Gheddafi e il socialismo nazionale arabo

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MUHAMMAR GHEDDAFI E IL SOCIALISMO NAZIONALE ARABO di Dagoberto Husayn Bellucci

"Il nostro socialismo è un socialismo islamico, scaturito dalla tradizione del nostro popolo, dalla sua religione e dai suoi principi. La giustizia predicata dall'Islam è una giustizia assoluta, inglobante tutti gli aspetti della vita umana, siano essi giuridici , sociali, internazionali o semplicemente relativi a rapporti dell'uomo con se stesso." ( Gheddafi - "Il Libro Verde" )

"Noi siamo contro il capitalismo e il comunismo; di conseguenza basta con la putrida ideologia del capitalismo, basta con il marxismo ingannatore." ( Gheddafi - "Il Libro Verde" )

Documento in Pdf a cura di www.TerraSantaLibera.org http://www.terrasantalibera.org/DHB_gheddafi_socialismo_nazionale_arabo.htm

MUHAMMAR GHEDDAFI E IL SOCIALISMO NAZIONALE ARABO

L'analisi relativa al pensiero ed all'azione politica quarantennale sviluppata in Libia dal Colonnello Muhammar Gheddafi 'reagisce' a differenti 'impulsi' concernenti un percorso ideologico ed una prassi politica 'conformi' a premesse rivoluzionarie in ordine con i principii della Tradizione religiosa e politica musulmana uniti ad una ambivalente 'attitudine' del Leader Maximo della "Grande Jamāhīriyya Araba di Libia Popolare e Socialista" ieri sostenitore a spada tratta del Panarabismo social-nazionalista di ispirazione 'nasseriana' successivamente - a partire dalla seconda metà degli anni Novanta - avvicinatosi sempre più palesemente all'Occidente con il quale ha cercato di ricucire 'antichi' rancori e nuove 'frizioni' riuscendo nell'intento di riportare ad un livello sufficientemente accettabile le relazioni libiche con l'Italia , vecchia potenza colonialista dello "scatolotto di sabbia" nord-africano (..."la quarta sponda" di mussoliniana memoria...), e fuoriuscire dalla 'black list' del Dipartimento di Stato statunitense e dall'elenco dei paesi 'canaglia' o 'sponsor' del cosiddetto "terrorismo internazionale" dei quali Washington annualmente 'aggiorna' o 'certifica' le 'intenzioni' (...il criminale incallito 'uso' ad

accusar le sue vittime e 'rivoltar' contro esse presunte, pretese e mai dimostrabili azioni 'destabilizzanti' la pace di questa o quella regione del pianeta...Washington ovvero la quintessenza del terrorismo , gli Stati Uniti come centro planetario di tutti i complotti e gli intrighi politici internazionali contro la pace, la 'White House' quale 'motore immobile' delle vampate terroristico-incendiarie deflagranti le nazioni del pianeta e puntate contro la libertà e l'indipendenza dei popoli...).

'Scrivere' della figura istrionica, egocentrico-lunatica e spesso difficilmente 'comprensibile' all'occidentale rovesciata e contorta percezione delle masse 'belanti' della moderna contemporaneità ci 'interessa' al di là della distanza 'abissale' - 'anni luce' di siderale vuoto cosmico - che separa la Libia 'islamo-social-nazionalista' del Colonnello di Tripoli dalla forma scolpita perfetta e insindacabile della Repubblica Islamica dell'Iran al fianco del quale , 'sottolineatura' d'obbligo e necessario 'ricordo' storico, Gheddafi comunque si pose durante gli otto lunghi anni della Guerra Imposta da Saddam Hussein (1980-88) 'adempiendo' ad una consegna rivoluzionaria ed insieme ad una 'congiuntura' geopolitica internazionale favorevole per l'instaurazione di relazioni amichevoli.

Tripoli non è nè mai potrà essere Teheran ma rimane un esemplare punto di riferimento per le masse islamiche dell'Africa sahariana settentrionale che - anche durante le 'turbolenze' ed agitazioni che interesseranno questa regione negli anni compresi tra la fine degli Ottanta ed i Novanta , con le rivolte popolari in Tunisia e lo scatenamento della sanguinosa e criminale guerra civile in Algeria seguente il colpo di stato dei militari filo-occidentali e la messa al bando del F.I.S. , il Fronte Islamico di Salvezza , vincitore del primo turno delle elezioni legislative del dicembre 1991 (1) - riconosceranno nella politica ambivalente ( africana e vicino-orientale ) del colonnello Gheddafi un vettore anti-imperialista ed un riferimento per future possibili ondate rivoluzionarie miranti l'abbattimento dei regimi filo-occidentali che dalla Mauritania all'Egitto si sono sottomessi ai diktat della superpotenza a stelle e strisce accettando inique posizioni di lacchè dell'America e miserevoli compromessi ed accordi quali quello che porterà nel settembre 1978 l'allora presidente egiziano Anwar el Sadat a firmare gli accordi di Camp David con il criminale sionista Menachem Begin. (2)

In questo contesto , e prendendo spunto dalla recente visita italiana del

Colonnello Gheddafi ( che ha suscitato peraltro le ire della "kehillah" capitolina e 'italica' ovvero la reazione demonizzante massmediatica della tramissione televisiva "Sorgente di Vita" , appuntamento bisettimanale a cura dell' UCEI - Unione delle Comunità Ebraiche Italia alias quindicinale propaganda sionista 'mascherata' peraltro malamente da rubrica "religiosa" ), non possiamo quindi esimerci da una ricognizione analitica relativa all'avvento , quarant'anni or sono, della "rivoluzione verde" libica portata avanti sull'esempio di quella nasseriana del '52 da un gruppo di militari denominato "al Dubbat al-Wahdawiyin al-Ahrar" ("Gli Ufficiali Liberi Uniti").

La "rivoluzione" di Gheddafi prenderà le mosse il primo settembre 1969 sorprendendo tutti: gli abitanti della Libia, i britannici stazionanti nel paese, le due superpotenze che si spartiscono il pianeta (Stati Uniti ed Unione Sovietica). Alle prime ore dell'alba , attorno alle 6 del mattino, la Radio Nazionale che a quell'ora solitamente trasmette la voce del muezzin per invitare i fedeli alla preghiera o i versetti del Sacro Corano è interrotta da marce militari e dalla voce di uno sconosciuto ufficiale che lancia il suo proclama alla Nazione e al mondo intero: "Nel Nome di Dio , il Clemente il Misericordioso. O Grande popolo libico! Per compiere la tua libera volontà , per realizzare le tue preziose aspirazioni, per rispondere ai tuoi reiterati appelli al cambiamento e alla purificazione , al lavoro e alla iniziativa , e nello spirito della rivoluzione e dell'assalto, le tue forze armate hanno distrutto il regime reazionario, retrogrado e decadente..."

La voce che proclama l'avvenuto colpo di stato è quella di un tenente che il mondo incomincerà a conoscere soltanto qualche mese più tardi: Muhammar Gheddafi.

E' lui ad annunciare ai suoi connazionali la fine del regime monarchico e la caduta di re Idriss, in quel momento assente, che ha governato il paese per diciotto anni. Ed è lo stesso Gheddafi che si rivolge ai suoi concittadini per invitarli alla rinascita in uno spirito nazionale che dovrà edificarsi nel solco della tradizione religiosa musulmana e nella scia dell'ideologia socialista panaraba del suo principale referente: il Gen. Gamal Abd'al Nasser.

"Tendente le mani, aprite i cuori, dimenticate i rancori. Serrate le file contro il nemico della nazione araba, il nemico dell'Islam, il nemico dell'Uomo, a colui che ha

bruciato i nostri luoghi sacri e calpestato il nostro onore" prosegue il proclama di Gheddafi e dei suoi Ufficiali Liberi Uniti. Un proclama bellicoso, in sintonia con l'epoca e con le premesse storiche dal quale nasce l'ideologia - solo successivamente meglio elaborata e compiutamente descritta nel volume "Il Libro Verde" sorta di 'breviario' in salsa islamo-social-nazionalista del leader libico o , se vogliamo andare indietro con la memoria, 'plausibile' seppur inarrivabile rispetto all'originale "Mein Kampf" hitleriano 'redatto' dal Capo della Jamàhìrijja libica - che ispirerà , almeno fino alla metà degli anni Novanta l'azione del Colonnello.

Come realisticamente ha sottolineato qualche osservatore le aspirazioni 'trascendenti' la realtà fattuale del leader libico 'cozzeranno' spaventosamente e rovinosamente con le possibilità , in termini di risorse umane, tecnologiche e militari con i disegni di grande espansionismo nord-africano e le pretese di influenzare la scena nord-africana e quella del Vicino Oriente di Gheddafi. Grandi idee, altrettanto ragionevolmente grandi progetti politico-rivoluzionari ma 'racchiusi' nelle immense sabbie desertiche libiche e 'inevitabilmente' risultati disattesi per 'carenze' di base...'capita' anche ai più Grandi di immaginare o pensare al di là delle loro possibilità...Se Gheddafi fosse stato al potere al Cairo con una massa di sessanta milioni di individui , gerarchicamente inquadrati e magneticamente 'fascinati' dalle parole d'ordine nazionali e socialiste , islamiche e rivoluzionarie, avrebbe senz'altro scatenato una legittima guerra di riconquista dei Luoghi Santi di Al Qods e della Palestina 'ordinando' in una metallica forma spartana ed in un Grande Imperium nord-africano le genti del Maghreb...tant'è si dovrà 'contentare' del ruolo di attore subalterno rispetto ad altre potenze regionali nello scacchiere geopolitico, strategico e militare del Vicino Oriente 'ripiegando' infine su una politica africana che non troverà efficace 'sviluppo storico'.

La mattina del 1 luglio 1969 le principali capitali mondiali accolsero con stupore e con notevole preoccupazione le voci provenienti da Tripoli ed il colpo di stato militare che aveva abbattuto in una notte la monarchia filo-occidentale di re Idriss asservita mani e piedi agli interessi delle multinazionali petrolifere e politicamente dipendente dal sostegno di britannici e americani. A Washington, Mosca e al Cairo i governi furono presi alla sprovvista: ci si attendevano sviluppi decisivi nella zona, anche un colpo di stato ma di diversa 'estrazione' politica. La domanda che in quelle prime ore circolerà tra le principali cancellerie mondiali sarà

soprattutto una: chi è Gheddafi? E soprattuto cosa vuole il nuovo padrone della Libia?

La risposta non tarderà ad arrivare. La fornirà lo stesso Colonnello propugnano l'unità della Nazione Araba, chiamando attorno a sè i popoli del mondo arabo-musulmano, cercando - nel corso degli anni - improbabili , impossibili, unioni con Egitto, Tunisia, Siria.

"A Tripoli, metropoli libica e antichissima capitale, molti dei circa diecimila residenti stranieri, tra i quali gli americani della enorme base aerea militare di Wheelus Field, si svegliano e fanno colazione vagamente consci di quanto è accaduto nella notte. I cospiratori, guidati dal tenente Abdel Salem Jallud, il più fedele aiutante di campo di Gheddafi, hanno adottato la stessa tattica di quel maestro dello 'Inquilab' (colpo di stato militare) , Abdel Karim Kassem, quando rovesciò la monarchia irachena filo-occidentale della famiglia hashemita a Baghdad nel luglio 1958. Il giorno precedente il previsto colpo di stato, soldati di tre battaglioni corazzati ricevono il permesso di effettuare esercitazioni notturne. Invece di fare le manovre, giovani ufficiali e truppa guidano i loro mezzi fino a Tripoli. Molto prima dell'alba sorprendono e disarmano la polizia tripolitana e le Forze di difesa della Tripolitania (TRIDEF) in cui sono presenti militari inglesi. Poi si dirigono alle sedi della radio e della televisione, edifici poco appariscenti sulla vecchia strada panoramica costruita dagli italiani, che guarda sul porto. Assicuratisi per radio che gli uomini di Gheddafi abbiano arrestato il comandante delle CYDEF in Ciranaica e preso la sua base principale a Gurnada, e che altri manipoli abbiano preso possesso della postazione, della sede dei telegrafi e della radio a Bengasi, stabiliscono un contatto radio permanente con la Cirenaica. Verso le 6 e 30 Radio Tripoli si collega con Bengasi per diffondere il trionfante discorso di Gheddafi. A Wheelus Field, che si estende dalla costa al deserto a est di Tripoli, il colonnello John Groom , comandante della base, riceve la notizia da un attendente il quale gli dice a colazione che la BBC parla di una "specie di rivoluzione" in Libia. In pochi minuti tutto il personale americano è consegnato nella base e Groom telefona all'ambasciata degli Stati Uniti. Su richiesta della nuova giunta i voli di addestramento sono sospesi. Un giovane addetto diplomatico riferisce succintamente a Groom gli eventi della notte con voce tremante. Intanto quelli del servizio informazioni lavorano a pieno ritmo per tradurre al colonnello il proclama radiofonico dello sconosciuto. Esso termina con parole che

suonano come una chiamata alle armi, secondo gli ufficiali dei servizi informazioni: "Così noi cotruiremo la gloria, riporteremo in auge le nostre tradizioni, e vendicheremo l'onore ferito e il diritto usurpato. O voi che avete visto la guerra santa di Omar el Mukhtar per la Libia, l'arabismo e l'Islam...". " (3)

Omar el Mukhtar un nome che ritorna dal passato. Da un passato recente , contraddistinto dall'occupazione coloniale italiana e dalla normalizzazione manu militari imposta alle tribù senusse della Libia dal Duce che , sul finire degli anni Venti, invierà tra le dune del deserto sahariano il Gen. Rodolfo Graziani ed un contingente militare a domare la rivolta diretta da questo eroe , capo religioso e militare di un intero popolo.

Lo stesso Graziani avrà nei confronti di el Mukhtar un duplice sentimento di odio/amore , rispettandolo come avversario al quale darà la caccia per mesi e contemporaneamente sanzionandone le azioni 'ribellistiche' con una repressione militare brutale che arriverà a creare inumani campi di concentramento nel deserto ai confini con l'Egitto.

Scrive Angelo Del Boca : "Quando Omar al Mukhtar assume nel 1923, per delega di Mohamed Idris, capo della Senussia, la guida della resistenza anti-italiana in Cirenaica, ha già 63 anni e alle spalle una intera esistenza spesa ad insegnare il Corano nella moschea di Zawihat al Gsur, un villaggio agricolo tra Barce e Maraua. Il generale Graziani, che finirà per batterlo, ricorrendo ad ogni mezzo, così lo descrive: «Di statura media, piuttosto tarchiato, con capelli, barba e baffi bianchi, Omar al Mukhtar era dotato di intelligenza pronta e vivace; era colto in materia religiosa, palesava carattere energico ed irruente, disinteressato ed intransigente; infine, era rimasto molto religioso e povero, sebbene fosse stato uno dei personaggi più rilevanti della Senussia». Per essere stato delineato dall’avversario che lo porterà al patibolo, il ritratto è sorprendentemente fedele e positivo, concorda con il ritratto che altri hanno tracciato di lui. Ma c’è una dote di Omar che Graziani sottace ed è il suo genio militare, che forse eguaglia o supera quello del guerrigliero somalo Mohammed ben Abdalla Hassan, più noto come il Mad Mullah. Omar al Mukhtar, infatti, non è soltanto uno splendido esempio di fede religiosa, di vita semplice ed integerrima. È anche il costruttore di quella perfetta organizzazione politico-militare che gli italiani riusciranno a frantumare soltanto alla fine di un decennio di lotte e utilizzando mezzi

assolutamente straordinari. Con appena 2-3 mila uomini, ma in certi periodi anche soltanto con mille, Omar riesce a tener testa a 20 mila uomini, dotati dei mezzi più moderni ed efficienti, riforniti con larghezza e protetti dall’aviazione. Quasi sempre all’offensiva - lo testimoniano i 53 combattimenti e i 210 scontri che si succedono nel decennio - Omar colpisce, poi si ritira e svanisce nel nulla, creando nell’avversario, che ricerca invano una battaglia risolutiva, rabbia e un senso di frustrazione. Nella conduzione della spietata guerra per bande, Omar è favorito dalla natura impervia dei territori in cui opera e dal sostegno incondizionato delle popolazioni del Gebel Akhdar che lo riforniscono di uomini, armi, cibo e denaro. Si aggiunga che ad Omar giungono regolarmente e in abbondanza aiuti di ogni genere dal vicino e compiacente Egitto, dove hanno trovato rifugio e protezione l’emiro Mohamed Idris ed altri capi della resistenza all’Italia. Quando, all’inizio del 1930, il regime fascista affida al generale Graziani, che già ha sottomesso la Tripolitania e il Fezzan, il compito di liquidare la resistenza in Cirenaica, il generale sa perfettamente che non riuscirà a sconfiggere Omar al Mukhtar adottando soltanto gli strumenti militari reperibili in colonia. Per vincere Omar è necessario fargli il vuoto intorno, prosciugare le sue casse, tagliare le sue linee di rifornimento con l’Egitto. D’intesa con il governatore generale della Libia, maresciallo Badoglio, e con il ministro delle colonie, Emilio De Bono, il generale Graziani organizza una serie di operazioni tese al soffocamento della ribellione. Con la chiusura delle 49 zavie della confraternita religiosa senussita e la confisca dei suoi ingenti beni (centinaia di case e 70 mila ettari della miglior terra), Graziani toglie a Omar uno dei sostegni economici più rilevanti. Con la mossa successiva, quella di trasferire parte delle popolazioni del Gebel Akhdar verso la costa, Graziani confida di poter bloccare il continuo reclutamento di guerriglieri. Presto si accorge che quest’ultima operazione non fornisce i risultati sperati. Allora ricorre ad un estremo rimedio: quello di trasferire l’intera popolazione delle regioni montane e della Marmarica lontano dalla zona delle operazioni, per togliere alla ribellione ogni residuo sostegno. Il trasferimento, che si compie con indicibili sofferenze fra il luglio e il dicembre del 1930, riguarda oltre 100 mila libici, che vengono confinati in tredici campi di concentramento nel sud bengasino e nella Sirtica, regioni notoriamente fra le meno ospitali, dove i reclusi saranno falcidiati dal tifo petecchiale, dalla dissenteria bacillare, dalla fame e dalla quotidiana razione di botte. A guerra finita, su 100 mila confinati, 40 mila non torneranno più alle loro case. Per tagliare infine i rifornimenti dall’Egitto, Graziani fa costruire una barriera di filo spinato, larga alcuni metri e lunga 270 chilometri, dal porto di Bardia all’oasi di

Giarabub. Nell’estate del 1931, mentre viene sigillata ermeticamente la frontiera con l’Egitto, Graziani è ormai convinto che Omar finirà per cadere nella trappola. E in effetti il capo della guerriglia si trova a mal partito. Gli sono rimasti soltanto 700 uomini, poche munizioni e pochissimi viveri. Con i suoi audaci cavalieri riesce a mettere a segno ancora qualche colpo, ma l’11 settembre, avvistato dall’aviazione, viene circondato da forze soverchianti nella piana di Got-Illfù. Omar cerca ancora di portare in salvo il suo squadrone ordinandone il frazionamento. E infatti gran parte dei suoi uomini si salva. Ma lui viene colpito da una fucilata al braccio e subito gli uccidono il cavallo. Per Omar al Mukhtar è finita. Tradotto a Bengasi con il cacciatorpediniere “Orsini”, il 15 settembre lo processano nel salone del Palazzo Littorio. Il processo è soltanto una tragica farsa destinata a rendere legale un assassinio. Mussolini ha già deciso per la pena capitale. Alla lettura della sentenza, che lo condanna all’impiccagione, Omar al Mukhtar non si scompone, dice: «Da Dio siamo venuti e a Dio dobbiamo tornare». L’indomani, carico di catene, il settantenne Omar sale sul patibolo." (4)

Straordinariamente l'Italietta democratica ed antifascista , nata dalla 'resistenza', che per anni si è sforzata in tutte le 'salse' ed in ogni occasione di denigrare, schernire, ironizzare o demonizzare a seconda delle opportunità e necessità del sistema eretto dai vincitori 'partizan' e soprattutto dai loro padroni , gli Stati Uniti d'America, si è dimenticata completamente di ricordare la figura di quest'eroe nazionale libico che combattè validamente e furiosamente i soldati di Mussolini.

Una 'dimenticanza' tanto più "sospetta" se si considera che esiste anche un bellissimo ed avvincente film - intitolato "Il Leone del deserto" (5), magistralmente interpretato da Anthony Quinn fenomenale nella parte di al Mukhtar - finanziato dal leader libico Gheddafi nel 1979 con oltre 50 miliardi di vecchie lire e diffuso e proiettato in tutto il mondo tranne in Italia in quanto , alla faccia delle 'sbandierate' "libertà di stampa, opinione ecc ecc" , considerato "lesivo dell'onore dell'esercito italiano".

Noi , che visionammo un quindicennio or sono la videocassetta e del quale ne conserviamo copia , riteniamo insidacabilmente un ottimo film quello realizzato in onore dell'eroe nazionale della Libia che, fin dagli anni Cinquanta, una volta ottenuta

l'indipendenza lo celebrerà dedicandogli ed erigendo monumenti in suo onore ed intestandogli strade e piazze in ogni città e villaggio del paese. Re Idriss prima e Gheddafi successivamente renderanno omaggio alla resistenza eroica e gloriosa di questo combattente dell'Islam e sarà lo stesso Colonnello a creare un mausoleo per Omar el Mukhtar a Bengasi.

La Libia di Gheddafi ricorderà immediatamente la figura di el Mukhtar fin dall'avvento della Rivoluzione che , a partire dal 1.o settembre 1969, porterà l'ex colonia italiana ad inserirsi di prepotenza nel "great game" geopolitico, strategico e militare degli avvenimenti storici mediterranei, africani e vicino-orientali.

Un'epoca nuova nasceva la mattina di quel lontano settembre 69 celebrata annualmente dal regime libico come l'alba della resurrezione per un intero popolo 'ordinato' militarmente e ideologicamente da una weelthanshauung = visione del mondo direttamente ispirata dalla religione dei padri, l'Islam, che - come sottolineerà sovente in molti discorsi e conferenze il leader maximo alle masse libiche, "nelle nostre menti deve essere sempre presente la verità secondo la quale (...) è la religione che procurò ai nostri antenati la gloria dei loro tempi. Ancora al giorno presente le stelle vengono chiamate coi nomi arabi che gli astrologhi arabi medioevali diedero ad esse. Ciononostante , alcuni ridono di questo fatto e disprezzano tutto quanto è arabo e musulmano" (6).

Scrive Claudio Mutti: "Tutta l'azione di Gheddafi ha il carattere di un gihàd, di una lotta intesa a "far rivivere il nostro retaggio" , a riproporre cioè i valori della tradizione islamica. E' gihàd la rivoluzione culturale, dove alla lotta contro "le ideologie importate, le idee capitalistiche ed ebraico-comuniste" (*) , corrisponde la "rivoluzione all'interno di noi stessi, affinchè possiamo incamminarci sulla giusta Via" (**); così come in un hadith del Profeta , alla piccola guerra santa, combattuta contro il mondo esterno, corrisponde la grande guerra santa, che è la lotta dell'uomo contro i nemici che egli porta in se stesso. E non è un caso che di "rivoluzione culturale" Gheddafi abbia parlato , per la prima volta, nel discorso pronunciato in qualità d'Imam alla moschea di Tripoli il 19 dicembre 1971. Pronunciando tale discorso , Gheddafi ha ravvivato una tradizione - dimenticata da diversi secoli secondo cui il Califfo, capo contemporaneamente spirituale e temporale, guidava la preghiera dei fedeli e pronunciava un discorso alla moschea. E' gihàd l'opera che la

Libia rivoluzionaria svolge allo scopo di consolidare l'unità della Nazione Islamica, una vera e propria "razza dello spirito" - umma - i cui termini trascendono i confini del mondo arabo. E' gihàd la lotta per l'unità araba, che ha cozzato finora contro le resistenze piccolo-nazionalistiche dei paesi limitrofi, coi quali Gheddafi aveva proposto l'unificazione politica. E' gihàd la lotta per l'instaurazione del socialismo islamico, un socialismo "scaturito dalla tradizione del nostro popolo, dalla sua religione e dai suoi principi" (***). E' gihàd la restaurazione della shariyah, la legge religiosa elaborata in passata dagli ulamà ez-zàhir. E' gihàd infine la lotta contro l'imperialismo sionista e russoamericano e il relativo appoggio ai popoli e ai movimenti che si battono contro questa oppressione." (7)

Gli anni Settanta ed Ottanta vedranno dunque il Colonnello Gheddafi impegnato su più fronti nel sostenere le l'unità del mondo arabo, le resistenze nazionali in Palestina ed in Libano con larghe intese al fianco di Yasser Arafat e dell'OLP prima e in direzione dei movimenti islamici successivamente. In particolare Gheddafi tenterà di promuovere l'idea nasseriana di un socialismo nazionale arabo destinato , nelle intenzioni del suo ideatore, a 'fascinare' in una comunità di popoli i diversi nazionalismi eredità dell'epoca colonialista in una Grande Nazione Araba che , il leader libico, sogna di vedere forte, armata e indipendente tanto dall'imperialismo statunitense quanto da quello di matrice marxista e di proiezione sovietica. L'Urss fornirà relativi aiuti alla Libia di Gheddafi soprattutto per i suoi interessi espansionistici nel Mediterraneo miranti a contrastare le strategie di Washington in questa regione geopolitica considerata vitale dal Cremlino durante gli anni della Guerra Fredda.

"Un idea soprattutto ossessiona Gheddafi: l'unificazione di tutti i popoli di lingua araba. Soltanto nella totale unità araba, egli dice, può esservi una vera forza , e la fede islamica è necessaria a creare tale unità. Quasi tutto ciò che Gheddafi ha detto , scritto o fatto sin dai giorni della scuola a Sebha si spiega in rapporto a questo sogno. Per conseguirlo lo stato di Israele, che Gheddafi considera come l'ultimo e più odioso trapianto coloniale dell'Occidente nel corpo politico arabo, dev'essere eliminato e i quattro milioni di palestinesi devono tornare nella loro patria d'origine, nella storica Palestina. Qualsiasi contributo a quelle cause è onesto e giusto. Qualsiasi opposizione a esse dev'essere sventata con l'astuzia o sradicata. L'assassinio al Cairo del presidente Sadat il 6 ottobre 1981, quando Stati Uniti e

Israele contavano ancora su Sadat per rendere efficace il processo di pace di Camp David, fu perciò visto da Gheddafi come una sua grande vittoria personale, sebbene egli non avesse preso direttamente parte all'azione. Durante le primissime settimane di consolidamento al potere, Gheddafi aveva già cominciato a progettare ciò che riteneva avrebbe portato a una futura unità araba. Il progetto doveva essere elaborato insieme con il suo idolo e mentore, Nasser. Eventualmente vi sarebbe stato incluso anche il presidente del Sudan, Jaafar al-Nimeiri, altro giovane ufficiale che aveva conquistato il potere dell'enorme paese appena tre mesi prima di Gheddafi. I tre leader professavano di credere agli stessi principi di "socialismo islamico" come trampolino per il raggiungimento dell'unità araba. Il 27 dicembre 1969 , in una Tripoli che aveva appena assimilato la realtà della propria rivoluzione, fu facile ai tre firmare il patto di unità. Ai numerosi mezzi d'informazione del mondo arabo e agli scettici osservatori in Israele e in Occidente essi dichiararono che lo scopo del patto era "una stretta alleanza rivoluzionaria il cui obiettivo è sventare gli intrighi imperialisti e sionisti". Al crepuscolo della presidenza di Nasser nel 1970 , quando il movimento di guerriglia palestinese si rafforzò e sfidò re Hussein per avere la supremazia in Giordania, sembravano non esserci divergenze tra Egitto, Libia e Sudan. (...) Successivamente , a una riunione con Nasser e Haykal, Gheddafi spiegò che aveva deciso d'inviare aiuti all'IRA per combattere il colonialismo britannico. (...) Durante una discussione sulle superpotenze l'argomento cadde su Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale USA, e su Alexei Kossighin, il premier sovietico. Gheddafi affermò che non trovava differenza tra i due: entrambi sono nemici. "Ma Muammar, non possiamo mettere Unione Sovietica e Stati Uniti sullo stesso piano" ribattè Nasser. "L'Unione Sovietica può essere , come dici, uno stato ateo, ma è con noi. E gli Stati Uniti, benchè cristiani, sono contro di noi.". Quando Haykal tentò di convincere Gheddafi che il marxismo era una parte vitale del pensiero politico contemporaneo, questi rifiutò di accettarlo. Solo l'Islam, disse, era valido come teologia sociale completa, un sistema per tutte le stagioni." (8)

Spregiudicato, spesso arrogante al limite della irresponsabilità ed inconsapevolezza e talvolta pure del ridicolo, il Colonnello Muhammar Gheddafi ha rappresentanto per almeno un quarto di secolo l'ultimo baluardo del panarabismo in un mondo in fase di profonda trasformazione che, dalla guerra fredda tra le superpotenze all'interno della quale poteva ancora inserirsi giocando sull'azzardo politico, finanziando organizzazioni rivoluzionarie islamiche e socialiste arabe,

arrivando a sostenere l'IRA nord-irlandese contro l'odiata perfida Albione. Un politico di 'razza' che, senza remore e con calcolata ma efficace 'azione' di disturbo e interposizione alle logiche imperialistiche statunitensi e sioniste, riuscirà a 'traghettare' nel mare in tempesta della fine della Guerra Fredda - con l'avvio di politiche espansionistiche e delle guerre asimmetriche 'esportate' in nome della 'democrazia' e del libero mercato dall'amministrazione statunitense dal Sudan all'Iraq, dall'Afghanistan alla Somalia, dalla Serbia fino ai confini con la federazione russa ed il sostegno alle diverse 'rivoluzioni arancio-colorate' di Georgia e Ucraina la sua Jamāhīriyya fino al terzo millennio (9)

Indiscutibilmente Gheddafi, dispiaccia o meno alle 'comari' filo-sioniste di ogni latitudine, rappresenta una figura storica di prim'ordine nel panorama storico, politico, ideologico e militare del mondo arabo e islamico. Al di là dei 'tanti' , pure 'troppi' , denigratori di ogni 'colore' e di qualsivoglia 'razza' noi sosteniamo che l'unità del mondo arabo ed islamico sia premessa sostanziale per un effettivo risveglio ed una rinascita potente della Nazione dell'Islam la quale , parafrasando le parole del compianto Imam Khomeini, potrà spazzar via l'entità criminale sionista se solo "tutti i musulmani della terra versassero un bicchier d'acqua" contro quest'emporio terroristico creato dalle potenze imperialiste e dall'odio atavico dell'Internazionale Ebraica all'indomani della guerra d'aggressione giudaica contro l'Europa dell'Ordine Nuovo alias Seconda Guerra Mondiale.

"L'Islam , come sistema di pensiero ed organizzazione sociale, riflette le condizioni storiche nelle quali si afferma. Si è dispiegato nel tempo e nello spazio e per questo si è presentato come continuazione e culmine delle altre religioni monoteiste. Il suo nucleo originario arabo si è esteso entro breve tempo fino a comprendere un vasto impero dalla Cina alla Spagna. Diventanto cosmopolita , la sopravvivenza dell'Islam venne a dipendere dalle specifiche fortune ed istituzioni dei suoi innumerevoli seguaci. La storia e l'Islam si intrecciano quindi in un viaggio segnato dall'espansione, da conquiste o da una graduale regressione. (...) La fase che precede la comparsa del radicalismo islamico fu dominata dalle lotte per l'indipendenza guidate e dirette da èlite occidentalizzate., Gli obiettivi principali furono innanzitutto nazionalistici, volti ad ottenere una democrazia parlamentare e l'adozione di codici civili e penali di stampo europeo. Dopo il 1920 e il crollo finale dell'Impero Ottomano, il riformismo islamico si affermò come movimento "per" la

democrazia parlamentare vista come soluzione radicale di tutti i problemi. (...) Le interpretazioni moderniste della Shari'à avanzate inizialmente dai riformisti islamici, vennero accolte dalle nuove istituzioni statali nate dai processi di parziale o totale indipendenza. In questa nuova fase l'Islam non appariva più come un sistema politico, economico o filosofico; cessò di essere la fonte del diritto degli Stati. La religione fu considerata un sistema di credenza, rappresentato da certi riti, come le preghiere del venerdì, il pellegrinaggio alla Mecca, il digiuno e l'elemosina. L'Islam divenne così un patrimonio culturale da preservare. (...) I regimi liberali non riuscirono ad affrontare i problemi politici, economici, culturali e militari delle società islamiche. La formula democratica risultò così ben presto screditata nella sua funzione di veicolo dello sviluppo nazionale. Di fronte ad una prolungata crisi economica o ad una schiacciante sconfitta militare il liberalismo parlamentare cominciò a sgretolarsi. (...) Nel 1950 era ormai divenuto chiaro a tutti nel mondo islamico che il tradizionale patriottismo del Salafismo e la democrazia parlamentare multipartitica dovessero essere soppiantati dal socialismo e da un nuovo tipo di nazionalismo militante. I partiti comunisti operanti in un certo numero di paesi centro-islamici, particolarmente in Indonesia, Iran, Iraq, Siria, Egitto e Sudan mostravano di essere attivamente presenti tra le file del neonato movimento sindacale , nei comitati studenteschi e nelle manifestazioni politiche. Anche le organizzazioni nazionaliste, come il partito arabo Ba'ath in Siria, cominciarono a porre l'accento su obiettivi di tipo socialista nei loro programmi. (...) La maggioranza dei paesi islamici era ancora in lotta per ottenere la piena indipendenza , comporre le dispute sulle frontiere o raccogliere la sfida del neocolonialismo. (...) In due decenni (1950-70) tutti i paesi islamici, e tutto il Terzo Mondo, subirono cambiamenti senza precedenti nelle loro strutture economiche, istituzioni politiche e sistemi culturali. Questi mutamenti furono direttamente collegati alla crescente importanza dello stato quale centro propulsore di rinnovamento e di trasformazione. (...) Fino al 1970 il radicalismo islamico era più una corrente intellettuale che un movimento politico. Alcuni suoi principi teorici, come l'assoluta sovranità di Dio e le caratteristiche del Jihad (il combattimento sulla via di Dio) erano stati presentati nell'India britannica come reazione alle ideologie secolari e nazionaliste. Si ritiene in genere che risalga ad un certo numero di scritti di al Mawdudi , pubblicati nel periodo tra le due guerre , il nuovo pensiero islamico e del radicalismo. In Egitto il radicalismo islamico viene elaborato come dottrina compiuta dopo lo scioglimento dei Fratelli Musulmani e la realizzazione del programma politico di Nasser. Ad uno dei Fratelli Musulmani, Sayyid

Qutb (1906/1966), ne è stata giustamente attribuita la paternità. Per quasi due decenni il pensiero di Qutb circolò solo nell'Egitto nasseriano o nella Siria del partito Ba'ath, mentre in Iraq , Muhammad Baquir al-Sadr (morto nel 1980) sviluppava la sua personale versione del radicalismo sciita. Il radicalismo islamico nacque dalle particolari condizioni di certi paesi arabi. (...) In Libia il nuovo regime militare abolì la monarchia nel 1969. (...) Il leader della rivoluzione libica, il colonnello Mu'ammar Gheddafi, diede il via ad un ampio programma di trasformazione socio-economica ed introdusse una nuova ideologia , la teoria della Terza Internazionale. Il suo sistema politico, basato sui comitati popolari e sulla democrazia diretta, ha virtualmente nazionalizzato tutte le istituzioni religiose facendo divenire l'Islam la fonte ultima di legittimazione del potere." (10)

Ad ogni popolo una sua 'via' , ad ogni comunità etnica un suo sistema ideologico e politico di 'sviluppo' e di evoluzione, ad ogni nazione una propria identità culturale che adempia e sia funzionale al raggiungimento degli obiettivi di indipendenza politica, nazionale, sociale, economica.

Nel mondo arabo e islamico, nella Nazione Islamica, tutti questi obiettivi si fondono inevitabilmente in un insieme di 'rappresentazioni' che - per quanto difformi o lontane dall'originaria Teofania mohammadica - ad essa devono guardare e con essa devono fare i 'conti'.

Al di là della Libia di Gheddafi occorre ribadire l'alterità , la radicale dicotomia, l'opposizione netta e categorica tra il mondo dell'Islam e le politiche imperialistiche, capitalistiche e di sfruttamento del mondo moderno giudaizzato e giudaizzante del quale sono i principali affermatori ed i motori 'immobili' gli Stati Uniti d'America , la Gran Bretagna e l'entità criminale sionista occupante la Terrasanta palestinese alias "stato d'Israele".

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI DIRETTORE RESPONSABILE AGENZIA DI STAMPA "ISLAM ITALIA"

Note -

1 - Il 'golpe' militare algerino del gennaio 1992 rappresenta la più evidente prova di 'crisi della democrazia' mai verificatasi in uno Stato moderno ed in epoca a noi vicina. A seguito della profonda crisi economica che segnò gli anni Ottanta ed investì tutti i paesi dell'Africa sahariana e parallelamente alla crisi mondiale successiva al crollo dei regimi del socialismo 'scientifico' dell'Europa Orientale - con la conseguente fine della cosiddetta Guerra Fredda internazionale tra le due superpotenze (USA-URSS) - , i quali determinarono la proclamazione 'bushista' su una presunta entrata nel cosiddetto 'One World' = Governo Mondiale sotto l'egida monopolista statunitense , l'Algeria venne sconvolta da radicali cambiamenti al proprio interno analogamente a quanto successe nella vicina ex Yugoslavia. Erede della lunga guerra di liberazione anti-colonialista e anti-francese degli anni Cinquanta che portò all'indipendenza del 1962 il sistema politico algerino non riuscì a resistere all'onda lunga post-afghana che - anche a seguito della prima guerra mondialista del petrolio lanciata dalla superpotenza a stelle e strisce contro l'Iraq di Saddam Hussein che sollevò il risentimento e la rabbia delle masse musulmane dal Maghreb ai confini della Cina - vedrà rientrare in patria , dopo un decennio di addestramento e combattimenti nelle aspre montagne del paese centro-asiatico migliaia di 'muhjiaheddin' , arruolatisi per il Jihad = sforzo sulla strada di Dio anti-sovietico nelle file della Resistenza Nazionale dell'Afghanistan. Molti di questi uomini rientrati in patria trovarono sconcertato la situazione di sfacelo economico, degrado sociale e morale che aveva nel frattempo contraddistinto lo sviluppo industriale 'sgangherato' del proprio paese all'interno del quale erano iniziate rivolte e dissensi profondi che avevano lacerato il tessuto unitario che legava la classe politica dirigente alla popolazione civile. Sfruttando la rabbia ed il risentimento delle masse popolari cominciarono a guadagnar terreno in Algeria i movimenti di estrazione islamista radicale sunnita. Il F.I.S. (Fronte Islamico di Salvezza) riuscirà ad ottenere , nel primo turno delle elezioni legislative algerine del dicembre 1991, un clamoroso successo che avrebbe aperto la strada ad una possibile virata verso l'Islam del paese con i 'fantasmi' - evocati assiduamente e quali spauracchi sempre 'utili' per la causa occidentale dal regime militare algerino e 'massmedialmente' diffusi in Occidente dai governi dell'Unione Europea e degli Stati Uniti - della possibile instaurazione , sulle coste del Mediterraneo e di fronte all'Europa, di una "repubblica islamica"

sull'esempio iraniano. Uno scenario da brivido per l'Imperialismo internazionale e per le centrali di disinformazione atlantico-sioniste dei quattro angoli del pianeta nonchè per gli ex colonialisti francesi ed i loro colleghi europei. Washington ed i suoi 'dominion's' europei ( Francia in primis ) daranno il disco verde ai militari di Algeri per imporre nel gennaio 1992 un colpo di Stato , abolendo il secondo turno elettorale delle legislative, instaurando leggi d'emergenza , assediando l'intera popolazione algerina in uno Stato di polizia dittatoriale ed onnicomprensivo e mettendo al bando tutti i partiti d'ispirazione religiosa a cominciare dal F.I.S. La successiva sanguinosa guerra civile , durata sette anni, sarà segnata dall'energica reazione dell'esercito , dall'instaurazione di un regime che si pretende "rappresentante degli interessi popolari" ma che rappresenta nient'altro che gli interessi della plutocrazia mondiale e retto da Muhammad Boudiaf e da uno stillicidio di vittime con la frammentazione della galassia fondamentalista islamica in due organizzazioni l'AIS (Esercito Islamico di Salvezza) creato dai militanti del vecchio F.I.S. non sottoposti al regime carcerario (come si ricorderà i principali leader , Abassi Madani e il suo vice Alì Belhadi furono immediatamente arrestati e le sedi del partito sigillate e 'blindate' fin dalle prime ore del golpe militare) e il GIA (Gruppo Islamico Armato) organizzazione 'palesatasi' come "ultra-fondamentalista" ed eterodiretta da servizi d'intelligence stranieri fra i quali un ruolo non irrilevante sarà svolto dal Mossad israeliano come dimostreranno numerosi dossier e documentazioni fornite dai militanti del F.I.S. in esilio a Londra e in altre capitali europee. Alla firma del cosiddetto 'armistizio' tra Stato e 'ribelli' il numero di vittime della guerra civile sarà di oltre 160mila compresi numerosi stranieri fra i quali i marinai della nave italiana "Lucina" sgozzati in una notte del 1994 da 'soggetti' "incappucciati" (...praticamente chiunque avesse intenzione di soffiare sui bracieri già abbondantemente ardenti dell'estremismo religioso e della reazione militare...). Sul ruolo pro-occidentale del regime di Algeri non crediamo vi possano essere dubbi considerando che, dopo l'elezione a presidente di Abdelaziz Bouteflika nell'aprile 1999, l'Algeria resterà tra i principali partner dell'amministrazione statunitense avallando la cosiddetta "guerra al terrorismo internazionale" della marionetta del Sionismo George W. Bush all'indomani dell'attacco 'terroristico' dell'11 settembre 2001. La stessa organizzazione "Amnesty International", consorteria giudaico-massonica 'delegata' dal Sistema a 'gendarme' giuridico su presunti abusi nell'applicazione della giustizia, unitamente ad altre organizzazioni non governative operanti nel paese hanno criticato aspramente il regime di Algeri per il perpetuarsi delle torture nei confronti dei detenuti. La Guerra

civile algerina , sebbene passata sotto silenzio sui media internazionali, continua a mietere vittime...una lunga scia di sangue.

2 - Oltre al riconoscimento e all'apertura di relazioni diplomatiche con l'entità criminale sionista si imputa a Sadat l'indiscriminata caccia all'uomo lanciata a partire dall'inizio del 1979 contro i militanti dell'organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani. Nel settembre 1981 Sadat allargherà la repressione anche contro numerose organizzazioni di sinistra, contro il movimento studentesco e perfino contro alcune organizzazioni della minoranza cristiano-coopta ordinando 1600 arresti. Crisi economica, repressione dei dissidenti, instaurazione di un regime dispotico, corruzione contrassegnarono da allora la politica di Sadat che nell'ottobre 1981 verrà assassinato durante una parata militare al Cairo da Khaleed al Istambul membro di un commando militare del gruppo "al Jihàd" formato da ex militanti dei Fratelli Musulmani. A succedergli al potere sarà l'attuale presidente Hosni Mubàrak , in odor di massoneria e fautore di una politica di puro 'presenzialismo' per quanto riguarda le vicende del Vicino Oriente, alleato oggettivo dell'entità criminale sionista, sostenuto e foraggiato finanziariamente da Washington e nemico di qualunque radicalismo d'ispirazione religiosa che reprimerà duramente sia all'interno sia all'estero sostenendo la "resistenza" del Darfour contro il governo musulmano di Khartoum nel vicino Sudan. Per una biografia di Anwar el Sadat si consulti di Gilles Kepel, Le Prophète et Pharaon, Parigi, Ed. du Seuil, 1984 (tr. it. Il Profeta e [sic!] il Faraone, Roma, Laterza, 2005).

3 - John K. Cooley - "Muammar Gheddafi e la rivoluzione libica" - ediz. "Corno" - Milano 1983;

4 - Angelo Del Boca - articolo "Omar el Mukhtar credente e stratega - Padre della patria per i libici, pendaglio da forca per il fascismo, sconosciuto per l'Italia di oggi" da "Nigrizia" - 01/04/1988;

5 - Il film in questione reca l'originale titolo inglese di "Lion of the Desert" (1981) , diretto da Mustafa Akkad e con un cast eccezionale di attori tra i quali, oltre al già citato Anthony Quinn nella parte di al Mukhtar figurano: Oliver Reed (Gen. Graziani) , Irene Papas, Raf Vallone (il col. italiano Diodiece), Rod Steiger

(Mussolini), Gastone Moschin (nel ruolo del maggiore Tomelli). 6 - Muhammar Gheddafi - "Il Libro Verde" (*) - discorso di Gheddafi del 16 Aprile 1973 ; (**) - discorso di Gheddafi alla moschea di Tripoli del 19 dicembre 1971; (***) - discorso di Gheddafi a Sabrata, Aprile 1972;

7 - Claudio Mutti - dalla premessa a "Gheddafi templare di Allah - La Rivoluzione Libica nei discorsi di Mo'ammar El-Gheddafi" - edizioni di "Ar" - Padova 1975 (pubblicazione curata dall'Associazione Italia-Libia in occasione del VI anniversario della rivoluzione libica);

8 - John K. Cooley - op. cit. ; 9 - per una analisi dettagliata sul ruolo e la funzione geopolitica attuale della Libia rimandiamo agli articoli di Claudio Mutti "La Libia e il Mediterraneo" , "Gheddafi dal panarabismo al panafricanismo" e "La Libia, parte della nazione araba e del mondo islamico" apparsi sul sito ufficiale del trimestrale "Eurasia - Rivista di Studi Geopolitici" in data 11 Giugno 2009.

10 - Youssef M. Choueiri - "Il fondamentalismo islamico" - ediz. "Il Mulino" Bologna 1993;

Documento in Pdf a cura di www.TerraSantaLibera.org http://www.terrasantalibera.org/DHB_gheddafi_socialismo_nazionale_arabo.htm