IL CERVELLO CHE INVECCHIA - ard.it

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IL CERVELLO CHE INVECCHIA Conoscere per affrontare al meglio il declino cognitivo

i quaderni della salute 2 a cura dell’Assessorato alla Salute

INDICE

il cervello che invecchia

pag 02

Quali norme comportamentali è opportuno seguire?

pag 18

COME COMPORTARSI IN ALCUNE SITUAZIONI DIFFICILI

pag 24

A chi rivolgersi

pag 32

IL CERVELLO CHE INVECCHIA Il secondo Quaderno della Salute, dedicato al “Cervello che invecchia”, sarà certamente un valido strumento sia per chi, in forma preventiva, desidera approfondire e conoscere sia per anziani e familiari che si trovano ad affrontare un insospettato carico di responsabilità create dal “bisogno di cura” della demenza. L’aumento di questa malattia degenerativa associata all’invecchiamento, è naturalmente legata all’allungarsi della vita media, conseguente sia all’evoluzione tecnologica, all’avanzamento della ricerca scientifica e della medicina preventiva, sia al miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari e ad un livello di istruzione più elevato. Tutto ciò però non basta a definire il problema, è necessario fare chiarezza. Infatti, se da un lato molti sottovalutano ancora il problema, attribuendo solo alla senilità (alla “pigrizia”, al lasciarsi andare propri dell’anziano) quei mutamenti cognitivi e comportamentali che possono, invece sottendere gravi affezioni del sistema nervoso, altri sopravvalutano il problema confondendo il normale indebolimento di alcune funzioni cognitive con i sintomi propri della demenza. Occorre dunque mettere ordine e distinguere, con riferimento ai processi cognitivi, l’invecchiamento fisiologico da quello patologico. In queste pagine si è cercato si spiegare brevemente cosa succede quando si alterano alcune funzioni del cervello, che cosa sono le demenze ed in particolare la malattia di Alzheimer di cui oggi si parla tanto; quali sono i sintomi che devono far sospettare la malattia e soprattutto a chi rivolgersi quando si manifestano i primi segni. La necessità di far “conoscere per affrontare al meglio il declino cognitivo” è accentuata dal fatto che il nostro paese è considerato il più vecchio al mondo, con una presenza di popolazione anziana pari al 24,5%. Molti sono i quesiti cui è necessario rispondere. Come si fa la diagnosi della malattia e quali sono le cure possibili oggi? E ancora, come comportarsi con le persone colpite da demenza, soprattutto all’inizio della malattia? Come organizzare l’assistenza a casa? Quali le Strutture esistenti per l’assistenza, il ricovero e la cura? Questo Quaderno, di cui ho sostenuto la stampa e la diffusione, sarà per voi una guida in grado di darvi tutte quelle risposte operative mirate a migliorare la conoscenza e l’utilizzo dei Servizi presenti sul territorio utili ad alleviare le problematiche che una patologia così invalidante procura. Un ulteriore contributo è dato dall’evidenziare dei fattori di rischio che concorrono a rendere più probabile la trasformazione dell’invecchiamento normale in quello patologico, introducendo a fianco del tradizionale concetto di “terapia” dei disturbi cognitivi dell’anziano, il più moderno concetto di “prevenzione”. L'Assessore alla Salute Giampaolo Landi di Chiavenna

il cervello che invecchia Con il progressivo allungamento della vita media stanno assumendo sempre maggiore importanza le problematiche correlate all’invecchiamento e, tra queste, i disturbi intellettivi e del comportamento. Vi è a tutt’oggi nell’opinione pubblica una grande confusione: da un lato molti sottovalutano ancora il problema, attribuendo alla senilità quei mutamenti che, invece, dovrebbero allarmare perché espressione di malattia. Dall’altro, alcuni cominciano a sopravvalutare il problema: cresce infatti nella popolazione anziana il timore di andare incontro alla demenza, confondendo il normale indebolimento di alcune funzioni mentali con i sintomi propri di questa malattia. In queste pagine cercheremo di illustrare cosa sono il normale invecchiamento del cervello e quello anormale (cioè associato alla comparsa di decadimento intellettivo), richiamando l’attenzione del lettore sul fatto che senilità non è sinonimo di demenza e che invecchiare non costituisce di per sé una malattia. Ci soffermeremo, inoltre, sui fattori di rischio che concorrono a rendere più probabile la trasformazione dell’invecchiamento normale in demenza e su alcuni stili di vita che contribuiscono a rallentare il declino delle funzioni intellettive. Chi sono gli anziani? Gli anziani sono coloro che hanno più di 65 anni. In Italia negli ultimi 100 anni la percentuale di ultrasessantacinquenni si è quasi triplicata (da 6.1% a 17.7%) e nell’arco di 50 anni arriverà presumibilmente a rappresentare circa il 34% della popolazione totale, una percentuale quasi doppia rispetto a quella attuale.

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Come e perché invecchia il cervello? Per un processo denominato apoptosi (cioè morte cellulare programmata) le cellule del cervello (neuroni), a partire dai 30 anni circa, cominciano a degenerare (ovvero morire): ecco perché dai 30 ai 75 anni il cervello arriva a perdere fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di sangue. Non solo, ma con l’invecchiamento si osserva anche una riduzione delle sinapsi (cioè delle connessioni tra i neuroni) e la comparsa di alcune alterazioni della struttura cerebrale: le placche senili e i grovigli neurofibrillari. Come sono le funzioni mentali dell’anziano sano? A partire dalla settima e ottava decade di vita e in maniera più accentuata dopo la nona, si verifica un progressivo e graduale indebolimento di alcune funzioni mentali. Un esempio è rappresentato dal declino della memoria, disturbo spesso accusato dalle persone anziane, anche in condizioni di normale efficienza funzionale. L’invecchiamento si accompagna anche ad una riduzione nella velocità di elaborare le informazioni e ad una diminuita efficienza dell’intelligenza fluida (la capacità di risolvere nuovi problemi) risparmiando, invece, l’intelligenza cristallizzata (l’esperienza). Compaiono infine alcuni cambiamenti nel comportamento quali, ad esempio, l’“irrigidimento” del carattere e l’eccessiva preoccupazione per fatti di relativa poca importanza, espressioni di una diminuita capacità di adattamento all’ambiente. In sintesi, con l’avanzare dell’età è normale non ricordare un numero di telefono o il nome di una persona nota e non avere più i riflessi pronti come in passato: sebbene questi effetti dell’età possano impensierire, tuttavia essi esprimono un processo naturale e sono compatibili con una vita autonoma e normale.

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Invecchiamo tutti allo stesso modo? E’ esperienza comune constatare che non tutti invecchiamo allo stesso modo: in alcuni soggetti, infatti, con l’avanzare dell’età compaiono disturbi intellettivi (a carico di linguaggio, memoria, orientamento) e comportamentali di gravità tale da determinare la perdita di autonomia anche negli atti più semplici della vita quotidiana. In questi casi non si tratta più di invecchiamento normale, ma di malattie del cervello, denominate demenze, che colpiscono il 6 % circa della popolazione mondiale ultrasessantacinquenne (circa 25 milioni di persone). Nella forma più comune di demenza, la malattia di Alzheimer, si verificano le stesse alterazioni della struttura cerebrale dell’invecchiamento normale (le placche senili e i grovigli neurofibrillari) ma in numero maggiore.

Che cos’è la demenza? Il termine “demenza” indica una “sindrome”, ovvero un’insieme di disturbi che si manifestano contemporaneamente, e non una singola malattia. La sindrome demenziale è caratterizzata da: disturbi cognitivi

a carico cioè di funzioni quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, l’orientamento disturbi comportamentali a carico, cioè, della sfera emotiva e della capacità di rapportarsi correttamente alla realtà e alle altre persone disturbi somatici a carico, cioè, di alcune funzioni dell’organismo (soma) quali i ritmi sonno veglia, fame-sazietà e la capacità di controllare l’emissione di urina.

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Molte sono le condizioni che causano la sindrome demenziale: ecco perché è più corretto parlare di “demenze”. Esse hanno come denominatore comune il progressivo declino delle facoltà mentali, la cui gravità deve essere tale da rendere la persona malata incapace di svolgere come prima le proprie occupazioni quotidiane. La riduzione di autonomia del malato e la sua necessità di assistenza sono, dunque, requisiti indispensabili per la diagnosi di qualunque forma di demenza. Quali sono le demenze più comuni? Si distinguono demenze degenerative, demenze vascolari e demenze miste. Demenze degenerative:







sono caratterizzate da un anormale aumento, per cause non ancora note, del processo di apoptosi neuronale (morte cellulare programmata), di cui abbiamo già parlato nel capitolo dedicato all’invecchiamento fisiologico. Tra le demenze degenerative la malattia di Alzheimer è la più frequente e rende conto di più del 50% dei casi di demenza. La seconda forma, in ordine di frequenza, è la demenza a corpi di Lewy; più rara, infine, è la demenza frontotemporale. Demenze vascolari: il meccanismo che le determina è il ripetersi di “ictus” cioè lesioni del cervello conseguenti ad alterata circolazione del sangue. A differenza delle demenze degenerative, alcune cause delle demenze vascolari sono note: aumento della pressione arteriosa, diabete, aterosclerosi dei vasi del collo, alcune malattie cardiache, alcune malattie del sangue. Demenze miste: scaturiscono dall’associazione (non infrequente!) delle due problematiche sopra illustrate.

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Le demenze sono malattie ereditarie? E’ opportuno distinguere il concetto di ereditarietà da quello di suscettibilità genetica. Con il primo si intende il fatto che una malattia sia causata da anomalie (mutazioni) del DNA che vengono trasmesse di genitore in figlio secondo regole (descritte per primo da Mendel) che comportano un rischio variabile di trasmissione della mutazione (e quindi di insorgenza della malattia) a seconda dei casi. L’ereditarietà è diversa nei differenti tipi di demenza: la demenza frontotemporale, di tutte, è quella in cui l’ereditarietà gioca un ruolo maggiore, per la presenza di mutazioni a livello del cromosoma 17. Non sono invece note mutazioni genetiche responsabili dell’insorgenza della malattia a corpi di Lewy. La malattia di Alzheimer è assai raramente ereditaria. Una percentuale inferiore all’1% dei casi è dovuto a mutazione dei geni della Presenilina 1 sul cromosoma 14, della Presenilina 2 sul cromosoma 1 e della proteina precursore dell’amiloide sul cromosoma 21. La ricerca genetica rivolge attualmente grande attenzione allo studio dei geni di suscettibilità. Con questo termine si intende che esistono dei geni che regolano la probabilità di insorgenza delle malattie. L’essere portatore di un determinato assetto genetico, piuttosto che di un altro, comporta un diverso rischio di ammalarsi. Ciò che si eredita in questo caso dai propri genitori, non è la causa di una malattia (com’è invece nel caso delle mutazioni sopra descritte) ma il rischio di sviluppare la malattia. Per ammalarsi non è tuttavia sufficiente la predisposizione genetica: è infatti necessaria l’interazione tra questa e i fattori ambientali, di cui si parlerà in seguito. I geni di suscettibilità spiegano il concetto di “familiarità” comune a molte malattie, quali l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, i tumori e anche le demenze: ciascuno di noi ha più probabilità di sviluppare le malattie di cui si sono ammalati i nostri genitori o i nostri nonni. Nel caso della malattia di Alzheimer è stato individuato un gene di suscettibilità:

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il gene della apolipoproteina E (sul cromosoma 19), di cui esistono 3 forme (E2, E3, E4). I soggetti portatori di E4 hanno un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Alzheimer, benché questo rischio non sia assoluto, poiché vi sono portatori di E4 che non sviluppano mai la malattia. E’ opportuno sottolineare, tuttavia, che il rischio non è quantificabile e che, al momento attuale, non è possibile predire, mediante l’analisi del DNA, chi si ammalerà di demenza. L’analisi dei geni di suscettibilità è dunque confinata nel settore della ricerca scientifica e non viene impiegata nella pratica clinica. A quale età ci si può ammalare ? Quanto dura la malattia? L’esordio della demenza avviene ad un’età variabile: si suole distinguere forme più rare ad esordio precoce (prima dei 65 anni) e forme più comuni ad esordio tardivo (dopo i 65 anni). Le due forme presentano i medesimi disturbi, benché quelle ad esordio precoce sviluppino spesso un andamento più rapido e tumultuoso. Le demenze geneticamente determinate, hanno spesso un esordio precoce. Il decorso complessivo della malattia si svolge in un arco di tempo variabile da soggetto a soggetto e in base alla tipologia di demenza, compreso generalmente tra 2 e 20 anni: la durata più frequente si aggira tra i 10 e i 12 anni.

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Quali sono i primi sintomi ? L’esordio è frequentemente subdolo: i familiari notano dei cambiamenti nel proprio congiunto, ma spesso non li attribuiscono ad un problema di salute, bensì a “stress” o agli effetti dell’età. Altre volte i disturbi sembrano presentarsi all’improvviso in concomitanza di un evento stressante (un intervento chirurgico, un lutto familiare), cui i familiari tendono ad attribuire la causa della malattia. In realtà queste evenienze costituiscono solo il fattore precipitante di una condizione cerebrale preesistente. Il malato, dal canto suo, non sembra essere consapevole di tali cambiamenti e ciò costituisce di per sé una manifestazione della malattia. Ecco gli indicatori più comuni dell’inizio della malattia: formulare ripetutamente le stesse domande dimenticare eventi avvenuti di recente perdere il “filo del discorso” essere incapaci di portare a termine compiti abituali

(quali seguire una ricetta di cucina) perdere la capacità di pensare in modo astratto sbagliare nel riporre gli oggetti (ad esempio mettere un indumento nel frigorifero) essere incapaci a mantenere la concentrazione sbagliare la data essere incapaci a ritrovare la strada su un percorso noto essere irrispettosi delle regole sociali, mettendo in difficoltà i presenti perdere interessi ed iniziativa presentare improvvisi e immotivati cambiamenti d’umore apparire “giù di morale”. In questa fase il paziente può essere ancora autonomo: potrebbe continuare a lavorare, guidare e occuparsi delle proprie mansioni abituali, ma egli tende a compiere alcuni errori, che dovrebbero rappresentare il “campanello d’allarme”.

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…e poi come progredisce ? I disturbi progressivamente si aggravano, configurando un quadro di evidente malattia che induce i familiari a consultare un medico. Elenchiamo i disturbi più frequenti: presentare gravi dimenticanze, quali la pentola sul fuoco o il gas acceso presentare disturbi del linguaggio quali incapacità a trovare le parole,

che vengono sostituite da perifrasi (ad esempio “quella che serve per scrivere” al posto di “matita”) o da parole passe-par-tout (“il coso”, “la cosa”) perdere la capacità di leggere e di scrivere divenire incapace di comprendere ciò che viene detto divenire aggressivo verbalmente o fisicamente divenire disinibito, manifestando comportamenti inadeguati in pubblico manifestare ansia ed agitazione presentare allucinazioni visive ( cioè vedere cose che non esistono) o uditive (cioè udire voci o suoni inesistenti) presentare deliri (cioè pensare cose che non corrispondono al vero) essere continuamente “affaccendato” senza una precisa finalità (ad esempio spostando continuamente un oggetto da un luogo ad un altro senza appa rente motivo) divenire insonne la notte o, viceversa, dormire durante il giorno in orari non abituali. Sul piano funzionale, in questa fase il paziente non è più indipendente e necessita di continua supervisione, mantenendo, tuttavia, un’autonomia nelle attività di base (igiene personale, alimentazione, abbigliamento…) Infine, la fase terminale è caratterizzata da gravi disturbi: eccone alcuni esempi: perdita completa della memoria incapacità ad esprimersi e comprendere ciò che viene detto difficoltà nel riconoscere i propri familiari

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difficoltà nel riconoscere il proprio volto allo specchio difficoltà di movimento disturbi di equilibrio, che causa cadute a terra incapacità a vestirsi, a lavarsi, ad utilizzare il gabinetto incapacità a controllare l’emissione di urina e di feci (incontinenza) difficoltà a deglutire e ad alimentarsi.

Sul piano funzionale il malato è completamente dipendente. La malattia, da ultimo, confina il malato a letto e la morte sopraggiunge per le complicanze dell’allettamento, la più comune delle quali è la polmonite. Ci sono malattie che possono essere confuse con la demenza? Ci sono due condizioni (la depressione e il delirium) che, pur manifestandosi con disturbi molti simili a quelli demenziali, vanno riconosciute come malattie a sé stanti, che richiedono un trattamento farmacologico specifico. Depressione

È una malattia caratterizzata da tristezza dell’umore, incapacità a gioire di ciò che un tempo era solito piacere e da perdita di interessi e di iniziativa; spesso causa disturbi del sonno, dell’appetito e può associarsi a difficoltà di memoria e di concentrazione, simulando una condizione demenziale. In realtà, quello della depressione è un problema assi controverso: infatti, se da un lato è vero che, soprattutto nei soggetti giovani, essa è una malattia a sé stante, dall’altro è altrettanto vero che nell’anziano essa può preludere ad una successiva evoluzione verso la demenza. Delirium è uno stato di confusione mentale causato da gravi malattie, quali meningiti o altre infezioni, disturbi ormonali, malattie polmonari o cardiache, oppure da intossicazioni farmacologiche. Si differenzia dalla demenza perché non si manifesta gradualmente, come quest’ultima, ma all’improvviso.

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Ci si può accorgere che sta per venire la demenza? Nella grande maggioranza dei casi, e in particolare nelle forme degenerative, la sindrome demenziale insorge gradualmente; un'eccezione può essere rappresentata dalle demenze vascolari che, talvolta, si manifestano repentinamente. Poiché l’insorgenza è spesso molto graduale, i medici tentano di individuare e definirne la fase iniziale di malattia in cui alcuni sintomi (quali i disturbi di memoria) sono già presenti, ma in forma lieve ed il soggetto è ancora autonomo nella vita di tutti i giorni. Il termine più utilizzato per definire questa condizione è deterioramento cognitivo lieve ( MCI dalle iniziali inglesi di Mild Cognitive Impairment): esso in alcuni casi (ma non in tutti) può essere considerato uno stadio di pre-demenza. Quali possono essere i “campanelli d’allarme” di tale condizione? Vediamo alcuni esempi: il ricorso a “strategie” non utilizzate in passato (biglietti, suonerie,

calendari) per ricordare scadenze o elenchi (quali la spesa) la comparsa di ansia o inusuale preoccupazione in occasione di “cambiamenti di programma” o di situazioni che si discostano dalle abitudini la riduzione di impegno nello svolgimento di tutte quelle attività che erano solite interessare in passato l’atteggiamento rinunciatario di fronte a compiti impegnativi normalmente svolti in passato la comparsa di immotivata tristezza. Alcuni studi hanno dimostrato che i soggetti affetti da MCI hanno un rischio maggiore, rispetto a quelli non affetti da tale condizione, di sviluppare demenza negli anni successivi. In particolare è stato dimostrato che i soggetti affetti da MCI amnestico (cioè con compromissione selettiva della memoria) hanno il 50% di probabilità di sviluppare, entro 4 anni, la demenza di Alzheimer. E’ tuttavia ancora controverso se considerare l’MCI un vero e proprio stadio di pre-demenza oppure solo una condizione di “rischio” per demenza.

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Infatti, i dati ad oggi disponibili dimostrano che non tutti i soggetti con MCI diventano dementi: alcuni possono rimanere stabili, altri addirittura ritornare ad una condizione di normalità cognitiva. Ci sono farmaci per la demenza ed il deterioramento cognitivo lieve? Al momento non vi sono farmaci in grado di intervenire sulle cause della demenza, ma solo farmaci capaci, in alcuni casi, di rallentare l’aggravamento dei sintomi: ciò significa che nessuno di essi è in grado di modificare la progressione della malattia. I trattamenti attualmente disponibili (ovvero gli inibitori dell’acetilcolinesterasi - donepezil (Aricept® e Memac®), galantamina (Reminyl®) e rivastigmina (Exelon® e Prometax®) - e i modulatori dei recettori NMDA memantina (Ebixa®) agiscono modificando la concentrazione nel cervello di alcune sostanze chimiche (acetilcolina e glutammato) che agiscono da neurotrasmettitori. Essi sono registrati per la Malattia di Alzheimer (rivastigmina è registrata anche per la demenza associata a Malattia di Parkinson) e non per le altre forme di demenza. Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi sono indicati nella fase iniziale ed intermedia di malattia di Alzheimer e sono rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale. Memantina, invece, è indicata nella fase intermedio-grave di malattia di Alzheimer e non è rimborsata. Per quanto concerne, invece, il deterioramento cognitivo lieve, purtroppo al momento non vi sono terapie farmacologiche efficaci: infatti le sperimentazioni effettuate con gli inibitori dell’acetilcolinesterasi non hanno dimostrato un rallentamento della conversione a demenza. Per la gestione dei sintomi comportamentali della demenza è possibile ricorrere in taluni casi a trattamenti farmacologici registrati per altre malattie. E’ il caso ad esempio degli antipsicotici (utilizzati per il trattamento di sintomi quali deliri, allucinazioni ed aggressività), degli ipnotici (per trattare i disturbi del sonno) e degli antidepressivi .

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La riabilitazione è utile ? La questione è controversa: non vi sono solide evidenze scientifiche che dimostrino che la riabilitazione sia in grado di migliorare i disturbi cognitivi della demenza, tuttavia si ritiene che essa possa contenere in alcuni casi i sintomi comportamentali e ridurre l’impatto della malattia sul grado di autonomia del paziente. Tra gli interventi riabilitativi più diffusi ricordiamo la terapia occupazionale e la terapia di orientamento alla realtà. La prima consiste nello svolgimento di una serie di attività di tipo creativo e domestico (lavori artigianali, laboratori d’arte, lavori domestici) utilizzate come veicolo di espressione e aventi la duplice finalità di allenamento della memoria procedurale e di rinforzo dell’autostima. La seconda, invece, consiste nella stimolazione continua da parte di operatori e caregivers, che nel corso delle 24 ore forniscono al paziente ripetute informazioni di riorientamento rispetto alle principali coordinate temporali (ora, giorno, mese, anno), spaziali (luogo dove il paziente si trova, percorsi abituali) e alla storia personale (nome dei familiari, rispettivi ruoli parentali). La continua ripetizione delle informazioni aiuta il malato a conservarle maggiormente nel tempo.

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Quali progressi sta facendo la ricerca? Sono in fase di sviluppo molte molecole, appartenenti a classi farmacologiche diverse, che hanno i presupposti scientifici per intervenire sui meccanismi molecolari della malattia e che potrebbero modificarne la velocità di progressione. Tra gli approcci più convincenti e in fase più avanzata di sviluppo ricordiamo: trattamenti antiamiloide







hanno come obiettivo la riduzione della deposizione cerebrale di amiloide (una sostanza coinvolta nello sviluppo della malattia di Alzheimer) mediante diversi meccanismi quali la riduzione della sua produzione (per esempio attraverso la modulazione degli enzimi α- β- γ- secretasi) oppure l’aumento della sua eliminazione (è il caso dell’immunoterapia, ovvero dei vaccini) trattamenti neuroprotettivi si ritiene che alcuni processi quali ad esempio lo stress ossidativo (da cui deriva la produzione dei radicali liberi dell’ossigeno che hanno un’azione tossica sulle cellule nervose) e l’infiammazione svolgano un ruolo importante nella patogenesi della malattia. Sono in via di sviluppo molecole in grado di interferire con i meccanismi dell’ossidazione e dell’infiammazione. trattamenti neuroriparativi è dimostrato che alcune sostanze sono in grado di stimolare la proliferazione neuronale e promuovere la formazione dei circuiti nervosi. Sono allo studio alcuni fattori di crescita, il più noto dei quali è il nerve growth factor (NGF).

Alcuni di questi trattamenti sono già in fase di sperimentazione con l’obiettivo di valutare se sia possibile rallentare la progressione della malattia e la conversione dalle fasi lievi alle fasi avanzate di malattia. Questo approccio terapeutico prende il nome di prevenzione secondaria. Per ipotizzare, infatti, un impiego di tali farmaci nella prevenzione primaria (cioè nei soggetti sani a rischio di sviluppare la malattia) occorrerà attendere i risultati dei primi studi che ci consentiranno di valutare se tali trattamenti, ancorché efficaci, siano anche sicuri e ben tollerati.

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Oggi è possibile parlare di prevenzione ? Il cervello ha a disposizione alcuni strumenti per difendersi dalle malattie associate all’invecchiamento. La ridondanza:



il numero delle cellule cerebrali è di gran lunga superiore a quello necessario allo svolgimento delle sue diverse funzioni. Molte cellule sono “di riserva” e possono prendere il posto di quelle che muoiono, lasciando immodificata la funzione. Maggiori sono le cellule di scorta, maggiore è il danno che il cervello riesce a sopportare senza che compaiano manifestazioni cliniche. In altre parole: maggiori sono le dimensioni del cervello e la quantità di neuroni e di sinapsi, maggiore è la riserva cerebrale. La plasticità: fino a tempi relativamente recenti si riteneva che alla fine dell’età dello sviluppo il cervello diventasse una struttura rigida e immodificabile. Oggi, al contrario, sappiamo che gli stimoli ambientali sono determinanti nel continuare a modellare il cervello, che conserva la capacità di modificarsi. Pertanto, a qualsiasi età, l’esercizio e gli stimoli cognitivi, come una vera e propria ginnastica, possono “rimodellare” il cervello creando nuovi circuiti grazie alla possibilità di stabilire nuove connessioni tra di essi (sinaptogenesi). Questo continuo rimodellamento consente di ottimizzare le prestazioni del cervello con un processo attivo che prende il nome di riserva cognitiva. La neurogenesi: è il 1999 quando due scienziati dell’Università di Princeton (USA) pubblicano sulla rivista “Science” la loro rivoluzionaria scoperta: anche se in misura limitata, il cervello continua a rigenerarsi anche nella vita adulta. Alcune cellule “neonate” vengono generate in zone profonde del cervello e migrano verso la superficie, cioè verso la corteccia sede delle funzioni intellettive. Nel viaggio maturano e, giunte a destinazione, creano nuove connessioni. La scoperta smentisce la convinzione che il cervello si sviluppi solo nell’infanzia e fornisce un ulteriore supporto ai concetti di riserva cognitiva e cerebrale.

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riserva cerebrale e riserva cognitiva sono dunque le risorse che il cervello ha a disposizione per fronteggiare le malattie legate all’invecchiamento. la prevenzione del decadimento cognitivo è mediata dal potenziamento delle due riserve.

INVECCHIAMENTO CEREBRALE NORMALE

FATTORI DI RISCHIO DANNO CEREBRALE

la riserva cerebrale (dimensioni del cervello e numero di neuroni e collegamenti tra neuroni) è influenzata soprattutto da fattori genetici e da fattori ambientali che intervengono prima della nascita, durante lo sviluppo del cervello nel grembo materno. la riserva cognitiva invece, è un processo attivo che può accrescersi grazie a stimoli ambientali favorevoli (fattori protettivi) che intervengono durante tutto l’arco della vita. FATTORI PROTETTIVI RISERVA COGNITIVA

Come un buon sistema immunitario ci protegge dalle infezioni, così un cervello ricco di neuroni e connessioni è in grado di reagire in maniera più efficiente alla perdita di cellule nervose dovuta al normale invecchiamento o alle aggressioni esterne. tra queste vi sono molte diverse fonti di danno cerebrale (traumatiche, degenerative, vascolari); per alcune di queste si conoscono le condizioni che ne aumentano la probabilità di insorgenza: si parla allora di fattori di rischio. Nasce dunque l’idea di invecchiamento cerebrale non come un processo a senso unico, ma come il risultato di un delicato equilibrio: su un piatto della bilancia la riserva cognitiva e i fattori protettivi che la possono potenziare, sull’altro piatto le fonti di danno cerebrale e i relativi fattori di rischio. l’invecchiamento normale deriva da una favorevole interazione tra questi fattori; quello associato a decadimento cognitivo da una sfavorevole interazione tra i medesimi. INVECCHIAMENTO CEREBRALE CON DECADIMENTO COGNITIVO

FATTORI PROTETTIVI RISERVA COGNITIVA

FATTORI DI RISCHIO DANNO CEREBRALE

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Lo stile di vita può influire sul rischio di demenza? Alcuni fattori di rischio del decadimento mentale, purtroppo, non sono modificabili. Ad esempio, non si può influire sul principale fattore di rischio di demenza: l’invecchiamento. Come dimostra il grafico, maggiore è l’età, maggiore è il rischio: nella fascia compresa tra 65 e 69 anni lo 0,8 % dei soggetti è demente e la percentuale sale al 28.5% nella popolazione ultranovantenne.

Anche la predisposizione genetica a sviluppare demenza costituisce un fattore di rischio non modificabile. Nel caso della malattia di Alzheimer, ad esempio, il gene della apolipoproteina E (cromosoma 19), di cui esistono 3 forme (E2, E3, E4), influenza notevolmente il rischio di sviluppare la malattia. I soggetti portatori di E4 hanno un rischio maggiore, ma non assoluto: vi sono infatti portatori di E4 che, pur raggiungendo età anche avanzate, non sviluppano la malattia. Ciò significa che invecchiamento e fattori genetici sono condizioni importanti ma non sufficienti: essi interagiscono con altri fattori che sono invece modificabili con lo stile di vita. In questa prospettiva si colloca la sfida della medicina preventiva: educare ad uno stile di vita che riduca il rischio di malattia, intervenendo sui fattori di rischio e potenziando i fattori protettivi.

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Quali norme comportamentali è opportuno seguire? Non sottovalutare i fattori di rischio vascolare E’ noto da tempo che l’ipertensione arteriosa, l’elevato tasso di colesterolo nel sangue, l’obesità, il diabete, alcune malattie cardiache sono responsabili delle malattie vascolari come l’ictus e l’infarto cardiaco. Tali condizioni sono denominate fattori di rischio vascolare poichè predispongono all’ischemia, ovvero alla graduale chiusura delle arterie che portano sangue ed ossigeno ai tessuti. In questo modo le cellule, incluse quelle del cervello, vengono irreparabilmente danneggiate. E’ stato dimostrato che tali condizioni si associano anche ad un aumentato rischio di sviluppare demenza, soprattutto di tipo vascolare, ma anche di tipo degenerativo come la malattia di Alzheimer. Tali condizioni, molto frequenti nella popolazione, sono curabili e spesso prevenibili con un adeguato stile di vita. Purtroppo questo non sempre avviene: ad esempio nel nostro paese oltre un terzo degli anziani ipertesi non è trattato e circa la metà dei pazienti trattati non ha un controllo soddisfacente della pressione arteriosa. Il consiglio: mantenere controllati i fattori di rischio vascolare rivolgendosi al proprio medico e adottare uno stile di vita sano, con particolare riguardo alla condotta alimentare e alla regolare attività fisica. Dieta bilanciata senza eccedere con le calorie L’eccessivo apporto calorico con la dieta aumenta il rischio di malattie croniche. Studi sperimentali hanno dimostrato che la restrizione calorica riduce la concentrazione nel sangue di un ormone della tiroide (T3) implicato nel metabolismo cellulare e di una molecola infiammatoria (il tumor necrosis factor alpha): la riduzione del metabolismo energetico e dello stato infiammatorio, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel rallentare i processi di invecchiamento.

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Si ritiene, inoltre, che alcuni componenti della nostra alimentazione ci proteggano ed altri, invece, ci espongano ad un rischio maggiore di andare incontro a decadimento cognitivo. Vediamo quali. Il colesterolo” buono” e quello “cattivo”

Spesso si sente parlare di colesterolo “buono” (HDL) e “cattivo” (LDL). In realtà il colesterolo è uno solo, quello che cambia è chi lo trasporta nel sangue e il fatto che lo depositi o meno sulle pareti delle arterie. Il colesterolo legato alle lipoproteine LDL è dannoso, poichè tende a depositarsi sulle arterie, mentre quello legato alle HDL non lo è, poiché queste lipoproteine rimuovono il colesterolo dalla parete arteriosa. Il livello di colesterolo totale nel sangue è la somma di quello legato alle lipoproteine LDL e alle HDL e, quindi, non è un dato che determina in modo assoluto il rischio vascolare; quello che conta è il rapporto tra colesterolo totale e HDL, il cui valore deve essere inferiore a 5 per l’uomo e a 4,5 per la donna. L’eccesso di colesterolo nel sangue ( in particolare LDL) è dannoso per la salute, essendo associato ad un aumentato rischio di malattie vascolari, di demenza e, nelle donne, di decadimento cognitivo associato all’invecchiamento. Come controllarlo, dunque? Innanzitutto limitandone l’assunzione con la dieta; sono infatti ricchi di colesterolo il tuorlo d’uovo, il burro, i frutti di mare, i salumi e formaggi grassi, tutti alimenti che dovrebbero essere assunti con molta moderazione nell’età adulta. Tale provvedimento potrebbe però non essere sufficiente poiché solo il 20% del colesterolo deriva dalla dieta, mentre l’80% viene prodotto dall’organismo. E’ allora bene ricordare che anche l’esercizio fisico può svolgere un ruolo importante, poiché aumenta il colesterolo “buono” HDL.

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Il pesce

Studi interessanti hanno dimostrato che l’alimentazione ricca in pesce è associata ad un rischio minore di sviluppare malattia di Alzheimer e declino cognitivo: ciò probabilmente è dovuto al suo elevato contenuto di grassi essenziali omega 3. Questi ultimi ( contenuti nell’olio di seme di lino, nell’olio di noci e nell’olio di pesce) sono migliori degli omega 6 poiché contribuiscono a mantenere l’elasticità delle arterie e svolgono un ruolo importante nel metabolismo cerebrale. L’alcol

L’alcolismo è associato a demenza. Le bevande alcoliche, assunte in quantità eccessiva, sono tossiche per le cellule cerebrali e ne causano la degenerazione, riducendo la riserva cerebrale. Uno-due bicchieri di vino rosso al giorno potrebbero, invece, proteggere dal decadimento cognitivo; il vino rosso contiene, infatti, sostanze antiossidanti, che si ritiene rallentino l’invecchiamento cellulare e migliorino la funzionalità vascolare. La verdura

Uno studio pubblicato nel 2006 sulla rivista Neurology evidenzia un’associazione tra consumo di verdura e rallentamento della progressione di declino cognitivo associato all’invecchiamento. I vegetali hanno un elevato contenuto di vitamina E (presente anche nella frutta secca) che ha proprietà antiossidanti e svolge probabilmente un ruolo protettivo. Le verdure contengono, inoltre, vitamine del gruppo B (presenti anche nei cereali e nella carne), che potrebbero anch’esse svolgere un ruolo protettivo; infatti, la loro carenza (soprattutto di vitamina B12 e di acido folico) si associa all’aumento nel sangue di omocisteina, una sostanza dalle elevate proprietà ossidative e responsabile di danno vascolare.

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esercizio fisico Si stanno accumulando evidenze riguardo al ruolo protettivo sul declino intellettivo nella popolazione anziana e sul rischio di demenza da parte dell’esercizio fisico, come ad esempio camminare a passo sostenuto per almeno 30 minuti al giorno (non necessariamente continuativi), per almeno 3 volte alla settimana. L’esercizio fisico svolge probabilmente un ruolo protettivo con una duplice modalità, agendo su entrambi i piatti della bilancia. Da un lato esso ha un noto effetto benefico sui fattori di rischio vascolare (ipertensione arteriosa, diabete, obesità, aumento del colesterolo HDL), prevenendo così l’insorgenza dei danni cerebrali che ne possono conseguire. Dall’altro è probabile che l’esercizio fisico stimoli la proliferazione cellulare (come dimostrano recenti studi che hanno riscontrato aumento della vascolarizzazione e della perfusione cerebrale e aumento di fattori importanti per la crescita e la sopravvivenza dei neuroni) oltre a ridurre la neurodegenerazione e l’infiammazione. In altre parole, è verosimile che l’esercizio fisico potenzi la riserva cognitiva. E’ dunque preoccupante che nella popolazione italiana il 34% degli uomini e il 46% delle donne non svolga alcuna attività fisica durante il tempo libero.

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esercizio mentale Si è già parlato della riserva cognitiva come di un processo attivo di rimodellamento cerebrale che può accrescersi grazie a stimoli ambientali favorevoli che intervengono durante tutto l’arco della vita, proteggendo il cervello dal rischio di declino cognitivo. Molte sono le variabili che possono influenzare la riserva cognitiva agendo come fattori protettivi. La prima, e forse la più importante, è la stimolazione cognitiva cui veniamo sottoposti durante la prima infanzia. Anche il livello di scolarizzazione svolge un ruolo importante: i soggetti più istruiti hanno infatti una maggiore protezione nei confronti della malattia di Alzheimer, probabilmente anche in relazione al fatto che l’elevata scolarizzazione spesso si associa successivamente a occupazioni professionali e non professionali culturalmente più stimolanti, che concorrono a potenziare ulteriormente la riserva cognitiva. Non esiste un’età oltre la quale l’esercizio mentale cessa di svolgere il proprio ruolo protettivo. Studi recenti hanno dimostrato che negli anziani la partecipazione durante il tempo libero ad attività ricreative, sociali e culturali stimolanti, come leggere, giocare, praticare hobbies e suonare uno strumento musicale preserva le funzioni cognitive e si associa ad un ridotto rischio di demenza. Anche la partecipazione attiva ad attività religiose si associa ad un ridotto rischio di demenza. Globalmente si può affermare che uno stile di vita particolarmente attivo e socialmente integrato protegge dalla demenza.

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Ridurre lo stress Stress e malattia di Alzheimer potrebbero essere correlati: questo suggeriscono alcuni studi sperimentali ed uno studio condotto negli Stati Uniti su un gruppo di anziani. Le ragioni di una simile connessione ancora sfuggono, anche se l’ipotesi della cascata dei glucocorticoidi (gli ormoni che l’organismo produce in risposta a condizioni stressanti) con i suoi effetti dannosi sulle cellule cerebrali, resta la principale candidata. Ipotesi alternative (o complementari) andrebbero ricercate nell’associazione tra stress e fattori di rischio vascolare (come l’ipertensione arteriosa) o tra stress e stili di vita non salutari (scarso esercizio fisico, scorretta alimentazione, assunzione di sostanze tossiche). Astenersi dalle sostanze tossiche… Il fumo di sigaretta è uno dei principali fattori di rischio vascolare ed è nocivo per la salute; esso si associa, inoltre, ad un aumentato rischio di demenza. Per quanto concerne le sostanze stupefacenti esse sono dannose per il cervello: alcune sono direttamente neurotossiche, producendo degenerazione cellulare, altre invece agiscono indirettamente sui fattori di rischio vascolare, quali l’ipertensione arteriosa. …e dall’uso eccessivo di farmaci Alcuni farmaci riducono le prestazioni cognitive, soprattutto nella popolazione anziana. E’ il caso di molti psicofarmaci, come ad esempio quelli utilizzati per curare l’ansia e l’insonnia. Anche l’uso eccessivo di farmaci contro l’ipertensione arteriosa è stato associato ad un aumento di declino cognitivo nella popolazione anziana, per la riduzione dell’afflusso di sangue al cervello. E’ quindi buona norma attenersi alle indicazioni del proprio medico, evitando l’assunzione di farmaci inutili e l’automedicazione.

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COME COMPORTARSI IN ALCUNE SITUAZIONI DIFFICILI Cosa devo fare se il mio familiare non è più in grado di decidere da solo? Quando alcune scelte importanti non possono più essere prese in modo consapevole da un malato è consigliabile nominare un amministratore di sostegno (si veda oltre) scelto tra i componenti del nucleo familiare. L’amministratore di sostegno ha il compito di affiancare il malato nelle scelte importanti come quelle che riguardano le terapie (qualora sia necessaria la sottoscrizione di un consenso informato) o alcune scelte patrimoniali. Devo informarlo della diagnosi? La questione è assai controversa. A favore della comunicazione della diagnosi vi sono, da un lato, il diritto del malato a conoscere gli aspetti della malattia che lo riguardano e, dall’altro, la possibilità di prendere importanti decisioni in modo diretto. Un esempio sono le “direttive anticipate” mediante le quali un soggetto può esprimere, quando è ancora in grado di farlo, le proprie volontà in merito a chi potrà prendere decisioni in vece sua (ovvero chi ricoprirà il ruolo di amministratore di sostegno) o in merito alle future modalità di gestione della sua malattia. Contro la scelta dell’informazione vi sono la consapevolezza da parte del medico e dei familiari di comunicare la diagnosi di una malattia spesso fatale ed incurabile e il rischio di possibili reazioni depressive e catastrofiche da parte del malato. Qualora si optasse per la comunicazione della diagnosi, parrebbe ragionevole farlo nelle fasi iniziali di malattia, quando il paziente è ancora capace di attuare scelte consapevoli. Va, infine, sottolineato che ogni persona ha il diritto di scegliere se e quando essere informata: qualora il malato, non avendo consapevolezza della propria malattia, non richieda esplicitamente una diagnosi, il fornirgliela può risultare una dolorosa forzatura.

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Può ancora guidare? La nostra opinione è che fin dagli stadi iniziali di malattia sia opportuno smettere di guidare per motivi di sicurezza del paziente e della comunità. La guida, infatti, è un’attività assai complessa che richiede riflessi pronti, memoria delle regole e capacità di giudizio. Nella nostra esperienza l’interessato prende raramente di propria iniziativa la decisione di astenersi dalla guida; essa pertanto spetta ai familiari, con il supporto del medico di famiglia o dello specialista. La decisione di sospendere la guida va comunicata con pazienza, ma anche con fermezza. Talvolta può risultare più semplice procedere con gradualità, consentendo ogni tanto piccoli tragitti sotto la supervisione dei familiari. Può ancora gestire il suo patrimonio? Poiché il deterioramento cognitivo lieve e la demenza possono causare disturbi a carico della memoria e della capacità di giudizio, i soggetti sono vulnerabili sotto il profilo patrimoniale: essi possono compiere scelte svantaggiose oppure non accorgersi di eventuali raggiri. Ecco alcuni suggerimenti: controllate periodicamente l’estratto conto bancario e il libretto degli assegni verificate gli acquisti (che potrebbero eccedere le reali necessità) lasciate a disposizione del malato solo piccole somme di danaro in contanti quando necessario, attivate l’amministrazione di sostegno.

Posso lasciarlo vivere da solo? Come valutare quando il proprio congiunto non è più in grado di vivere da solo? Vi consigliamo di porre attenzione ad alcuni indicatori nella condotta del paziente che possono fungere da utili “campanelli d’allarme”: dimostra di essere preoccupato, ansioso o spaventato quando rimane da solo? non saprebbe cosa fare in caso di emergenza?

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ha lasciato il gas di cucina acceso? dimentica di prendere regolarmente le medicine? si veste in modo inadeguato alle condizioni climatiche? non conserva adeguatamente i cibi oppure non controlla che siano scaduti? non è in grado di mantenere un’adeguata igiene personale; ad esempio notate segni di incontinenza urinaria?

Se la risposta a queste domande è “si” probabilmente è venuto il momento di ripensare ad una nuova soluzione abitativa per il paziente. Se non può più vivere da solo come posso organizzarmi? Le soluzioni abitative più comunemente riscontrate nella nostra esperienza sono le seguenti: permanenza del malato al proprio domicilio con assistenza di uno

o più familiari permanenza del malato al proprio domicilio con assistenza di una badante trasferimento del malato presso il domicilio di un familiare che lo assiste frequentazione nei giorni feriali e negli orari di lavoro di un centro diurno; gestione notturna e festiva come nei tre punti precedenti ricovero del paziente in una struttura protetta. Nell’operare una scelta si dovrà tenere conto di alcune variabili: esigenze del paziente che dipendono, a loro volta, dallo stadio di malattia

(ad esempio, negli stadi iniziali le necessità del malato sono più di carattere psicologico e affettivo, mentre nelle fasi avanzate emergono pressanti esigenze di carattere assistenziale-sanitario) disponibilità di soluzioni abitative idonee (psicologicamente confortevoli, facilmente accessibili, sicure) disponibilità dei familiari, in termini di tempo e di risorse energetiche fisiche e psicologiche

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relazioni interpersonali tra paziente e familiari (alcune relazioni conflittuali possono avere effetti controproducenti sui sintomi della malattia) risorse economiche (alcune soluzioni sono più dispendiose di altre).

Non esiste, ovviamente, una risposta univoca ad una problematica così complessa. Tuttavia, in linea perlomeno teorica, riteniamo auspicabile la permanenza più a lungo possibile del malato in un luogo a lui familiare (meglio se il proprio domicilio), con l’assistenza di uno o più congiunti coi quali siano in atto relazioni interpersonali positive e con il supporto esterno di una persona (ad esempio una badante) in grado di sollevare transitoriamente i familiari dal carico fisico e psicologico, che l’assistenza quotidiana di questi malati comporta. Il ricorso a strutture protette può divenire una valida alternativa in alcune circostanze: quando le condizioni di malattia si aggravano al punto tale da condurre

all’allettamento o alla necessità di frequenti interventi infermieristici (frequenti iniezioni intramuscolari, gestione del catetere vescicale, ossige noterapia) quando la persona che usualmente assiste il malato diviene fisicamente o psicologicamente incapace di gestirlo.

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Cosa fare quando arrivano le vacanze e le ricorrenze? La prima riflessione di carattere generale è la seguente: il paziente demente ha scarse capacità di adattamento. Pertanto, tutte le situazioni che si discostano dalla routine quotidiana vengono mal tollerate. Egli non sa adeguarsi a luoghi o a volti o a voci sconosciute. La perdita dei “punti di riferimento” può comportare la comparsa di angoscia, irrequietudine, o franca agitazione psicomotoria. D’altro canto gli spostamenti durante le vacanze o le celebrazioni festive sono un’esigenza comune a tutte le famiglie. E allora, bisogna rinunciare alle vacanze e alle tradizioni? Ecco alcuni consigli: come eventuali luoghi di villeggiatura sono da evitare quelli completa-

mente sconosciuti al paziente. I luoghi noti (ad esempio la “casa di fami glia”), invece, comportando uno sforzo adattativo minore, potrebbero rappresentare un ragionevole compromesso non è comunque da scartare a priori l’ipotesi della permanenza del malato durante i tradizionali periodi di vacanza nella propria abitazione, anche se cittadina, in compagnia di un caregiver esterno alla famiglia. Ciò risparmia al malato eccessivi sforzi di adattamento e consente ai familiari di alleviare lo stress psicologico e fisico nelle occasioni festive il coinvolgimento del malato non è strettamente necessario, anche in relazione al fatto che, nella maggior parte dei casi, egli è ignaro della ricorrenza. Qualora, tuttavia, si decidesse di coinvolgerlo, è indicato ridurre il più possibile le stimolazioni, soprattutto quelle acustiche, derivanti dalla contemporanea presenza di molte persone, che sono spesso fonte di agitazione.

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Come mi devo comportare quando il malato crede cose che non sono vere o vede cose che non esistono? Può accadere che il paziente demente manifesti deliri (cioè pensi cose che non corrispondono al vero: che qualcuno lo voglia derubare, oppure abbia cattive intenzioni nei suoi confronti), allucinazioni (cioè veda cose che non esistono oppure senta voci inesistenti) o misidentificazioni (cioè scambi una persona per un’altra, oppure non si riconosca allo specchio). Cosa fare? Bisogna assecondarlo oppure contraddirlo? E’ opportuno sottolineare che tali disturbi, appartenenti alla sfera comportamentale, possono essere fonte di grande angoscia per il malato e spesso determinano un grave impatto sulla sua vita quotidiana, essendo la causa più comune di ricorso al ricovero definitivo. Essi vanno segnalati sempre al medico, poiché possono essere gestiti con opportune terapie. Per quanto concerne l’atteggiamento del caregiver, è bene che egli mantenga un atteggiamento rassicurante: talvolta per arginare il disturbo è sufficiente distrarre il paziente, coinvolgendolo in una attività a lui gradita. Cosa fare quando diventa agitato o lamenta dolore? Con l’aggravarsi della demenza il malato diviene sempre più incapace di comunicare qualunque forma di disagio. Ciò rappresenta “un’arma a doppio taglio”: da un lato, infatti, può percepire dolore, ma essere incapace di spiegarsi e di indicare dove lo avverte, dall’altro, invece, può riferire come “dolorosa” un’esperienza che ha invece altri connotati, di più generico disagio (ad esempio di affaticamento). E’ buona norma, quando il paziente demente diviene più irritabile o agitato chiedersi se vi sia qualcosa che lo disturba (frequente ad esempio è il bruciore nell’urinare che contraddistingue le infezioni delle vie urinarie) e consultare il medico di medicina generale. La visita medica ed alcuni semplici esami del sangue e delle urine possono aiutare a capire la natura del problema. Salvo in casi estremi, di reale urgenza, è sconsigliabile rivolgersi ad un Pronto Soccorso, poiché questo rappresenta un luogo dove i soggetti affetti da disturbi intellettivi possono scompensarsi andando incontro a disturbi comportamentali.

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Rischia spesso di cadere: come posso aiutarlo? Nelle fasi avanzate, tutte le forme di demenza comportano un’instabilità della marcia che espone il malato al rischio di cadute e, di conseguenza, di fratture. Quest’ultime, soprattutto se a carico del femore o del bacino, possono confinare il malato a letto esponendolo a tutte le complicanze dell’allettamento (inclusa la comparsa di piaghe da decubito e di infezioni) che aumentano il rischio di morte. Ecco alcuni semplici accorgimenti che possono migliorare l’autonomia motoria del malato: evitare scarpe scomode (quali ad esempio le pantofole che non calzano il tallone), ricorrendo alle scarpe da ginnastica o alle calze antiscivolo, eliminare i tappeti e gli altri ostacoli in cui il paziente può inciampare, lasciare accesa una luce notturna se il malato deve alzarsi di notte. Cosa fare quando subentra una nuova malattia? La scelta di come affrontare nuove malattie, soprattutto quelle che richiedono un intervento chirurgico, può risultare molto difficile. Il primo consiglio è quello di parlarne con il medico di medicina generale e con lo specialista dell’UVA per avere un confronto su “i pro e i contro” del provvedimento terapeutico e sulle sue eventuali modalità di attuazione. Ecco alcune riflessioni che possono essere utili nel percorso decisionale: l’ospedalizzazione è da considerarsi una condizione rischiosa per il





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demente, soprattutto nelle fasi avanzate di malattia. Essa infatti, oltre a comportare immancabilmente un peggioramento dei disturbi cognitivi e comportamentali, aumenta enormemente il rischio di complicanze infettive; per qualunque provvedimento diagnostico o terapeutico sono preferibili, quando possibili, i regimi ambulatoriale e di day-hospital l’anestesia generale, richiesta per molti interventi chirurgici, abitualmente comporta un peggioramento dei sintomi cognitivi e comportamentali; sono pertanto preferibili (quando possibili) altre forme di anestesia (spinale oppure locale)

molti atti terapeutici (soprattutto quelli chirurgici) richiedono la

sottoscrizione di un consenso informato: se il paziente non è più in grado di effettuare scelte consapevoli è necessario che egli venga affiancato dall’amministratore di sostegno alcuni atti terapeutici (ad esempio la chemioterapia o gli interventi chirurgici) a fronte di un possibile allungamento della sopravvivenza del malato, comportano un peggioramento della sua qualità di vita (per l’insorgenza di dolore o di altre problematiche che perturbano il delicato equilibrio del paziente) per converso alcuni semplici gesti terapeutici finalizzati a migliorare i disturbi sensoriali del paziente (quali il ricorso a protesi acustiche per i disturbi dell’udito o all’intervento di cataratta per i disturbi della vista) possono comportare dei miglioramenti anche sul versante cognitivo-comportamentale.

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A chi rivolgersi le figure professionali coinvolte Nella fase diagnostica le figure maggiormente coinvolte sono il medico di medicina generale (o “di famiglia”) e lo specialista (geriatra, neurologo o psichiatra) delle Unità Valutazione Alzheimer (UVA). Il primo interlocutore di qualunque problema di salute, inclusi i disturbi cognitivi, è il medico di medicina generale o di famiglia, il quale, sulla base anche di una conoscenza del malato consolidata nel tempo, è in grado di valutare se siano in atto dei cambiamenti che configurano il sospetto di declino cognitivo. Se così fosse, il medico curante invierà il suo assistito, meglio se accompagnato da un familiare, presso una delle tante U.V.A. (Unità Valutazione Alzheimer), ovvero strutture pubbliche, spesso inserite in un contesto ospedaliero, in cui è possibile fruire della consulenza di medici competenti e di tutti i servizi diagnostici necessari. In questo ambito, infatti, vengono effettuati tutti gli accertamenti che consentono di pervenire ad una definizione diagnostica (quali ad esempio gli esami del sangue, i test della memoria e delle altre funzioni intellettive, la TAC cerebrale) e viene impostato il percorso terapeutico con i farmaci precedentemente illustrati. Conclusa la fase diagnostica, il malato viene riaffidato alle cure del medico di famiglia, che periodicamente si consulta con gli specialisti dell’UVA per la messa a punto della terapia. La rete dei servizi dedicati Riconoscimento di invalidità

L’invalidità civile si articola nelle seguenti categorie: invalidi civili: minori; adulti tra 18 e 65 anni; ultra 65enni ciechi: ciechi assoluti; ciechi parziali (ventesimista) sordi.

Il riconoscimento delle provvidenze economiche dipende dal grado di invali-

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dità accertato dalla ASL, (Distretti Territorialmente Competenti) e dalle condizioni socio-reddituali del richiedente verificate dagli Uffici Comunali, secondo la normativa vigente (o dalla stessa ASL per tutto il resto del territorio della Regione Lombardia). Le istanze per il riconoscimento dello stato di invalido civile vanno presentate alle ASL competenti per territorio: ZONE COMUNALI DISTRETTO N.1 DISTRETTO N. 2

zona 1 - centro storico zona 8 e 9

INDIRIZZO

TEL. E FAX

GIORNI

ORARI

C.so Italia, 52 20122 - Milano

02 8578.3012

Dal Lunedì al Venerdì

h. 8.30 -12,00

Via Ojetti, 20 20151 - Milano

02 8578.4044

Dal Lunedì al Venerdì

h. 9,00 - 12,00

DISTRETTO N. 3

zona 2 e 3 - stazione centrale bicocca - città studi - lambrate

Via Pecchio, 19 20131 - Milano

02 8578.5032

Dal Lunedì al Venerdì

h. 9,00 - 12,00

DISTRETTO N. 4

zone 4 e 5 - vittoria - forlanini Via Darwin, 20 vigentino - chiaravalle - gratosoglio 20100 - Milano

02 8578.6015

Dal Lunedì al Giovedì

h. 9,00 - 12,00

DISTRETTO N. 5

zone 6 e 7- barona - lorenteggio san siro - baggio - trenno

02 8578.7024

Dal Lunedì al Venerdì

h. 9,00 - 12,00

P.za G. Bande Nere, 3 20146 - Milano

Le provvidenze economiche potranno variare a seconda del grado d’invalidità accertato dalla Commissione di prima istanza che redige il Verbale d’invalidità. Il Comune di Milano e nello specifico - Direzione Centrale Famiglia, Scuola e Politiche Sociali - Settore Servizi per Anziani è competente in materia di concessione economica a favore di invalidi civili per i cittadini residenti nel territorio del Comune dal febbraio 2001. A seguito del riconoscimento dello stato di invalido civile, l’ASL trasmette una copia del verbale al Comune e una copia, unitamente ad apposita modulistica, all’invalido presso il proprio domicilio. Detta modulistica compilata, o altre comunicazioni scritte, devono essere trasmesse, solo ed esclusivamente mediante invio postale, al seguente indirizzo: Comune di Milano - Settore Servizi per Anziani - Ufficio Invalidi Civili via Statuto 17 - 20121 Milano.

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Per eventuali informazioni sullo stato del procedimento amministrativo è possibile: telefonare al Contact Center, al numero 800 777 888, dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 20.00, il sabato dalle 8.00 alle 14.00. Le provvidenze economiche potranno variare a seconda del grado d’invalidità accertato dalla Commissione di prima istanza che redige il Verbale d’invalidità . L’erogazione della relativa provvidenza economica è effettuata a cura dell’INPS, a seguito di trasmissione del provvedimento di concessione da parte del Comune (o dalla stessa ASL per tutto il resto del territorio della Regione Lombardia). Voucher socio-sanitario:

E’ un contributo economico non in denaro, sottoforma di “titolo di acquisto”, erogato dalla Regione Lombardia, attraverso le ASL, che può essere utilizzato esclusivamente per comprare prestazioni di assistenza domiciliare sociosanitaria integrata da soggetti accreditati, pubblici o privati, “profit” e “non profit”, erogate da personale professionalmente qualificato. Per richiede il Voucher socio-sanitario bisogna rivolgersi ai distretti sociosanitari della propria ASL. Buono SOCIALE del Comune di Milano

I Buoni Sociali sono degli aiuti economici erogati ogni due mesi alle famiglie che si impegnano ad assistere a casa l’anziano, in modo da evitare, o almeno ritardare, il più possibile, il ricovero. L’accesso all’intervento avviene tramite il Centro Multiservizi Anziani (C.M.A.) della zona di residenza. Presso i C.M.A. è disponibile il modulo per presentare la domanda, contenente tutte le autocertificazioni richieste.

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Elenco dei Centri Multiservizi Anziani-C.M.A. presenti sul territorio di Milano: ZONA ZONA 1

ZONA 2

ZONA 3

ZONA 4

ZONA 5

ZONA 6

INDIRIZZO Via Monte Grappa , 8/A Via Rugabella 4/6 Viale Zara, 100 anche Sportello Unico Via Sant’Elembardo, 4 anche Sportello Unico Via Ricordi, 1 (Venezia) anche Sportello Unico Via Ricordi, 1 (Città Studi) anche Sportello Unico Via Pini, 1 (Lambrate) anche Sportello Unico Viale Puglie, 33 Via dei Cinquecento, 7 Via Zante, 36 Via D. Carlo San Martino, 10 anche Sportello Unico Viale Tibaldi, 41 Via Boifava, 17 Viale Tibaldi, 41 Via Di’ Rudini’, 3 Via Gonin, 28

TELEFONO 02/884.65.491 02/86.03.93 02/884.58.232

ZONA

INDIRIZZO Via A. Da Baggio, 54

ZONA 7

02/884.65.493 02/20.24.04.17 ZONA 8

Piazzale Segesta, 11 Via A. Da Baggio, 54 (Ex Via Stromboli) Piazzale Accursio, 5 Via Colleoni, 8 Via Lessona, 55

02/884.65.496 Via Ojetti, 20 02/884.65.497 02/884.65.504 02/56.93.720 02/884.65.502 02/884.65.498 02/884.62.901/2 02/884.58.553/4 02/884.62.905 02/884.65.506 02/89.18.90.05 02/884.65.507 02/41.51.319

Via Volturno, 32 ZONA 9

Via Brivio, 2/4 Via Giolli, 29 anche Sportello Unico Via Sant’Arnaldo, 17

TELEFONO 02/884.65.874 02/884.65.172 02/884.65.882 02/48.91.08.85 02/884.64.294/5 02/884.65.513 02/884.65.515 02/35.71.941 02/30.84.364 02/884.65.514 02/884.65.875 02/884.65.516 02/884.65.517 02/884.65.519 02/64.31.342 02/884.65.518 02/64.54.595

Si ricorda che un servizio analogo è previsto anche dalla Regione Lombardia tramite le ASL. Sportello Unico Integrato

E’ un servizio istituito in alcune zone della città, svolto in collaborazione con la A.S.L. Città di Milano, per offrire ai cittadini anziani un punto di riferimento sociosanitario. Gli operatori del Comune e della A.S.L. ricevono il pubblico e forniscono informazioni e orientamento per l’accesso ai servizi sociali e/o sanitari offerti dai Centri Multiservizi Anziani e dall’Assistenza Domiciliare Integrata. L’accesso allo Sportello avviene direttamente da parte della persona interessata, oppure tramite i parenti, il medico di base o altri servizi territoriali.

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In seguito, un operatore provvede a effettuare una visita domiciliare e a orientare l’anziano verso il servizio più rispondente alle sue esigenze. Gli Sportelli Unici Integrati presenti sul territorio di Milano sono: ZONA

INDIRIZZO

TELEFONO

Via Sant’Elembardo 4

02.88465493/4

V.le Zara 100

02.88462820

Via Ricordi 1 (Venezia)

02. 20240417 - 02. 20404706

Via Ricordi 1 (Città Studi)

02. 29525187 - 02. 88465496

Via Pini 1

02. 26410093 - 02. 88465497

4

Via Don Carlo S. Martino 10

02. 88465498 - 02. 88465499

9

Via Giolli 29

02. 6472320 - 02. 6431342

2

3

Assistenza Domiciliare Socio-sanitaria Integrata (ADI):

L’ADI si pone come servizio volto a soddisfare le esigenze di tutti i soggetti di qualsiasi età che necessitano di una assistenza continuativa ed è costituita da un complesso di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali rese al domicilio dell’ammalato. Per richiedere il servizio bisogna rivolgersi ai distretti socio-sanitari della propria ASL. I Centri Diurni Integrati (CDI)

Sono servizi gestiti direttamente dall’Amministrazione Comunale o in convenzione, che accolgono quotidianamente persone anziane parzialmente o totalmente non autosufficienti, oppure autosufficienti, ma con problemi di ordine psicologico o sociale. Centri Diurni Integrati-C.D.I. comunali a gestione diretta ZONA

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STRUTTURA

INDIRIZZO

TELEFONO

6

C.D.I. - C/O R.S.A. Comunale Famagosta

via di Rudinì, 3

tel 02-88465531

4

C.D.I. - PRESSO R.S.A. Comunale

via dei Panigarola,14

tel 02-88465550

4

C.D.I. - PRESSO R.S.A. Comunale

via dei Cinquecento, 19

tel 02-88465540

9

C.D.I. Giolli

via Giolli, 29

tel 02.-66113868 - 02-66113847

C.D.I. comunali a gestione esterna ZONA

STRUTTURA

INDIRIZZO

TELEFONO

4

C.D.I. - GEROSA BRICHETTO

via Mecenate, 96

tel: 02-58018008

9

C.D.I. - ALZHEIMER POLLINI (F. DON GNOCCHI)

via Pollini, 4

tel: 02-642241

C.D.I. privati convenzionati  

ISTITUTO GERIATRICO MILANESE S.p.a.

 

per la struttura: C.D.I ISTITUTO GERIATRICO MILANESE PERUSINI - via Paravia, 63 - 20148 MILANO

 

tel: 02/487887 - fax : 02/40093456 - cf :04337840484 - P.I.VA 12192560154 A.S.P. “GOLGI - REDAELLI - via Olmetto 6 - 20123 MILANO

 

C.F. 80063990156 - P.Iva 04737420150

 

CENTRO DIURNO INTEGRATO - P.zza Bande Nere 3 - 20146 MILANO ASSOCIAZIONE AMICI DEI DEBOLI - via Tracia, 2 - 20148 MILANO

 

tel: 02/4071661 - C.F. 97175190152

 

per il C.D.I.: CENTRO DIURNO INTEGRATO “I DELFINI” - via Tracia, 2 - 20148 MILANO FOND. DON CARLO GNOCCHI ONLUS - sede legale: P.le R. Morandi, 6 - 20162 MILANO

 

tel: 02/642241 - fax: 02/64224510 - C.F. 04793650583 - P.IVA 12520870150

 

per il C.D.I: C. D. I. PER ANZIANI NAP “GIROLA” - via Girola, 30 - 20162 MILANO

 

tel: 02/64224702 FOND. SAN GIUSEPPE MOSCATI O.n.l.u.s.

 

per la struttura: C.D.I. FOND. SAN GIUSEPPE MOSCATI - Sede legale ed operativa: via Orti, 27 - 20122 MILANO

 

tel. 02/55187239 - fax. 02/5517754 - C.F. 97075530150 - P.IVA 09791060156

 

“C.D.I.S. GIULIA”

 

Ente gestore: Soc. Altea S.r.l.

 

Sede legale: via Camperio,14 - 20123 Milano - tel. 027294318 - fax 0272094310 - P.IVA 12823590158

 

Sede operativa - via Pitteri, 81 - 20130 MILANO - tel. 0221597288 - fax 022159597 FONDAZIONE “DON CARLO GNOCCHI “ ONLUS

 

CENTRO DIURNO INTEGRATO: via Don Luigi Palazzolo, 21 - 20139 MILANO

 

tel: 02/39.70.34.63 - fax: 02/23.92.16.658 - C.F.04793650583 - P.IVA 12520870150

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CASA RELIGIOSA SOCIO EDUCATIVA MARINA VIDEMARI DELLE SUORE MARCELLINE

 

CENTRO DIURNO INTEGRATO MARINA VIDEMARI - via Gaetano Pini, 4 - 20122 MILANO

 

tel: 02/58300750 - fax: 02/58300857 - P. IVA 13077460155

 

FILI D’ARIANNA COOPERATIVA SOCIALE A R.L. ONLUS

 

Sede amministrativa: via Porpora 26 - 20131 MILANO

 

tel: 02/29537462 - fax: 02/89310133 - C.F. 02501930966 - P.IVA 1430750151

 

per la struttura:

 

CENTRO DIURNO INTEGRATO VODIA CREMONCINI - via Saponaro, 32 - 20100 MILANO

 

tel: 02/29.53.74.62

 

COOPERATIVA SOCIALE “SIMONE DE BEAUVOIR” S. c. a r.l. - sede Legale via C. Ravizza, 19 - 20149 MILANO

 

Sede Operativa: c/o CENTRO DIURNO INTEGRATO Demenze e malattie dio alzheimer”

 

via Bicetti de Buttinoni, 15 - 20156 MILANO

 

tel: 02 48008744 - fax: 02 48010390 - P. IVA 11072800151 FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS

 

piazza Mons. L. Moneta 1 - 20090 CESANO BOSCONE (MI)

 

tel: 02/456771 - fax: 02/45677219

 

per la struttura: C.D.I. VILLA SORMANI - via Dante Alighieri - 20090 Cesano Boscone (MI)

 

tel: 02/456771 - fax: 02/48601612 - P.IVA 00795470152

 

Società Andrea s.r.l.

 

Sede Legale: Via Quadrio, 14/16 - 20131 MILANO

 

C.F. - P.IVA 04140620966

 

CENTRO DIURNO SACCARDO Via Massimiano, 19 - 20131 MILANO

 

tel: 02 2101049 - fax: 01 210104566

 

La Piccola casa del Rifugio Ente Morale - via Antonini, 3 - 20141 MILANO

 

C.F. 80070250156 - P.IVA 08634020153

 

CENTRO DIUTNO INTEGRATO “IL FAGGIO ROSSO” - via Antonini 3 - 20141 MILANO

 

tel. 02 8463080 - fax 02 8950080 IL NUOVO FOCOLARE S.M. LORETO

 

via Martini Padre Giovanni Battista - 20131 MILANO tel: 02- 28040623 - fax: 02-28340988

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Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)

Le RSA sono strutture extraospedaliere finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie assistenziali e di recupero a persone anziane prevalentemente in condizioni di non autosufficienza e privi di supporto famigliare che consenta di erogare a domicilio gli interventi sanitari continui e l’assistenza necessaria. Le RSA presenti sul territorio di Milano sono: R.S.A. Azienda Servizi Alla Persona Pio Albergo Trivulzio

ZONA

INDIRIZZO

TELEFONO

7

Via Trivulzio 15

02 24029239

Altea S.R.L. R.S.A. “ S. Giulia”

3

Via Pitteri 81

02 21597288

Anni Azzurri S.R.L. - Rsa Casa Verde Mi

3

Via S. Faustino 21

02 21095200

Associazione Monte Tabor - S. Giuseppe

8

Via Delle Ande 11

02 38008727

Casa Beato Luigi Guanella

1

Via Cagnola 11

02 342375

Casa Di Riposo G. Gerosa Brichetto

4

Via Mecenate 96

02 58018008

Casa Famiglia Istituto Ciechi

1

Via Vivaio 7

02 77226.1

Comune Milano C. Rip. Famagosta

6

Via Di Rudini’ 3

02 88465531

Comune Milano C. Rip. V. Ferrari

4

Via Panigarola 14

02 88465550

Comune Milano Casa Rip. Coniugi

4

Via Dei Cinquecento 19

02 57409217-02 5392964

Comunità Ebraica Rsa Arzaga

8

Via Leone Xiii,1

02 4982604

Congr. Figlie Del Crocifisso

2

Via Agordat 50

02 2822713

Domus Patrizia S.R.L.

4

Via Pier Lombardo 20

02 55181486

Fond. Don C.Gnocchi Onlus - Palazzolo

8

Via Palazzolo 21

02 3272745

Fond.DOn Gnocchi Onlus Girola

9

Via Girola 30

02 642241

Fondazione Biffi Onlus

6

Via Dei Ciclamini 34

02 48302825

Fondazione Giuseppe Moscati

1

Via Orti 27

02 55187239

Hospita Coop. Soc. Rsa L. Porta

3

Via Boscovich 35

02 29536391

Icos Cooperativa Sociale - Rsa Mater Fid

8

Via Pascarella 19

02 39030911

Icos Gestioni S.R.L. - Rsa Mater Sapient

7

Via Varazze 7

02 4080151

Il Nuovo Focolare Di S.M. Di Loreto

3

Via G. Martini 29

02 28040623

Ist. Geriatrico Milanese Spa

7

Via P. Paravia 63

02 487887

Ist. Geriatrico Milanese Spa - Op. Pastor Angelicus

8

Via Arsia 7

02 332772400

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Ist. Geriatrico Redaelli Mi

1

Via Leopardi 3

02 250321

Istituto San Vincenzo

2

Via Copernico 5

02 67732101

La Piccola Casa Del Rifugio

5

Via Antonini 1-3

02 89500780

Piccolo Cottolengo Don Orione

6

Viale Caterina Da Forli’ 19

02 4231985

R.S.A. Maria Ausiliatrice S.R.L.

4

Via Rogoredo 31

02 513579

Res. Anni Azzurri Navigli

6

Via Darwin 17

02 8330501

Res. Anni Azzurri S. Luca

1

Via S. Luca 4

02 582871

Residenze Anni Azzurri - Rsa Sempione

1

P.zza Dei Volontari 3

02 31826001

Nuclei protetti Alzheimer

All’interno delle RSA, nell’ottica della diversificazione dell’offerta, sono state create unità specifiche rivolte ai pazienti con disturbi cognitivi e comportamentali; questi sono piccoli reparti, dotati generalmente di 20 posti letto, che dispongono di personale adeguatamente formato, ed offrono un servizio personalizzato sulle singole necessità dell’anziano. Sono presenti in due strutture comunali: RSA Famagosta - Via Di Rudinì 3 RSA Per Coniugi - Via Dei Cinquento 19 Ricovero temporaneo di sollievo

Un servizio offerto da alcune strutture residenziali è il “ricovero temporaneo di sollievo”, finalizzato a “sollevare” dal carico assistenziale per un breve periodo quei familiari che, per vari motivi, non possono temporaneamente prendersi cura dei loro congiunti. Per richiede il servizio bisogna rivolgersi ai distretti socio-sanitari della propria ASL.

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Atti legali - tribunale di Milano (solo per i residenti)

La legislazione italiana prevede alcuni provvedimenti di tutela sia per il malato sia per i familiari. L’amministrazione di sostegno: è una misura di protezione per la persone, che per menomazione fisica o psichica, si trovino nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Per la città di Milano la domanda deve essere depositata presso la SEZIONE IX CIVILE TUTELE, Stanza 261 (dal lunedì a sabato ore 8-12,30) e corredata da certificazione medica e atto di nascita del beneficiario. Il Giudice Tutelare, entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta, con decreto immediatamente esecutivo provvede alla nomina dell’amministratore di sostegno (usualmente prescelto tra i componenti del nucleo familiare). La procedura è snella, non prevede il ricorso ad avvocati e l’unica spesa da affrontare è quella della marca da bollo. Nel caso la persona seppur residente a Milano si trovi presso una struttura di ricovero fuori Milano, ci si deve rivolgere al Tribunale competente per territorialità. L’interdizione:

è uno strumento legale per tutelare il soggetto incapace di intendere e di volere. Il Giudice nomina un Tutore per la cura della persona ed affinchè la rappresenti in tutti gli atti civili e ne amministri i beni . Spesso per la nomina all'incarico di Tutore con eccezione dei casi conflittuali, la scelta avviene nell'ambito familiare. L’inabilitazione: è una situazione di incapacità giuridica relativa, di minore importanza rispetto all’interdizione. Essa può essere chiesta in alcune specifiche ipotesi, quando la situazione del soggetto non è così grave da comportare la pronuncia di interdizione. Solitamente l'inabilitato mantiene la capacità di compiere personalmente ed autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione. Ma in linea generale deve essere assistito da un curatore per gli atti Straordinaria Amministrazione. La procura: è un atto legale attraverso il quale un soggetto, ancora in grado di prendere delle decisioni, ma non più di seguire direttamente i suoi interessi, conferisce ad un’altra persona il potere legale di rappresentanza. Per questo atto è necessario rivolgersi ad un notaio.

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Associazioni di volontariato:

Assistenziali A. I. M. A. , Associazione Italiana Malati di Alzheimer

Via Ripa di Porta Ticinese 21 - 20143 Milano tel: 02 89406254 - fax: 02 89404192 - Linea Verde Alzheimer 800371332 e-mail: [email protected] - web: www.alzheimer-aima.it Federazione Alzheimer Italia



via T. Marino 7 - 20121 Milano tel: 02 809767 - fax: 02 875781 e-mail: [email protected] web: www.alzheimer.it

Fondazione Manuli



via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano tel: 02 6703140 - fax: 02 6702843 e-mail: [email protected] web: www.fondazione-manuli.com

Finalizzate alla ricerca Associazione per la Ricerca sulle Demenze - ARD Onlus Ospedale Luigi Sacco Unità di Neurologia via G.B. Grassi 74 - 20157 Milano tel: 02 39042459 - fax: 02 50319867 e-mail: [email protected] - http://www.ard.it

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Gruppo di Ricerca Geriatrica



via Romanino 1 - 25122 Brescia tel: 030 3757538 - fax: 030 48508 e-mail: [email protected] web: www.grg-bs.it

ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA SULLE DEMENZE - ARD ONLUS L’ A.R.D. ONLUS - Associazione per la Ricerca sulle Demenze è un ente senza scopo di lucro, fondato a Milano il 2 febbraio 1994. È iscritta al Registro Regionale del Volontariato con decreto n. 813 del 24.02.1998 e all’anagrafe delle ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale). L’A.R.D. ONLUS ha sede operativa presso l’Unità di Neurologia dell’Ospedale Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano. Presidente: Prof. Claudio Mariani, Ordinario di Neurologia, Università degli Studi di Milano, Primario di Neurologia, Ospedale Luigi Sacco di Milano. Vicepresidente: Dott.ssa. Sylvie Azarya. Comitato Scientifico: Prof. Claudio Mariani, Università degli Studi di Milano Prof. Ronald Petersen, Mayo Clinic, Rochester (MN, USA) Prof. François Boller, INSERM, Paris Prof. Carlo Caltagirone, Università Tor Vergata, Roma Prof. Gianluigi Forloni, Istituto Mario Negri, Milano Prof. Laura Fratiglioni, Karolinska Institutet, Stockholm (Sweden) Finalità L’A.R.D. Onlus è stata istituita per promuovere e sostenere la ricerca scientifica nel settore delle demenze, mediante il conferimento di premi e borse di studio a giovani ricercatori, il finanziamento di ricerche in collaborazione con Istituti scientifici e Universitari, l’acquisto di apparecchiature per la ricerca e la diagnostica fine. Attività L’A.R.D. Onlus svolge istituzionalmente attività di informazione e di formazione.

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L’informazione sulle cause, la diagnosi precoce e le nuove terapie delle demenze è fornita alla collettività in genere, e in particolare ai pazienti e ai loro familiari, attraverso un servizio di consulenza che si avvale dell’attività volontaria di medici specialisti, psicologi, terapisti della riabilitazione. La formazione e l’aggiornamento vengono attuati mediante la promozione di incontri, seminari, conferenze, congressi scientifici diretti ad operatori impegnati nel settore. Un ruolo importante in questo impegno informativo è svolto dal sito dell’Associazione, www.ard.it, dove è presente una ricca sezione di “news” con flash delle notizie più importanti sull’attività associativa e dal mondo della ricerca sulle demenze. L’A.R.D. Onlus trae le risorse da libere donazioni. Indirizzo A.R.D. ONLUS - Associazione per la Ricerca sulle Demenze Ospedale Luigi Sacco, Unità di Neurologia Via G.B. Grassi, 74 - 20157 Milano Telefono: 02 3904 2459 – 348 6069477 Fax: 02 50319867

Per Informazioni e contatti Dr.ssa Sylvie Azarya e-mail: [email protected] http://www.ard.it

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comune di milano Direzione Centrale Salute Settore Politiche per la Salute [email protected]

Testi a cura di: Claudio Mariani Direttore Clinica Neurologica dell’Ospedale Luigi Sacco Università degli Studi di Milano Presidente ARD ONLUS Francesca Clerici Responsabile del Centro per il Trattamento e lo Studio dei Disturbi Cognitivi dell'Ospedale Luigi Sacco Milano Consigliere ARD ONLUS Sylvie Azarya Vicepresidente ARD ONLUS

Si ringrazia per la collaborazione Assessorato alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali Settore Servizi per Anziani

Salute

Infoline 02.02.02 www.comune.milano.it