CONGRESSO TOMISTA INTERNAZIONALE L’UMANESIMO CRISTIANO NEL III MILLENNIO: PROSPETTIVA DI TOMMASO D’AQUINO ROMA, 21-25 settembre 2003 Pontificia Accademia di San Tommaso
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Società Internazionale Tommaso d’Aquino
Uomo, Parola di Dio, ermeneutica in Sant’Agostino d’Ippona Prof. Davide Venturini Istituto di Scienze Religiose, Ferrara (Italia)
S t. Augustine writes: "... cum illa veritate perfruendum sit quae incommunicabiliter vivit, et in ea Trinitas Deus, auctor et conditor universitatis, rebus quas condidit consulta, purgandus est animus, ut et perspicere illam lucem valeat et inherere perspectae. Quam purgationem quasi ambulationem quamdam et quasi navigaationem ad patriam essse arbitremur. Non enim ad eum qui ubique praesens est locis movemur, sed bono studio bonisque moribus",1 and defines two classes of things: the things that we enjoy (frui) and the things that we use (uti).2 The things to be enjoyed are the Father, Son, and Holy Spirit, the very Trinity, one particular thing, the highest of things, the same to all who enjoy it. God is ineffable and transcends the categories of human language. It is the "Verbum", the wisdom of God, that gives reasonableness to all things in human life. This feat is accomplished through the incarnation of the Word of God. "Verbum" is "non commutatum", and so "cum loquimur...fit sonus verbum quod corde gestamus, et locutio vocatur. Nec tamen in eumdem sonum cogitatio nostra convertitur sed apud se manens integra, formam vocis qua se insinuet auribus, sine aliqua labe suae mutationis assumit. Ita Verbum Dei Non commutatum, caro tamen factum est ut habitaret in nobis".3
Nell’impostazione agostiniana esiste un collegamento inscindibile tra ordine dell’essere e ordine dell’amore, e questa connessione è assolutamente fondamentale sul piano antropologico: “Quia enim bonus est; et in quantum sumus boni sumus”,4 così si esprime il Santo di Ippona. Di conseguenza, l’uomo deve penetrare sempre di più nell’ordo amoris, ponendosi peraltro nella condizione idonea a esprimere una corretta valutazione delle realtà umane e terrene, per poi orientare adeguatamente la propria volontà al fine ultimo: “Quapropter, cum illa veritate perfruendum sit quae incommunicabiliter vivit, et in ea Trinitas Deus, auctor et conditor universitatis, rebus quas condidit consulta, purgandus
De doctr. christ. 1, 10, 10. Cf. B. Studer, "Sacramentum et exemplum" chez saint Augustin, in Recherches Augustiniennes, 10 (1975), p. 119. 3 De doctr. christ., 1, 13,12. 4 De doctr. christ., 1, 32, 35. 1 2
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D. VENTURINI, Uomo, Parola di Dio, ermeneutica in Sant’Agostino d’Ippona est animus, ut et perspicere illam lucem valeat et inherere perspectae. Quam purgationem quasi ambulationem quamdam et quasi navigaationem ad patriam essse arbitremur. Non enim ad eum qui ubique praesens est locis movemur, sed bono studio bonisque moribus”.5
Partendo poi dalla consapevolezza che il messaggio cristiano dell’amore è portatore di una dimensione salvifica universale, è possibile giungere al riconoscimento di una precisa verità cristiana intorno all’uomo, nei confronti del quale le stesse conquiste intellettuali della cultura classica possono acquisire valore solamente in un senso derivato o puramente formale, come ad esempio avviene per la dialettica, la quale non può che garantire la coerenza dell’argomentare. 6 Sarà quindi la Sacra Scrittura, in quanto racchiudente come in uno scrigno i più preziosi tesori dell’umanità redenta, a caratterizzarsi come punto di partenza e via verso la divina beatitudine, e, come tale, proprio su di essa e sul suo messaggio dovrà fondarsi l’itinerario di formazione umana e cristiana. Pertanto, per Sant’Agostino lo studio della Parola di Dio è la forma più elevata del sapere cristiano a tal punto che la stessa Teologia non potrà che caratterizzarsi quale studio della Parola. Ma la Scrittura si presenta non di rado come avvolta di “oscurità”, di segni di non sempre facile rilettura e interpretazione. La Scrittura, poi, in quanto “segno”, è stata affidata alla Chiesa, al fine di divenire patrimonio vivo e alimento costante del popolo di Dio in cammino, nell’attesa del superamento di ogni mediazione, e il riconoscimento al suo interno di una pluralità di sensi spirituali fa scaturire un dinamismo interpretativo inesauribile. In tal senso Agostino permette, dopo aver sollevato il problema delle “oscurità” di certe parti della Scrittura, di porvi prontamente rimedio, laddove la sua concezione dell’allegoria si salda con la sua teoria della “sacramentalità” della Bibbia e della intera Creazione. Si tratterà allora di “rintracciare” (nel senso di cercarne le tracce) nella Parola di Dio il Cristo e la Chiesa, le cose da credere, i mezzi di elevazione spirituale, il “sacramentum”.7 Diviene pertanto più che mai basilare la struttura di correlazione e subordinazione posta dal Santo Dottore tra uso e godimento, tra uti e frui, tra scienza e sapienza, laddove la lettera è da considerarsi come la base dell’intelligenza spirituale e la storia si apre alla profezia, così come il Nuovo Testamento è la chiave di comprensione
De doctr. christ. 1, 10, 10. Cf. De doctr. christ. 2, 7, 9-10. 7 Cf. B. Studer, “Sacramentum et exemplum” chez saint Augustin, in Recherches Augustiniennes, 10 (1975), p. 119. 5 6
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dell’Antico.8 L’invito a ricercare oltre alla lettera le profondità del senso spirituale, compare in Sant’Agostino motivato in nome dell’amore. Il principio esegetico fondamentale dell’“intelligere figurate”, espressione di quel processo di ascesa dal sensibile all’intelligibile che segna il cammino dell’uomo verso la celeste beatitudine, è d’altra parte perfettamente in linea con questa concezione. Del resto, l’uomo in Agostino si caratterizza come un pellegrino che cammina verso la città celeste e che, in quanto tale, deve vigilare di continuo verso tutte le “idolatrie”: l’idolatria manichea del letteralismo biblico, l’idolatria donatista di una chiesa di “puri”, l’idolatria pelagiana di un erroneo concetto di libertà, l’idolatria pagana della superstizione e del fanatismo. L’uomo, pellegrinando, ponendosi in cammino, ascenderà progressivamente dal sensibile all’intellegibile, verso la vera sapienza, e così colui che si applicherà a meditare e leggere con fede, speranza e carità la Scrittura, potrà liberarne progressivamente tutta la fecondità spirituale a vantaggio della comunità dei credenti. Come possiamo vedere, quindi, esegesi biblica e comunione ecclesiale sono assolutamente inscindibili, laddove il cammino di fede che scaturisce dalla lettura feconda e meditata della Parola non può che condurre all’incontro nella Chiesa e “per” la Chiesa. Ma come concretamente “interpretare” le Scritture? Per comprendere un testo, qualunque esso sia, è necessario stabilire un adeguato rapporto tra esso e l’interprete, così da poter giungere a un corretto rapporto di “buona” disposizione verso l’autore, penetrandone meglio e più profondamente il messaggio. Ma se tale disposizione è richiesta per qualunque tipo di testo al fine di predisporre adeguatamente il lettore all’ascolto e al dialogo con l’autore, per comprendere la Scrittura, il cui contenuto è “altum et divinum”, la stessa non è più sufficiente. Agostino insiste in tutte le sue opere, ma in particolar modo nel De doctrina christiana, sull’importanza delle disposizioni interiori di colui che vuole comprendere in modo adeguato la Parola di Dio, accentuando l’importanza della pietas e della purificazione interiore per porre in atto una adeguata lettura dei testi sacri. In tutto ciò ritorna proprio il concetto di vita come “peregrinatio”, idoneo del resto a costituire il supporto della concezione agostiniana della “scientia” biblica. L’esegesi biblica diviene pertanto una splendida occasione per comprendere sempre più adeguatamente la nostra esistenza e, al contempo, certi fatti della nostra esistenza “intervengono” nella comprensione della Parola. In tal senso non può che essere strettissima la connessione tra esegesi e biografia, laddove proprio
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Cf. De catech. rud. 4, 8.
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qui si verifica l’idea centrale del cammino umano verso la propria crescita spirituale e una autentica conversione. La comprensione della Scrittura diviene quindi anche autocomprensione esistenziale, e del resto Sant’Agostino a più riprese nelle sue opere collega strettamente esegesi e biografia per spiegare meglio le difficoltà che il lettore può incontrare nell’approccio con la Parola di Dio alla luce delle difficoltà da lui stesso incontrate nel suo cammino di conversione. Sempre in quest’ambito assume notevole rilevanza la precisazione concernente i rapporti tra scienza e sapienza:9 mentre la scienza è quella funzione della ragione cui compete la conoscenza delle realtà temporali e mutevoli, necessarie al fine di svolgere le attività “terrene”, la sapienza possiede l’intelligenza propria delle realtà immutabili e spirituali. In tal senso va poi precisato che non appartengono alla dimensione della scienza solamente quelle conoscenze umane che rispondono a una vana curiositas, ma anche quelle conoscenze che possono servire ad alimentare e fortificare la fede che conduce alla beatitudine. Dal momento che la Parola di Dio ci trasmette la Divina Rivelazione in forme storicamente individuate, c’è posto, pertanto, per una “scientia” consistente nell’attività dell’intelligenza in quanto applicata alla conoscenza del contenuto della fede, 10 e mediante questa precisazione è possibile veramente trovare una vera e adeguata giustificazione dell’idea di una “specifica” cultura cristiana. Se nelle Confessioni Agostino narrerà, tra le altre cose, le vicende del suo impatto con la Parola e l’impressione ricevuta dalla predicazione di Sant’Ambrogio, nel De doctrina christiana in qualche modo proietterà la propria personale esperienza a un livello generale, più ampio, proponendo ad altri un cammino di conversione alla Parola. Sarà proprio nel De doctrina christiana, in particolare, che Agostino si prefiggerà sì di dar lode e gloria a Dio, ma anche di condurre il cristiano colto, munito di tutti gli strumenti offerti dalla “paideia” tradizionale, all’intelligenza della Scrittura e a Dio, e di condurre sempre a Dio, mediante la preghiera, anche i più semplici. Se poi alcuni interpreti, rilevando la valenza educativa dell’opera, l’hanno intesa come un sussidio formativo a uso dei chierici e degli uomini di Chiesa,11 altri, come Marrou, dilatano la prospettiva dell’opera agostiniana, così che in quanto espressione privilegiata Cf. De Trin. 12, 12, 17; 14, 1, 3. Cf. H.-I., Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, tr. it., Milano 1987, pp. 311312. 11 Cf. G. Boissier, Fin du paganisme, I, Paris 1891, p. 243; F.X. Eggersdorfer, Der heilige Augustinus als Padagoge und seine Bedeutung fur die Geschichte der Bildung, Freiburg i. B., 1907, p. 118 9
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di un itinerario di “approfondimento interiore del cristianesimo”,12 il De doctrina christiana si presenta come un’ “opera lungamente meditata e maturata, in cui sant’Agostino ha esposto tutto l’essenziale della visione che aveva al termine della sua vita sulla cultura intellettuale, sul suo posto nella vita, sul suo scopo, la sua tecnica, i suoi metodi”.13 La tesi di Marrou comporta di riflesso un rilettura di più ampio respiro dell’opera agostiniana, laddove il De doctrina christiana non deve intendersi come un semplice manuale di esegesi biblica e di omiletica, ma come “la carta fondamentale della cultura cristiana”,14 nella quale “vediamo esposto un programma di studi superiori tendenti a una formazione completa e concepiti unicamente in relazione allo scopo religioso che il cristianesimo assegna alla vita intellettuale”.15 Pertanto, il pensiero cristiano si struttura ormai sempre più in modo autonomo rispetto alla cultura della civiltà antica. Ma c’è anche chi, pur raccogliendo l’impostazione del Marrou, tende a sfumare maggiormente i termini della questione, invitando a cogliere nel De doctrina christiana “il compimento degli ideali retorici e filosofici dell’educazione classica, piuttosto che un distacco rivoluzionario da essi”.16 In quest’ottica si arriva a ridimensionare non soltanto il problema della destinazione dell’opera, ma anche il preteso conflitto tra finalità educative e impegno esegetico. In tal senso è possibile riuscire a cogliere il nesso profondo tra afflato biblico e preoccupazione educativa, e, come sostiene Kevane, Agostino qui ci offre precetti e metodi idonei alla comprensione e interpretazione scritturistica, così come un curriculum di contenuti e una serie di precetti pedagogici. Il tutto, però, subordinato a una finalità di educazione alla fede. 17 Questo peraltro spiega chiaramente il rifluire dell’intento esegetico in una più ampia dimensione ermeneutica e il costituirsi al contempo di un progetto culturale entro una prospettiva differente rispetto a quella esclusivamente pedagogico-didattica. La volontà di collegare strettamente lo studio delle “arti” a quello della parola di Dio, non nasce dalla preoccupazione intellettualistica di distinguere in modo astratto l’ambito delle fede da quello della cultura, ma esprime al contrario l’incontro tra l’esigenza personale di pensare la fede – perché la fede, se non è pensata, non è fede18 – e l’esigenza “pastorale” di ricavarne un H.I. Marrou, S. Agostino…, cit., p. 281. Ibidem, p. 280. 14 Ibidem, p. 342. 15 Ibidem, p. 331. 16 E. Kevane, Augustine’s “De doctrina christiana”: A Treatise on Christian Education, in Recherches Augustiniennes, 4 (1966), 120. 17 Cf. E. Kevane, Augustine’s “De doctrina…” cit., pp. 128-133. 18 Cf. De praed. Sanct. 2,5. 12 13
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cammino formativo adeguato per la comunità cristiana. In ogni caso, il popolo cristiano deve poter trovare nella Scrittura un itinerario di crescita nella fede e un criterio di discernimento per la propria esistenza. Qualunque altra “preoccupazione” deve trovare posto in quest’ambito, in questo orizzonte. La Bibbia diviene quindi come uno specchio in cui a ognuno diviene possibile misurare la propria crescita spirituale. Lo stesso termine “doctrina” presente nel titolo è un chiaro indizio dei propositi dell’autore. Il termine “doctrina”, difatti, indica in Agostino tutto il vasto ambito della scienza in senso cristiano, colta nella sua triplice fonte: la Scrittura, la Tradizione, l’autorità vivente della Chiesa.19 A differenza del termine “disciplina”, “doctrina” indica “ lo studio sapiente, metodico e regolare delle materie che sono oggetto di un insegnamento scientifico”.20 Secondo Kevane, il termine ha una accezione più educativa che metodologica, proprio come in Quintiliano e Cicerone, indicando “il processo educativo che sviluppa e umanizza la natura”.21 In ogni caso siamo innanzi a un significato complesso, che è praticamente impossibile ridurre a una unica parola, così come afferma Press,22 poiché Agostino se ne serve per indicare sia il processo di insegnamento, sia i suoi contenuti: in tal senso “doctrina christiana” equivarrebbe a un progetto volto a far comprendere e interpretare le verità cristiane nelle Scritture e a far acquisire il metodo per insegnarle agli altri (tractatio Scripturarum).23 Il procedimento interpretativo delle Scritture si articola poi sulla base di un processo unitario, in cui i signa translata includono come primo stadio di significato i signa propria. D’altronde, l’articolazione che esiste tra segni e cose è analoga a quella dei due processi essenziali: usare (uti) e godere (frui). Il segno, poi, secondo l’Ipponate, più che manifestare un rapporto di significazione istituito dalla comunità umana, “segnala” in modo univoco un rapporto di contuinità-affinità tra cose. Anch’esso, tuttavia, richiede una forma di comprensione spirituale da parte dell’uomo, chiamato a riconoscere il significato delle cose in relazione alla capacità di cogliere il loro grado di relazione con l’assoluto. Agostino distingue poi i signa naturalia dai signa data, laddove i primi sono quelli che, senza intenzione né desiderio di significare, fanno conoscere oltre a se stessi qualcos’altro. I secondi, ovvero i signa data, sono invece quelli prodotti intenzionalmente per esternare e trasmettere ciò che Cf. H.-I. Marrou, S. Agostino…, cit., p. 314. Ib., pp. 448-449. 21 E. Kevane, Augustine’s “De Doctrina …, cit., p. 127. 22 Cf. G.A. Press, “Doctrina” in Augustine’s “De doctrina christiana”, in Philosophy and Rhetoric, 17 (1984), p. 103. 23 Ibidem, p. 114. 19 20
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si genera nell’animo. All’interno di questi vengono inquadrati i segni verbali e, come ulteriore specificazione, i segni scritti, con le loro infinite potenzialità comunicative, ma anche con le inevitabili difficoltà di comprensione dovute alla diversità delle lingue. Il procedimento interpretativo, pertanto, parte dalla parola, dal piano semantico, e giunge all’oggetto (senso proprio), e dall’oggetto alla significazione simbolica (senso traslato), dove la lettera e la significazione allegorica non sono avvertite in opposizione, ma in unità. Il significato letterale rimane fondamentale ed è sempre la parola come segno ad aprire l’intelligenza alla pluralità dei significati: l’unità, dunque, tra senso letterale e senso allegorico risiede nella potenzialità significativa del segno e questo risultato è una conquista teorica originale, in base alla quale l’Ipponate delinea tutto l’ambito interpretativo. La verità rivelata dell’Incarnazione offre il contributo teologico decisivo per affrontare in termini adeguati il problema della mediazione connessa ai segni. Nel De doctrina christiana questa impostazione viene tematizzata in modo sistematico e esplicito: l’Incarnazione è il Verbo di Dio fattosi carne per abitare in mezzo agli uomini “non commutatum”: allo stesso modo “cum loquimur…fit sonus verbum quod corde gestamus, et locutio vocatur. Nec tamen in eumdem sonum cogitatio nostra convertitur sed apud se manens integra, formam vocis qua se insinuet auribus, sine aliqua labe suae mutationis assumit. Ita Verbum Dei Non commutatum, caro tamen factum est ut habitaret in nobis”.24
La differenza, consistente nel riconoscere tra parola umana e divina una relazione di partecipazione in un contesto di trascendenza, sta nella diversa natura della Persona divina, che vive nella perfetta comunione trinitaria e al contempo non può ritenersi estranea al mondo, proprio in forza dell’Incarnazione. 25 Rispetto alla Parola di Dio che si fa carne senza perdere l’unità trinitaria, ed anzi realizzandola completamente nel suo disegno salvifico di amore, la parola degli uomini nasce in un contesto di peccato e di divisione: Cristo, autentico mediatore, si è fatto uomo: “Et cum sano et puro interiori oculo ubique sit praesens, eorum qui oculum illum infirmum immundumque habent, oculis etiam carneis apparire degnata est. Quia enim in Sapientia Dei non poterai mundus per sapientiam conoscere Deum, placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere credentes. Non igitur per locorum spatia veniendo, sed in carne mortali mortalibus apparendo, venisse ad nos dicitur. Illuc ergo veni tubi erat, quia in hoc mundo erat et mundus per eam factus est. Sed quondam cupiditate fruendi pro ipso Creatore creatura configurati huic mundo et mundi nomine congruentissime vocati non eam cognoverunt, propterea dixit Evangelista: Et mundus eam non cognovit. Itaque in Sapientia Dei non poterai mundus per Sapientiam 24 25
De doctr. christ., 1, 13,12. Cf. De doctr. christ., 1, 12, 12.
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D. VENTURINI, Uomo, Parola di Dio, ermeneutica in Sant’Agostino d’Ippona conoscere Deum. Cur ergo venit cum hic esset, nisi quia placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere credentes?”26
Pertanto, il rapporto tra Cristo e l’uomo, senza perdere la sua profondità interiore, viene tematizzato, nel De doctrina christiana, soprattutto nei suoi fondamenti biblici e attraverso la mediazione ecclesiale: la Chiesa è il corpo e la sposa di Cristo, che egli mette alla prova e purifica proprio attraverso le prove stesse.27 Il cammino dell’uomo, interrotto dal peso delle colpe commesse, viene reintegrato proprio nella Chiesa, dove ogni peccatore può trovare perdono e rifugio.28 Nel cammino di approfondimento delle Scritture, le scienze vanno apprese per “servire” all’intelligenza delle Scritture e “hoc modo instructus divinarum Scripturaarum studiosus, cum ad eas perscrutandas accedere coeperit, illud apostolicum cogitare non cesset: Scientia inflat, caritas aedificat. Ita enim sentit, quamvis de Aegypto dives exeat, tamen nisi Pascha egerit, salvum se esse non posse. Pascha autem nostrum immolatus est Christus, nihilque magis immolatio Christi nos docet quam illud quod ipse clamat, tamquam ad eos quos in Aegypto sub Pharaone videt laborare: Venite ad me, qui laboratis et onerati estis, et ego vos reficiam. Tollite iugum meum super vo set discite a me, quia mitis sum et humilis corde; et invenietis requiem animis vestris. Iugum enim meum lene est et sarcina mea levis est. Quibus, nisi mitibus et humilibus corde, quos non inflat scientia, sed caritaas aedificat? Meminerint ergo eorum qui Pascha illo tempore per umbrarum immaginaria celebrabant, cum signari postes sanguine agni iuberentur, hyssopo fuisse signatos…”, ma ora “ valebimus etiam supereminentem scientiae caritatem Christi, quae aequalis est Patri, per quem facta sunt omnia”.29
D’altra parte, per Agostino «non ci sarà dunque vita intellettuale legittima se non quella che si consacrerà interamente ad alimentare in noi l’amore supremo di Dio, e quello, subordinato, del prossimo…La cultura agostiniana non sarà soltanto subordinata alla vita religiosa per il suo oggetto, il suo programma, ma anche per lo spirito che l’animerà: non basta consacrare lo sforzo della propria intelligenza a un oggetto di essenza religiosa, nella fattispecie allo studio delle sacre Scritture. Lo studio non deve essere perseguito per se stesso, ma essere accuratamente subordinato al progresso dell’anima verso la perfezione”.30
Del resto, due amori hanno fondato due città: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio ha generato la città terrena, l’amore di Dio fino al disprezzo di 26 27 28 29 30
De doctr. christ. 1, 12, 11-12. Cf. De doctr. christ. 1, 16, 15. Cf. De doctr. christ. 1, 18, 17. De doctr. christ. 2, 41, 62. H.-I. Marrou, S. Agostino…, cit., p. 289.
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sé, ha generato la città celeste. E se la prima ripone la propria gloria in se stessa, la seconda la pone totalmente in Dio. 31 Queste due città continuano il cammino dall’inizio del genere umano, cammino che si concluderà alla fine dei tempi, ma fin da ora sono, anche se “mescolate” secondo il corpo, distinte nello spirito. 32 Pertanto diviene ancora più importante sottomettere la scienza alla sapienza, e la Scrittura, sorgente di tutta la dottrina cristiana, sottomette a sua volta a Dio l’intelligenza, perché venga da Lui diretta e aiutata. Infine, la condizione per il possesso dell’autentica intelligenza della Scrittura è l’appartenenza alla Chiesa, che consiste, in un certo senso, “nell’essere dentro un certo intellectus”.33
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Cf. De civ. Dei 14, 28. Cf. De catech. rud. 20, 31 J. Ratzinger, Popolo e casa di Dio in sant’Agostino, tr. it., Milano 1971, pp. 304-305.
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