISTANZA STORICA ED ISTANZA ESTETICA

•«non si restaura che la materia dell’opera d’arte» •Ma la “precedenza” che Brandi attribuisce alla consistenza fisica dell’opera è dunque esclusivamente subordinata al fatto che la materia “rappresenta il luogo stesso della manifestazione dell’immagine al futuro” •è il riconoscimento dell’opera d’arte in quanto tale che motiva la stessa istanza storica cioè “l’esigenza della conservazione di quei mezzi fisici ai quali è affidata la trasmissione dell’immagine”

NON SI RESTAURA CHE L’OPERA D’ARTE

• Brandi parte dalla distinzione tra: - prodotti industriali o dell’artigianato, per i quali il restauro consiste nel ripristino della funzionalità persa, - e le opere d’arte per le quali: “il ristabilimento della funzionalità, se pure rientra nell’intervento di restauro, non ne rappresenta in definitiva che un lato secondario o concomitante, mai quello primario o fondamentale che ha riguardo all’opera d’arte in quanto opera d’arte”

•priorità all’istanza estetica a cui, alla fine, deve essere sottomessa anche l’istanza storica: “l’istanza estetica. E sarà questa istanza la prima in ogni caso, perché la singolarità dell’opera d’arte rispetto agli altri prodotti umani non dipende dalla sua consistenza materiale e neppure dalla sua duplice storicità, ma dalla sua artisticità, donde, una volta perduta questa, non resta più che un relitto”

ASPETTO E STRUTTURA

•Brandi individua una sorta di materia di serie A e una materia di serie B: “una certa parte di codesti mezzi fisici funzionerà da supporto per gli altri ai quali più propriamente è affidata la trasmissione dell’immagine” - l’aspetto, consunstanziale all’immagine, da tutelare; -la struttura, mero supporto, che può essere tranquillamente sacrificata: “qualora le condizioni dell’opera d’arte si rivelino tali da esigere un sacrificio di una parte di quella sua consistenza materiale, il sacrificio dovrà essere compiuto secondo che esige l’istanza estetica” •Circolarità delle definizioni di restauro: “il contemperamento fra le due istanze rappresenta la dialetticità del restauro, proprio come momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte come tale”

I TEMPI DELL’OPERA D’ARTE

“il tempo si incontra nell’opera d’arte (…) •come durata nell’estrinsecazione dell’opera d’arte mentre viene formulata dall’artista; •in secondo luogo, come intervallo interposto fra la fine del processo creativo e il momento in cui la nostra coscienza attualizza in sé l’opera d’arte; •in terzo luogo, come attimo di questa fulgorazione dell’opera d’arte nella coscienza” •Riferirsi alla durata nel restauro conduce al restauro di fantasia; •Riferirsi all’intervallo conduce al estauro di ripristino che abolisce il tempo trascorso; •“l’unico momento legittimo che si offre per l’azione di restauro è quello del presente stesso della coscienza riguardante, in cui l’opera d’arte è nell’attimo ed è presente storico, ma è anche passato e, a costo, altrimenti, di non appartenere alla coscienza umana, è nella storia. Il restauro, per rappresentare un’operazione legittima, non dovrà presumere né il tempo come reversibile né l’abolizione della storia”

L’OPERA D’ARTE COME UNITA’

“il restauro deve mirare al ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico” •L’unità dell’opera d’arte è l’unità dell’intero e non del totale non può essere cioè considerata come composta di parti, in virtù di una “speciale attrazione che esercita l’opera d’arte sulle sue parti” •Da ciò derivano due indicazioni metodologiche: -“noi deduciamo che l’opera d’arte, non consistendo di parti, se fisicamente frantumata, dovrà continuare a sussistere potenzialmente come un tutto in ciascuno dei suoi frammenti e questa potenzialità sarà esigibile in una [proporzione] direttamente connessa alla traccia formale superstite, in ogni frammento, alla disgregazione della materia” -“se la “forma” di ogni singola opera d’arte è indivisibile, ove materialmente l’opera d’arte risulti divisa, si dovrà cercare di sviluppare la potenziale unità originaria che ciascuno dei frammenti contiene, proporzionalmente alla sopravvivenza formale ancora superstite in essi”.

“un sistema di completamento che, pur rimanendo sempre percettibile e riconoscibile ad una visione ravvicinata (...) ricostituisse ad una certa distanza l’unità dell’immagine, che lo spezzettamento dell’intonaco ha purtroppo ridotto ad un caleidoscopio”

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•“una lacuna, per quanto riguarda l’opera d’arte è un’interruzione nel tessuto figurativo. Ma contrariamente a quello che si crede, la cosa più grave, riguardo all’opera d’arte, non è tanto quello che manca, quanto quel che indebitamente si inserisce” •“l’integrazione dovrà essere sempre facilmente riconoscibile; ma senza che per questo si venga ad infrangere proprio quell’unità che si tende a ricostruire”. •Uso della tecnica del “rigatino”: consistente in “tanti sottili filamenti ravvicinati, verticali e paralleli, che producono all’acquerello, la plastica e i colori come nel tessuto di un arazzo”

IL RESTAURO DEI MONUMENTI

“per il restauro dei monumenti valgono gli stessi principi che sono stati posti per il restauro delle opere d’arte (...) secondo l’accezione empirica che distingue l’opera d’arte dalla architettura propriamente detta” “la problematica che la riguarda è comune a quella delle opere d’arte; dalla distinzione di aspetto e struttura, alla conservazione della patina e delle fasi storiche attraverso cui è passato il monumento”

LA RICOSTRUZIONE DELLE CASE A PIAZZA NAVONA Si tratta di fabbriche in sé prive di valore artistico, e dunque prive in sé di valore monumentale, ma necessarie alla ricostituzione dei “dati spaziali” dell’ambiente monumentale “alterato”

“sempre è da cercarsi di riportare i dati spaziali del sito più vicini possibile a quelli originari”. •Occorre quindi preliminarmente valutare “se gli elementi scomparsi, per la cui soppressione è venuta ad alterarsi la spazialità dell’ambiente originario, siano monumenti in sé o meno. Se non costituiscono monumento in sé, potrà anche ammettersene una ricostituzione, in quanto che, per falsi che siano, non essendo opere d’arte, ricostituiscono tuttavia i dati spaziali, ma proprio perché non sono opere d’arte, non degradano la qualità artistica dell’ambiente, in cui si inseriscono solo come limiti spaziali genericamente qualificati”

IL RESTAURO DEL RUDERE COME MERA CONSERVAZIONE

•Il rudere non è più opera d’arte: “Rudero” è dunque una “qualifica che compete a cosa che sia pensata (...) non solo e limitatamente alla sua presenza astante, ma nel suo passato, da cui trae il suo unico valore quella sua presenza attuale in sé priva o scarsissima di valore”. •Occorre “accettare nel rudero il residuo di un monumento storico o artistico che non può rimanere che quello che è”.

INCONCILIABILITA’ TRA ARCHITETTURA MODERNA E CENTRI STORICI

“la rottura irrimediabile con la spazialità prospettica, realizzata dall’architettura sia a tendenza razionale che organica ha tolto la possibilità non solo di qualsiasi temperamento ma anche di ogni contiguità con gli edifici preesistenti(...). L’architettura moderna è necessariamente, costituzionalmente, extra moenia (...). O si fanno dei quartieri integralmente moderni e si rispettano quegli antichi, oppure la nostra civiltà continuerà a distruggere se stessa, anche dove crede di salvare qualche residuo” (Cesare Brandi, Eliante o dell’Architettura)

AGGIUNTE E RIMOZIONI

“storicamente è solo incondizionatamente legittima la conservazione dell’aggiunta, mentre la remozione va sempre giustificata e comunque deve essere fatta in modo da lasciare traccia di sé sull’opera stessa” “è insomma sempre un giudizio di valore che determina la prevalenza dell’una o dell’altra istanza nella conservazione o nella remozione delle aggiunte. (...) Dal punto di vista estetico è chiaro che la soluzione da dare al problema dipende in primo luogo dal giudizio che si dà del rifacimento: indichi questo il raggiungimento di una nuova unità artistica, e il rifacimento dovrà essere conservato”

•l’intervento su di esso come il “primo grado del restauro”, consistente nella “mera conservazione” e “salvaguardia dello status quo”

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IL DOV’ERA COM’ERA: LA QUESTIONE DELLE COPIE •La ricostruzione del campanile dopo il crollo non è un rifacimento ma una copia e un falso storico: “ora né in sede storica, né in sede estetica si può riuscire a legittimare la sostituzione con una copia se non dove l’opera d’arte sostituita ha mera funzione integrativa di elemento e non vale per sé. La copia è un falso storico e un falso estetico e pertanto può avere una giustificazione puramente didattica e rimemorativa, ma non può sostituirsi, senza danno storico ed estetico all’originale” “l’adagio nostalgico: “come era, dove era” è la negazione del principio stesso del restauro, è un’offesa alla storia ed un oltraggio all’Estetica, ponendo il tempo reversibile, e riproducibile l’opera d’arte a volontà”

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