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COSA CAMBIA NEI PARAMETRI FORENSI CIVILI DEL 2014 di Andrea Bulgarelli Il 3 aprile u.s., dopo un lungo iter di approvazione, sono entrati in vigore i nuovi parametri forensi. Anche i nuovi parametri troveranno applicazione, com’era prima, in mancanza di un contratto tra cliente e avvocato, col quale sia stata pattuita per iscritto la remunerazione del professionista, o quando il giudice debba provvedere alla liquidazione delle spese di lite (art. 91 c.p.c.) o del compenso di prestazioni officiose previste dalla legge. Il decreto ministeriale del 10 marzo 2014 n. 55, invece, a differenza del precedente decreto 20 luglio 2012 n. 140, riguarda solo i parametri degli avvocati e non anche quelli dei commercialisti, dei notai, dei professionisti dell’area tecnica, degli assistenti sociali, ecc… novità che piace interpretare come un riconoscimento al ruolo costituzionale dell’avvocatura.
LA REINTRODUZIONE ESPRESSA DELLA DIVERSA LIQUIDAZIONE A CARICO DEL CLIENTE E DEL SOCCOMBENTE Tra le pieghe del nuovo decreto, ancorchè in maniera meno esplicita rispetto all’art. 2 delle abrogate tariffe forensi, torna un riferimento alla possibile diversa liquidazione dei compensi dell’avvocato nel rapporto col cliente e delle spese di soccombenza nei confronti della controparte. L’articolo 5, comma 1, prevede infatti che: “Nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa…” L’articolo 5, comma 2, prevede a sua volta che: “Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo…” Altri indici sono rinvenibili ad es. nell’art. 4, commi 8 e 9: “Il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato…”
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“…il compenso dovuto all’avvocato del soccombente è ridotto, di regola ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni…” e nell’art. 8, comma 1: “Quando incaricati della difesa sono più avvocati, ciascuno di essi ha diritto nei confronti del cliente ai compensi…”. La previsione si deve certamente anche a quanto già chiaramente previsto dall'art. 13, comma 6, della sopraindicata legge di riforma forense secondo la quale: “I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge.”. Il precedente decreto nulla stabiliva in merito ed era quindi sorto il dubbio che la liquidazione operata dal giudice ex art. 91 c.p.c. potesse valere anche nei confronti del cliente vittorioso.
LE NOVITA’ IN TEMA DI VALORE: VERSO L’INFINITO E OLTRE Si considerano (art. 5, comma 6), di regola, cause di valore indeterminabile (scompare ogni riferimento a quelle di valore indeterminato) ai fini della liquidazione del compenso dell’avvocato quelle non inferiori a euro 26.000,00 e non superiori a euro 260.000,00 (due soli scaglioni come per le vecchie tariffe, anche se con un limite massimo maggiore). Scompare quindi il riferimento al valore medio dello scaglione di riferimento da euro 25.001 ad euro 50.000 ed alla sua possibile maggiorazione fino al 150 per cento o diminuzione fino al 50 per cento (tabella “A” D.M. 140/2012). Viene poi previsto (per l’attività giudiziale dall’art. 6 e per quella stragiudiziale dall’art. 22) per le controversie di valore superiore a euro
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520.000,00 un aumento del 30 per cento per lo scaglione da euro 520.000,00 ad euro 1.000.000,00 e per ogni successivo raddoppio del valore massimo della controversia (2.000.000, 4.000.000, 8.000.000, ecc…).
I CC. DD. VALORI “MEDI” Il punto di partenza di ogni liquidazione pare espressamente costituito dai valori medi tabellarmente previsti (art. 4, comma 1, secondo periodo). Il previgente art. 11, comma 1, si limitava a far riferimento ai parametri di cui alla tabella A e solo in essa si trovava indicato il “valore medio di liquidazione”, ma il previgente art. 1, comma 7, dei vecchi parametri, prevedeva tuttavia che in nessun caso i parametri vincolassero la liquidazione del giudice che quindi poteva aumentarlo o diminuirlo o addirittura discostarsene del tutto. Non essendo stata tale norma riprodotta nel testo del nuovo decreto sembrerebbe che il giudice non possa ora più prescindere dai valori medi previsti dovendo anzi motivare le ragioni degli ammessi scostamenti percentuali in aumento o diminuzione (su cui infra). Viene però da chiedersi quale significato allora residui all’aggettivo “medio” utilizzato anche nel nuovo decreto. Non penso esso debba essere riferito alla possibilità degli aumenti o diminuzioni percentuali previsti (su cui infra), perché la precisazione sarebbe allora inutile dato che è inevitabile che essi siano comunque pur sempre applicabili ad un importo e poco importa che esso sia medio, minimo o massimo. È semplicemente solo il punto di partenza di aumenti o diminuzioni. Si potrebbe allora trattare forse solo di un termine residuato dal previgente decreto sui parametri. In realtà aver mantenuto l’aggettivo pur sopprimendo la previsione di assoluta discrezionalità del giudice di cui all’art. 1, comma 7 dei vecchi parametri potrebbe anche far pensare che vi sia ancora un valore prossimo allo zero (minimo) e anche un valore massimo (pari al doppio del medio) e
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che sia dunque ancora possibile per il giudice discostarsi dai medi per giungere a tali limiti, ancorchè motivandone adeguatamente i presupposti. Nella normalità dei casi dovrebbe partire dai medi e applicare le diminuzioni o gli aumenti percentuali previsti, quando ne sussistano le ragioni potrebbe invece spingersi oltre fino a giungere ad una discrezionalità ampliata (ancorchè mai del tutto avulsa dai parametri quantomeno con riferimento ai massimi, posto che per valori prossimi allo zero questa tipo di discrezionalità allargata in nulla concretamente divergerebbe con quella a suo tempo prevista dall’art. 1, comma 7). A prescindere da ciò e in attesa di vedere quale saranno le concrete applicazioni giurisprudenziali del decreto, ritengo comunque che i nuovi parametri e la (nuova) legge professionale che li prevede non confliggano con il c.d. primo decreto Bersani sulle liberalizzazioni (D.L. 4 luglio 2006, n. 223 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) e in particolare col suo art. 2, comma 1 che prevede: In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;. I valori medi previsti dal nuovo decreto riguardano infatti solo le liquidazioni giudiziarie per le quali non mi pare possa neanche porsi un problema di assicurare la libera concorrenza posto che essa è destinata a realizzarsi a monte e prima di esse, trovando il suo concreto ambito applicativo nelle pattuizioni del contratto cliente/avvocato.
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L’ATTIVITA’ GIUDIZIALE: GLI AUMENTI E LE RIDUZIONI Come accennato, il giudice potrà diminuire (nel limite del 50%), o aumentare (nel limite del 80%) i compensi delle varie fasi giudiziali, e per la sola fase istruttoria potrà fruire di maggiore discrezionalità nella diminuzione (70%) o nell’aumento (100%), basandosi sui seguenti parametri generali: 1. le caratteristiche, l’urgenza e Il pregio dell'attività prestata (principio, quest’ultimo già fissato dall’art. 2, comma 1), 2. l’importanza, la natura, la difficoltà e il valore dell’affare, 3. le condizioni soggettive del cliente, 4. i risultati conseguiti, 5. il numero e la complessità delle questioni trattate. Altre ipotesi di aumento o diminuzione previste riguardano il numero dei clienti: a) per l’assistenza di più soggetti aventi la stessa posizione processuale il compenso unico dell’avvocato potrà (di regola) essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti (art. 4, comma 2). La stessa disposizione si applica quando più cause vengano riunite, dal momento dell'avvenuta riunione oltre che nel caso in cui l'avvocato assista un solo soggetto contro più soggetti. Tuttavia ove la prestazione professionale, ferma l'identità di posizione processuale dei vari soggetti, nei confronti di questi non comporti l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto verrà, di regola, ridotto del 30 per cento (art. 4, comma 4). b) la maggiorazione per l’avvocato che assista entrambi i coniugi nel procedimento per separazione consensuale o nel divorzio a istanza congiunta è fissata (di regola) al 20 per cento su quello altrimenti liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto. Un’importante novità è introdotta dall’articolo 8, comma 1, che – innovando rispetto al previgente articolo 4, comma 1 – prevede che in caso di incarico a più avvocati per il medesimo affare ciascuno di essi maturi un autonomo diritto al compenso per l'opera prestata e non più invece un
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unico compenso aumentabile sino al doppio. La disposizione vale ovviamente solo nel rapporto cliente – avvocato e non in quello (che ricorre solo per il giudiziale) nei confronti della parte soccombente (art. 8, comma 1). Non così per gli incarichi conferiti alle società tra avvocati che danno diritto (come prima: art. 1, comma 4 D.M. 140/2012) ad un compenso unico anche se la prestazione viene svolta da più soci (artt. 8, comma 3, e 23). L’assenza di prova del preventivo non è invece più prevista come ipotesi legittimante una riduzione del compenso liquidabile all’avvocato, pur costituendo ipotesi di illecito deontologico se non consegnato per iscritto benché richiesto (art. 27, comma 2, nuovo codice deontologico forense). Né ritengo che il giudice possa comunque procedere in tale ipotesi alla riduzione del compenso liquidabile all’avvocato basandosi sul concetto di buona fede (art. 1337 c.c.) stante il chiaro disposto dell’art. 4, comma 1, del decreto. Scompare la riduzione fino alla metà per le cause di lavoro di valore non superiore a mille euro prevista dall’abrogato articolo 8 del D.M. 140/2012. Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso, di regola, può essere aumentato fino a un quarto, ma solo con riferimento a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta rientrante nelle altre fasi (art. 4, comma 6). La disposizione innova rispetto al decreto in precedenza applicabile da un lato escludendo una tale ipotesi di maggiorazione per l’attività stragiudiziale (come invece stabilito dall’art. 3, comma 3 D.M. 140/2012), dall’altro estendendola anche alle transazioni il che significa che la norma si applicherà ora anche quando l’intervenuto accordo non sia trasfuso nel verbale di udienza e non costituisca quindi una possibile base della conciliazione giudiziale. La disposizione è però francamente incomprensibile nella parte in cui pare presupporre che la conciliazione possa intervenire solo nella fase decisionale. Il che, come tutti sanno, non è. Non a caso nei vecchi parametri l’aumento (art. 4, comma 5) era rapportato a tutta l’attività svolta.
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Costituisce una novità la previsione che il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito possa essere aumentato fino a un terzo, rispetto a quello altrimenti liquidabile, quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate (art. 4, comma 8). Anche in questo caso non si comprende il senso del riferimento della previsione solo al soccombente costituito prescindendo in toto dalle difese da questi svolte, dato che esse potrebbero anche essere, per assurdo, di adesione alle domande di controparte. Sfugge altresì quale sia il valore insito nella contumacia tale da evitare la prevista maggiorazione della liquidazione delle spese di lite per il soccombente. È bene precisare che il potenziale aumento nella liquidazione delle spese di lite non è necessariamente collegato all’eventuale accertamento, da parte del giudice, della sussistenza dei presupposti per la condanna della parte soccombente anche al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. La norma regolamentare (art. 4, comma 8, D.M. 55/2014) si riferisce infatti alla condotta e alle difese della parte vittoriosa, quella primaria (art. 96, comma 3 , c.p.c.) al comportamento della parte soccombente e la manifesta fondatezza della difesa di una parte non significa automaticamente manifesta infondatezza della pretesa altrui. Possono poi essere concretamente diversi i destinatari: la somma liquidata ex art. 96, comma 3, c.p.c. va alla parte, mentre l'aumento del compenso potrebbe avere come diretto o indiretto beneficiario l'avvocato o perché dichiaratosi antistatario, o perché, avendo riscosso le spese di lite, si sia avvalso dell’art. 31, commi 2 e 3, cod. deontologico1.
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Art. 31 cod. deontologico avvocati: [1…] 2. L’avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute a rimborso delle anticipazioni sostenute, con obbligo di darne avviso al cliente. 3. L’avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute imputandole a titolo di compenso: a) quando vi sia il consenso del cliente e della parte assistita; b) quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l’avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita; […]
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Rispetto al vecchio articolo 10, il nuovo art. 4, comma 9 stabilisce che la già prevista dimidiazione del compenso dovuto all’avvocato del soccombente (rispetto a quello altrimenti liquidabile) nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile, ovvero, comunque, nei casi d’inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda possa essere disposta solo ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni che il giudice dovrà esplicitamente indicare in motivazione.
L’ATTIVITA’ STRAGIUDIZIALE: GLI AUMENTI E LE RIDUZIONI L'attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l'attività giudiziale e che rivesta un’autonoma rilevanza rispetto a quest'ultima, a differenza di quanto invece genericamente previsto dall’art. 3 D.M. 140/2012, deve ora essere anch’essa liquidata, in base (di regola) a parametri numerici previsti da un’autonoma tabella (n. 25). Il giudice potrà diminuire (nel limite del 50%), o aumentare (nel limite del 80%), i valori medi ivi indicati applicando i seguenti parametri generali (art. 19): 1. le caratteristiche, l'urgenza, il pregio dell'attività prestata (principio, quest’ultimo già fissato dall’art. 2, comma 1), 2. l'importanza dell'opera, 3. la natura, la difficoltà e il valore dell’affare, 4. la quantità e qualità delle attività compiute, 5. le condizioni soggettive del cliente, 6. i risultati conseguiti, 7. il numero e la complessità delle questioni giuridiche e in fatto trattate, dovendo tenersi particolare conto della difficoltà dell’affare, dei contrasti giurisprudenziali rilevanti, della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Anche per lo stragiudiziale valgono le regole sopra viste per l’attività giudiziale in merito agli incarichi a più avvocati per il medesimo affare ciascuno dei quali maturerà un autonomo diritto al compenso (art. 23, comma 1) e per quelli conferiti alle società tra avvocati che danno invece
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diritto ad un compenso unico anche se la prestazione viene svolta da più soci (art. 23, comma 2). LE NOVITA’ IN TEMA DI TABELLE, FASI E SCAGLIONI Costituisce una novità l’inserimento in ogni tipo di procedimento esecutivo di due fasi (tabelle 16, 17 e 18): I.
II.
quella di studio della controversia che comprende la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello stesso unitamente al precetto, l'esame delle relative relate, il pignoramento e l'esame del relativo verbale, le iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d'intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali, l'esame dei relativi atti (art. 4, comma 5, lett. e); quella istruttoria e/o di trattazione che comprende: ogni attività del procedimento esecutivo non compresa nella surriportata fase di studio della controversia, quali le assistenze all'udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo (art. 4, comma 5, lett. f).
Le procedure esecutive mobiliari, oltretutto, vedono aumentare i propri scaglioni da tre a sei e si affrancano dalle procedure concorsuali. Sono stati introdotti (art. 10) distinti compensi sia per l’avvocato che sia arbitro (anche se facente parte di un collegio arbitrale) in procedimenti arbitrali rituali o irrituali (tabella 26), sia per quello che patrocini in tali arbitrati (tabella 2 riferita alle cause avanti il tribunale). Scompare quindi la distinzione tra l’attività defensionale prestata in un arbitrato irrituale – che era in passato da remunerarsi secondi i criteri fissati per l’attività stragiudiziale (art. 6, comma 2) – e quella prestata in un arbitrato rituale, per la quale era dovuto lo stesso compenso tabellarmente previsto ove competente a conoscere della controversia fosse stata l’autorità giudiziaria (art. 6, comma 1). I procedimenti cautelari, benchè non menzionati nel decreto, guadagnano rispetto a prima (art. 7) una propria autonoma tabella (la 10). Così analogamente quelli di convalida locatizia (tabella 5), di istruzione preventiva (tabella 9), di volontaria giurisdizione (tabella 7), di lavoro (tabella 3), di previdenza (tabella 4), quelli per iscrizione ipotecaria (tabella 19 condivisa con gli affari tavolari, che anche prima ne avevano una) e per dichiarazione di fallimento (tabella 20).
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Quanto a questi ultimi procedimenti appare curioso che siano previsti scaglioni anche per valori inferiori ai 30.000,00 euro dal momento che la declaratoria fallimentare non può intervenire per un ammontare di debiti inferiore. Probabilmente si sarà voluto prevedere il caso di istanze presentate congiuntamente da più creditori o successivamente riunite, anche se alcune relative a crediti sotto la predetta soglia legale. Si vedono riconosciuta una tabella autonoma (non più condivisa con la Corte di appello) pure i giudizi avanti al T.A.R. (tabella 21), quelli avanti il Consiglio di Stato (tabella 22) che non la condividono più, stranamente, con i giudizi avanti la Cassazione e le altre giurisdizioni superiori (di cui pure fanno parte), quelli avanti la Commissione tributaria provinciale (tabella 23) che non la condividono più con il tribunale, quelli avanti la Commissione tributaria regionale (tabella 24) che non la condividono più con quelli avanti la Corte d’appello. I procedimenti monitori vedono aumentare gli scaglioni da tre a cinque, mentre la tabella per i precetti si arricchisce di un ulteriore scaglione passando da quattro a cinque e quella per i procedimenti avanti al giudice di pace da due a tre. Aumentano da sei a cinque gli scaglioni per i giudizi avanti la Corte di appello, la Corte di Cassazione e le giurisdizioni superiori, e quelli ordinari o sommari di cognizione avanti il tribunale. I procedimenti per consegna e rilascio ricomprendono ora anche i procedimenti di esecuzione presso terzi ed in forma specifica e prevedono non più tre, ma addirittura sei scaglioni.
LE ALTRE NOVITA’ IN TEMA DI SPESE E COMPENSI A prescindere dal contenuto del contratto, in ipotesi, concluso col cliente, pare che il nuovo decreto parametri preveda un irrinunciabile diritto dell’avvocato a vedersi corrispondere anche le c.d. spese generali o forfetarie (di regola) nella misura del 15 per cento sui compensi. L’art. 1 stabilisce infatti che anche in caso di determinazione contrattuale del compenso rimane ferma la disciplina del rimborso spese di cui al successivo articolo 2, che a sua volta ribadisce che “oltre al compenso e al
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rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfetarie di regola nella misura del 15 per cento. La lettera del regolamento e l’aver ribadito in due articoli consecutivi lo stesso concetto paiono deporre a favore dell’interpretazione che ritiene irrinunciabile il diritto dell’avvocato a vedersi corrisposte le spese generali. In caso quindi di determinazione contrattuale che le abbia espressamente escluse dovrà probabilmente trovare applicazione l’art. 1339 c.c. Del resto, per la prima volta, le spese generali hanno la loro fonte primaria in una legge dello Stato e nello specifico in quella professionale che nell’art. 13, comma 10, pare confermarne la debenza anche in caso di determinazione contrattuale del compenso. Contrariamente a quanto previsto dalla predetta norma primaria il regolamento non ha tuttavia previsto la loro misura massima ma solo quella “normale” del 15% (art. 2), che dovrebbe costituire, adottando un termine caro al nuovo decreto parametri, la “regola”. Attenendosi rigidamente alla lettera della norma il diritto alle spese generali sembra riservato solo agli avvocati e non più, com’era secondo le abrogate tariffe (art. 14), anche ai praticanti autorizzati al patrocinio per i quali è prevista la possibilità di vedersi liquidare, manco a dirsi ed ancora una volta “di regola”, solo la metà dei compensi spettanti agli avvocati (artt. 9 e 24). Analoga inderogabilità e irrinunciabilità non sembra invece valere per il diritto al rimborso delle spese documentate (art. 2), comprese quelle di trasferta in relazione alle singole prestazioni svolte dall’avvocato. Il decreto ha tuttavia omesso di disciplinare i criteri di determinazione e documentazione delle “spese vive” come prevedeva l’art. 13, comma 10, della legge professionale. Le spese di trasferta che spettano (artt. 11 e 27) per gli affari e le cause fuori dal luogo ove l’avvocato della difesa svolge la professione in modo
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prevalente sono quantificabili secondo gli stessi parametri già a suo tempo previsti dall’art. 8 delle abrogate tariffe2. La vera e propria indennità di trasferta (artt. 11, 15, 27), che era ricompresa nel compenso in quanto considerato suo mero accessorio nel D.M. 140/2012 (art. 11, comma 8), dovrà invece adesso essere autonomamente liquidata non essendo più quantificata in ragione di ora o frazione di ora come accadeva vigente il D.M. 127/2004 (art. 8). Introdotta ex novo, invece, la previsione del compenso spettante al domiciliatario fissato al 20 per cento delle fasi processuali che lo stesso abbia effettivamente seguito e comunque rapportato alle prestazioni effettivamente svolte (art. 8, comma 2), il che non può che significare che tale percentuale potrà anche non essere calcolata sui valori medi. Reintrodotta la previsione (artt. 9 e 24) di un distinto compenso per i praticanti avvocati abilitati al patrocinio fissata (ancora una volta, “di regola”) nella metà di quello che sarebbe spettante ad un avvocato, così com’era previsto dall’art. 8 del D.M. 127/2004. All’art. 26 viene previsto per la prima volta un compenso per le prestazioni in adempimento di un incarico di gestione amministrativa, giudiziaria o convenzionale, “di regola” liquidabile sulla base di una percentuale, fino a un massimo del 5 per cento, computata sul valore dei beni amministrati, tenendo altresì conto della durata dell'incarico, della sua complessità e dell'impegno profuso. Non v’è più traccia delle riduzioni previste dall’abrogato art. 9 che riguardava le cause per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e il c.d. gratuito patrocinio. Rimane quindi ferma per il patrocinio a spese dello Stato la riduzione, per i civilisti, del cinquanta per cento prevista dall’art. 130 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).
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Si tiene conto del costo del soggiorno documentato dal professionista, con il limite di un albergo quattro stelle, unitamente, di regola, a una maggiorazione del 10 per cento quale rimborso delle spese accessorie; per le spese di viaggio, in caso di utilizzo di autoveicolo proprio, è riconosciuta un'indennità chilometrica pari di regola a un quinto del costo del carburante al litro, oltre alle spese documentate di pedaggio autostradale e parcheggio.
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LE IPOTESI DI RESIDUA MAGGIOR DISCREZIONALITA’ DEL GIUDICE Oltre all’abuso nei vari articoli del decreto in esame del termine “di regola”, utilizzato ben 34 volte, che per la sua vaghezza sembra lasciare una certa discrezionalità al giudice nel determinare il compenso concretamente liquidabile all’avvocato, residuano certamente almeno due altre ipotesi nelle quali, nel rapporto col “cliente”, potrà farsi ricorso ad essa. La prima è costituita degli incarichi non portati a termine. Anche la nuova versione dei parametri forensi non ha, infatti, risolto il preesistente problema dei giudizi non compiuti a causa del recesso (i.e. revoca e rinuncia all’incarico) di una delle parti del contratto di mandato o patrocinio legale. Poiché infatti i compensi sono anche ora rapportati ad intere fasi, come si liquiderà il compenso all’avvocato nel caso in cui la fase non possa considerarsi terminata e il contratto si sciolga unilateralmente e, perché no, anche consensualmente ma senza nulla disporre in merito? Gli articoli 7 e 25 (rispettivamente per l’attività giudiziale e quella stragiudiziale) prevedono rispettivamente che: “Per l'attività prestata dall'avvocato nei giudizi iniziati ma non compiuti, si liquidano i compensi maturati per l'opera svolta fino alla cessazione, per qualsiasi causa, del rapporto professionale”, “Per l'attività prestata dall'avvocato negli incarichi iniziati ma non compiuti, si liquidano i compensi maturati per l'opera svolta fino alla cessazione, per qualsiasi causa, del rapporto professionale”. Analogamente prevedeva, con valenza generale, l’abrogato articolo 1, comma 5 del previgente D.M. 140/2012. In tali casi occorrerà probabilmente prendere a riferimento l’importo del compenso previsto per la fase in cui è intervenuto lo scioglimento del contratto e ridurlo in rapporto all’attività sino a quel momento compiuta. Il problema è che un tale metodo, benché fors’anche equo, rende difficile giungere a risultati che consentano un certo grado di certezza e uniformità
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anche in considerazione del fatto che nelle fasi sono incluse plurime attività non sempre ricorrenti in ogni giudizio, ciò che rende impossibile fare esatte proporzioni. Da questo punto di vista le tariffe consentivano una maggiore precisione che la semplificazione di ottenere una cifra totale "al volo", grazie al ricorso ai parametri, non consente più. La seconda ipotesi è costituita dal compenso liquidabile a favore del domiciliatario. Come visto l’art. 8, comma 2, prevede che la sua eventuale liquidazione parta dal 20 per cento del compenso liquidabile per le fasi processuali che lo stesso abbia effettivamente seguito e comunque rapportato alle prestazioni effettivamente svolte. Come già accennato ciò non può che significare che tale percentuale potrà anche essere calcolata non sull’intera fase ma solo su quella parte di fase effettivamente svolta dal domiciliatario. Il che ripropone il problema sopra evidenziato di dividere l’importo unico previsto per la fase in ragione delle attività concretamente proprie del giudizio in questione che siano state effettivamente svolte dal domiciliatario e fa quindi emergere nuovamente il bug che hanno i parametri rispetto alle abrogate tariffe forensi e riespandere la discrezionalità del giudice.
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