Modelli di trasmissione delle malattie genetiche Sindrome

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- Modelli di trasmissione delle malattie genetiche - Il Cariotipo - Le Trisomie - Sindrome di Turner - Sindrome di Klinefelter - Neurofibromatosi - Fibrosi cistica - Fenilchetonuria - Talassemie - Emofilia

Modelli di trasmissione delle malattie genetiche Briuglia S, Comito D, Di Bella C, Procopio V, Amorini M, Grosso C, La Rosa M, Piraino B, Rigoli L

La trasmissione ereditaria I caratteri ereditari sono veicolati dal DNA (acido deossiribonucleico), che è contenuto nei cromosomi, nel nucleo delle cellule e nei mitocondri. Il gene è una struttura formata da regioni che codificano le proteine, gli esoni, e da segmenti che non sono tradotti, gli introni. Le malattie ereditarie sono dovute a mutazioni, cioè modifiche della sequenza del DNA e sono trasmesse nelle famiglie con diverse modalità. Molte malattie umane sono ereditate come caratteri semplici e seguono le leggi di Mendel. Si tratta delle malattie monogeniche o mendeliane. I geni che occupano la stessa posizione su una coppia di cromosomi omologhi, quindi sul cromosoma materno e sul cromosoma paterno sono detti alleli e si separano durante la formazione dei gameti (meiosi) e si distribuiscono in maniera indipendente nelle cellule figlie. Le malattie monogeniche possono essere classificate in base al loro meccanismo di trasmissione erediataria in malattie autosomi che dominanti, autosomi che recessive e malattie legate all’X. Si distingue inoltre la modalità di trasmissione delle malattie mitocondriali.

MALATTIE AUTOSOMICHE DOMINANTI

Un carattere si definisce dominante quando si manifesta anche nell'eterozigote e viene indiacato con la lettera maiuscola A. Il fenotipo A dominante può essere determinato da due genotipi AA, omozigote, e Aa, eterozigote. Nel caso delle malattie umane il genotipo più comune del soggetto affetto è quello eterozigote. La malattia si trasmette in media al 50% dei figli indipendentemente dal loro sesso. Il matrimonio più comune è tra un eterozigote affetto (Aa) ed un omozigote non affetto (aa). Le persone non affette hanno solo figli non affetti. La costruzione dell’albero genealogico mostra una segregazione in famiglia di tipo verticale, con soggetti affetti in tutte le generazioni, sia maschi che femmine. Una malattia autosomica dominante può anche originare da nuova mutazione. Questo si verifica nel caso di patologie che riducono l’idoneità biologica o fitness, che è la capacità di contribuire con i propri gameti alle generazioni future. La Fitness può essere ridotta nel caso in cui il soggetto muore prima di raggiungere l’età riproduttiva, o nel caso in cui la gravità della patologia compromette le capacità riproduttive. Se l’idoneità biologica è ridotta, ma è diversa da zero, una percentuale dei pazienti nasce da un genitore ammalato, ma la maggior parte origina per nuova mutazione, come si verifica ad esempio nel nano acondroplastico. Un fattore di rischio di

patologia da nuova mutazione è l’età paterna. La frequenza delle nuove mutazioni aumenta proporzionalmente con l’età del padre. Una caratteristica delle malattie autosomiche dominanti è quello di presentare una espressività variabile tra le persone affette, anche nella stessa famiglia. Alcune malattie autosomiche dominanti presentano il fenomeno della anticipazione, che consiste in un esordio più precoce ed un aggravamento dei sintomi con il passare delle generazioni. Un’altra caratteristiche di alcune patologie autosomiche dominanti è la penetranza, che è la percentuale delle persone che esprimono il fenotipo di solito associato a una mutazione, sul numero complessivo delle persone che portano la mutazione. Altri geni o l’ambiente possono interferire con il manifestarsi di una patologia determinando un difetto di penetranza. In questo caso il soggetto portatore della mutazione dominante non sarà affetto, ma trasmetterà la sua mutazione al 50% dei figli che potranno manifestarla in vario grado. Nell’albero genealogico tutto questo si manifesta con un salto di generazione.

MALATTIE AUTOSOMICHE RECESSIVE

Si definisce recessivo il carattere che si manifesta solo nel soggetto omozigote (aa). Quindi il fenotipo aa avrà solo un genotipo associato aa. Il carattere recessivo si trasmette in duplice dose (omozigosi), in media al 25% dei figli indipendentemente dal loro sesso. Nelle patologie umane ereditate con modalità autosomica recessiva, il fenotipo patologico si manifesta nell’omozigote per l’allele mutato. Il matrimonio più frequente è quello tra eterozigoti per l’allele mutato, che sono soggetti portatori sani della patologia autosomica recessiva. I genitori eterozigoti avranno un rischio di figli affetti del 25% o ¼, avranno il 50% dei figli eterozigoti, quindi portatori sani ed il restante 25% omozigoti per l’allele wild type, cioè non mutato, indipendentemente dal sesso. Alla costruzione dell’albero genealogico, la malattia autosomica recessiva si trasmette in maniera orizzontale, in quanto la ricorrenza sarà tra i fratelli. Un classico esempio di malattia autsomica recessiva è la beta-talassemia. La consanguineità è il fattore di rischio più importante per

l’occorrenza o la ricorrenza di malattie autosomiche recessive. Se una malattia autosomica recessiva è rara, è tanto più probabile che origini dal matrimonio tra consanguinei. I cugini di primo grado (consanguinei di terzo grado) hanno un rischio riproduttivo doppio, cioè del 6% rispetto alla popolazione generale, per la quale il rischio riproduttivo è del 3%, in assenza di patologie ereditarie in famiglia. I cugini di secondo grado hanno un rischio riproduttivo aggiuntivo del 1%. La consanguineità tra i genitori deve fare sospettare la natura autosomica recessiva di una patologia presente in un loro figlio.

MALATTIE LEGATE AL CROMOSOMA X

Il cromosoma X contiene alcune centinaia di geni. I maschi hanno un solo cromosoma X e perciò esprimono le mutazioni recessive presenti sul cromosoma e sono detti maschi emizigoti. Una donna è omozigote se gli alleli sull’X sono identici. In questo caso il carattere recessivo si esprime. Se gli alleli sono diversi, una donna è eterozigote, cioè portatrice sana. Il carattere recessivo può in rari casi manifestarsi nelle donne per il fenomeno della lyonizzazione, che è casuale e precoce: nelle cellule somatiche delle donne, uno dei due cromosomi X viene inattivato; per un meccanismo di compenso biologico, per assicurare nei due sessi la stessa quantità di prodotti codificati dai geni presenti sul cromosoma X, in un epoca molto precoce della embriogenesi, attorno al 15°-16° giorno successivo al concepimento, quando l’embrione è composto da almeno 5000 cellule, un cromosoma X, materno o paterno, della cellula embrionale femminile viene inattivato in maniera casuale e così rimane in tutte le cellule figlie; in media metà delle cellule mantiene attivo l'X ereditato dal padre e metà quello ereditato dalla madre. In conseguenza di questo fenomeno l’attività dei prodotti dei geni che mappano sull’X è uguale nei maschi e nelle femmine. Le donne posseggono perciò due popolazioni cellulari funzionalmente diverse, quindi hanno un genotipo a mosaico. Nel caso della patologia umana, la malattie X-linked si manifestano nei maschi emizigoti e solo eccezionalmente nelle femmine eterozigoti. Il meccanismo più comune è la non casualità dell’inattivazione dell’X, con preferenziale inattivazione dell’X sano. In questi casi il fenotipo è in genere meno grave.

Le malattie recessive legate all’X sono trasmesse da geni-malattia che segregano in maniera recessiva presenti su questo cromosoma. Le conseguenze cliniche si manifestano nei maschi che portano solo l’allele mutato, per cui vengono detti emizigoti. Le femmine sono eterozigoti, non affette, che trasmettono il gene-malattia al 50% dei figli maschi. Il matrimonio tipo è tra una femmina eterozigote per l’allele mutato ed un maschio sano: in questo caso è attesa la segregazione del gene-malattia al 50% dei figli maschi, che saranno affetti, mentre il 50% dei maschi sarà sano; il 50% delle figlie femmine erediteranno l’allele mutato, quindi saranno eterozigoti come la madre. Nel caso invece del maschio emizigote affetto, tutte le figlie femmine saranno eterozigoti obbligate, quindi a rischio di trasmettere la mutazione ai propri figli; tutti i figli maschi saranno non affetti, in quanto non è possibile una trasmissione maschio-maschio. L’albero genealogico nel caso di una patologia X-linked mostra una trasmissione che non è verticale come nel caso delle patologia autosomi che dominanti, né orizzontale come nel caso delle patologie autosomi che recessive, e che viene definita a zig-zag o diagonale, con un numero di più o meno elevato di maschi affetti su generazioni diverse. Lo studio dell’albero genealogico permette di sospettare la trasmissione recessiva legata all’X per i seguenti criteri: l’assenza della trasmissione maschio-maschio, in quanto ogni maschio trasmette ai propri figli maschi il cromosoma Y, la presenza in tutte le figlie dell’X paterno mutato, tutte le figlie del padre emizigote sono eterozigoti obbligate, i maschi non affetti non trasmettono la mutazione, ad eccezione di nuove mutazioni trasmesse alle figlie, le femmine eterozigoti trasmettono la mutazione in media al 50% dei figli maschi, emizigoti, ed al 50% delle figlie femmine, eterozigoti.

Un esempio di albero genealogico recessivo X-linked è quello dei discendenti della regina Vittoria e delle sue sorelle che hanno trasmesso l’emofilia alle famiglie reali russa e spagnola, mentre il figlio della regina Vittoria, Edoardo VII non aveva ereditato la mutazione ed ha interrotto la trasmissione nell’attuale famiglia reale inglese. La trasmissione della malattia X-linked si interrompe nella linea maschile qualora si tratti di una patologia che non è compatibile con la sopravvivenza fino all’età riproduttiva: è il caso della distrofia muscolare di Duchenne, malattia muscolare severa che porta a morte intorno ai 20 anni.

In questo caso la malattia è trasmessa quasi esclusivamente dalle madri eterozigoti. La problematica più importante della valutazione del rischio riproduttivo nelle famiglie in cui segrega una malattia recessiva legata all’X è l’individuazione delle femmine eterozigoti. La maggior parte di queste donne è asintomatica, ma l’identificazione è importante in quanto hanno un rischio riproduttivo aumentato rispetto alle donne con genotipo selvatico. Le femmine eterozigoti possono essere individuate tramite: 1. L’analisi dell’albero genealogico, che permette di individuare con certezza le eterozigoti obbligate, cioè le donne con fratello e figlio affetti (C), le figlie di un padre affetto (A), le donne con due figli maschi affetti (B).

A

B

C

2. L’analisi biochimica diretta, che può indicare un genotipo eterozigote tramite la dimostrazione dell’effetto dose dell’enzima codificato dal gene malattia, ad esempio nel deficit di G6PD le donne eterozigoti esprimono circa il 50% dell’attività enzimatica rispetto ai maschi affetti ed al donne normali. 3. L’analisi biochimica indiretta, come il dosaggio del CPK nelle femmine eterozigoti per la mutazione del gene della distrofina, responsabile della distrofia muscolare. In questo caso il dosaggio biochimico riguarda un enzima che si libera dalle cellule muscolari che vanno incontro ad atrofia. Il 70% delle femmine eterozigoti presenta un aumento dei livelli serici di CPK. 4. Le analisi citogenetiche, ad esempio è possibile dimostrare delle femmine eterozigoti per la distrofia muscolare di Duchenne una microdelezione della banda Xp21.2, dove mappa il gene della distrofina, oppure la presenza del sito fragile Xq27.3 nelle eterozigoti per la sindrome dell’X fragile. 5. L’analisi molecolare sicuramente è la più efficace per definire il genotipo. Ad esempio il gene della distrofina. Infine è possibile calcolare la probabilità di essere eterozigote per ogni femmina della famiglia dove segrega una mutazione recessiva legata all’X in base ai principi della segregazione mendeliana ed all’algebra di Bayes. Il teorema di Bayes consente di calcolare la probabilità complessiva di un

evento partendo dalle probabilità iniziali o a priori integrate da informazioni successive che la modificano, probabilità condizionale. La probabilità finale o a posteriori si ottiene dividendo la probabilità congiunta, data dal prodotto tra la probabilità iniziale e la probabilità condizionale, per la somma di tutte le probabilità congiunte. Un esempio di calcolo Bayesiano applicato all’eredità legata all’X è il caso di voler valutare il rischio riproduttivo di una donna che ha un fratello ed uno zio affetti e che ha tre figli maschi sani. Dall’albero genealogico si evinca che la madre della probanda è eterozigote obbligata, per cui la probabilità a priori che sia eterozigote o che non lo sia è di ½. Dato che ha avuto tre figli maschi sani la probabilità condizionale è di 1/8, cioè ½ x 3, di essere eterozigote e di 1 di non esserlo. La probabilità congiunta che sia eterozigote è data dal prodotto di ½ x 1/8 quindi 1/16, mentre la probabilità di non esserlo è di 1/2 x 1 quindi ½. La probabilità finale di essere eterozigote è data da 1/16/(1/16+1/2) quindi 1/9, mentre la probabilità di non esserlo è data da 1/2/(1/16+1/2) quindi 8/9. L’informazione relativa alla nascita di tre figli maschi non affetti riduce la probabilità di essere eterozigote da ½ a 1/9. Un malattia recessiva legata all’X può esprimersi clinicamente in una donna nell’evenienza che il suo genotipo sia omozigote, eterozigote o emizigote. Il caso di una femmina omozigote è un evento raro in quanto origina da un matrimonio tra un maschio emizigote ed una femmina eterozigote, per cui il 50% dei maschi sarà emizigote e 50% sano, mentre le femmine saranno 50% eterozigoti e 50% omozigoti. Solo eccezionalmente l’espressione fenotipica è dovuta ad una condizione di omozigosi per la mutazione recessiva X-linked. Una importante eccezione è la cecità ai colori rosso-verde, che colpisce l’8% della popolazione maschile e 1:150 donne è omozigote per il gene malattia. Più comunemente l’espressione clinica si manifesta in una femmina eterozigote a causa della perdita delle caratteristiche di casualità della inattivazione dell’X. Se la femmina eterozigote obbligata ha una inattivazione somatica diversa dall’atteso 50% materno e 50% paterno, l’elevata frequenza degli X mutati attivi determina un fenotipo simile a quello dei maschi emizigoti. Occasionalmente il fenotipo può manifestarsi in una femmina emizigote, cioè in una paziente con monosomia X, quando l’X è mutato. Un quadro analogo può insorgere nel caso di una traslocazione X/autosomica, se viene inattivato preferenzialmente l’X normale e la traslocazione rompe un gene malattia, verrà espresso l’X mutato traslocato. Un modello particolare è la sindrome dell’X-fragile, causa del 4-8% dei ritardi mentali nei maschi, colpisce 1:5000 maschi. Si tratta di una patologia caratterizzata da ritardo mentale medio-grave, viso allungato, fronte alta, orecchie grandi, mandibola prominente e dopo la pubertà macrorchidismo. Viene trasmessa come mutazione legata all’X e a livello citologico si manifesta con un sito fragile nella banda Xq27.3 (o Xq28). Le basi biologiche del difetto consistono nella espansione di una tripletta CGG, che nelle persone non

affette presenta una ripetizione da 10 a 50 volte nel gene FMR1 e viene trasmessa in maniera stabile. L’espansione da 50 a 200, detta permutazione, rende la tripletta instabile. Il maschio con una premutazione è detto trasmettitore normale e tende a sviluppare nella vita adulta un fenotipo parkinsoniano. Le figlie eterozigoti sono a rischio di avere figli maschi con una ulteriore espansione della mutazione. Le espansioni oltre 200, dette mutazione completa, si associano nei maschi ad una sindrome conclamata. Un terzo delle femmine eterozigoti presenta un espressione variabile della sindrome, dalla debilità, al ritardo mentale ed infertilità da POF. EREDITA’ MULTIFATTORIALE

Molti caratteri umani ereditari si distribuiscono nelle famiglie in proporzione diversa da quelle attese dai caratteri mendeliani. L’interazione tra geni e l’interazione tra geni e ambiente modificano l’espressione di un fenotipo. Alcune patologie umane presentano una eredità poligenica e/o multifattoriale. In questi casi la trasmissione ereditaria non è facilmente riconoscibile dall’albero genealogico. I caratteri multifattoriali possono essere continui, quindi misurabili come il peso, l’altezza, la pressione arteriosa, oppure discontinui, ad esempio cardiopatie congenite, piede torto, diabete, osteoporosi, malattie cardiovascolari. Molte caratteristiche umane sono ereditate con un meccanismo multifattoriale continuo, come ad esempio l’altezza, il peso, la pressione sanguigna, l’intelligenza. Nella popolazione generale hanno una distribuzione gaussiana secondo una curva a campana. Nella distribuzione a campana le code rappresentano i fenotipi estremi (es: ipotensione/ipertensione) mentre la parte centrale della curva è occupata dai fenotipi più comuni che si raccolgono attorno alla media. Molti difetti congeniti e molte malattie comuni dell'adulto vengono ereditate come caratteri multifattoriali discontinui. Esempi sono la labio-palatoschisi, le cardiopatie congenite, i difetti del tubo neurale, le malattie cardiovascolari, il diabete, l’artrite reumatoide, l’osteoporosi e le malattie psichiatriche. I fattori di suscettibilità ad un fenotipo multifattoriale discontinuo si distribuiscono nella popolazione secondo una curva normale, che predice che solo pochi soggetti hanno un numero piccolo o, rispettivamente, elevato di fattori di suscettibilità (code della curva della distribuzione), mentre la maggior parte ha un numero medio di fattori. Il fenotipo discontinuo si manifesta solo quando il numero dei fattori di suscettibilità supera un valore soglia empiricamente definito. Alla estrinsecazione del fenotipo concorrono fattori genetici ed ambientali. Le persone che cadono oltre la soglia definiscono la prevalenza di quella patologia nella popolazione generale. I consanguinei, che condividono con le persone affette un numero di fattori di suscettibilità genetica che è proporzionale al grado di consanguineità, hanno un rischio relativamente maggiore di sviluppare lo stesso fenotipo. Pertanto la loro curva di

suscettibilità è spostata verso destra rispetto alla popolazione generale. La valutazione del rischio di ricorrenza è più complesso rispetto alle malattie mendeliane. Diversi fattori influiscono, come il numero delle persone affette nella famiglia e la gravità del fenotipo. Questo si verifica perché indicano un numero relativamente alto di fattori di suscettibilità nella famiglia. Ad esempio il rischio di labio-palatoschisi è da 30 a 40 volte superiore a quello della popolazione nei consanguinei di primo grado di un paziente, ma è aumentato solo 7 volte nei consanguinei di secondo grado e 3 volte in quelli di terzo grado. Alcune patologie multifattoriali hanno una particolare predisposizione per un sesso. Nei maschi sono più frequenti la stenosi del piloro ed il piede torto, nelle femmine la lussazione congenita dell'anca. Questo fenomeno è spiegato dalla presenza di due soglie la più a destra delle quali riguarda il sesso meno frequentemente colpito. I pazienti che appartengono al sesso meno colpito e che quindi necessitano di un numero medio di fattori di predisposizione più elevato, hanno un rischio più elevato di avere figli ammalati.

EREDITA’ MITOCONDRIALE Le malattie mitocondriali sono dovute alla trasmissione di caratteri codificati dal DNA mitocondriale. Le malattie mitocondriali sono state identificate negli anni novanta. I difetti nel DNA mitocondriale mostrano un’ereditarietà materna o diaginica, in quanto i mitocondri vengono trasmessi alla prole dalla cellula uovo. L’assenza di segregazione controllata genera ad ogni mitosi cellule con proporzioni variabili di mitocondri con DNA normale o mutante. Il tasso di mutazione del mtDNA è 10 volte maggiore di quello nucleare. Infatti Il mtDNA è codificante per il 93%, il nucleare 1,6%, i ROS causano danni ossidativi al mtDNA, non protetto da istoni, va incontro a più round di replicazione ed i sistemi di riparo poco efficienti. Caratteristiche delle malattie mitocondriali sono penetranza incompleta, espressività variabile e pleiotropia. L’espressione del fenotipo dei disordini mitocondriali dipende dalla proporzione tra

mtDNA normali e mutati presenti nelle cellule dei vari tessuti. La compromissione d’organo e la sua gravità dipendono dalla percentuale di mitocondri mutati, che è variabile nei diversi tessuti. I mitocondri sono distribuiti nelle cellule di tutto l’organismo e per questo sono responsabili di patologie con compromissione di diversi organi ed apparati. A carico del sistema nervoso, possiamo riscontrare encefalopatia, episodi stroke-like, psicosi, demenza, atassia, emicrania; a carico dell’occhio, atrofia ottica, retinopatia, cataratta, ptosi, oftalmoplegia esterna; a carico del cuore, cardiomiopatia; sordità neurosensoriale; a carico dell’apparato gastroenterico, quadri ostruttivi, stipsi, epatopatia; diabete, ipogonadismo, ipoparatiroidismo, ipotiroidismo; neuropatia periferica, miopatia. Omoplasmia e eteroplasmia: Ciascuna cellula contiene migliaia di molecole di mtDNA, Una mutazione nel mtDNA viene trasmessa ai mitocondri in maniera casuale, Una cellula può ricevere dalla cellula madre una popolazione di mtDNA omogenea, sana o mutante (omoplasmia), Alternativamente può ricevere una popolazione mista di molecole normali e mutate (eteroplasmia). L’eteroplasmia ha effetto a collo di bottiglia durante l’oogenesi, madri con una percentuale maggiore di molecole mutate hanno una probabilità maggiore di aver figli affetti. Esempi di malattie mitocondriali sono: •

Sindrome di Leber: neuropatia ottica con progressiva perdita di visione associata con aritmia cardiaca; mutazione in un componente del complesso I (subunità ND1)



MELAS: miopatia, encefalopatia, acidosi lattica, e infarto; mutazione del tRNAleu mitocondriale

Eredità mitocondriale in linea materna

Bibliografia 1.

Dallapiccola B e Novelli A. Genetica medica Essenziale. II Edizione gennaio 2006. Ed Il Minotauro srl. Capitolo 7, pag 103.

Il Cariotipo Civa R, Giuffrida A, Cutrupi MC, Barone C, Loddo I, Meduri S, Grosso C, Talenti A, Briuglia S

Nelle cellule sono presenti 46 cromosomi, distribuiti in 23 coppie omologhe, che formano il corredo normale o diploide (2n). I cromosomi sono strutture filamentose che veicolano il DNA. Ventidue delle 23 coppie cromosomiche formano gli autosomi o cromosomi non-sessuali. L'altra coppia è costituita dai cromosomi sessuali, che sono uguali nelle femmine (XX) e diversi nei maschi (XY). I cromosomi sono ereditati in parti uguali dai genitori, mediante i gameti, e perciò i cromosomi omologhi di ogni coppia sono trasmessi, rispettivamente, dalla madre e dal padre (Fig.1).

Fig.1 Cariotipo maschile e femminile

L'analisi cromosomica viene di solito eseguita su colture di linfociti prelevati dal sangue periferico. Ogni popolazione cellulare che si divide può essere utilizzata per indagini particolari: i linfociti e i fibroblasti, per la definizione del cariotipo costituzionale; gli amniociti e il trofoblasto (villi coriali), per la diagnosi prenatale; le cellule del midollo osseo, per caratterizzare il corredo cromosomico nelle leucemie; le cellule tumorali, per caratterizzare le neoplasie. I cromosomi vengono analizzati nella fase di divisione mitotica definita metafase ed ordinati nel cariotipo. I cromosomi sono classificati in base alla posizione delle costrizioni primarie o centromeri:  metacentrici i cromosomi con centromero mediano e braccia simmetriche  submetacentrici quelli con centromero dislocato in una posizione intermedia tra la metà e un’estremità del cromosoma  acrocentrici quelli con centromero in prossimità di una estremità. Altre costrizioni possono essere presenti lungo le braccia cromosomiche, come i siti fragili. Si tratta di regioni che possono andare incontro a rottura, spontanea o in presenza di agenti induttori nel terreno di coltura.

Il braccio corto del cromosoma viene definito con la lettera p ed il braccio lungo con q. I cromosomi vengono colorati con le tecniche di bandeggiamento che visualizzano lungo le braccia cromosomiche regioni a diversa intensità di colorazione. Le principali tecniche di colorazione dei cromosomi comprendono: BANDE Q: evidenziate dalla chinacrina (Quinacrine), BANDE G: evidenziate con pretrattamento e colorazione con Giemsa, BANDE R: bandeggiamento complementare (Reverse) a quello Q/G, BANDE C: colorano l’eterocromatina costitutiva (constitutive heterocromatin) cioè le regioni individualmente variabili (regioni eteromorfe) attorno ai centromeri e sulla parte distale del braccio lungo del cromosoma Y. Le regioni corrispondenti alle bande G contengono pochi geni, sono ricche di basi A+T e sono colorate anche dal bandeggio Q. Le regioni colorate dal bandeggio R corrispondono alla eucromatina. I cromosomi bandeggiati sono classificati secondo una nomenclatura standardizzata, in base alla quale ogni elemento identificato con le tecniche di bandeggiamento è definito con il numero del cromosoma, il simbolo del braccio, la regione cromosomica coinvolta in un riarrangiamento, la banda e la sottobanda interessata. Il cariotipo viene descritto con simboli standardizzati, che indicano, in successione: Il numero totale dei cromosomi, la formula dei cromosomi sessuali, eventuali anomalie. Ad esempio: 46, XX indica il cariotipo di una femmina normale. Un cariotipo refertato come segue Xp22.1 indica: il cromosoma X, il braccio corto, la regione 2, la banda 2, la sottobanda 1. Il cariotipo standard su metafasi evidenzia inmedia 320 bande. Con le tecniche ad alta risoluzione i cromosomi sono analizzati in profase o all'inizio della metafase, quando la cromatina è meno condensata. In questo modo è possibile ottenere un’ulteriore suddivisione delle bande cromosomiche e aumentare il loro numero medio per corredo aploide, dalle circa 320 dei preparati metafasici, fino a circa 1000. Le aberrazioni cromosomiche interessano alla nascita una persona ogni 150. Si distinguono le anomalie di numero e di struttura. I corredi euploidi hanno un numero di cromosomi che è un multiplo esatto del corredo aploide. I corredi cromosomici poliploidi possiedono un numero di cromosomi diverso da quello diploide 2n. Al concepimento hanno una frequenza superiore a 1%, ma si tratta di condizioni letali, incompatibili con la vita. Circa 2/3 delle triploidie origina da diandria, cioè da un doppio contributo paterno. I corredi aneuploidi hanno un numero di cromosomi che non è un multiplo del corredo aploide. Originano da due meccanismi: la non-disgiunzione, cioè mancata separazione dei cromosomi omologhi appaiati o dei cromatidi fratelli o il lag anafasico, cioè ritardo di migrazione dei cromosomi nelle cellule figlie.

Se l’errore è meiotico, gli zigoti che originano da questi gameti, che possono essere ipoaploidi, con un cromosoma in meno o iperaploidi, con un cromosoma in più, presentaranno rispettivamente una monosomia o una trisomia. Un esempio è la sindrome di Down o trisomia del cromosoma 21 che origina da una non disgiunzione nella meiosi materna. Le cause della non-disgiunzione meiotica non sono conosciute. È noto che la frequenza di questo errore nella divisione cellulare aumenta proporzionalmente con l’età materna. Infatti il rischio di sindrome di Down è per la madre di 18 anni di 1/1631, mentre per la madre di 40 anni e di 1/76. Se la non-disgiunzione avviene-durante la divisione mitotica, origina un mosaicismo, cioè la coesistenza nella stesso individuo di due o più popolazioni cellulari a corredo cromosomico diverso (Fig.2).

Fig.2

Le aberrazioni di struttura originano da un alterato ricongiungimento delle regioni cromosomiche rotte (Fig.3)

Fig.3

La delezione (del) è la perdita di un segmento di cromosoma e può essere terminale o interstiziale. Nella maggior parte dei casi si tratta di perdite di tratti intercalari di cromosoma, secondarie a due rotture sullo stesso braccio e ricongiungimento delle estremità rotte. Questo meccanismo consente al cromosoma di mantenere il telomero, la struttura terminale che conferisce stabilità al cromosoma. Gli eterozigoti per una delezione hanno un quadro fenotipo patologico. Un esempio è la sindrome di Wolf che è causata da una delezione a livello del braccio corto del cromosoma 4, per cui il cariotipo sarà 46,XX o XY,del4p, ed è caratterizzata da dimorfismi faciali, coloboma oculare, anomalie viscerali, grave ritardo di crescita e psicomotorio. L’inversione cromosomica (inv) origina da due rotture: su braccia diverse l’inversione è detta pericentrica; sullo stesso braccio l’inversione è detta paracentrica. La rottura è seguita dalla rotazione di 180° del tratto compreso tra i due punti di rottura e successiva integrazione. Di solito questa anomalia non comporta anomalie cliniche nel soggetto portatore. Il rischio è a livello riproduttivo, in quanto si possono formare alla meiosi gameti sbilanciati: nel caso di una inversione pericentrica con regioni di cromosoma duplicate o deficienti, nel caso di una inversione paracentrica con cromosomi dicentrici (con due centromeri) o acentrici. L'inversione pericentrica della regione eterocromatica del cromosoma 9 è la più comune anomalia di struttura del cariotipo umano: oltre 1% delle persone ma non comporta nessuna conseguenza. La traslocazione (t), consiste nel trasferimento di cromosomi o parti di cromosoma tra cromosomi diversi. Interessa una persona ogni 500. Se non vi è perdita di materiale genetico, la traslocazione è detta bilanciata e non comporta conseguenze patologiche per il portatore. Il rischio è riproduttivo in quanto vi è il rischio di produrre gameti sbilanciati. Alla meiosi i cromosomi traslocati si appaiano “a croce” (Fig.4) e la disgiunzione è di tipo 2:2. La segregazione può avvenire in maniera alternata con la produzione di gameti normali o bilanciati. Se la segregazione è adiacente avremo la formazione di gameti sbilanciati. Lo stesso succederà se la disgiunzione sarà 3:1 oppure 4:0.

Fig.4 Appaiamento a croce

La traslocazione robertsoniana o fusione centrica è una rottura a livello del centromero e traslocazione tra cromosomi acrocentrici. Gli eterozigoti per queste traslocazioni possiedono 45 cromosomi. La frequenza è di una persona su 1000. Una traslocazione Robertsoniana è presente in oltre la metà dei genitori dei pazienti con sindrome di Down da traslocazione. Alla meiosi gli eterozigoti formano, durante l’appaiamento, un trivalente (Fig.5). La segregazione alternata produrrà gamenti normali o bilanciati. La segregazione adiacente formerà gameti sbilanciati.

Fig.5 Trivalente

La duplicazione (dup) consiste nella presenza di una o più copie in eccesso di un segmento di cromosoma. I meccanismi che possono determinare una duplicazione cromosomica sono la malsegregazione di una traslocazione o un’inversione pericentrica oppure il crossing-over ineguale alla meiosi. Il prodotto reciproco è la delezione. Le duplicazioni sono più comuni delle deficienze e comportano delle conseguenze fenotipiche meno severe. L’isocromosoma (Fig.6) è un particolare tipo di duplicazione/deficienza, che consiste in un cromosoma formato da braccia uguali e simmetriche (delezione di un braccio e duplicazione dell'altro).

Fig.6 Isocromosoma

Bibliografia 1. Dallapiccola B e Novelli A. Genetica medica Essenziale. II Edizione gennaio 2006. Ed Il Minotauro srl. Capitolo 7, pag 103.

Le Trisomie Civa R, Giuffrida A, Cutrupi MC, Barone C, Comito D, Grosso C, Ferro E, Vicchio P, Talenti A, Briuglia S

Le trisomie sono, insieme alle monosomie, le principali aneuploidie, che vengono definite dalla presenza in una cellula di un numero di cromosomi diverso da un multiplo esatto del corredo aploide. Le trisomie sono caratterizzate dalla presenza di un cromosoma soprannumerario in una coppia di cromosomi omologhi. La maggior parte dei concepimenti con corredo cromosomico aneuploide finisce in aborto spontaneo. Le anomalie cromosomiche, soprattutto le trisomie, sono un evento abbastanza frequente che interessa circa il 9% di tutti i concepimenti; alla nascita però solo lo 0,6% dei nati presenta un'anomalia cromosomica, a causa dell'elevatissima quota di embrioni che va incontro ad aborto spontaneo. Le aneuploidie originano di solito da una nondisgiunzione o mancata separazione dei cromosomi appaiati o dei cromatidi fratelli. Si può verificare durante l’anafase della prima o della seconda divisione meiotica. Si verrà a formare un gamete iperaploide, che fecondato diventerà uno zigote trisomico, ed un gamete ipoaploide, con conseguente monosomia dello zigote. Un altro meccanismo è quello del lag-anafasico, cioè mancata inclusione nella cellula figlia di un cromosoma che era andato incontro ad una normale disgiunzione. La conseguenza è la formazione di un gamete aploide e di un gamete ipoaploide. La non-disgiunzione può verificarsi anche durante la divisione mitotica, con conseguente mosaicismo. Solo poche aneuploidie cromosomiche non in mosaico sono compatibili con la vita postnatale: la trisomia 21 o sindrome di Down, la trisomia 18 o sindrome di Edwards, la trisomia 13 o sindrome di Patau.

Trisomia 21 - Sindrome di Down La sindrome di Down è una trisomia del cromosoma 21, causata dalla presenza in triplice copia dell’intero cromosoma 21 o di una porzione di esso, detta regione critica (21q22.2). Nota fin dal XVI secolo ha avuto il suo inquadramento nosologico solo nel 1866 ad opera di John Longdong Down, l’illustre medico inglese da cui prende il nome. La Sindrome di Down si presenta infatti con un’incidenza valutata intorno ad 1/600 – 1/1000 nati. Uno dei fattori di rischio è ormai accertato essere l’età avanzata della madre (>35 anni). Da un punto di vista genotipico esistono tre tipi di anomalie cromosomiche nella Sindrome di Down: -

Trisomia 21 libera (95% dei casi): in tutte le cellule dell'organismo vi sono tre cromosomi 21 invece di due; la causa è la non disgiunzione della coppia di omologhi 21, nel 90% dei casi durante la meiosi della cellula uovo e nel 10% durante la meiosi degli spermatozoi.

-

Trisomia 21 libera in mosaicismo (2% dei casi): presenza sia di cellule normali con 46 cromosomi che di cellule con 47 cromosomi (la non disgiunzione della coppia 21 in questo caso si è verificata alle prime divisioni mitotiche dello zigote)

-

Trisomia 21 da traslocazione (3% dei casi): traslocazione di parte del cromosoma 21 su un altro cromosoma acrocentrico (il 14 o il 21 in genere).

Questo è il meccanismo implicato nelle forme familiari di sindrome di Down.

Trisomia 21 libera

Solo nello 0,2% dei casi si riscontrano trisomie parziali, in cui la parte cromosomica in eccesso è solo una frazione del cromosoma 21 (DCR1), che è tuttavia in grado di determinare le alterazioni caratteristiche della Sindrome di Down e chiamata Critical Region, (21q22.2). Il rischio di occorrenza per una coppia dipende dall’età della madre (età a rischio >35 anni). Il rischio di ricorrenza in caso di madre con età al di sopra dei 35 anni il rischio rimane sostanzialmente quello legato all’età materna, mentre al di sotto di tale età è dell’1% in più rispetto alle altre coppie. Per una coppia che abbia avuto un precedente figlio Down da traslocazione è

necessario sottoporre entrambi i genitori ad analisi cromosomica, perché potrebbero essere portatori sani di una traslocazione robertsoniana bilanciata. Il rischio varia comunque in base al tipo di traslocazione: nella traslocazione t(14;21), che è la più comune (circa il 40%), il rischio si differenzia a seconda se il portatore sia la madre (rischio di ricorrenza circa del 10%) o il padre (rischio del 2%), nella traslocazione t(21;21) vi è un rischio del 100%. La diagnosi prenatale si può effettuare attraverso i test di screening biochimici, la villocentesi (I trimestre di gravidanza) e l’amniocentesi (II trimestre). I test di screening biochimici utilizzano marcatori sierici materni (doppio, triplo, quadruplo test), che si modificano significativamente nel II trimestre di gravidanza se il feto è affetto da trisomia 21, combinati tra loro o con la misurazione ultrasonografica della translucenza nucale. L’amniocentesi rimane il più comune metodo di diagnosi prenatale. È un esame consigliato in donne di età superiore ai 35 anni o con precedenti gravidanze con feti Down. La villocentesi può essere effettuata anche alla X-XII settimana di gestazione. Inoltre un ruolo importante è rivestito dall’ecografia, che può rilevare anomalie del feto compatibili con la sindrome, tali da consigliare un ulteriore approfondimento diagnostico. I markers ecografici di anomalie cromosomiche o soft markers (SM) sono alterazioni della morfologia fetale, rilevate ecograficamente nel II trimestre di gravidanza, che possono essere transitorie e che, di per sè, non hanno significato patologico, ma sono più frequentemente associate ad anomalie del cariotipo. Le anomalie più frequenti sono: lo spessore della plica nucale, che risulta superiore di 6 mm tra la VIII e la XV settimana di gestazione, le anomalie delle ossa del massiccio facciale, la ridotta lunghezza dell’omero e del femore, le malformazioni cardiache ed intestinali. La diagnosi clinica della sindrome di Down può essere posta sulla base dei tratti dismorfici, che nel loro insieme caratterizzano il fenotipo Down: La facies ha forma rotondeggiante e paffuta, cranio microbrachicefalo con base appiattita, fronte bombée, naso piccolo con radice appiattita e narici allargate; occhi con rima palpebrale sottile, obliqua verso l’esterno con epicanto completo nel lato mediale; spesso ipertelorismo, iride con macchie biancastre (di Brushfield). Il 3% dei soggetti presenta una cataratta congenita, che deve essere rimossa precocemente ed altre anomalie corneali. La bocca piccola e la lingua appare voluminosa, spesso protrusa e di aspetto scrotale. Il palato è ogivale. Le orecchie sono impiantate più in basso, con padiglione auricolare molto semplice e conca di forma irregolare. La nuca è larga e piatta. L’addome è voluminoso, ipotonico, con diastasi dei muscoli retti e frequente ernia ombelicale. Gli arti sono corti, con acromicria e modesto ritardo dell’ossificazione. La mano è piccola, larga, tozza con linea palmare unica, brachidattilia e clinodattilia del 5° dito. Le malformazioni cardiache si riscontrano in circa il 40% dei soggetti Down nati vivi e sono responsabili dell’alta mortalità entro il 1° anno di vita. Si tratta nella maggior parte di casi di shunts da sinistra a destra: canale atrioventricolare comune, per persistenza dell’ostium primum, pervietà alta del setto interventricolare e anomalie delle valvole mitrale e

tricuspide (circa il 35-40%); comunicazione interventricolare, persistenza del dotto di Botallo (10%); tetralogia di Fallot. Più rare le manifestazioni a carico degli altri organi: anomalie encefaliche, atresie intestinali (soprattutto del duodeno), pancreas anulare, ernie diaframmatiche (soprattutto

di

Bochdalek),

malformazioni

urogenitali,

quali

idronefrosi,

megauretere,

criptorchidismo, labbro leporino con palatoschisi. Lo sviluppo psicomotorio appare ritardato, l’ipotonia è di grado notevole nel bambino della prima infanzia e aggrava le varie acquisizioni motorie che segnano lo sviluppo nei primi anni di vita. Altre caratteristiche comuni nei soggetti Down sono: la patologia tiroidea, la demenza presenile, i disturbi digestivi, la celiachia, l’aumentata suscettibilità ai processi infettivi e l’elevata frequenza di fenomeni autoimmuni e neoplasie. La diagnosi viene confermata dall’esame citogenetico (cariotipo). Il follow-up dei soggetti con Sindrome di Down è multidisciplinare e tiene conto delle complicanze cui può andare incontro il soggetto con sindrome di Down nel corso della vita. Viene gestito secondo le indicazioni sui controlli di salute, pubblicate nel febbraio 2001, dall’American Academy of Pediatrics “Health Supervision for Children with Down Syndrome”. Le cure mediche, l’ambiente

familiare,

l’educazione

e

la

terapia

occupazionale

possono

condizionare

significativamente la qualità di vita dei bambini e degli adolescenti con Sindrome di Down e facilitare la loro transizione verso l’età adulta. Il follow up prevede una serie di periodici controlli clinici, laboratoristici e strumentali, regolati in base all’età del paziente, come si mostra nelle schede seguenti.

Visita Prenatale analisi prenatali di laboratorio o le ecografie

supportare la diagnosi

consulenza con il genetista clinico

caratteristiche

dell'alterazione

genetica

e

l'eventuale rischio di ricorrenza per la famiglia, espressioni cliniche e variabilità individuale indagini supplementari:

malformazioni cardiache e gastrointestinali

ECG, Ecocardiogramma fetale, Ecografia

Consulenza ostetrica

sostegno per il parto e la gestione del neonato

Controlli di Salute dalla nascita ad 1 mese: Neonato CONSULENZE

PROBLEMA

Genetica

Confermare la diagnosi, ricontrollare il cariotipo, esaminare il fenotipo

NPI

ipotonia, difficoltà di suzione

Oculistica

Strabismo, cataratta e nistagmo alla nascita, oppure a partire dai sei mesi

ORL

Valutare i deficit uditivi congeniti tramite tests obiettivi come i potenziali evocati uditivi e l'emissione otoacustica alla nascita oppure a partire dai tre mesi Infezioni delle vie respiratorie Valutare la funzionalità cardiaca e l’eventuale presenza di difetti

Cardiologica pediatrica

congeniti (ECG e Ecocardiogramma) Gastroenterologica

e

Atresia duodenale.

chirurgica pediatrica

Stipsi con aumentato rischio di morbo di Hirschprung

Ematologica

Leucemia e reazione leucemoide, es. policitemia (emocromo completo)

Endocrinologia

Ipotiroidismo congenito (rischio dell'1%)

Controlli di Salute da 1 mese ad 1 anno: Infanzia

CONSULENZE

PROBLEMI

NPI

Ipotonia,

difficoltà

suzione,

sviluppo

psicomotorio ORL e audiometria (a 1anno)

otite media sierosa (50% - 70%)

Oculistica (a 6mesi)

strabismo, cataratta e nistagmo

Endocrinologia

(ripetere

test

screening

patologie tiroidee

tiroideo a 6 e a 12 mesi, poi annualmente) Immunologica

Dosaggio Ig per IRR, tipizzazione HLA per celiachia

Controlli di Salute da 1 a 5 anni CONSULENZE

PROBLEMI

Anamnesi ed esame clinico

Valutazione

accrescimento

e

livello

di

sviluppo[58] ORL e esame audiometrico (6 mesi-3 anni)

otite media sierosa con diminuzione dell'udito

Oculistica (ogni 2anni)

difetti di rifrazione (50%)

Rx del rachide cervicale (anni prescolari)

instabilità

o

sub-lussazione

atlanto-

assiale[59,60,61,62] test di screening per la funzionalità tiroidea

patologie tiroidee

(annualmente) Pneumologia

apnea notturna ostruttiva (russare, sonno agitato e posizione nel sonno)

Genetica

possibilità di future gravidanze, del rischio di ricorrenza di SD e della diagnosi prenatale.

Endocrinologica

Obesità

NPI

Comportamento, socializzazione

Controlli di Salute da 5 a 13 anni CONSULENZE

PROBLEMA

Auxologia

Crescita e stato di sviluppo.

audiologica (annuale) oculistica (annuale) tests di screening della tiroide

Ipotiroidismo (3-5%)

Dermatologica

pelle molto secca

Pneumologia

apnea ostruttiva nel sonno (russare, sonno agitato, posizione nel sonno)

Ginecologica/urologica

sviluppo psicosessuale, dello sviluppo fisico e sessuale, della gestione delle mestruazioni e dell'igiene relativa, della fertilità e della contraccezione I maschi,eccetto 2casi, sono di solito sterili

NPI

livello di sviluppo, l'inserimento scolastico, sviluppo sociale

Controlli di Salute da 13 a 21 anni e oltre CONSULENZE

PROBLEMA

esame obiettivo, emocromo completo Endocrinologica

tests di funzionalità tiroidea

audiologica (annuale) oculistica (annuale) Dermatologica Ginecologica

Contraccezione

NPI

Valutazione dinamica delle peculiarità e delle esigenze dei singoli Down

Sindrome di Down

Trisomia 13 - Sindrome di Patau La trisomia 13, o sindrome di Patau, è un'anomalia cromosomica causata dalla presenza di un cromosoma 13 in sovrannumero. L'incidenza è stimata in circa 1/8.000- 1/15.000 neonati. Nei feti affetti la morte endouterina si verifica in oltre il 95% dei casi. Dal punto di vista genotipico, la trisomia 13 libera riguarda circa il 75% dei casi. Nel 15-20% dei casi, la trisomia 13 si associa alla traslocazione Robertsoniana nella quale il cromosoma soprannumerario 13 è attaccato a un altro cromosoma acrocentrico (cromosoma 13, 14, 15, 21 o 22). In rari casi, la sindrome è causata da una traslocazione reciproca tra il cromosoma 13 e un cromosoma non acrocentrico. In circa il 510% dei casi la trisomia 13 si presenta in mosaico, ed il quadro clinico può variare dal fenotipo normale a quello della trisomia 13 classica, in rapporto al numero delle cellule trisomiche presenti nei tessuti. Raramente si può osservare una trisomia parziale.

Trisomia 13 libera

Il quadro clinico è caratterizzato da anomalie facciali eterogenee e di gravità variabile, (ipertelorismo, agenesia premascellare (80% dei casi), cebocefalia, ciclopia, assenza dello scheletro nasale, labio/palatoschisi, micro- o anoftalmia, coloboma), aplasia cutanea della regione occipitale, malformazioni cerebrali (oloprosencefalia nel 70% dei casi, che può estrinsecarsi alla risonanza magnetica con un grado variabile di fusione degli emisferi), polidattilia postassiale, malformazioni viscerali (cardiopatia 64%, onfalocele 6%, anomalie renali 6%, anomalie dei genitali) e grave ritardo psicomotorio. I sintomi neurologici sono gravi, con ipotonia e iporeattività e apparente assenza di percezione dell'ambiente. Il rischio di ricorrenza della trisomia 13 nelle famiglie nelle quali è presente un caso indice è circa 1%. Nei casi di trisomia da traslocazione robertsoniana, il rischio di ricorrenza è più elevato, se un genitore è portatore della traslocazione bilanciata. La diagnosi prenatale di trisomia 13 può essere sospettata con l'evidenza di segni ecografici quali malformazioni cerebrali e facciali, in particolare l’oloprosencefalia, sinoftalmia, anoftalmia, malformazioni nasali e del palato, malformazioni cardiache, anomalie renali, onfalocele, polidattilia. La diagnosi è confermata dall'analisi citogenetica (cariotipo). La presa in carico è solo di supporto. Il trattamento chirurgico delle malformazioni può migliorare solo minimamente la

prognosi poco favorevole associata a questa sindrome: la metà dei pazienti muore entro il primo mese di vita e il 90% entro il primo anno per complicazioni cardiache, renali o neurologiche. Sono stati descritti pazienti sopravvissuti (in alcuni casi fino a età adulta), nei quali è spesso presente la trisomia in mosaico o la trisomia parziale, in assenza di gravi malformazioni cerebrali. In generale, i pazienti non in mosaico hanno una limitata autonomia (assenza del linguaggio e di deambulazione).

Sindrome di Patau

Trisomia 18 - Sindrome di Edwards La trisomia 18, o sindrome di Edwards, è un'anomalia cromosomica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma 18 in sovrannumero. Descritta per la prima volta da Edwards et al nel 1960. L'incidenza è stimata in circa 1/6000-1/8000 nati. Oltre il 95% dei feti affetti muore in utero. Per motivi non noti, il tasso di sopravvivenza è più alto nelle femmine rispetto ai maschi, con una predominanza delle femmine tra i soggetti nati vivi con trisomia 18. Il genotipo è variabile: nel 80% dei casi è dovuta ad una trisomia libera, causata da non-disgiunzione meiotica per lo più materna; nel 10-15% è presente un mosaicismo, dovuto a non-disgiunzione postzigotica; il rimanente 5-10% dei casi è dovuto ad una traslocazione robertsoniana. La trisomia 18 in mosaico è stata osservata in alcuni pazienti che presentano un quadro clinico che varia dalla forma classica di trisomia 18 a fenotipo normale, in rapporto al numero delle cellule trisomiche presenti nei tessuti. Il fenotipo della trisomia 18 è dovuto alla presenza di tre copie della regione 18q11-q12.

Trisomia 18 libera

Il quadro clinico è caratterizzato da grave ritardo della crescita pre e post-natale, aspetto emaciato con ipotrofia, microcefalia con cranio stretto e dolicocefalia, diametro bi frontale ridotto con sproporzione cranio-facciale, ipoplasia arcate sopraciliari, ipertelorismo, naso e bocca piccoli, microretrognazia, orecchie angolate a disegno semplice, dette a fauno, anomalie degli arti e malformazioni viscerali. Il collo è corto, possono esserci anomalie costali, pectus excavatum e scoliosi. E’ presente la flessione permanente bilaterale delle dita sul palmo con pollice flesso e caratteristica sovrapposizione del secondo dito sul terzo e del quinto sul quarto con deviazione ulnare o radiale della mano ed assenza delle pieghe di flessione distali delle falangi. Le anomalie dei piedi comprendono il piede equino-varo e/o a piccozza, con sovrapposizione delle dita (il V e il II dito ricoprono il IV e il III). Nelle prime settimane di vita sono presenti ipotonia, iporeattività e difficoltà alimentari (scarsa suzione), seguite dalla progressione verso l'ipertono con l'apparente perdita della percezione dell'ambiente circostante. Lo sviluppo psicomotorio è gravemente compromesso. Le malformazioni sono comuni con interessamento oculare (microftalmia,

coloboma), cardiaco (in oltre il 90% dei casi, difetto interventricolare, difetto interatriale, persistenza del dotto di Botallo, anomalie valvole aortica e/o polmonare, coartazione aortica, tetralogia di Fallot), del tubo digerente (atresia esofagea, malformazioni ano-rettali), del tratto genito-urinario (idronefrosi, agenesia mono-bilaterale, rene a ferro di cavallo, rene ectopico), del tratto genitale (ipospadia, criptorchidismo, utero bifido, ipoplasia ovarica, ipoplasia delle grandi labbra), dello scheletro (ossa wormiane del cranio, ipoplasia delle coste, emivertebre e fusione vertebrale, scoliosi). In ambito addominale si può riscontrare diastasi dei retti, ernie inguinali e/o ombelicale, ipoplasia del diaframma con o senza ernia. Meno comunemente si possono osservare labio-palatoschisi, artrogriposi, aplasia del radio, spina bifida, anencefalia, oloprosencefalia e onfalocele, diabete insulinoresistente e tumore di Wilms. Nel primo anno di vita un problema molto importante sono le crisi di apnea. In epoca prenatale sono presenti segni di sospetto quali: polidramnios, placenta piccola, ritardo di crescita, malformazioni cardiache, renali, arteria ombelicale unica, onfalocele, mielomeningocele, cisti multiple dei plessi corioide, difetto degli arti, mani a pugno chiuso. Tra i segni prenatali è da segnalare la prematurità o la nascita post-termine, scarsi movimenti fetali e presentazione podalica. Alla nascita, segni di sospetto possono essere il basso peso, necessità di rianimazione neonatale, basso indice di Apgar, pianto debole, ipotonia, suzione scarsa, ipoplasia del tessuto sottocutaneo ed adiposo.

Sindrome di Edwards

La diagnosi è confermata dall’esame citogenetico. Il rischio di ricorrenza di trisomia 18 nelle famiglie con un caso indice è circa 1%. Tuttavia, nelle famiglie nelle quali la trisomia 18 è causata da una traslocazione, il rischio di ricorrenza è maggiore, se un genitore è portatore di una traslocazione bilanciata. La diagnosi prenatale può essere sospettata con la evidenza ecografica dei segni prenatali descritti in precedenza e può essere confermata con l'analisi del cariotipo fetale. Anche i marcatori sierici (utilizzati per la diagnosi di trisomia 21) possono essere alterati. La presa in carico è solo di supporto e deve essere multidisciplinare. Il trattamento chirurgico delle malformazioni riesce a migliorare solo minimamente la prognosi infausta di questa sindrome. Il 90% dei bambini muore nel primo anno di vita a causa delle complicazioni cardiache, renali o

neurologiche o delle infezioni ricorrenti. La sopravvivenza dipende soprattutto dal tipo di anomalia cromosomica, dalla gravità e dalla compatibilità con la vita delle malformazioni presenti. Sono stati osservati pazienti sopravvissuti (in alcuni casi fino a età adulta), soprattutto in presenza di trisomia in mosaico o trisomia parziale (secondaria a traslocazione). La maggioranza dei pazienti non in mosaico sviluppa un'autonomia molto limitata (assenza del linguaggio e della deambulazione). Il ritardo della crescita è significativo.

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10. Orphanet: Prof. A. Verloes (Maggio 2008) Memo L, Bettiol T, Saia OS. La sindrome di Edwards. Linee guida assistenziali nel bambino con patologia malformativa e metabolica, vol III, pag 193. 11. Orphanet: Prof. A. Verloes (Maggio 2008). La sindrome di Patau. 12. Dallapiccola B e Novelli A. Genetica medica Essenziale. II Edizione gennaio 2006. Ed Il Minotauro srl. Capitolo 7, pag 103.

Sindrome di Turner Briuglia S, Cutrupi MC, Civa R, Giuffrida A, Amorini G, Chirico V, Deak A, Piraino B, Arrigo T

La sindrome di Turner è un’aneuploidia cromosomica propria del sesso femminile, che colpisce circa 1/2.500-3.000 femmine; al concepimento la frequenza è più elevata ma il 99% di questi zigoti è abortita spontaneamente. La diagnosi avviene con l’esecuzione del cariotipo, in genere, su linfociti di sangue periferico. Circa la metà delle pazienti possiede un cariotipo 45,X, (monosomia X0, cosiddette forme "classiche"), mentre in circa un quarto dei casi è presente un mosaicismo in assenza di anomalie strutturali (46,XX/45,X); la popolazione rimanente possiede un cromosoma X strutturalmente anomalo per

aberrazioni strutturali (cromosoma X ad anello), isocromosoma

X(Xi,Xq), delezione parziale, con o senza mosaicismo. La variante 45,X può derivare sia dalla perdita, nella maggior parte dei casi del cromosoma di origine paterna, durante la gametogenesi, sia da un errore mitotico durante una delle suddivisioni precoci che avvengono nello zigote fecondato.

Cariotipo Sindrome di Turner (45,X0)

Talvolta la trasmissione familiare della disgenesia gonadica può essere conseguente alla traslocazione bilanciata tra il cromosoma X e un cromosoma autosomico. Nei soggetti con mosaicismo o con alterazioni strutturali del cromosoma X, i fenotipi sono solitamente intermedi tra quello della variante 45,X e quello normale. Nella Tab.1 sono riportate le varie aberrazioni cromosomiche della Sindrome di Turner.

Tab.1 Cariotipi della sindrome di Turner Senza mosaicismo

Con mosaicismo

45,X0

45,X0/46,XX

46,Xi (Xq)

45,X0/47,XXX

46,X del (Xp)

45,X0/46,XX/47,XXX

46,X del (Xq)

45,X0/46,XY

46,X r (X)

45,X0/Anomalie strutturali di X o Y

Manifestazioni Cliniche Il quadro clinico è complesso e contraddistinto da una ampia variabilità clinica. La diagnosi può essere formulata alla nascita, qualora siano già evidenti le anomalie caratteristiche, o più frequentemente alla pubertà quando si riscontra l'amenorrea e l'insufficiente sviluppo sessuale. Alla nascita, i segni clinici che orientano verso la diagnosi sono il basso peso, la lunghezza media inferiore alla norma di circa 2-2.5 cm e i linfedemi periferici (22% dei casi). Fra i difetti linfatici è da citare la possibile presenza di un igroma cistico prevalentemente localizzato nel capo o nel collo, che può essere individuato in gravidanza con indagini ecografiche. L'igroma cistico può comparire anche dopo i due anni e tende per lo più a regredire spontaneamente. Successivamente possono essere presenti i segni interessanti il capo: impianto basso sia sulla fronte che sulla nuca o a tridente (42%) ed in casi più rari un’alopecia del cuoio capelluto, ptosi, epicanto, bocca a pesce, micrognazia (60%) con affollamento dei denti, palato alto e arcuato (38%), orecchie prominenti e malformate e collo corto (40%) per minori dimensioni delle vertebre cervicali. Si può rilevare pterigium colli (22%) e cubito valgo (47%). Nelle mani, le unghie sono ipoplasiche e presentano una convessità accentuata (13%); può essere rilevato il segno di Archibald (37%), (brevità del 4° metacarpo, dimostrata con l’intersezione del 3° metacarpo da una tangente passante per il 4° e 5°). In alcuni casi si riscontra la cosiddetta malformazione di Madelung (7%), caratterizzata da sublussazione del polso dovuta alla mancata ossificazione di una parte dell'estremità del radio, con incurvamento del radio e sublussazione dorsale dell'ulna. Il torace può essere a scudo con sterno piatto o excavatum e la distanza intermammillare può essere aumentata. L’ipertricosi può essere diffusa ma in genere è più rappresentata agli arti. Particolare è la diffusione di formazione di nevi pigmentati (25%).

Sindrome di Turner

I segni clinici possono essere poco evidenti e talora assenti, fino a realizzarsi un quadro di apparente normalità. Ne consegue che l'orientamento diagnostico viene spesso favorito, in età prepubere, da una bassa statura e, successivamente, dal ritardo della comparsa dei segni dello sviluppo sessuale. La bassa statura (98%) rappresenta uno dei segni tipici e rappresenta di per sé un'indicazione al cariotipo, anche in assenza dei segni caratteristici di dismorfismo. Il difetto di crescita si rende evidente già nei primi anni di vita. Successivamente si ha un lungo periodo in cui la velocità di crescita si mantiene costante ed il deficit staturale, sebbene presente, non si aggrava ulteriormente fino all’epoca peripuberale. Successivamente, in età puberale, la bassa statura ed il mancato avvio puberale determinano una statura oscillante fra 143 e 147 cm nelle femmine adulte. Recentemente, nella zona indicata Xp22 del cromosoma X, è stato identificato il gene SHOX ("short stature homeobox-containing gene") che è responsabile per oltre il 60% della bassa statura, oltre che di alcune anomalie scheletriche. L’amenorrea primaria con ipogonadismo ipergonadotropo e l’assenza dei caratteri sessuali secondari, in età puberale, si riscontrano nell’80% dei casi. I genitali esterni sono indubbiamente femminili, ma rimangono immaturi e non vi è sviluppo mammario. I genitali interni sono costituiti da tube di Falloppio e utero infantili e da gonadi a striscia bilaterali situate nei legamenti larghi. Nelle gonadi non sono riconoscibili né follicoli né cellule uovo, ma solamente tessuto fibroso indistinguibile da quello dello stroma ovarico normale. Circa il 2% dei soggetti 45,X e il 12% di quelli con mosaicismo possiede un numero di follicoli residui sufficiente per permettere la comparsa delle mestruazioni. Sono stati anche riportati casi di gravidanza, tuttavia il periodo riproduttivo di queste donne è breve. Tra le malformazioni renali (30-40%) che si accompagnano in genere a normale funzionalità renale, il rene a ferro di cavallo è la più frequente. Nel 15% dei casi sono presenti anomalie della pelvi o degli ureteri. Nel 10-20% dei casi, sono presenti difetti cardiaci. Si tratta per lo più di malformazioni della valvola aortica bicuspide (o mitrale) (15%),coartazione o stenosi aortica (5-10%), prolasso della mitrale. Recenti studi hanno evidenziato in questi soggetti aumentata incidenza di dilatazione e rischio di aneurisma dissecante dell'aorta ascendente, anche in assenza di fattori predisponenti, quali la presenza di cardiopatia congenita od ipertensione. Fattori genetici e la carenza di estrogeni correlano probabilmente a determinare una precoce compromissione della funzionalità endoteliale vascolare per un difetto della parete arteriosa. Le anomalie otorinolaringoiatriche sono rappresentate da malformazione anatomica della Tuba di Eustachio che risulta particolarmente orizzontalizzata con predisposizione ad otiti frequenti nella prima infanzia. In età adulta può insorgere un’ipoacusia di tipo neurosensoriale. Altre condizioni patologiche descritte riguardano la possibilità di sviluppo di diabete non insulino-dipendente (nel 50% dei casi).

Si possono verificare altre malattie autoimmuni o immunomediate quali ipotiroidismo, tiroidite, celiachia, artrite reumatoide giovanile o artrite psoriasica. Problemi gastrointestinali di varia natura tendono a presentarsi più frequentemente in età adulta con emorragie per angiomi, malattia di Crohn, Rettocolite ulcerosa e tumori del colon. Vi è un aumentato rischio di steatosi epatica, fibrosi e ipertensione portale. Altre condizioni patologiche sono l’osteoporosi, l’obesità

e le

dislipidemie. Possono essere presenti miopia e/o strabismo. Lo sviluppo intellettivo è per lo più normale nella maggioranza dei casi; vengono segnalate difficoltà scolastiche nel campo della matematica e dell'orientamento spazio-temporale e della coordinazione visivo-motoria o della capacità di adeguarsi allo svolgimento di funzioni particolarmente impegnative, nonché problemi psicologici minori legati alle difficoltà nell'inserimento del mondo lavorativo e delle relazioni interpersonali e, raramente, psicosi.

Caratteristiche cliniche Anomalie fenotipiche Bassa statura Linfedema mani e/o piedi Impianto basso dei capelli sia sulla fronte che sulla nuca o a tridente Alopecia del cuoio capelluto Ptosi Epicanto Bocca a pesce Micrognazia Palato alto e arcuato Affollamento dei denti Orecchie prominenti e malformate Collo corto Pterigio colli Cubito valgo Malformazione di Madelung Segno di Archibald Torace a scudo o exavatum Ipertricosi Nevi pigmentati Anomalie endocrine Ipogonadismo ipergonadotropo Amenorrea primaria Mancato sviluppo dei caratteri sessuali secondari POF

Anomalie renali Rene a ferro di cavallo Anomalie della pelvi o degli ureteri Anomalie cardiache Valvola aortica bicuspide Coartazione aortica Stenosi aortica Prolasso della mitrale Aneurisma dissecante dell'aorta ascendente Altro Igroma cistico Anomalie otorinolaringoiatriche (Tuba di Eustachio orizzontalizzata, otiti frequenti, ipoacusia neurusensoriale) Anomalie oculari (miopia, strabismo) Diabete Ipotiroidismo/Tiroidite Celiachia Artrite reumatoide giovanile Artrite psoriasica Morbo di Crohn/ Rettocolite Ulcerosa Steatosi epatica/ fibrosi epatica Osteoporosi Obesità

Terapia Dal punto di vista terapeutico la sindrome di Turner può beneficiare del trattamento con ormone della crescita iniziato in età infantile che migliora la statura definitiva; l'inizio precoce consente di raggiungere rapidamente altezze maggiori già durante l'età prepubere, con il raggiungimento di una velocità di crescita entro i limiti normali, con il guadagno in termini di altezza in età adulta di 8-10 cm mentre la terapia supplementare con estroprogestinici correggere il deficit della funzione dell'ovaio provocando lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari (seno, utero) e rivestendo un’importanza fondamentale nel prevenire lo sviluppo dell'osteoporosi e ridurre il rischio aterosclerotico.

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Sindrome di Klinefelter Cutrupi MC, Briuglia S, Civa R, Salpietro A, Caruso R, Loddo I, Grasso L, Arrigo T

La sindrome di Klinefelter è stata descritta per la prima volta nel 1942 quando il Dott. Harry Klinefelter descrisse 9 uomini con testicoli di ridotte dimensioni, azoospermia, ginecomastia bilaterale e ipogonadismo ipergonadotropo. Si è creduto fosse un disordine endocrino ad eziologia sconosciuta, dovuto principalmente ad una alterazione delle cellule di Sertoli. 17 anni più tardi, nel 1959, Jacobs e Strong dimostrarono che i maschi affetti dalla sindrome di Klinefelter non possedevano un normale cariotipo 46, XY ma presentavano un cromosoma X soprannumerario. Studi successivi hanno mostrato altre aberrazioni del cromosoma X, tra cui 48, XXXY e casi di mosaicismo.

Sindrome di Klinefelter (47, XXY)

La sindrome di Klinefelter (KS) è una aneuploidia che determina una forma di insufficienza testicolare primaria, con elevati livelli di gonadotropine. L’aneuploidia XXY colpisce 1 su 500 pazienti di sesso maschile ed è il disturbo più comune dei cromosomi sessuali negli esseri umani. Sono stati descritti, anche se meno frequentemente, maschi con 48, XXYY ( 1 caso ogni 17.000), maschi 48, XXXY ( 1 ogni 50.000 nati maschi) e maschi 49, XXXXY (1 ogni 85.000/100.000 nati) e un peggioramento del quadro clinico tende ad essere associato alla presenza di un numero crescente di cromosomi sessuali. Alcuni pazienti possono presentare un mosaicismo cromosomico, frutto di errori di origine mitotica avvenuti ai primi stadi di divisione dell’embrione, in cui sono contemporaneamente presenti linee cellulari con componente XY e XXY (46,XY/47,XXY) con fenotipo altamente variabile in proporzione alla frazione di cellule che presentano l’X soprannumerario. La diagnosi clinica può essere ancora più difficoltosa, in quanto il mosaicismo può esser confinato ai soli testicoli ed escludere i linfociti, sui quali di routine si effettua la diagnosi citogenetica. I maschi XX, con una traslocazione durante la meiosi paterna di materiale Y in cui è

compresa la regione per la determinazione del sesso (SRY), hanno caratteristiche simili ai maschi XXY. Patogenesi Il cromosoma X sovrannumerario è generalmente dovuto ad una non disgiunzione meiotica durante la prima o la seconda divisione della gametogenesi maschile o femminile o da non-disgiunzione mitotica dello zigote in via di sviluppo. La non disgiunzione paterna è presente nel 53,2% dei casi, la materna in circa il 34,4%,ed errori mitotici postzigotici nel 3% circa dei casi. Nella madre gli errori avvengono frequentemente durante la prima divisione meiotica rispetto alla seconda. Durante la prima divisione meiotica la non-disgiunzione materna determina che l’ovocita primario diploide 2n,XX si divide in un globulo polare n e un ovocita secondario n,XX che, una volta fecondato da uno spermatozoo con corretto corredo aploide, formerà uno zigote 47,XXY. In caso di nondisgiunzione materna durante la seconda divisone meiotica, l’ovocita secondario va incontro a non disgiunzione, dando origine a un ovocita maturo n,XX che, dopo la fecondazione, darà origine ad uno zigote 47,XXY. Al contrario, nel padre, l’aneuploidia cromosomica origina durante il passaggio da spermatocita di primo ordine a quello di secondo ordine. In questo stadio sono prodotti spermatociti secondari ipoaploidi n (senza cromosomi sessuali) e spermatociti aneuploidi n,XY che quando fecondano un ovocita normale creano uno zigote 2n,XXY. Sebbene alcuni Autori considerino irrilevante l’età dei genitori come fattore di rischio, alcuni recenti studi correlano l’aumento dell’età materna con l’aumentata incidenza della sindrome. Recentemente si è scoperto che un polimorfismo del Recettore degli Androgeni (RA) è correlato direttamente con l’ampio grado di variabilità fenotipica della malattia, con particolare riferimento all’ipogonadismo, all’infertilità, alla ginecomastia e alla densità ossea. Il Recettore degli Androgeni (RA) è una proteina appartenente alla famiglia dei recettori nucleari, dotata di un dominio che riconosce selettivamente gli androgeni il cui gene mappa nel locus Xq11-12; a livello del primo esone, è presente un tratto altamente polimorfico con una sequenza ricca di triplette CAG. La lunghezza dell’espansione CAG è direttamente responsabile dell’affinità del recettore per il proprio ligando: proteine con una espansione CAG corta sono molto affini e sensibili all’androgeno, viceversa, proteine con una lunga espansione CAG sono poco affini all’ormone. Da recenti studi, sembrerebbe che, nei soggetti affetti da sindrome di Klinefelter, l’inattivazione di uno dei due loci per l’RA non è casuale, ma viene preferenzialmente inattivato il cromosoma X che veicola l’RA con l’espansione polimorfica CAG più corta (per cui viene silenziato l’RA più attivo). I soggetti con sindrome di Klinefelter quindi non solo possiedono una scarsa produzione di androgeni (secondaria all’ipogonadismo) ma anche un recettore attivo meno affine.

Diagnosi La diagnosi avviene con l’esecuzione del cariotipo su linfociti di sangue periferico, o su amniociti o villi coriali durante il periodo gestazionale. Bisogna sempre considerare che durante l’infanzia e prima dell’adolescenza non si manifestano evidenti segni clinici, tranne un’alterazione della discesa testicolare che però non è patognomonica in questa fascia d’età. La determinazione dei livelli plasmatici dei principali ormoni coinvolti in epoca pediatrica non è quasi mai dirimente e raramente viene fatta la diagnosi corretta. Molte volte i sintomi nel paziente sono così sfumati da non venir individuati. Possono aiutare, la presenza di ritardo del linguaggio, difficoltà di apprendimento o disturbi comportamentali. Dalla pubertà in poi la diagnosi risulta più facile poichè si manifestano i segni di uno spiccato ipogonadismo ipergonadotropo, seguito dall’insufficienza androgenica. Nel sospetto di mosaicismo vengono inoltre richiesti il cariotipo e/o l’analisi FISH (Fluorescence In Situ Hybridization) (su fibroblasti cutanei o tessuto testicolare). È importante quantificare la lunghezza dell’espansione di triplette CAG, che viene analizzata per sequenziamento diretto.

Manifestazioni cliniche Le manifestazioni cliniche dei maschi 47, XXY sono età dipendenti con ampia variabilità fenotipica Non sono evidenti dismorfismi facciali

e le uniche caratteristiche costanti sono le piccole

dimensioni dei testicoli e l’azoospermia. I neonati hanno parametri auxologici (peso, altezza e circonferenza cranica) nella norma. Nell'infanzia, i maschi con 47, XXY possono presentare ipospadia, pene piccolo o criptorchidismo. Il bambino in età scolare può presentare altezza superiore alla norma. Nel momento della pubertà, le concentrazioni di testosterone tendono a scendere e si assestano a livelli ridotti per tutta la vita durante l’adolescenza e prima età adulta. Dal punto di vista endocrinologico le concentrazioni sieriche di molti ormoni sono alterate: non solo è diminuito il testosterone ma è carente anche l’inibina- B, ormone polipeptidico, a causa della sua ridotta produzione da parte delle cellule di Sertoli. Mancando il feedback inibitorio fisiologico di questi due ormoni a livello ipofisario vi è una eccessiva secrezione di LH e FSH, che caratterizza il quadro generale dell’ipogonadismo ipergonadotropo. Dopo i 25 anni, circa il 70% dei pazienti manifesta un generale calo della libido e della potenza sessuale come risultato del deficit generalizzato di androgeni. Le dimensioni dei testicoli sono uniformemente ridotte, di solito meno 2 cm di lunghezza, 1 cm in larghezza, e 4 mL di volume negli adulti, rispetto i valori normali di 4 cm, 2,5 cm di larghezza, e di almeno 15 mL, di volume. Campioni di biopsia testicolare rivelano ialinizzazione e fibrosi dei tubuli seminiferi, ipertrofia delle cellule di Leydig, assenza di cellule della linea germinale con conseguente azoospermia. Gli individui con genotipo XY / XXY hanno

delle caratteristiche istologiche testicolari particolari e rivelano che il 14% al 61% dei loro tubuli seminiferi contengono spermatidi maturazione, il che spiega i rari casi di fertilità in queste pazienti. È presente altezza superiore alla norma, di solito maggiore a 184 cm con SPAN superiore alla norma>2 cm. La statura è conseguenza di una maggiore lunghezza delle gambe, in risposta ad una ritardata saldatura delle epifisi (fisiologicamente indotta dagli androgeni). La presenza di questa caratteristica prima della pubertà esclude che essa sia dovuta alla deficienza di androgeni, ma piuttosto suggerisce il coinvolgimento di altri fattori al momento non noti; nell’adulto, l’insufficiente attività del testosterone è considerata come causativa di ipotricosi dei peli del viso, ascelle e del pube, ginecomastia, massa muscolare diminuita con distribuzione femminile di tessuto adiposo. Le difficoltà linguistiche sono

uno dei tratti maggiormente distintivi del

funzionamento cognitivo dei soggetti affetti dalla sindrome di Klinefelter che presentano difficoltà pervasive nel linguaggio e nell’ apprendimento delle competenze linguistiche, in una percentuale compresa tra il 70 e l’80% dei casi, a seconda delle stime, difficoltà nell’articolazione di suoni o sillabe, nel recupero lessicale e nell’elaborazione fonemica che determinano poi limitazioni, da moderate a gravi, nella lettura, nell’espressione e nella scrittura, come pure nelle abilità di ragionamento aritmetico. Inoltre, presentano difficoltà di apprendimento verbale e alterazioni di dominanza manuale e di lateralizzazione funzionale, e costituiscono pertanto un modello adeguato per lo studio genetico delle anomalie di lateralizzazione. Il linguaggio è localizzato in tutta la regione perisilviana dell’emisfero sinistro nel 97-99% dei destrimani. Una vasta gamma di metodologie ha dimostrato che nei mancini le aree relative al linguaggio sono localizzate o nell’emisfero sinistro (50%), o bilateralmente (40-45%), e meno frequentemente (5-10%) nell’emisfero destro. Questa asimmetria funzionale è correlata con una asimmetria strutturale del planum temporale, la parte posteriore del giro temporale superiore, che è fino a 10 volte più ampia a sinistra nella maggior parte dei destrimani. L’asimmetria strutturale del planum temporale, che si sviluppa in epoca prenatale dopo il compimento della neurogenesi corticale, fornisce il substrato neurale su cui si sviluppano comportamenti, come la preferenza manuale e il linguaggio. I mancini spesso divergono dai modelli normali di asimmetria funzionale ed anatomica del linguaggio, riscontrati nei destrimani, pertanto la loro condizione è stata definita “dominanza anomala”. Ad essa corrispondono, di frequente, condizioni patologiche che comportano alterazioni dello sviluppo del linguaggio, quali la dislessia e la balbuzie. Le acquisizione in questo ambito provengono dagli studi effettuati mediante Risonanza Magnetica (RM) del cervello, che hanno consentito di documentare la presenza di asimmetrie lobari, evidenziando una riduzione del volume totale del cervello e l’ampliamento dei ventricoli laterali nei soggetti con sindrome di Klinefelter adulti. È stata inoltre documentata una riduzione del volume della sostanza grigia nel lobo temporale sinistro: tale asimmetria appare meno marcata nei soggetti trattati con testosterone. Al contrario, le strutture

sottocorticali come i complessi dell’ippocampo e gli emisferi cerebellari sono apparsi più ridotti a livello dell’emisfero destro. Inoltre, la sostanza grigia dei lobi frontale, parietale e temporale è risultata ridotta a livello dell’emisfero sinistro, anche se non in modo significativo.

Percentuale delle caratteristiche patologiche nei pazienti con Sindrome di Klinefelter Caratteristiche patologiche

%

Testicoli Piccoli

99-100

Infertilità

99-100

Elevati livelli di gonadotropina

90-100

Diminuzione dei livelli di testosterone

65-85

Ginecomastia

56 -88

Diminuzione peli sul viso

60-80

Diminuzione peli pubici

30-60

Diminuzione della dimensione del pene

10-25

Sindrome di Klinefelter

Complicanze Secondo un recente studio, la sindrome di Klinefelter di per sé aumenta del 40% la mortalità dei pazienti, riducendone la vita media di circa 2,1 anni, principalmente a causa di tutte le patologie associate, quali il cancro, il diabete mellito, le infezioni e le patologie cardiovascolari in genere. La mortalità per cancro ai polmoni, linfomi non-Hodgkin e tumore alla mammella maschile è particolarmente aumentata. Il carcinoma della mammella è raro negli uomini, la sua incidenza nella

maggior parte delle popolazioni è meno di 1 caso ogni 100 000 uomini. Tuttavia, è almeno 20 volte di più comune nei pazienti con KS, che rappresentano circa il 4% di tutti casi. L'aumento dell'incidenza di disturbi autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide e la sindrome di Sjogren può essere dovuto agli squilibri ormonali con elevati livelli di estrogeni che promuovono l’autoimmunità e ai bassi di testosterone. Un'altra ipotesi incrimina le anomalie dei linfociti, in particolare il numero ridotto dei linfociti totali CD8 con aumento dei CD4. Il deficit di androgeni è un importante fattore di rischio per l’osteoporosi, che insorge precocemente; l’incidenza della osteopenia supera il 40%. Da un punto di vista patogenetico si nota perdita di tessuto osseo, con ridotta attività osteoblastica di deposizione della matrice sia organica che minerale, cui si aggiunge una perdita della componente compatta molto maggiore rispetto alla componente trabecolare. La terapia migliora la mineralizzazione delle ossa e la formazione di osteoide. La sindrome inoltre, comporta una generale intolleranza al glucosio, in alcuni casi secondaria ad una alterata regolazione del metabolismo degli acidi grassi che comporta, a sua volta, obesità addominale. Vi è una maggiore prevalenza del 10-20 superiore di sviluppare ulcere venose e un aumento del rischio di trombosi venosa profonde ed embolie polmonari. Il Taurodontismo, un’anomalia caratterizzata dall’ingrandimento dei denti a causa dell’estensione del canale pulpare, ha incidenza del 0.5%-3.0% nella popolazione generale mentre è presente nel 40% dei pazienti con sindrome di Klinefelter.

Trattamento Il trattamento sostitutivo con testosterone non ha alcun effetto sulla dimensione dei testicoli o sulla spermatogenesi, la ginecomastia, ma corregge la deficienza degli androgeni e favorisce la normalizzazione delle proporzioni del corpo o lo sviluppo di caratteri sessuali secondari . Inoltre vi è aumento della libido, della forza, e della densità minerale ossea, con stimolo dell'eritropoiesi e aumento del numero dei linfociti T suppressor. Il trattamento deve essere iniziato presto per ridurre al minimo gli effetti fisici e psicologici da carenza di androgeni. Il momento ottimale per intraprendere la terapia sostitutiva con testosterone è all'inizio della pubertà, a circa 11 o 12 anni. Una volta iniziata, la somministrazione di testosterone dovrebbe continuare per tutta la vita. Tra le varie forme di somministrazione di testosterone(impianto cutaneo, compresse, patch e gel transdermici, tavolette sub-linguali), il sistema terapeutico più adottato rimane l’iniezione intramuscolare di esteri del testosterone, che garantiscono un’emivita dell’ormone fino a 2-3 settimane. Durante la terapia sostitutiva con testosterone, può verificarsi aumento di peso dovuto all'accumulo di massa

magra, lieve acne e soprattutto, nei soggetti adulti, bisogna costantemente monitorare l’ematocrito poiché gli androgeni stimolano l’eritropoiesi midollare e quindi un’eccessiva viscosità del sangue.

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Neurofibromatosi Calabrò A, Ferraù V, Cutrupi MC, Barone C, Salpietro A, Briuglia S

La Neurofibromatosi di tipo I (NF1) (OMIM: 162200), anche detta Malattia di Von Recklinghausen, fa parte di un gruppo di malattie genetiche multisistemiche e progressive dette Facomatosi o anche sindromi “neurocutanee” come la sclerosi tuberosa, la malattia di SturgeWeber, la malattia di von Hippel-Lindau, l’incontinentia pigmenti, le cui manifestazioni cliniche, estremamente variabili ed eterogenee, riguardano primariamente, ma non esclusivamente, i tessuti di derivazione neuro ectodermica. La NF1 è la forma più comune di Facomatosi con un'incidenza di 1 su 2500–3000 nati ed una prevalenza di circa 1 su 4000–5000 individui nella popolazione generale. Si trasmette con modalità autosomica dominante, il 50% dei casi sono sporadici. È una malattia ad espressività molto variabile, anche all’interno della stessa famiglia, e penetranza quasi completa, età dipendente (i segni clinici compaiono progressivamente fino a diventare del 100% all’età di 6-8 anni). Il gene malattia, gene NF1, localizzato in sede pericentromerica del braccio lungo del cromosoma 17 (17q11.2) (Fig.1), è un gene oncosoppressore che codifica per una proteina di 2818 aa chiamata neurofibromina (Fig. 2) che si localizza nei microtubuli citoplasmatici e che svolge una regolazione negativa della crescita cellulare con attività di controllo di attivazione sul ras pathway, svolgendo, dunque, una funzione di soppressore di tumore. Ad oggi si conoscono oltre 450 mutazioni (delezioni, inserzioni, duplicazioni, sostituzioni nucleotidiche) a carico del gene NF1 ma senza una reale associazione genotipo-fenotipo, fatta eccezione per le ampie delezioni associate ad un fenotipo severo con ritardo mentale e dismorfismi facciali.

Fig.1 Gene NF1 (17q11.2)

Fig.2 Neurofibromina

Manifestazioni cliniche e complicanze della NF1 La NF1 è una malattia genetica multisistemica che si presenta con segni clinici che possono interessare vari organi (cute, sistema nervoso periferico, scheletrico e cardiovascolare) e con possibili complicazioni di varia natura e gravità (vascolari, tumorali) che compaiono nel tempo. Il segno clinico patognominico della NF1 è rappresentato dalle macchie caffè-latte (Fig.3), primo segno della malattia, di forma variabile, di diametro fra 10 e 30 mm, a margini netti e di colore uniforme. Compaiono alla nascita o entro il 1° anno d’età e aumentano di n° e/o dimensioni fino al 5°-6° anno di vita. Sono diffuse a tutta la superficie corporea, con predilezione per tronco e arti, e risparmio di volto e regioni palmo-plantari. Sono presenti nel 95% delle persone con NF1. Per costituire un criterio clinico devono essere almeno 6 e con di diametro superiore a 5 mm prima della pubertà e oltre il 15 mm in età adulta. Nella NF1 sono presenti altre manifestazioni cutanee quali: - lentigginosi nelle aree di frizione cutanea (ascelle e inguine) o freeckling ascellari o inguinali (Fig.4): aree iperpigmentate del tutto simili alle macchie caffè latte ma di dimensioni inferiori, di 2-3 mm di diametro, presenti alla nascita o che compaiono nei primi 6-7 anni di vita. Possono localizzarsi anche alla base del collo, sul tronco, a livello delle zone periorale e perioculare. Sono in genere il secondo segno che compare, dopo i 2-3 anni, e sono presenti nell’85% delle persone con NF1. Fig.3-4 Macchie caffè latte, freckling ascellare, Neurofibromi cutanei in nostri pazienti

-

neurofibromi cutanei o sottocutanei (Fig.5): piccole masserelle molli elastiche che compaiono in genere alla pubertà, raramente prima dei 7 anni o durante la gravidanza, il che suggerisce un’influenza ormonale. Possono essere isolati o, più frequentemente multipli, in alcuni casi molto numerosi; sono tumori benigni dei nervi periferici e non interessano altri tessuti, ma

possono crescere e comprimere i tessuti circostanti, come il neurofibroma spinale. Per costituire un segno clinico devono essere 2 o più.

Fig. 5-6: Neurofibromi cutanei e neuro fibroma plessiforme in nostre pazienti

Nei pazienti con NF1 possono essere presenti anche i seguenti segni clinici: - neurofibromi plessiformi (Fig.6) che sono tumori benigni che però infiltrano non solo il nervo ma anche i tessuti circostanti causando compressione e modificazioni dell’anatomia di tessuti ed organi. E’ un segno clinico precoce, ritenuto già presente alla nascita, può non essere inizialmente individuato per le sue limitate dimensioni o perché interessa sedi non visibili esternamente. E’ presente nel 30% delle persone con NF1. Anche un solo neurofibroma plessiforme è sufficiente per essere considerato segno diagnostico. - noduli iridei di Lisch: amartomi asintomatici presenti sulla superficie dell’iride, visibili solo con la “lampada a fessura” come masse tridimensionali traslucide, punteggiate da cellule contenenti melanina. Compaiono in genere dopo i 5-6 anni. Sono presenti nel 95% delle persone con NF1. Non hanno alcun significato clinico se non diagnostico quando sono due o più. - glioma delle vie ottiche: tumore benigno a bassa crescita interessante le vie ottiche (nervo e talora anche il chiasma ottico) a comparsa entro i primi 10 anni di vita. E’ presente nel 15% dei bambini con NF1 ed individuabile solo con Risonanza magnetica o TAC cerebrale. Solo nel 2-5% dei casi può dare problemi oculari (diminuzione della vista, strabismo, protrusione del globo oculare), pubertà precoce o progredire, e di solito questo succede entro l’età di 6 anni, raramente dopo e comunque entro i 10 anni. - displasia scheletrica: anomalia di alcune ossa lunghe (tibia, fibula) che tendono a rompersi e a non ripararsi, dando luogo ad un aspetto radiologico tipo “pseudoartrosi”, o dell’osso sfenoide. Vi sono poi altri segni clinici meno frequenti ma molto caratteristici della NF1, quali: disturbi di apprendimento (50% dei casi); macrocefalia sin dai primi anni di vita (40% delle persone con NF1); bassa statura (40%); scoliosi (10%) non specifica o “distrofica” (quest’ultima è progressiva tra i 6 e i 10 anni). l decorso clinico della malattia non è prevedibile. In tre quarti dei casi la NF1 è

relativamente benigna, ma nel restante 25% dei casi si sviluppano una o più complicazioni, alcune delle quali determinano nel complesso una riduzione dell’attesa di vita.

Le principali complicanze della NF1 sono le seguenti: - Neurologiche: (glioma delle vie ottiche complicato con anomalie oculari e ipotalamiche, difficoltà di apprendimento, compressione da neurofibroma dei nervi periferici, spinali e del midollo spinale). Nei pazienti con NF1 possono essere riscontrate le cosiddette Unidentified Bright Objects (UBO), ossia piccole aree asimmetriche di forma rotondeggiante od ovale, a margini sfumati, che non causano effetto massa, localizzate in sede talamica, capsula interna, cervelletto e tronco encefalico e visibili alla RMN come lesioni iperintense in T2. Tendono a scomparire con l’età e sono del tutto asintomatiche. - Ortopediche: (displasia tibiale, dell’ala dello sfenoide con protrusione del bulbo oculare, scoliosi precoce e rilevante). - Cardiovascolari: costituiscono, insieme con i tumori a rapida crescita, la principale causa di morte soprattutto nell’adolescenza: l’ipertensione arteriosa, anche in età infantile e relativamente comune, dovuta a cause diverse (restringimenti vascolari o tumore surrenalico); l’emorragia cerebrale che è responsabile del 50% della mortalità. Meno frequentemente (2%) vi è una malformazione cardiaca, in genere una stenosi polmonare. - Tumori maligni (soprattutto MPNST) dovuti ad ulteriori mutazioni somatiche di altri geni, oltre al gene NF1, e che sembra si sviluppino in genere in sede di neurofibroma sottocutaneo e soprattutto plessiforme. La varietà dell’espressione clinica, il rischio di tumori e l’imprevedibilità dell’evoluzione clinica impone un monitoraggio regolare ed attento dei pazienti con NF1. Il genetista rappresenta il “regista” nella gestione del paziente affetto da NF1 e nella valutazione dei parenti e del loro rischio di ricorrenza, ma l’approccio al paziente con NF1 è sicuramente multidisciplinare e comprende un’attenta valutazione dei parametri auxologici, una valutazione dermatologica, ortopedica, neurologica e comportamentale, oculistica, audiologica ed, inoltre, è fondamentale il monitoraggio pressorio dato l’aumentato rischio, in questi pazienti, di sviluppare ipertensione arteriosa. Fondamentale sarà la sorveglianza per lo sviluppo di tumori e soprattutto di MPNST. Diagnosi clinica e molecolare

La diagnosi di Neurofibromatosi, ad oggi, è essenzialmente clinica, e si basa sui criteri diagnostici internazionali NIH, pubblicati nel 1988. La diagnosi di NF1 si pone in presenza di 2 o più dei seguenti criteri diagnostici (Tab.1).

Tab.1 Criteri diagnostici NIH, 1988

Nel paziente adulto la diagnosi è generalmente più semplice rispetto al paziente pediatrico, in quanto nel bambino spesso le macchie caffè latte rappresentano l’unica manifestazione clinica della malattia. La sintomatologia evolve con l’età e la penetranza è quasi completa intorno al 5 anno di vita. Le manifestazioni cutanee si presentano progressivamente. Le macchie caffè latte possono essere già presenti, in numero sufficiente, alla nascita ma possono anche presentarsi nel corso dei primi anni di vita. I neurofibromi cutanei sono rari in età infantile e generalmente compaiono in età preadolescenziale. I neurofibromi plessiformi possono essere presenti già alla nascita. La diagnosi clinica, in alcuni casi, può essere confermata dalla diagnosi molecolare. La diagnosi molecolare serve per identificare le mutazioni a carico del gene NF1. Può essere utilizzata la tecnica del Test della Proteina Troncata (PTT) la cui sensibilità è relativamente elevata in quanto, l’80% circa delle mutazioni NF1 sono da sfasamento del registro di lettura che comportano appunto una proteina più corta. Per la sua complessità, tuttavia, il PTT viene limitato ai casi sporadici. La FISH (Fluorescent In Situ Hibrydization) viene utili zzata per le ampie delezioni (<10%) e quando c’è il sospetto clinico di delezione, (fenotipo severo), anche nei casi familiari.

Nei casi familiari si può ricorrere anche all’analisi di linkage. In ogni caso, la diagnosi molecolare può essere effettuata per i casi sporadici con segni clinici dubbi: in genere bambini di età inferiore a 6 anni che presentano un solo segno diagnostico come la presenza di macchie caffè-latte, e per i quali la probabilità di essere affetti è di circa il 60% o come diagnosi preclinica nei figli di persone affette. Negli ultimi anni ci si è molto concentrati su un’altra tecnica per l’identificazione delle mutazioni NF1: la DHPLC (Denaturing HighPperformance Liquid Chromatography). La diagnosi molecolare di NF1, tuttavia, è resa difficile da diversi limiti quali le dimensioni del gene, differenti tipi di mutazione e la reale assenza di una correlazione tra tipo di mutazione e

decorso clinico della malattia. Fa eccezione la ricerca delle microdelezioni che sembrano essere associate ad un fenotipo più grave ed ad un maggiore rischio di tumori. Il ricorso alla diagnosi prenatale, ad oggi, è limitato dall’imprevedibilità del fenotipo essendo la NF1 una malattia genetica ad espressione molto variabile, soprattutto interfamiliare. Diagnosi differenziale

Le macchie caffè latte sono un’evenienza non rara nel bambino (circa il 10-20% dei soggetti sani), spesso sono un reperto occasionale e possono non rappresentare alcun pericolo per il bambino ma, in altri casi, possono essere associate a malattie importanti come la NF1 o altre condizioni genetiche che entrano in diagnosi differenziale con essa (Tab.2). Esistono altre forme, probabili varianti alleliche della NF1, nelle quali clinicamente non si hanno tutte le manifestazioni della NF1 e geneticamente, all’interno dei gruppi familiari sinora studiati, sono state riscontrate mutazioni del gene NF1 in percentuali molto variabili. Le forme “alleliche” della NF1 sono: • la Sindrome di Watson: forma autosomica dominante caratterizzata da macchie caffè latte, bassa statura, deficit cognitivo e stenosi dell’arteria polmonare; • la forma con “macchie caffè latte a trasmissione autosomica dominante”: caratterizzata dalla presenza di sole macchie caffè latte a trasmissione familiare; • la Sindrome Neurofibromatosi/Noonan: manifestazioni sovrapposte di sindrome di Noonan e NF1. La sindrome di Noonan è una sindrome autosomica dominante, ad espressione variabile, dovuta a mutazioni a carico del gene PTPN11 (12q24.2-q24.31). E’ caratterizzata da dismorfismi facciali, bassa statura e difetti cardiaci congeniti. La Noonan/NF1 sembra essere associata maggiormente a mutazioni del gene NF1, meno a quelle del gene PTPN11. Negli ultimi anni è stata identificata una nuova condizione, autosomica dominante, associata alla NF1 definita Sindrome di Legius, dovuta a mutazioni del gene SPRED1 localizzato sul cromosoma 15 (15q13.2). Essa e’ caratterizzata da un fenotipo simile a quello della NF1 ma senza neurofibromi. Tab.2 Diagnosi differenziale della NF1 (da R. E Ferner. European Journal of Human Genetics (2007) 15, 131-138, modificata)

La Neurofibromatosi di tipo 2 (NF2) è una malattia ereditaria che si trasmette in modo autosomico dominante. Tuttavia nella metà dei casi circa, è dovuta ad una nuova mutazione. La sua incidenza è stimata intorno a 1/25.000 (38). La variabilità all’interno delle famiglie è minore di quella della NF1. Il gene malattia NF2 è localizzato sul cromosoma 22q12 e codifica per una proteina citoplasmatica (schwannomina), sottomembranosa, che interagisce con le proteine del citoscheletro, come l'actina ed è implicata nella regolazione della crescita cellulare. A livello clinico, la NF2 può presentare tre gruppi di sintomi: 1) schwannomi bilaterali multipli dei nervi cranici (in generale è implicato l'VIII nervo). Il numero di tumori e la loro età di insorgenza varia da un soggetto all'altro. Altri tumori del sistema nervoso centrale, essenzialmente i meningiomi e più raramente gli ependimomi, sono presenti nella metà dei pazienti; 2) schwannomi sottocutanei e neurofibromi; 3) manifestazioni oculari (opacità del cristallino), per lo più presenti sin dall'infanzia. Un’altra forma di neurofibromatosi è la Schwannomatosi che clinicamente è caratterizzata dalla presenza di schwannomi multipli in assenza di altre manifestazioni cliniche della NF2. Essa può essere sia sporadica che familiare. Sino ad oggi ritenuta una forma allelica di NF2, dovuta quindi a mutazioni del gene NF2, da studi più recenti (su popolazione) è emerso che il gene potrebbe essere localizzato sul cromosoma 22, ma in regioni differenti da quelle della NF2. Sicuramente la condizione genetica che entra maggiormente in diagnosi differenziale con la NF1 è la Sindrome di McCune–Albright. Essa è definita dai seguenti segni clinici: 1) macchie caffè latte, che insorgono generalmente nel periodo neonatale, a bordi irrego lari, di grandi dimensioni, localizzate prevalentemente a livello dei glutei, del sacro e della colonna vertebrale. Le discromie cutanee generalmente coinvolgono un emilato 2) aree multiple di displasia fibrosa;

3) pubertà precoce. Possono presentarsi anche altre endocrinopatie da iperfunzione, che comprendono l'ipertiroidismo, l'iperincrezione dell'ormone della crescita, la sindrome di Cushing e la perdita di fosfato con le urine. La malattia è causata dalle mutazioni somatiche del gene GNAS, localizzato sul cromosoma 20 (20q13.1) ed in particolare della proteina che regola l'AMP ciclico, Gs-alfa. Diverse sono le condizioni, genetiche e non, che entrano in diagnosi differenziale con la NF1, molte delle quali presentano le macchie caffè latte come segno clinico caratteristico. Per tale motivo, nel momento in cui si presenta alla nostra osservazione un bambino con macchie caffè latte, è di fondamentale importanza valutare diversi parametri quali: numero, dimensioni, margini, superficie, distribuzione, associazione con altri segni e/o sintomi, al fine di orientarci meglio sulla corretta diagnosi.

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Fibrosi Cistica Barone C, Briuglia S, Cutrupi MC, Ferraù V, Salpietro V, Amorini G, Procopio V, Rigoli L

Definizione La fibrosi cistica è una malattia genetica autosomica recessiva, causata da una mutazione del gene CFTR, localizzato a livello del braccio lungo del cromosoma 7, che codifica una proteina chiamata CFTR (cystic fibrosis trans membrane regulator) (Fig.1). Tale proteina è costituita da 1480 aminoacidi ed è localizzata a livello transmembranario della membrana apicale delle cellule epiteliali, dove costituisce un canale del cloro AMP ciclico dipendente.

Fig.1 Gene e proteina CFTR

Le 1851 mutazioni sinora descritte a carico del gene CFTR vengono distinte in classi in base ai meccanismi bio-molecolari attraverso i quali causano il deficit funzionale della proteina corrispondente:  Classe I: difetto di produzione;  Classe II: difetto di maturazione della proteina;  Classe III: difetto di regolazione;  Classe IV: difetto di canale;  Classe V: rallentata sintesi;  Classe VI: diminuita stabilità della proteina.

Il difetto primario della malattia è legato all’assenza della CFTR o ad anomalie di struttura o di funzione del canale del cloro (Cl): tali anomalie causano un alterato equilibrio ionico a livello della membrana apicale delle cellule epiteliali delle vie aeree, del pancreas, dell’intestino, delle ghiandole sudoripare e dei vasi deferenti, causando una malattia polmonare progressiva, disfunzione pancreatica, elevata concentrazione di sodio e cloro nel sudore e infertilità maschile.

Aspetti clinici Grazie alla terapia precoce della sintomatologia intestinale (ileo da meconio e insufficienza pancreatica), il quadro clinico della FC è dominato da un lento processo distruttivo polmonare, per cui la FC costituisce la più frequente malattia polmonare grave in età pediatrica. Oltre alla manifestazioni respiratorie e all’insufficienza pancreatica, sono possibili altre manifestazioni quali la predisposizione allo sviluppo di disidratazione ed alcalosi ipocloremica per l’eccessiva perdita di Sali col sudore, la poliposi nasale, la pan sinusite, il prolasso rettale, il diabete insulino-dipendente, patologia epatica che può esitare in cirrosi ed in ipertensione portale e gli equivalenti meconiali. 1. Manifestazioni respiratorie. Si presentano nella maggior parte dei casi entro il primo anno di vita. Il primo sintomo respiratorio rilevante è la tosse persistente, inizialmente secca e di tipo accessuale o pertussoide, associata a tachipnea e broncospasmo. L’esame obiettivo può subito evidenziare segni indiretti di ostruzione bronchiale con rientramenti (intercostali, sovraclaveari, al giugulo e al terzo inferiore dello sterno), deformazione del torace con aumento del diametro antero-posteriore rispetto a quello trasverso (torace “a botte”), polipnea, aumento della fase espiratoria, gemiti e fischi. Inizialmente all’ascoltazione si apprezzano solo qualche ronco ed una riduzione del murmure vescicolare. Quando l’infezione endobronchiale cronica e la secondaria risposta infiammatoria portano alla distruzione del parenchima polmonare con formazione di bronchiectasie, con tosse sempre più catarrale ed espettorato muco-purulento. Si istaura una persistente colonizzazione/infezione da tipici patogeni tra cui prevalgono Staphylococcus aureus, Haemophilus influenzae e Pseudomonas aeruginosa. Le complicanze più comuni dell’interessamento polmonare sono bronchioliti, atelattasia (Fig.2), reflusso gastroesofageo, pneumotorace, emottisi, aspergillosi, insufficienza respiratoria, cuore polmonare.

Fig.2 Rx torace con evidenza di atelettasia

2. Manifestazioni gastro-intestinali. Alla nascita dal 10 al 15% dei pazienti presenta un “ileo da meconio” ovvero un’ostruzione intestinale da parte di un tappo vischioso e denso di meconio che non iene emesso entro le prime 24 ore di vita accompagnandosi a vomito e distensione addominale. L’ileo da meconio è immediatamente suggestivo di FC. A livello pancreatico si possono presentare insufficienza pancreatica, pancreatiti ricorrenti e disfunzione alla componete endocrina con iperglicemia e successivo diabete conclamato di tipo insulinodipendente. 3. Manifestazioni genito-urinarie. Nel 95% dei casi i maschi sono azospermici mentre nelle femmine si ha una riduzione della fertilità. 4. Interessamento delle ghiandole sudoripare. L’eccessiva perdita di sali col sudore predispone ai bambini con FC ad episodi di disidratazione con deplezione salina ed alcalosi ipocloremica soprattutto in caso di esposizione ad alte temperature ambientali o in corso di episodi di gastroenterite.

Diagnosi La diagnosi di FC allo stato attuale delle conoscenze può essere sospettata e formulata in presenza di: • Uno o più sintomi evocativi o compatibili con la malattia oppure • Diagnosi di FC accertata in un fratello o in un parente consanguineo oppure • Screening neonatale per la FC positivo e di almeno: • Test del sudore positivo oppure • Presenza di due mutazioni associate a FC oppure • Differenza dei potenziali nasali positivi

Il test del sudore per accertamento diagnostico deve essere eseguito con metodica quantitativa di Gibson e Cooke. Sono comunque utili alcune raccomandazioni: la quantità di sudore raccolta deve essere almeno 100 mg, la determinazione quantitativa di sodio e cloro deve essere affidata sempre allo stesso operatore in un laboratorio dove vengono eseguiti almeno 200 test ogni anno (almeno tre ogni settimana). Sono considerati patologici i valori superiori a 60 mmol/l per il cloro mentre i valori inferiori a 40 mmol/l sono nella norma.

L’analisi molecolare di primo livello si basa test genetici eseguiti utilizzando un pannello che copre circa il 70% delle mutazioni più frequenti nella popolazione europea. L'analisi molecolare di secondo livello individua tramite sequenziamento automatico le restanti mutazioni presenti nelle sequenze codificanti del gene. Sono state sinora descritte 1851 mutazioni. Circa il 70% dei casi è dovuto alla presenza dell'allele delta F508, mentre il 20% correla con altre 30 mutazioni più comuni.. Non esiste una chiara correlazione genotipo-fenotipo. Il fenotipo può essere influenzato, oltre che dall'eterogeneità allelica e dalla presenza di mutazioni multiple nello stesso gene, anche dall'intervento di altri fattori, ambientali e geni modificatori. Lo studio dei potenziali nasali può essere eseguito nei casi nei quali la diagnosi presenti difficoltà. presso un Centro di Riferimento allo scopo di tenere sotto controllo la presenza od insorgenza della compromissione dei vari organi ed apparati e l'eventuale evolutività delle stesse anche in ordine al programma terapeutico che deve essere proposto ed aggiornato.

Consulenza genetica e diagnosi prenatale La consulenza genetica è indicata alla coppie portatrici di mutazioni in eterozigosi (identificate dopo la nascita di un bimbo affetto da fibrosi cistica, in base ad all' anamnesi familiare positiva o successivamente all'identificazione di una mutazione in eterozigosi in un bambino sottoposto allo screening alla nascita). La diagnosi prenatale è possibile con l'analisi molecolare sui villi coriali, attorno alla decima settimana di amenorrea.

Terapia La terapia è rivolta principalmente a contrastare l'evoluzione della malattia ed in particolare della broncopneumopatia, a correggere l'insufficienza pancreatica a mantenere un buon stato nutrizionale. Uno dei cardini fondamentali della terapia della broncopneumopatia è la rimozione delle secrezioni dai bronchi attraverso programmi di fisioterapia respiratoria personalizzati, per quanto attiene la metodica da utilizzare, in ordine all'età ed alla collaborazione del paziente e della famiglia, ed alla gravità della forma. Le tecniche più utilizzate sono il drenaggio bronchiale posturale con vibrazione e percussione, attuabile sin dai primi giorni di vita; il drenaggio autogeno, tecnica di disostruzione bronchiale con respirazione controllata nella quale il paziente regola velocità, flusso e livello della respirazione; la pressione espiratoria positiva, tecnica basata sull’uso di una maschera che esercita una pressione positiva a fine espirazione, favorendo il passaggio d’aria dietro le secrezioni e, quindi, la loro rimozione dalle vie aeree più distali. Quando le condizioni cliniche lo consentono, deve inoltre essere incentivata al massimo l'attività fisica attraverso la pratica di sport.

Nella maggior parte dei pazienti è efficace l'uso di DNase per via aereosolica allo scopo di rendere più fluide le secrezioni. Tra i mucolitici, farmaci come la N-acetil-cisteina, enzima che depolimerizza le glicoproteine, sono in uso da molti anni, come terapia adiuvante, al fine di diminuire la viscosità del muco e migliorare la clearance mucociliare. L'antibioticoterapia ha un ruolo preminente per il controllo delle infezioni, che indubbiamente condizionano decorso e prognosi della malattia, e dovrebbe essere prescritta solo sulla scorta del risultato dell'esame microbiologico eseguito routinariamente ogni 40-60 giorni sulle secrezioni bronchiali ottenute da tosse o da aspirato faringeo profondo; ovviamente all'isolamento dei germi deve seguire un antibiogramma. Particolare attenzione deve essere posta al trattamento delle infezioni da Pseudomonas: la prima infezione da Pseudomonas deve essere prontamente trattata per ottenere l'eradicazione del germe ed impedirne la cronicizzazione. Nel trattamento dell'infezione cronica è buona norma, nel rispetto del risultato dell'antibiogramma, attuare una rotazione dei farmaci da somministrare e prescriverli in associazione ad alte dosi allo scopo di prevenire l'insorgenza di resistenze agli antibiotici stessi. In presenza di infezione cronica l'antibioticoterapia viene attuata ad ogni riacutizzazione e comunque a cicli programmati ogni 3-4 mesi. L'insufficienza pancreatica viene corretta con la somministrazione di enzimi in stretta correlazione con l'assunzione dei cibi; la quantità da somministrare deve essere valutata tenendo conto della gravità della compromissione pancreatica e delle abitudini alimentari dei pazienti. La malnutrizione frequentemente associata alla FC, oltre al deficit staturo-ponderale, può determinare anomalie bioumorali e disturbi immunitari. Per tale ragione, oltre alla terapia sostitutiva pancreatica, è necessario un aumentato apporto calorico (110-120% del fabbisogno). Inoltre i pazienti devono essere sottoposti ad un’integrazione di vitamine liposolubili (A, D e K), per vicariare il loro malassorbimento. Per prevenire la deplezione di sali secondaria alla loro perdita attraverso il sudore deve essere prevista l'assunzione di cloruro di sodio per ogni paziente ed in modo particolare nei primi anni di vita e/o in quelle situazioni nelle quali la sudorazione può essere profusa. Nei pazienti con colestasi è utile la somministrazione di sali biliari idrofilici allo scopo di rendere più fluida la bile. Per quanto riguarda l'uso di altri farmaci o le prospettive di terapia genica, e di correzione farmacologica della CFTR, o gli importanti problemi correlati ai trapianti bipolmonari o di fegato.

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Fenilchetonuria Briuglia S, Barone C, Cutrupi MC, Procopio V, Ferraù V, Salpietro DC, Rigoli L

Definizione La fenilchetonuria è una malattia del metabolismo degli aminoacidi caratterizzata dall’accumulo di fenilalanina dovuto, nella forma classica, al deficit dell’enzima fenilalanina idrossilasi (PAH) e, in una minoranza dei casi, alla mutazione di uno degli enzimi coinvolti nel metabolismo del cofattore tetraidrobiopterina (BH4). L’iperfenilalaninemia che ne deriva danneggia il sistema nervoso determinando il ritardo mentale caratteristico della malattia e che si manifesta in assenza di un trattamento tempestivo.

Epidemiologia È la malattia del metabolismo degli aminoacidi più frequente (incidenza 1:4-8000). La sua incidenza in Europa varia da circa 1:3:500 a 1:150000, con uguale distribuzione tra i sessi e tra la popolazione di razza bianca e nera.

Manifestazioni cliniche La distinzione tra fenilchetonuria classica e iperfenilalaninemie è basata sul dosaggio della fenilalanina plasmatica:  Fenilchetonuria severa (classica): fenilalaninemia >1200 mcmol/l  Iperfenilalaninemia moderata: fenilalaninemia 600-1200 mcmol/l  Iperfenilalaninemia lieve: fenilalaninemia 120-600 mcmol/l A causa della ridotta produzione di melanina conseguente al blocco della sintesi di tirosina, nel 90% dei casi alla diagnosi ha la pelle chiara, i capelli biondi e gli occhi azzurri; nei primi mesi di vita è talora possibile riscontrare un odore corporeo caratteristico “ad urine di topo”, nonché irritabilità ed eczema. La storia naturale della fenilchetonuria è dominata da grave ritardo mentale che si manifesta progressivamente con iperattività, movimenti finalistici e comportamenti autistici. Il quoziente intellettivo risulta inferiore a 50. Nei pazienti con fenilchetonuria è frequente il riscontro di ipertono con riflessi osteotendinei iperevocabili; in circa il 33% dei bambini si osservano segni di spasticità e nel 25% convulsioni. Nei soggetti con iperfenilalaninemia da deficit di produzione o riciclaggio della BH4, ossia circa il 2% dei casi, il quadro clinico è caratterizzato da mioclonia, distonie, convulsioni e parkinsonismo

infantile con ipocinesia, difficoltà di deglutizione, crisi oculogire e di sudorazione, ipotonia del tronco e ipertono degli arti. Le indagini neuro radiologiche evidenziano demielinizzazione e calcificazione dei gangli della base. La BH4, infatti, è anche il cofattore degli enzimi tirosinaidrossilasi e triptofano-idrossilasi, necessari per la sintesi di dopamina e serotonina.

Eziopatogenesi Le iperfenilalaninemie sono causate dalla ridotta attività del sistema enzimatico della PAH che provoca un blocco dell’idrossilazione della fenilalanina in tirosina (Fig.1), con conseguente accumulo di fenilalanina a livello plasmatico e urinario e riduzione della sintesi di tirosina. Il grave danno cerebrale che si istaura progressivamente durante lo sviluppo è dovuto alle molteplici conseguenze dell’accumulo di fenilalanina: sottrazione di altri aminoacidi necessari per la sintesi proteica, compromissione della formazione e o della stabilizzazione dei poliribosomi, ridotta sintesi di mielina ed insufficiente formazione di noradrenalina e serotonina. Le iperfenilalaninemie sono dovute principalmente a mutazioni dell’enzima PAH e in alcuni casi a mutazioni degli enzimi coinvolti nella sintesi o nella riconversione della BH4. Tutti i bambini con iperfenilalaninemia devono quindi essere studiati per escludere un deficit di questo cofattore.

Fig.1 Idrossilazione della fenilalanina in tirosina

La fenilchetonuria riconosce una modalità di trasmissione autosomica recessiva. Il gene dell’enzima PAH è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 12 (locus 12q22-q24.1). Sono state identificate circa 500 differenti mutazioni del gene, le cui diverse combinazioni esitano in un ampio spettro di fenotipi biochimici. I portatori eterozigoti di una mutazione, stimati in circa 1:55 nella popolazione generale, sono silenti dal punto di vista clinico, ma possono presentare concentrazioni plasmatiche di fenilalanina leggermente aumentate.

Percorsi diagnostici Lo screening per la fenilchetonuria viene eseguito mediante il test di inibizione batterica di Guthrie che, nei bambini affetti dalla malattia, può risultare positivo già quattro ore dopo la nascita (Fig.2). Tuttavia, per ridurre la possibilità di falsi negativi, è opportuno che l’indagine sia effettuata almeno 48 ore dopo la nascita.

Fig.2 Test di Guthrie

Nella fenilchetonuria classica l’aminoacidogramma mostra all’esordio un valore di fenilalanina generalmente superiore a 1,2 mM (20 mg/dl) con tirosinemia nella norma; inoltre è aumentata l’escrezione urinaria di acido fenilpiruvico e di acido orto-idrossifenilacetico. Nelle forme più lievi di iperfenilalaninemia, i livelli plasmatici dell’aminoacido possono essere più bassi e i suoi metaboliti urinari possono essere assenti. Tutti i neonati affetti da iperfenilalaninemia vengono sottoposti ad uno screening per i disturbi del metabolismo delle biopterine. È possibile inoltre effettuare l’analisi delle mutazioni del gene PAH.

Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale in età pediatrica comprende sostanzialmente tutte le altre forme di ritardo psicomotorio. Nell’ambito dei soggetti con iperfenilalaninemia è opportuna la diagnosi differenziale tra le forme causate da difetto della PAH e quelle da deficit del metabolismo delle biopterine, che si avvale del test da carico connBH4, dell’analisi delle pterine urinarie e della determinazione dell’attività della DHPR.

Diagnosi prenatale La diagnosi prenatale, sebbene raramente richiesta, può essere effettuata mediante le analisi in grado di rilevare mutazioni specifiche del gene o i polimorfismi di lunghezza dei frammenti di

restrizione. Il deficit della DHPR e i blocchi nella sintesi di BH4 possono essere rilevati mediante analisi del DNA isolato da colture di cellule amniotiche. Trattamento La terapia della fenilchetonuria è esclusivamente dietetica e consiste nella somministrazione di un regime alimentare caratterizzato da un basso apporto di fenilalanina, costituito da alimenti naturali di origine vegetale e prodotti ipoproteici e integrato con miscele aminoacidiche prive di fenilalanina e arricchite in LCPUFA. Quando la dieta viene instaurata precocemente, ossia in genere nelle prime tre settimane di vita, la prognosi è ottima e nel 90% dei casi il paziente raggiunge una vita autonoma nell’età adulta, con un outcome tanto migliore quanto più precoce è il trattamento e ottimale la compliance dietetica nei primi dieci anni di vita. Lo scopo della dietoterapia è quello di mantenere i livelli di fenilalanina tra 0,12 e 0,36 mM (2-6 mg/dl), evitando comunque valori plasmatici più bassi poiché la carenza dell’aminoacido, soprattutto in un lattante in rapido accrescimento, può condurre a gravi conseguenze quali anoressia, anemia, diarrea, rash cutaneo e morte. Il fabbisogno minimo di fenilalanina per gli individui con deficit completo dell’enzima PAH è di circa 200 mg al giorno, equivalente a 4 g di proteine naturali. La tendenza attuale, a differenza del passato, è quella di non sospendere mai completamente il trattamento dietetico: dopo uno stretto controllo nutrizionale fino a circa 10 anni è permessa una certa liberalizzazione della dieta, mantenendo comunque i valori plasmatici di fenilalanina inferiori a 0,7 mM (12 mgdl). In corso di malattia intercorrente è consigliabile ridurre preventivamente l’apporto di proteine naturali a circa la metà e aumentare l’introduzione di cibi non proteici. Ciò permette di contrastare parzialmente l’effetto del catabolismo proteico che sempre si verifica durante una malattia acuta. Sono in studio trattamenti alternativi alla dietoterapia, quali la terapia genica, l’utilizzo dell’enzima fenilalanina-ammonioliasi, di miscele di aminoacidi neutri e la ionoterapia con BH4.

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Talassemie Piraino B, Di Bella C, La Rosa M, Moschella E, Grosso L, Loddo I, Barone C, Rigoli L

Le talassemie sono un gruppo di anemie emolitiche ereditarie, a trasmissione autosomica recessiva, causate da anomalie nella sintesi delle catene polipeptidiche dell'emoglobina (α e β) e da eritropoiesi inefficace. Ciò comporta un deficit emoglobinico con presenza nel sangue di eritrociti ipocromici, di dimensioni ridotte e forma varia, configurando un quadro di anemia microcitica ipocromica. I geni per le due coppie di globine α sono localizzati in un cluster sul cromosoma 16; la coppia di geni per le globine β si trovano sul cromosoma 11. Le mutazioni che possono colpire i geni globinici e si identificano varie emoglobinopatie, tra cui le sindromi talassemiche α, β e β δ. Le emoglobinopatie sono particolarmente frequenti nelle aree di endemia malarica, riflettendo un vantaggio selettivo per la sopravvivenza dei globuli rossi anomali poco “accoglienti” per il ciclo vitale del parassita. Le talassemie rappresentano la più comune alterazione genetica del mondo con oltre 200 milioni di casi. In Italia i soggetti affetti da talassemia major sono circa 7000 (principalmente nelle zone del delta padano, Sud, Sicilia, Sardegna). I portatori sani sono circa 3 milioni. In Sicilia e in Calabria: incidenza nella popolazione dei portatori sani 7%. In Sicilia sono registrati circa 1300 pazienti con Talassemia Major. Le talassemie possono essere classificate in base alla loro gravità o in funzione della catena globinica coinvolta. Classificazione clinica delle Talassemie  Thalassemia major  Thalassemia intermedia  Thalassemia carrier state  Silent – thalassemia Classificazione genetica delle Talassemie Categoria

Anemia

MCV

% Hb A2

% Hb F

-Talassemia

Lieve



Eterozigote

Grave



Variabile

fino al 90%

--Talassemia

Lieve



No

>5%

Eterozigote

Moderatagrave 

Assente

100%

N

N

N



N

< 5%



N

Variabile

Variabile

Omozigote

Omozigote -Talassemia

Assente

Difetto di un gene Lieve singolo Moderata Difetto di 2 geni Difetto di 3 geni

(Presente Hb H o Hb di Bart)

Beta-Talassemia Le sindromi β-talassemiche rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie aventi in comune la difettosa sintesi della globina β causata da un numero altissimo di mutazioni (oltre 300) che comportano alterazioni nella trascrizione, maturazione e traduzione dell’mRNA o raramente delezioni. Esistono due forme principali di β-talassemia: 

Forma β0 con mancanza completa di sintesi delle catene;



Forma β+ con diminuzione della sintesi delle catene.

Queste due forme si dividono in: 

Forme omozigoti: Talassemia Major (M. di Cooley) e Intermedia;



Forme eterozigoti: Talassemia Minor e Minima. Genot i p o

S i ndrome

Hb A

Hb A 2

Hb F

+ / 

minima

95

3.5 - 8.0

0- 6

 °/ 

minor

95

3.5 - 8.0

0- 6

+ / +

intermedia

25 - 65

1- 4

30 - 70

 °/  °

major

0

1- 4

>95

 °/  +

major

<20

1- 4

>75

Nei soggetti eterozigoti la sintomatologia clinica è nulla o minima e le uniche caratteristiche distintive si riscontrano agli esami emocromocitometrici: lieve anemia (Hb ≥10 gr/dl), aumento del numero degli eritrociti con ipocromia, microcitosi e anisopoichilicitosi, elevati livelli di HbA2, lieve aumento di HbF. Nei soggetti omozigoti, per il deficit quantitativo grave di catene β e la sintesi sbilanciata di catene α si assiste all’accumulo queste ultime con formazione di inclusi eritrocitari tossici (corpi di Heinz). Da questo ne deriva la morte dei precursori eritroblastci nel midollo osseo concretizzando cosi la condizione dell’eritropoiesi inefficace; i pochi eritrociti sopravvissuti verranno invece distrutti a livello splenico definendo cosi i caratteri di un'anemia emolitica grave. Le manifestazioni cliniche della Talassemia Major diventano evidenti al 5°-6° mese, quando avviene il fisiologico passaggio dalle catene γ dell’Hb fetale alle catene β. Il quadro patologico è dominato da segni e sintomi di un’anemia cronica:

- pallore, inappetenza e dispepsia del bambino; - facies simil asiatica per le modificazioni ossee e taglio mongoloide degli occhi; - aumento della quantità di eritropoietina che stimola aumentato assorbimento di ferro intestinale; - iperplasia eritroide esuberante in risposta all’anemia, - riduzione di tessuto eritropoietico extramidollare

in sede epatica e splenica con epatosplenomegalia; -

alterazione della crescita con espansione del tessuto osseo che diventa sede di eritropoiesi: bozze frontali prominenti,depressione delle ossa nasali, pronunciamento delle ossa zigomatiche, assottigliamento delle ossa lunghe, delle vertebre e cranio a spazzola per invasione dell’osso corticale da parte degli elementi eritroidi, sviluppo mandibolare eccessivo fino alla malocclusione; - scompenso cardiaco congestizio ad alta gittata. Altri sintomi sono dipendenti dall’emolisi cronica: - ittero per emolisi prolungata a sclere e mucose con aumento della bilirubinemia indiretta e aumentato rischio di calcolosi biliare. Col tempo si manifestano anche segni e sintomi a carico di vari organi e apparati legati al sovraccarico marziale dovuto al regime terapeutico trasfusionale (Emosiderosi secondaria): ipotiroidismo; diabete mellito; insufficienza ipofisaria; ipogonadismo ipogonadotropo; aumentato rischio di osteoporosi; ecc.

Evidenti deformazioni del massiccio facciale

Epatosplenomegalia Cranio a spazzola

Fig.1 La beta-Talassemia Major - ieri

Il trattamento della talassemia major è oggi diventato essenziale per garantire un allungamento sostanziale della sopravvivenza del paziente e un netto miglioramento della qualità di vita. Il primo presidio terapeutico è costituito dal regime trasfusionale continuo e regolare, circa ogni 1520gg, con l’impiego di emazie concentrate e filtrate, con lo scopo di correggere l’anemia e di sopprimere l’intensa attività eritropoietica del midollo osseo. Nella talassemia major il sovraccarico di ferro è secondario all’eritropoiesi inefficace, all’emolisi, all’ aumentato assorbimento del Fe gastrointestinale e alle trasfusioni di sangue. Infatti, 1 Unità di sangue di 400 ml di GR concentrati contiene 200 mg di ferro (un paziente talassemico di 60 kg

effettua 2 Unità di GR ogni 15 giorni con consumo di sangue per 1 paziente: 48 -50 unità di sangue all’anno con un carico di ferro di 9 g ferro/anno). Il ferro è un elemento indispensabile per la vita, insolubile e, quando è in ec cesso, è potenzialmente tossico a causa della generazione di reactive oxygen species (ROS) che possono determinare

complicanze multi-organo. Per definire l'entità del sovraccarico iniziale e il buon andamento/efficacia di una terapia ferrochelante è necessario disporre di metodologie affidabili, ripetibili, e possibilmente non invasive, che permettano di valutare la riduzione dell'accumulo di ferro a livello sistemico e dei singoli tessuti bersaglio. Le metodiche attualmente disponibili sono: • indicatori dello stato del ferro: sideremia, transferrina sierica e ferritina sierica. Quest’ultimo è un esame con bassi valori di specificità e sensibilità poiché

può aumentare in diverse altre

condizioni (epatiti, infezioni, infiammazioni, emolisi, emocromatosi ereditaria…). NTBI (Non-transferrin bound iron) intracellulare : eccesso di ferro tossico libero, non legato alla trasferrina ormai saturata. • esami strumentali non invasivi che valutano l’entità del ferro tissutale accumulato : biosuscettometria magnetica epatica (SQUID), RMN cardiaca ed epatica T2*, MID-2 biomagnetic susceptometer Magnetic Iron Detector” • esami invasivi: biopsia epatica che permette di valutare la concentrazione epatica di ferro (LIC) e definire il danno epatico (fibrosi) correlato al sovraccarico di ferro ma anche secondario a possibili infezioni epatiche concomitanti. In alternativa alla biopsia, oggi è possibile quantificare la fibrosi epatica tramite Fibroscan l'elastometria ad ultrasuoni, procedura non invasiva. Cut-off Values (KPa)

Fibroscan

7.2: Moderate 12.5: Severe 17.6: Cirrhosis

MID 2 - Biomagnetic susceptometer Magnetic Iron Detector (MID)

SQUID- Superconducting Quantum InterferenceDevice

RMN T2*cardiaca e epatica - misura l’accumulo cardiaco e epatico di Ferro, calcolando un valore in ms indicativo del sovraccarico (T2*< di 20ms).

L’emosiderosi secondaria è la causa principale di mortalità e morbilità nei pazienti talassemici. In questi ultimi anni si è assistito a notevoli progressi nel controllo delle complicanze da emocromatosi secondaria (cardiopatia, epatopatia ed endocrinopatie) contribuendo a determinare non solo il prolungamento e il miglioramento della qualità di vita dei pazienti ma anche ad eliminare o quasi le manifestazioni un tempo tipiche della malattia. Inoltre, la possibilità di utilizzare diverse combinazioni di terapie chelanti e un nuovo ferrochelante aprono nuovi positivi scenari nel prossimo futuro. È necessario iniziare la ferrochelazione quando si sono eseguite almeno 20 trasfusioni; i livelli di ferritina sono ≥1000ng/l; la concentrazione di ferro epatico è >3.2mg/gr/tessuto secco (vn:0.2-1.6); il paziente ha un’età maggiore di 2-3 anni per evitare disturbi nella crescita ossea. Gli obiettivi della terapia sono: prevenire le complicanze d’organo; mantenere il bilancio negativo del ferro e ripristinare la funzionalità degli organi compromessi

Chelanti del ferro registrati •

1965 : Deferoxamina (Desferal®) - Hexadentate (1:1); high MW

Una molecola di desferrioxamina lega un atomo di ferro. Sideroforo (un naturale trasportatore del ferro) ed è prodotto e purificato da streptomyces pilosus (1 g di desferrioxamina può legare circa 93 mg di ferro). Molecola di grosse dimensioni e una breve emivita (20-30 minuti) per una copertura di 24 ore il farmaco viene somministrato attraverso una lenta infusione con pompa sottocutanea (o endovena) per circa 8-12 ore tutti i giorni. Una più lunga durata dell’infusione migliora l’efficacia della chelazione. Questo regime terapeutico e le complicazioni associate alla somministrazione di

questo farmaco fanno sì che l'aderenza al trattamento rappresenti uno dei principali problemi per medici e pazienti. L’eliminazione del ferro avviene in maniera quasi uguale nelle urine e nelle feci.

In passato:

Oggi:

Tossicità 1. 2. 3. 4.

reazioni locali cutanee ipersensibilità ototossico ritardo di crescita ossea con osteopenia (>3-4 aa) 5. infezioni da yersinia 6. alterazioni del visus



1999: Deferiprone (Ferriprox®, Kelfer®) - Bidentate (3:1); low MW- chelante orale

È attualmente utilizzato in paesi, al di fuori di USA e Canada, come seconda scelta nel trattamento del sovraccarico di ferro nei pazienti adulti affetti da beta-talassemia major per i quali la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata. Il deferiprone ha un'emivita di 3-4 ore per cui si si somministra alla dose di 75mg/kg/die in 3 somministrazioni giornaliere. La totalità del ferro chelato è escreto nelle urine. L'uso di deferiprone è limitato soprattutto dalla possibile comparsa di alcuni effetti collaterali come artropatia, neutropenia e raramente agranulocitosi (controlli settimanali di emocromo). Si è visto che terapia combinata (deferoxamina + deferiprone) rappresentano una strategia terapeutica che migliora la siderosi miocardica e alle sue complicazioni.



2008: Deferasirox (Exjade®,Novartis)- tridentate (2:1) - chelante orale

Il Deferasirox è somministrabile e biodisponibile per os, con un’emivita lunga (12-16 ore). Il farmaco è disponibile sotto forma di compressa disperdibile che deve essere solubilizzata in acqua oligominerale. Ha una buona tollerabilità ed ha una capacità nel mobilizzare depositi di ferro dai tessuti. Il ferro chelato dal deferasirox viene processato attraverso la via entero-epatica e eliminato attraverso le feci.

Alfa-Talassemia Le sindromi α -talassemiche si distinguono in:  Portatori silenti (inattivazione di un singolo gene: α+/αα ), corrispondenti al 20%. I portatori di

mutazioni α+ -thal (o α -thal 2), sono per lo più silenti ematologicamente e clinicamente, ma si esprime fenotipicamente nel neonato per la presenza di una modesta quantità di HbBart’s (1-2%). +

+

 Portatore manifesto o classico (inattivazione di due geni alfa globinici alterati: (α /α e α°/α,

corrispondenti al 40% e al 50% rispettivamente). Clinicamente silenti e caratterizzati ematologicamente da anemia microcitica ipocromica, in assenza di una specifica alterazione dei livelli di emoglobina HbA2 e HbF. +

 Malattia da emoglobina H (inattivazione di almeno 3 dei 4 geni α globinici: (α /α°). Clinicamente,

si ha una forma di talassemia intermedia caratterizzata da anemia microcitica ipocromica di media gravità, con aumento dei reticolociti, con corpi di Heinz, che può evolvere verso tutte le complicazioni comuni alle forme di emolisi congenita, splenomegalia e modeste alterazioni ossee simili a quelle della b-talassemia. E' caratterizzata dalla presenza di una frazione labile di emoglobina HbH, che dà il nome a questa forma. Complicazioni frequenti della malattia da HbH sono: ulcere agli arti inferiori, calcolosi biliare, carenza relativa di acido folico, esacerbazione della  emolisi per somministrazione di farmaci ossidanti (gli stessi implicati nel difetto di G6PD),

sovraccarico marziale.  Idrope fetale (inattivazione di tutti e 4 geni α): porta all’insorgere di una patologia detta idrope

fetale, spesso letale per il feto durante la gravidanza o subito dopo la nascita. (Tab.1.1). Tab 1.1- Classificazione fenotipica -talassemia FENOTIPO

Portatore silente

Portatore manifesto

asintomatico

lieve anemia microcitica ipocromica

GENOTIPO Comune -a/aa (hetero + thal-2) -a/-a (homo + thal-1)

Raro

o

aTa o aaT

Bart’s 2-8% (alla nascita) Hb H <2% moderata anemia Malattia da HbH Barts <5%, Hb H <40% Hb A 0%, Idrope fetale Bart’s 70-80% Portland 10-15%

--/aa (hetero ° thal-1) --/-a ( + ° H Disease) +

--/-(homo ° idrope)

aTa/-- o aaT/-o aTa/aTa

--/mutazione non delezionale

Quando si ha il sospetto di trait talassemico: 1) aumento del numero dei globuli rossi per mm3 2) riduzione del livello di Hb di circa il 10-30% 3) riduzione del volume corpuscolato medio (MCV) intorno a 80-70 fl 4) riduzione del contenuto globulare medio di Hb (MCH) intorno a <27 pg 5) aumento della resistenza osmotica 6) alterata morfologia eritrocitaria con microcitosi, poichilocitosi, emazie a bersaglio, ipocromia 7) aumento della quota di HbA2 >3.5% 8) rapporto α/β >1.3 Lo screening di base è eseguito secondo le indicazioni del diagramma di flusso pubblicato sulla GURS utilizzando contaglobuli automatico per l’esame emocromocitometrico, strumentazione RIA per la ferritina e cromatografia in HPLC per il dosaggio dell’HbA2. La rilevazione cromatografia di varianti emogloglobiniche è confermata con metodica elettroforetica a pH alcalino e acido. Da anni la talassemia è stata identificata come una malattia di elevato interesse sociale e la Regione Siciliana ha investito risorse umane ed economiche attraverso appositi provvedimenti di legge o atti di programmazione sanitaria e di indirizzo per promuovere attività di prevenzione orientate alla ricerca dei portatori sani per identificare le coppie a rischio di generare un figlio malato e per consentire loro la massima consapevolezza nell’affrontare i problemi legati alla trasmissione ereditaria della malattia, alla sua prevenzione e alla possibilità di disporre della diagnosi prenatale.

Bibliografia 1. Guidelines for the Clinical Management of Thalassaemia 2nd Edition Revised (2008) 2. Cappellini M-D, Cohen A, Eleftheriou A, Piga A, Porter J, Taher

Emofilia Briuglia S, Salpietro A, Ferraù V, Sturiale M, Grosso C, Munafò C, Piraino B, Cuppari C, Gallizzi R

L'emofilia è una malattia ereditaria caratterizzata da una grave insufficienza nella coagulazione del sangue dovuta alla carenza, totale o parziale, del fattore VIII (emofilia A) o del fattore IX (emofilia B o malattia di Christmas). Più rara è l'emofilia C, data dalla mancanza totale o parziale del "fattore XI". La coagulazione è la fase più importante dell’emostasi, in condizioni normali questo sistema porta all’arresto permanente di un emorragia impedendo così una perdita eccessiva di sangue a seguito di traumi o ferite. La perdita eccessiva di sangue può provocare shock ed anche la morte. La coagulazione avviene ad opera della trombina, un enzima proteolitico che trasforma il fibrinogeno in fibrina (polimero tridimensionale insolubile), il quale assicura una rapida chiusura della breccia vasale (da dove fuoriesce il sangue). In questa trasformazione intervengono numerose proteine plasmatiche (fattori della coagulazione) ed altri fattori. Nell’emofilia, dove c’è carenza di uno dei fattori della coagulazione, si può avere l’insorgenza di un’emorragia incontrollata.

Sintomatologia È legata all’insorgenza di emorragie a carico di varie sedi: le emorragie intra-articolari (emartri) sono frequenti (Fig.1). Esse si manifestano con gonfiore e dolore delle articolazioni (ginocchia, gomiti, caviglie), cute calda. Gli emartri compaiono già nei bambini e, se ricorrenti, possono danneggiare le articolazioni interessate, fino a causare deformazioni permanenti. Le emorragie gravi e acute possono mettere a rischio la vita dell’emofilico provocando uno shock acuto ipovolemico. Le conseguenze delle emorragie interne sono gravi soprattutto le emorragie intracraniche, che possono insorgere spontaneamente o dopo minimi traumi e che a volte sono fatali: a tutt’oggi la causa di morte più frequente tra gli emofilici è l’emorragia cerebrale. Le complicanze delle emorragie possono essere: ematomi, cisti ossee causate dalla compressione degli ematomi sui tessuti circostanti e dal mancato riassorbimento delle emorragie, complicanze neurologiche e renali. Un trattamento inappropriato o inadeguato delle emartrosi e degli ematomi ricorrenti può causare deficit motori, che si associano a disabilità grave con rigidità, deformazione delle articolazioni e paralisi. Gli attuali approcci terapeutici consentono comunque di prevenire queste complicazioni rendendo la prognosi favorevole: tanto prima viene somministrata la terapia sostitutiva e tanto più adatto è il trattamento al quadro clinico del paziente, tanto migliore è la prognosi.

Fig.1 Emartro

Le emofilie sono malattie ereditarie. Le forme più comuni, l’emofilia A e l’emofilia B, sono trasmesse con eredità X-linked recessiva. Per tale motivo gli affetti sono i maschi e le femmine sono portatrici sane. Raramente le femmine eterozigoti possono manifestare sintomi emorragici di lieve entità, specie dopo interventi chirurgici, mai spontanei. La diagnosi prenatale è possibile con le analisi molecolari sui villi coriali. Le analisi dei fattori della coagulazione possono essere effettuate sul sangue venoso e del cordone ombelicale. L’emofilia C invece presenta una trasmissione autosomica, non legata al sesso.

L'Emofilia A è il tipo più comune e più grave. È dovuta all'assenza o alla ridotta attività del fattore VIII della coagulazione, il quale può essere del tutto assente o avere un'attività non sufficiente (le manifestazioni cliniche sono presenti se il fattore VIII ha una percentuale di attività inferiore al 25%). Il gene per il fattore VIII mappa all'estremità del braccio lungo del cromosoma X.

Esso può subire mutazioni di vario tipo: delezioni, inserzioni, mutazioni missense, mutazioni nonsense. La prevalenza è stimata in circa 1:6.000 maschi. In genere, l'esordio delle emorragie si verifica quando i neonati affetti iniziano a camminare. La gravità dei segni clinici dipende dall'entità del deficit del fattore VIII. Se l'attività biologica del fattore VIII è inferiore all'1%, l'emofilia è grave e si presenta con emorragie spontanee frequenti e sanguinamenti anomali, che originano a seguito di lievi traumi, o sono secondari a interventi chirurgici o ad un'estrazione dentale. Se l'attività biologica del fattore VIII è compresa tra l'1% e il 5%, l'emofilia è moderatamente grave con sanguinamenti anomali secondari a piccoli traumi o a interventi chirurgici o a estrazioni dentali, anche se l'emorragia spontanea è rara. Se l'attività biologica del fattore VIII è compresa tra il 5% e il 40%, l'emofilia è lieve con sanguinamenti anomali secondari a piccoli traumi, a interventi chirurgici o a estrazioni dentali, con possibilità di emorragie spontanee. Le emorragie si localizzano spesso nelle regioni periarticolari (emartrosi) e nei muscoli (ematomi), ma può essere coinvolta ogni sede anatomica a seguito di traumi o di lesioni. L'ematuria spontanea è abbastanza frequente e costituisce un segno fortemente suggestivo della malattia. Il trattamento si basa sulla terapia sostitutiva con derivati plasmatici o la proteina ricombinante. Il trattamento può essere effettuato in seguito a emorragie (trattamento a richiesta) o per prevenire il sanguinamento (trattamento profilattico). La complicazione più frequente è la produzione di anticorpi inibitori rivolti contro il fattore della coagulazione somministrato. L’Emofilia B è dovuta alla carenza del Fattore IX. Si tratta di una forma più rara della precedente. La prevalenza è stimata in circa 1:30.000 maschi. In generale, le emorragie esordiscono quando i neonati affetti iniziano a deambulare. La gravità dei segni clinici dipende dall'entità del deficit del fattore IX. Se l'attività biologica del fattore IX è inferiore a 1%, l'emofilia è grave e si presenta con emorragie spontanee frequenti e sanguinamenti patologici secondari a piccoli traumi, oppure a interventi chirurgici o a estrazioni dentali. Se l'attività biologica del fattore IX è compresa tra 1% e 5%, l'emofilia è moderatamente grave con sanguinamenti patologici secondari a piccoli traumi, oppure a interventi chirurgici o a estrazioni dentali, mentre l'emorragia spontanea è rara. Se l'attività biologica del fattore IX è compresa tra 5% e 40%, l'emofilia è lieve con sanguinamenti secondari a piccoli traumi, oppure a interventi chirurgici o a estrazioni dentali, ma sono anche possibili le emorragie spontanee. Le emorragie si localizzano spesso intorno alle articolazioni (emartrosi) e nei muscoli (ematomi), ma può essere coinvolto ogni organo o apparato a seguito di traumi o di lesioni. L'ematuria spontanea è abbastanza comune e costituisce un segno altamente suggestivo della malattia. Il trattamento si basa sulla terapia sostitutiva mediante derivati plasmatici o con farmaci che utilizzano la proteina ricombinante. Il trattamento può essere somministrato dopo emorragia (trattamento a richiesta) o per prevenire il sanguinamento (trattamento profilattico).

La complicazione più frequente è la produzione di anticorpi inibitori rivolti contro il fattore della coagulazione somministrato. L’Emofilia C è dovuta alla carenza del Fattore XI. Poiché il gene difettoso non è sul cromosoma X, la malattia presenta una trasmissione autosomica, non legata al sesso. Provoca sintomi emorragici moderati di solito a seguito di traumi o di interventi chirurgici. La prevalenza delle forme omozigoti è stimata in 1/1.000.000. La malattia è più frequente nella popolazione ebrea. La frequenza del deficit parziale tra gli Ebrei Ashkenazy è dell'8%. La malattia interessa in uguale misura i due sessi ed esordisce a tutte le età. Il sanguinamento di solito si manifesta dopo la circoncisione, l'estrazione dei denti, i traumi o gli interventi chirurgici (in particolare la chirurgia otorinolaringoiatrica e urogenitale). I pazienti in genere non mostrano emorragie spontanee, anche se le donne presentano menorragia. Le emorragie sono di solito moderate. I pazienti non diagnosticati e quelli in trattamento possono sviluppare ematomi significativi dopo interventi chirurgici. Il deficit congenito del FXI è dovuto alle mutazioni del gene F11 (4q35) che controlla la produzione plasmatica del FXI. La trasmissione è principalmente autosomica recessiva, anche se sono stati osservati pazienti eterozigoti con sintomi emorragici, il che suggerisce la possibilità di una trasmissione autosomica dominante. I pazienti necessitano di essere trattati in caso di estrazione dentale o di interventi chirurgici. Di solito vengono utilizzati concentrati del fattore XI o il plasma fresco congelato. Possono essere utili anche gli antifibrinolitici (acido aminocaproico, acido tranexamico), in quanto il deficit del FXI può indurre uno stato iperfibrinolitico. La prognosi è buona, dato che i sintomi emorragici sono di solito modesti.

La diagnosi si basa sui test della coagulazione. Tipici rilievi di laboratorio nell'emofilia sono rappresentati da un PTT prolungato, da un PT e tempo di sanguinamento normali. Il dosaggio specifico dei fattori indicherà il tipo e la gravità dell'emofilia. La diagnosi differenziale si pone con la malattia di von Willebrand e con altre anomalie della coagulazione, associate all'allungamento dei tempi della coagulazione.

Bibliografia 1. Prof. J. Goudemand (Ottobre 2009). Orphanet 2. Prof. C. Negrier (Maggio 2009). Orphanet 3. Franchini M, Lippi G. Recent improvements in the clinical treatment of coagulation factor

inhibitors. Semin Thromb Hemost. 2009 Nov;35(8):806-13.