Robert Grant L'ANALISI STRATEGICA PER LE DECISIONI AZIENDALI

Robert Grant L'ANALISI STRATEGICA PER LE DECISIONI AZIENDALI Fare bene: analisi swot, catena del valore, matrice BCG e matrice di Kinsey-GE...

305 downloads 685 Views 284KB Size
Robert Grant

L'ANALISI STRATEGICA PER LE DECISIONI AZIENDALI

Fare bene: analisi swot, catena del valore, matrice BCG e matrice di Kinsey-GE Finito il 30-01-2011 by zziopippo Parte Prima capp 1-6 Linea guida: Oggi, qualunque sia l'attività che si desidera intraprendere bisogna chiedersi: --cosa voglio produrre --quali risorse e competenze ho a disposizione --che tipo di struttura organizzativa devo dare alla mia azienda --in che casini mi sto mettendo: chi sono i miei concorrenti (analisi di settore) --che obiettivi mi propongo e come posso raggiungerli (strategia) E le cose non cambiano di molto se ho un'attività ben avviata: --le risorse e competenze che possiedo bastano o ne devo sviluppare altre --la struttura organizzativa è quella giusta o la devo cambiare --come si stanno muovendo i miei concorrenti: è il caso o no di cambiare aria visto che sono diventati troppi. I capp 1-6 analizzano tutti questi elementi: --strategia cap1 cos'è, a che serve e chi la fa --obiettivi cap2 --analisi di settore cap 3-4 chi sono i concorrenti, come contrastarli e come prevederne le mosse --risorse e competenze cap 5 quali sono, come sfruttarle efficacemente, acquisirle e svilupparle. --strutture organizzative cap 6 che tipo di struttura mi conviene utilizzare

CAP 1

IL CONCETTO DI STRATEGIA

Secondo Grant l'ingrediente principale del successo consiste nell'avere una chiara visione della linea da seguire ossia una strategia ben formulata: essa si fonda su tre elementi basilari: 1)gli obiettivi, che devono essere semplici, coerenti e a lungo termine 2)perfetta conoscenza dell'ambiente in cui si opera 3)valutazione obiettiva delle risorse disponibili A questi 3 elementi base se ne aggiunge un altro fondamentale: l'implementazione efficace ossia la messa in pratica dei 3 elementi con efficienza,tenacia e determinazione anche a costo di sacrificare altri aspetti della propria vita sociale e personale (vedi es. gen Giap,Madonna e sorelle Williams). Questi concetti generali possono essere trasferiti all'ambito aziendale; avremo quindi anche qui obiettivi e valori da proporre, risorse e competenze da valutare, perfetta conoscenza dei sistemi organizzativi: la strategia aziendale partendo da questi fattori interni permette all'azienda di misurarsi con successo con l'ambiente esterno cioè clienti, fornitori e concorrenti (vedi fig 1.2). La valutazione strategica secondo Grant ha lo scopo di analizzare i fattori interni ed esterni. In via preliminare è fondamentale la coerenza strategica cioè la strategia deve essere coerente sia con i fattori interni che con quelli esterni: ad es. aumentare le dimensioni aziendali senza avere risorse finanziarie e competenze adeguate porterà sicuramente al crollo dell'azienda. Piccola storia della strategia I concetti e le teorie della strategia hanno i loro precedenti nella strategia militare con cui condividono molti concetti comuni come la differenza tra tattica e strategia, intendendo per strategia un piano complessivo che permetta di raggiungere una posizione di vantaggio e per tattica un progetto riguardante un'azione specifica: molto semplicemente la tattica ci fa vincere una battaglia, la strategia ci fa vincere la guerra. L'evoluzione della strategia è andata a braccetto con i tempi: negli anni '50 e '60, quando le imprese cominciarono a espandersi, i manager incontrarono notevoli difficoltà a reggere la mole di lavoro che ricadeva sulle loro spalle e fu il periodo della pianificazione aziendale: in pratica, sulla scorta di previsioni economiche effettuate su punti chiave (domanda, costi e ricavi), si stabilivano priorità e quantitativi di produzione, distribuzione ottimale della produzione, cioè cosa, quanto e come produrre nei 5 anni successivi e infine si predisponeva la necessaria copertura finanziaria. Tutti si dotarono di uffici di pianificazione, finalmente si era in possesso di uno strumento scientifico in grado di aiutare il manager nel difficile compito delle scelte. Ma l'entusiasmo per la pianificazione non durò a lungo: con le crisi petrolifere degli anni '70 il mercato divenne instabile e capriccioso, altro che previsioni a 5 anni, non si era sicuri nemmeno di quello che sarebbe successo l'indomani; in questo stato di cose l'interesse per la pianificazione a lungo termine diminuì notevolmente e l'attenzione si rivolse alla concorrenza: quindi strategia era un piano d'azione che permettesse di raggiungere un vantaggio competitivo sulla concorrenza; questo vantaggio competitivo si può raggiungere puntando sulle fonti di profitto, esterne (anni '80) e interne (anni '90): l'interesse puntato sull'ambiente interno dell'azienda ( soprattutto a competenze e risorse) continua fino ad oggi. Cos'è la strategia Strategia genericamente significa elaborazione di un piano al fine di raggiungere un obiettivo prefissato: nel campo aziendale significa pianificare per assicurare la sopravvivenza o la prosperità dell'azienda o un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza, (se la vediamo dal punto di vista dell'obiettivo); oppure come l'organizzazione delle proprie risorse per raggiungere un obiettivo (se la prendiamo dal punto di vista delle risorse). In ogni caso la strategia comporta sempre delle scelte: 1)la scelta del dove competere, cioè la scelta del settore in cui competere, la cd strategia di gruppo (corporate strategy). 2)la scelta del come competere con la concorrenza all'interno di un determinato settore, la cd strategia di business (business strategy).

Chi formula la strategia Mintzberg distingue: 1)la strategia deliberata, concepita dal gruppo dirigente di vertice 2)la strategia emergente, il modo come i manager interpretano e adattano la strategia deliberata 3)la strategia realizzata, rappresenta la parte della strategia deliberata che viene effettivamente a realizzarsi (circa il 10-30% della strategia deliberata) Su questa distinzione si fondano 2 correnti di pensiero: --la scuola razionalista ritiene che sia + importante la strategia deliberata --la scuola della strategia emergente, o dell'apprendimento, ritiene invece che la strategia deliberata deve “apprendere”, deve confrontarsi e adattarsi alle circostanze esterne: più l'ambiente esterno è imprevedibile e instabile, maggiore sarà il ruolo della strategia emergente Nella maggior parte delle aziende, la formulazione delle strategie nasce da una combinazione tra strategie deliberate che scendono dall'alto (top-down) e strategie emergenti che provengono dal basso (bottom-up): così la direzione generale stabilisce le linee guida mission, vision e budget; i dirigenti di divisione hanno completa libertà di adattare e sperimentare. A che serve la strategia 1)come supporto alle decisioni: essa semplifica l'assunzione delle decisioni e porta a decisioni migliori sia perchè consente di mettere in comune le conoscenze di diverse persone sia perchè facilita l'applicazione di strumenti analitici. 2)come strumento di coordinamento perchè implica il coinvolgimento di tutti i membri dell'organizzazione 3)come obiettivo perchè esprime ciò che l'azienda diventerà in futuro e questo rappresenta una fonte di motivazione per i suoi membri e + l'obiettivo è ambizioso + forte sarà la motivazione a fare sempre meglio.

CAP 2

OBIETTIVI VALORI RISULTATI

Riassumendo: 1)L'impresa si pone degli obiettivi 2)per raggiungere gli obiettivi deve elaborare una strategia 3)per elaborare una strategia corretta deve “guardare”: ---dentro: valutare le proprie risorse e la propria struttura organizzativa ---fuori: verso l'ambiente in generale e, in particolare verso il settore in cui opera. La strategia non è altro che organizzare le risorse interne per raggiungere gli obiettivi, misurandosi con i fattori esterni che possono costituire opportunità od ostacoli per il conseguimento degli obiettivi. Prima di elaborare la strategia corretta occorre dunque un'analisi accurata di tutti questi fattori: --fattori interni: obiettivi, risorse e struttura organizzativa --fattori esterni: clienti, fornitori e concorrenza (che fanno parte del settore) In questo capitolo esamineremo il primo di questi fattori: obiettivi e valori Obiettivi (ossia massimizzare i profitti) L'impresa con la sua attività crea un valore economico in 2 modi: ---con il commercio: spaziale (compro un bene in un paese dove costa meno e lo rivendo in un paese dove costa di più) o temporale (compro ad es un'azione oggi per rivenderla domani quando aumenterà di valore) ---con la produzione cioè la trasformazione di un input (una materia prima) in un output (un prodotto) che vale + dell'input: dalla vendita dell'output ottengo un ricavo dal quale tolgo le spese fatte per l'input: quello che mi resta è il cd valore aggiunto: a chi va il valore aggiunto? Il valore aggiunto va ad una folta schiera di “elementi”: ai lavoratori (salari), ai finanziatori (interessi), al governo (tasse), ai proprietari azionisti (profitti). Il valore aggiunto va quindi a soddisfare un insieme di gruppi ciascuno dei quali porta il suo interesse: sono i portatori di interesse i cd stakeholders: abbiamo già parlato del problema se il management deve privilegiare uno stakeholder piuttosto che un altro e abbiamo rilevato come in Europa e in Giappone prevale il principio dell'equilibrio tra i vari stakeholders, mentre negli USA e in Gran Bretagna prevale lo shareholder capitalism cioè si privilegiano gli azionisti; in linea di massima useremo quest'ultimo approccio cioè la preferenza agli azionisti. Quindi il concetto centrale è questo: le imprese operano nell'interesse dei proprietari cercando di massimizzare i profitti nel lungo termine . Che cos'è il profitto e come si misura. Visto che dobbiamo privilegiare gli azionisti, è opportuno considerare il profitto dal loro punto di vista: agli azionisti interessano 2 cose: il dividendo e il valore delle azioni possedute, per cui possiamo considerare il profitto sotto due aspetti: 1)Come quella parte dell'eccedenza ricavi-costi che spetta ai proprietari dell'impresa: si parla in tal caso di reddito economico o rendita economica. Il metodo + diffuso per misurarlo è l' Economic Value Added EVA che è il reddito operativo al netto delle imposte meno il costo medio ponderato del capitale. Se l'EVA è >0 vuol dire che l'azienda sta creando ricchezza; se <0 vuol dire che la sta distruggendo 2)l'altro punto di vista riconduce il profitto al valore dell'impresa: in sostanza all'azionista non interessa tanto il dividendo (che peraltro può essere diviso solo in parte o non essere diviso affatto), quanto che le sue azioni aumentino di valore nel tempo e l'aumento di valore delle azioni dipende dall'aumento di valore dell'azienda: qui il metodo di misura è il VAN Valore Attuale Netto che si basa sui flussi di cassa e può essere usato per stabilire a priori se un investimento è più redditizio di un altro. La scelta del metodo di misura dipende dal management: l'uso del reddito economico è cmq + diffuso perchè è semplice e pratico e consente di valutare la performance passata e corrente

VALORI MISSIONE E VISIONE Nonostante la massima di Milton Friedman secondo cui “l'unica e sola responsabilità sociale dell'impresa è aumentare i suoi profitti”, oggi si ritiene che valori quali l'autorealizzazione individuale, il perseguimento di una qualità superiore, creare un ambiente di lavoro sicuro, lavorare per il miglioramento dell'ambiente ecc svolgano un ruolo fondamentale nel rafforzare l'intento strategico, creare consenso e accrescere il coinvolgimento dei membri di un'organizzazione. Alcuni studi anzi suggeriscono che il perseguimento di + ampi scopi sociali e morali possa facilitare il raggiungimento di alte performance economiche. Si rende allora necessario da parte dell'azienda, dotarsi di scopi e valori ed esplicitarli dentro e fuori l'azienda sotto forma di vision statement e mission statement, documenti che presentano vision e mission dell'azienda La Vision è la guida che consente di tracciare la rotta, è il futuro desiderato, è ciò che l'azienda vuole diventare, dove vuole andare; per essere efficace deve avere alcuni requisiti: --deve creare energia ed entusiasmo --deve essere associata ad ipotesi concrete e tuttavia difficili e straordinarie (+sono difficili e straordinarie + sono motivanti): BHAG = Big, Hairy, Ambitious Goals= grandi, emozionanti, ambiziosi obiettivi. --deve essere semplice perchè possa essere capita e breve per poter essere ricordata --deve essere il punto di riferimento costante per tutti. La vision dunque rafforza l'identità dell'azienda, allinea gli obiettivi, fa sì che le persone si identifichino nella comunità in cui lavorano e ne siano orgogliose. Esempi di vision: --W.Disney: rendere felici le persone --B.Gates: un computer su ogni scrivania. La Mission invece definisce il ruolo specifico dell'azienda per la realizzazione della vision; Traccia il cammino, le tappe per avvicinarsi alla realizzazione della vision, definendo le risorse e come impiegarle e spesso descrive le aree di business nelle quali competere: in sostanza definisce ciò che è un'azienda, ciò che la contraddistingue, ciò che fa e perchè lo fa. Vedi esempio in appendice.

CAP 3 ANALISI DI SETTORE In questo capitolo ci occuperemo dell'analisi dell'ambiente esterno all'impresa cioè analizzeremo l'ambiente in cui l'azienda opera ossia quello che viene definito settore. L'ambiente esterno dell'impresa comprende quelle variabili che ne influenzano i risultati: si tratta di fornitori, concorrenti, clienti, struttura sociale, ambiente naturale, decisioni dei governi, sviluppo tecnologico ecc.(fig 3.1); [queste variabili possono essere distinte a seconda delle fonti (secondo l'analisi PEST si distinguono fonti politiche, economiche, sociali e tecnologiche) oppure secondo il grado di prossimità (microambiente e macroambiente)]. L'ideale sarebbe l'analisi sistematica di tutti questi fattori ma ciò sarebbe costoso e complicato: quindi è + opportuno limitarsi a studiare quegli elementi che sono di vitale importanza e cioè clienti, fornitori e concorrenza: questo è l'ambiente settoriale dell'impresa (microambiente). Vediamo come questi elementi influenzano la redditività di settore. La concorrenza Un'industria farmaceutica fornisce prodotti molto differenziati destinati a consumatori non sensibili al loro prezzo e ogni nuovo prodotto gode di un monopolio di 17 anni; l'industria dell'acciaio invece fornisce un prodotto omogeneo in un ambiente di forte concorrenza; ci sono infine prodotti che occupano nicchie di mercato, spesso appannaggio di una o due imprese. Il primo è un settore ad alta redditività, il secondo lo è molto meno: questa differenza di redditività dipende dalla concorrenza: in una situazione di monopolio un'unica impresa incamera l'intero ammontare del valore creato; in un settore in cui ci sono parecchie imprese fornitrici di un prodotto identico il valore creato viene distribuito tra i vari concorrenti e la redditività del settore è bassa. Nella realtà i settori si trovano in posizioni intermedie tra monopolio e concorrenza perfetta. Perchè ci sono settori in cui la concorrenza è spietata ed altri in cui è molto blanda? Porter afferma che l'intensità della concorrenza è influenzata da 5 forze competitive: 3 orizzontali, 2 verticali vedi figg 3.2 e 3.3. Forze competitive orizzontali sono: 1)Concorrenza dei prodotti sostitutivi: l'assenza di prodotti sostitutivi, come per benzina e tabacco, comporta una relativa insensibilità al prezzo da parte dei consumatori (domanda anelastica); se invece ci sono prodotti sostitutivi, ad essi si rivolgerà il consumatore quando il prodotto “originale” aumenta di prezzo. 2)Minaccia di nuove entrate: quando un settore ha una alta redditività esercita un effetto di attrazione su imprese esterne al settore: queste imprese tenteranno di entrare nel settore e le prospettive di profitto diminuiranno per tutti; tuttavia l'ingresso di nuove imprese in un settore non è agevole per vari motivi: --ci sono settori caratterizzati da costi fissi alti e non facilmente recuperabili: ad es un impianto di raffinazione petrolifera ha degli alti costi fissi e non recuperabili con la dismissione dell'impianto (cioè costa parecchio smontare l'impianto , risanare l'ambiente ecc) e ben difficilmente una nuova impresa entrerà nel settore; nel caso invece in cui i costi fissi sono bassi e facilmente recuperabili, sono facili gli ingressi tipo toccata e fuga. --il fabbisogno di capitali, necessari per entrare, può essere così elevato da scoraggiare le piccole imprese: ad es. il duopolio Airbus-Boeing è protetto dagli enormi costi di R&S, produzione e assistenza. --economie di scala: l'efficienza richiede operazioni su larga scala che spesso scoraggiano le nuove imprese: lo sviluppo e il lancio di un nuovo modello di auto costa + di 1,5 miliardi di dollari; per produrre a costi bassi è necessario vendere almeno 4 milioni di auto --vantaggi assoluti di costo di cui godono le imprese già presenti semplicemente perchè sono arrivate prima: ad es la Saudi Aramco è arrivata per prima nello sfruttamento dei giacimenti di petrolio + grandi e + facilmente accessibili del mondo: i bassi costi di estrazione le danno un vantaggio insuperabile nei confronti delle altre compagnie. Un vantaggio di costo può derivare anche dall'essere + avanti nelle conoscenze rispetto alla concorrenza.

--la differenziazione di prodotto: se i prodotti sono differenziati, le imprese già affermate sono favorite dal riconoscimento del marchio, mentre le nuove imprese dovranno spendere molto di + in pubblicità e promozione --l'accesso ai canali di distribuzione è + limitato per le nuove imprese sia per ragioni proprio di spazio sia per la diffidenza dei dettaglianti nei confronti di nuovi produttori --barriere istituzionali e legali: tra le barriere istituzionali ricordiamo l'obbligo in alcuni settori di una licenza da parte dell'autorità pubblica o di standard ambientali o di sicurezza i cui costi incidono di + sui nuovi arrivati; tra le barriere legali ricordiamo i brevetti e altre forme di proprietà intellettuale legalmente protette -- ritorsione delle imprese presenti contro il nuovo entrante tramite riduzione dei prezzi, promozioni, conflitti legali; per evitare queste ritorsioni, i nuovi entranti possono cercare di entrare inizialmente su piccola scala e in segmenti di mercato piccoli così come fecero Toyota, Honda e Nissan che entrarono negli USA nel settore delle auto di piccola cilindrata, segmento tradizionalmente scartato dalle tre grandi di Detroit. L'efficacia di tutte queste barriere in entrata (e specialmente del fabbisogno di capitali) dipende anche dalle risorse dell'entrante: ad es sono poco efficaci nei confronti di grosse aziende affermate in altri settori che vogliono entrare in un nuovo settore per diversificare la propria attività. 3)La rivalità tra i concorrenti affermati: L'intensità della concorrenza nell'ambito dello stesso settore dipende da vari fattori: --la concentrazione dei venditori cioè il numero e la dimensione delle imprese ( espressa dal cd indice di concentrazione che rappresenta la quota di mercato occupata): un mercato dominato da una sola impresa (es Microsoft) è poco concorrenziale e l'impresa può decidere i prezzi; anche quando ci sono 2 imprese predominanti (Coca Cola e Pepsi) la lotta non è accesa, i prezzi tendono ad essere simili e la concorrenza si concentra sulla pubblicità e sulla promozione; se invece il numero delle imprese aumenta, il coordinamento dei prezzi è + difficile e qualcuno può perseguire un'aggressiva politica di riduzione dei prezzi. --la diversità dei concorrenti: nel settore automobilistico americano prima dell'arrivo dei giapponesi, la concorrenza era piuttosto blanda per le spiccate somiglianze tra le imprese in termini di costi, strategia, mentalità; il mercato europeo è stato invece sempre piuttosto vivace per le diversità di strategie e di management delle case automobilistiche. --la differenziazione del prodotto: nei settori in cui i prodotti sono simili, la concorrenza è vivace sulla base dei prezzi, nei settori in cui i prodotti sono molto differenziati (es farmaci) la concorrenza sui prezzi è debole. --capacità in eccesso e barriere all'uscita: un eccesso di offerta o una diminuzione della domanda determina una caduta dei prezzi e quindi notevole concorrenza sui prezzi; anche le barriere all'uscita (alti costi di dismissione) possono determinare un eccesso di capacità produttiva che mantiene bassi i profitti e aumenta l'intensità della concorrenza (faccio tutto pur di vendere e recuperare qualcosa) --condizioni di costo:si riferiscono a due situazioni: ----------------- rapporto costi fissi/costi variabili: quando c'è un eccesso di offerta e i costi fissi sono molto alti rispetto ai costi variabili, le imprese tendono a vendere a qualsiasi prezzo: ad es un aereo ha un costo fisso molto alto per la compagnia sia che viaggi al completo sia che abbia pochi passeggeri: la compagnia aerea, quando l'aereo è semivuoto, può allora offrire dei biglietti scontati pur di recuperare qualcosa -----------------economie di scala: se nel settore auto, la scala efficiente si aggira intorno ai 4 milioni di auto vendute all'anno (cioè se vendo meno di 4 milioni di auto vado sotto), la casa produttrice può abbassare i prezzi pur di raggiungere questo limite. Forze competitive verticali Qui il problema è un po' complesso: in parole semplici un'impresa spesso si trova nel duplice ruolo di acquirente e venditore: acquista input ad es materie prime da un fornitore e a sua volta vende il

suo output ad un'altra impresa. E' intuitivo capire l'importanza di questi rapporti: ad es l'azienda che compra da un fornitore ha tutto l'interesse a spuntare il prezzo + basso possibile per mantenere bassi i costi di produzione: e poichè anche la concorrenza ha le stesse esigenze ecco che nasce anche a questi livelli la competizione. 1)il potere contrattuale degli acquirenti: In riferimento all'impresa nel ruolo di acquirente, il rapporto con il fornitore dipende dal tipo di prodotto e dalla posizione dell'impresa nei confronti del fornitore: --se si tratta di un prodotto qualitativamente importante c'è poco da fare: un'azienda che assembla PC ha poco da trattare sul microprocessore visto che la qualità di un PC dipende dal microprocessore e visto che i fornitori di microprocessori sono solo 2 intel e amd. --se invece si tratta di un prodotto non particolarmente sofisticato ma che sia rilevante come costo sul totale, come può essere una lattina che per il produttore di bibite rappresenta un costo rilevante rispetto alla bibita stessa, allora l'azienda acquirente avrà maggior peso contrattuale sui fornitori e sceglierà chi fa il prezzo + conveniente. --la stessa cosa avviene quando sul mercato ci sono prodotti sostitutivi: in questo caso l'azienda acquirente ha la possibilità di cambiare fornitore per spuntare un buon prezzo.. Ma un ruolo importante ha il potere dell'azienda: --se in un settore ci sono poche aziende che fanno grossi acquisti, esiste la concreta possibilità che possano spuntare prezzi + bassi --se un'azienda possiede informazioni adeguate sul prodotto è possibile che tratti in condizioni migliori rispetto a quando non conosce nulla --infine una grossa azienda potrebbe decidere ad es di farsi le lattine da sé come ha fatto Campbell. 2)il potere contrattuale dei fornitori Qui abbiamo gli stessi problemi, visti dalla parte dell'impresa che vende ad un'altra impresa: spesso le imprese fornitrici sono piccole e producono materie prime, semilavorati, componenti comuni: non hanno quindi un grosso peso, a meno che non si coalizzino a formare i cd cartelli (ad es l'OPEC o le cooperative di coltivatori); le aziende che vendono invece prodotti specializzati hanno un notevole potere contrattuale come ad es l'Intel o la Microsoft. Le applicazioni dell'analisi di settore: a che serve l'analisi di settore? Serve a 3 cose: capire presente e passato, prevedere il futuro, organizzare le contromisure. -1)--Può servire a capire una situazione passata o presente ad es ci spiega perchè la redditività è bassa per il settore estrattivo dei metalli e alta per il settore farmaceutico. -2)--Ma quel che + conta è il suo utilizzo per prevedere il futuro: infatti un'impresa che investe oggi, impegna risorse in un settore per 10 anni o +: è essenziale quindi prevedere quale potrà essere nel futuro la redditività di quel settore. A questo scopo l'analisi si sviluppa in 3 fasi: 1)esaminare la situazione attuale cogliendo i rapporti tra struttura del settore da una parte, concorrenza e redditività dall'altra. 2)individuare in che direzione tende a cambiare la struttura del settore: il settore si sta consolidando? E' in atto una tendenza alla sovrapproduzione e quindi saturazione della domanda? I prodotti stanno diventando commodity o tendono a differenziarsi? 3)individuare, in rapporto ai cambiamenti strutturali previsti e alla loro influenza sulle 5 forze di Porter, come varierà la redditività del settore: in seguito a questi cambiamenti strutturali, la concorrenza aumenterà o diminuirà? L'esempio riportato sul libro è quello delle case da gioco negli USA: la tendenza a partire dagli anni '90, è stata verso l'aumento di numero delle case da gioco (in seguito all'aumento delle licenze concesse dagli amministratori locali che vedevano in esse una cospicua fonte di gettito fiscale); se a questo aggiungiamo i prodotti sostitutivi (lotterie varie, slot machines ecc) si comprende come il settore sia soggetto ad un'aspra concorrenza; è facile prevedere che se l'aumento dell'offerta non sarà assorbito dall'aumento della domanda si finirà col ridurre notevolmente la redditività del

settore. Anche per il settore delle informazioni e telecomunicazioni è successa qualcosa del genere: l'avvento di Internet è vero che ha offerto molte e nuove opportunità di investimento e che ha determinato un aumento della produttività, ma ,come aveva previsto Porter, si è risolta in un'intensificazione della concorrenza e in un'erosione dei profitti di settore. -3)--Ma l'analisi di settore serve anche a organizzare le contromisure cioè ci indica il modo + opportuno per cambiare la struttura di un settore: ad es le compagnie petrolifere hanno visto i loro profitti scendere per vari motivi tra cui l'eccesso di produzione e l'eccesso di concorrenti; Come hanno reagito? Cambiando la struttura del settore nel senso che hanno diminuito il numero dei concorrenti e razionalizzato la produzione semplicemente operando delle fusioni: Exxon si è fusa con Mobil, Chevron con Texaco; Total, Fina e Elf hanno dato vita a una grande unica compagnia; anche in altri settori si sono avute fusioni e alleanze che hanno ridotto il numero dei concorrenti. Un altro sistema è quello di innalzare barriere all'entrata: l'associazione americana dei medici ha imposto limiti sia al numero dei medici formati sia all'ingresso di medici dall'estero. La definizione dei settori Uno dei principali problemi nell'analisi settoriale è definire il settore di riferimento. Facciamo un esempio: qual è il settore di Disneyland e chi sono i suoi concorrenti? Si può dire che con Disneyland può competere Sea World che è anch'esso un parco a tema, ma se considero il + ampio settore dei divertimenti allora competeranno con Disneyland anche un weekend a Las Vegas, discoteca, cinema e videogiochi; è chiaro che così facendo il sistema finisce col dilatarsi a dismisura e fare l'analisi del settore diventa impossibile; occorre quindi delimitare il + possibile i confini del settore. Gli economisti definiscono il settore come un insieme di imprese che riforniscono un mercato. Nell'uso corrente il settore viene definito come un'area di attività relativamente ampia, mentre i mercati sono riferiti a prodotti specifici: per es il settore imballaggi comprende numerosi mercati:contenitori di vetro, di alluminio, cartone, plastica ecc. La differenza riguarda anche la definizione dei confini geografici: ad es per gli economisti il settore auto USA comprende le aziende che forniscono il mercato USA, anche se esse sono ubicate al di fuori del territorio statunitense, mentre nell'uso corrente è circoscritto alle case di proprietà americana. Per le finalità dell'analisi di settore si usa l'approccio degli economisti, quindi per prima cosa bisogna individuare il mercato. I confini di un mercato vengono stabiliti dalla sostituibilità vista dal lato della domanda e dal lato dell'offerta. Facciamo un esempio: qual è il mercato della Jaguar, quello dei veicoli a motore, quello delle automobili o quello delle auto di lusso? Dal punto di vista della domanda, ossia del cliente: il cliente potenziale di una Jaguar non sceglie tra una Jaguar e un furgone (il mercato non è quindi quello dei veicoli a motore) né sceglie tra una Jaguar e una station wagon (non è il mercato delle auto), sceglierà piuttosto tra Jaguar e Porsche o Ferrari, quindi il mercato è quello delle auto di lusso e Porsche e Ferrari sono le concorrenti di Jaguar. Dal punto di vista dell'offerta: se un cliente deve acquistare un frigorifero opererà una scelta tra le aziende che producono frigoriferi cioè nel “mercato dei frigoriferi”; ma dal punto di vista del produttore non esiste il mercato dei frigoriferi ma il mercato degli elettrodomestici perchè il produttore può usare gli stessi impianti e gli stessi canali di distribuzione per i differenti elettrodomestici (frigo, lavatrici, lavastoviglie ecc). [ NOTA--Mathur e Kenyon hanno proposto di prendere le mosse dalle scelte del cliente (analisi micro): essi obiettano che ad es un hotel potrebbe competere non solo con altri hotel ma anche con i ristoranti e bar, quindi ciascuna offerta ha un suo specifico mercato; tuttavia si preferisce utilizzare l'analisi micro nella strategia di marketing (progettazione, prezzi, distribuzione) e l'analisi di settore convenzionale per prevedere la redditività a medio termine: d'altra parte, a favore di quest'ultima, c'è il fatto della sostituzione dal lato dell'offerta, cioè la possibilità che ad es 2 auto che

hanno due mercati diversi (un fuoristrada e una berlina) abbiano molte parti comuni e quindi è + opportuno considerare la casa che li produce anziché il singolo prodotto come vorrebbe l'analisi micro.] I fattori critici del successo Se lo schema delle 5 forze ci consente di stabilire la redditività globale del settore, bisogna poi stabilire come si distribuisce questa redditività tra le aziende concorrenti: infatti in un settore ci sono imprese che vanno bene ed altre che vanno meno bene; da cosa dipende ciò, quali sono i fattori esterni all'impresa dai quali dipende il suo successo ossia i fattori critici di successo? Per prosperare in un settore l'impresa deve rispondere a 2 domande (fig 3.5): --Cosa desiderano i nostri clienti? --Cosa si deve fare per sopravvivere alla concorrenza? Per rispondere alla prima domanda si deve identificare il cliente e i suoi bisogni e stabilire su quali basi sceglie tra offerte concorrenziali (analisi della domanda). Per rispondere alla seconda domanda l'impresa deve procedere all'analisi della concorrenza del settore Vedi tab 3.5 pag 119 da cui prendiamo l'esempio dei supermercati. Analisi della domanda: i clienti di un supermercato cercano prezzi bassi, ampia gamma di prodotti di qualità; cercano anche ubicazioni comode e servizio gradevole. Analisi della concorrenza: l'intensità della concorrenza dipende dal numero e dalla vicinanza dei concorrenti; come mi posso distinguere dai concorrenti, cosa posso offrire di più? Risultato: fattore critico di successo è la capacità di presentare prodotti di qualità a prezzi bassi e questo significa abbassare i costi di gestione: bassi costi del lavoro, bassi costi di acquisto dai fornitori, acquisti aggregati, alti volumi di vendita per ottenere economie di costo, risparmi di magazzinaggio; la differenziazione (dalla concorrenza) richiede grandi spazi interni (vasta gamma di prodotti) ed esterni (ampi parcheggi).

CAP 4

DALL' ANALISI DI SETTORE ALL 'ANALISI DEI CONCORRENTI

Critiche allo schema di Porter Le principali critiche mosse allo schema di Porter sono 2: 1)i principi su cui si basa (struttura-comportamento-risultati) non sono rigorosi 2)l'influenza della struttura del settore sulla redditività è meno del 20% (cioè ci sono altri fattori + importanti che influiscono sulla redditività delle imprese). Inoltre l'analisi di settore, così come delineata da Porter, presenta alcuni problemi nell'applicazione pratica: --1)Porter non considera che tra i prodotti, oltre a rapporti di sostituzione, ci sono anche rapporti di complementarietà --2)lo schema di Porter presuppone una certa stabilità del settore ma in molte aree di attività, come quella tecnologica, la struttura del settore varia molto rapidamente --3)Porter non prende in considerazione che i rapporti tra imprese di un settore non sono sempre di natura competitiva ma anche collaborativa o di altra natura ( concorrenza dinamica) --4)bisogna prendere in considerazione non solo i settori ma anche i segmenti di mercato. Vediamo nei dettagli questi problemi. --1)I prodotti complementari Sono prodotti indispensabili per il prodotto fondamentale ad es gli inchiostri sono complementari rispetto alle stampanti; i prodotti complementari sono considerati come la sesta forza di Porter (vedi fig 4.2 pag 126) e influenzano un mercato in maniera opposta ai prodotti sostitutivi: infatti questi riducono il valore del prodotto mentre quelli lo aumentano: ad es il consumatore preferisce acquistare una stampante per la quale esistono diverse marche di inchiostri anziché una che abbia una sola marca, quindi il valore di quest'ultima stampante scende. Si può obiettare che la maggior parte dei profitti in questi casi deriva dagli inchiostri anziché dalla stampante, o dai videogiochi anziché della console: la Nintendo ha risolto questo problema rilasciando licenze agli sviluppatori (ricavandone cospicue royalties) e controllando strettamente produzione e distribuzione del software. Nel campo dei Pc il prodotto complementare, cioè il sistema operativo, è pressochè unico e in mano alla Microsoft che quindi possiede un potere contrattuale enorme nei confronti dei produttori di Pc; se un produttore di Pc come IBM promuovesse lo sviluppo di un altro sistema operativo come Linux, alternativo a Windows, il potere di Microsoft si ridurrebbe notevolmente. --2)L'instabilità del mercato Porter dice che la struttura del settore determina la concorrenza: Schumpeter e la scuola austriaca affermano invece che è la concorrenza che trasforma la struttura di un settore: es un settore in cui c'è un monopolio, è molto appetibile e spinge le imprese ad entrare, alterando la struttura originaria. Ma nella pratica comune si può dire che nei settori consolidati, le nuove entrate avvengono in maniera lenta e i cambiamenti di struttura del settore non sono così distruttivi e repentini come vorrebbe Schumpeter; tuttavia ci sono alcuni settori, che qualcuno chiama “schumpeteriani”, caratterizzati da rapide innovazioni di prodotto ad es il mercato dei semiconduttori, dell'elettronica di consumo e dei Pc: in questi settori di ipercompetizione, i concorrenti devono muoversi rapidamente per costruire i propri vantaggi e intaccare quelli degli avversari, ma il vantaggio acquisito è transitorio e bisogna crearlo e rinnovarlo continuamente. --3)La concorrenza dinamica e la teoria dei giochi La principale obiezione posta allo schema di Porter è che esso non tiene conto delle interazioni competitive delle imprese: insomma non sempre le imprese sono pronte a scannarsi tra di loro, potrebbero anche essere disponibili a un accordo (anche tacito) o a una coalizione contro altre. La teoria dei giochi è un modo singolare di affrontare il tema della concorrenza paragonandola a un gioco in cui ci sono i concorrenti-giocatori che hanno a disposizione delle opzioni: come in una partita a scacchi,analizzando tutte le possibili combinazioni di queste opzioni, sarà possibile prevedere gli esiti finali e sfruttare queste conoscenze per scegliere le strategie + favorevoli. Come già detto, uno dei maggiori vantaggi della teoria dei giochi è la sua capacità di considerare i

rapporti tra aziende concorrenti non solo sul piano della competizione pura, come nel sistema di Porter, ma anche sul piano della cooperazione: per questo fu coniato il termine di co-opetition che sarebbe un misto tra cooperation e competition, a sottolineare che i rapporti tra aziende hanno carattere dualistico, fatto di collaborazione e competizione che spesso addirittura coesistono: ad es Exxon e Shell, accanite rivali nel campo della filiera del petrolio, contemporaneamente collaborano in numerose Joint venture. Questo succede quando ci si rende conto che raggiungere un accordo è + conveniente che farsi la guerra: una guerra dei prezzi tra due concorrenti lascia pressochè immutate le quote di mercato ma abbassa i profitti per tutti e in tal caso è + conveniente accordarsi per un prezzo comune; questo problema è conosciuto nella teoria dei giochi con il nome di “dilemma del prigioniero” dove due individui sono sospettati di un crimine, e a ciascuno di loro viene offerto un incentivo per accusare l'altro: il dilemma sta nel fatto che ognuno dei due può scegliere di incolpare l'altro ma sarebbe più conveniente per tutti e due, tacere ed evitare così l'esito finale cioè la condanna di uno dei due. Oltre che con la cooperazione si può cambiare l'esito del gioco con la dissuasione: le imprese dominanti possono dissuadere gli aspiranti nuovi entranti con aggressive riduzioni di prezzo o possono deliberatamente produrre in eccesso per scoraggiare nuove entrate. Si può dissuadere anche con atteggiamenti e dichiarazioni che mostrino in maniera inequivocabile la volontà dell'impresa (commitment): Cortès il conquistatore dell'impero azteco, incendiò le sue navi subito dopo lo sbarco per far capire ai suoi uomini che non potevano più tornare indietro e ai suoi nemici che sarebbe andato avanti fino in fondo; gli investimenti massicci dell'Airbus in pubblicità e ricerca per il superjumbo A 308, miravano a incoraggiare le compagnie aeree ad acquistare il velicolo e a scoraggiare la concorrente Boeing a impegnarsi nel progetto di un aereo simile. Un commitment può essere hard, pesante, come l'impegno a diminuire i prezzi (e in questi casi la teoria dei giochi ci dice che le imprese tendono ad adeguarsi reciprocamente e la redditività del settore scende) oppure l'impegno ad aumentare la produzione (in tal caso sembra che l'effetto sulla redditività sia positivo perchè le altre imprese risponderanno diminuendo la loro produzione); ma il commitment può anche essere soft come il caso di una compagnia aerea che si affida ai programmi di frequent-flier (tariffe per viaggiatori abituali) segnalando con ciò alle concorrenti che non ha l'intenzione di misurarsi sul campo della diminuzione dei prezzi. Un giocatore-concorrente oltre che sul cambiamento degli esiti può puntare alla modificazione della struttura del gioco-settore in cui opera: può ad es stipulare alleanze che permettono di ampliare il mercato o porre ostacoli ai nuovi entranti; potrebbe perfino creare la concorrenza ( Intel quando produsse il primo processore 086 offrì la licenza a IBM e AMD: è vero che così rinunciò al monopolio ma è anche vero che in questo modo convinse gli avversari a non intraprendere progetti propri per un altro processore) Si può anche dissuadere con informazioni selettive false fornite alla concorrenza (i cd segnali): in tal caso è fondamentale la reputazione di aggressività acquisita nel tempo dall'impresa ; si possono usare i segnali anche per tastare il terreno e prevedere le reazioni della concorrenza: si può ad es manifestare pubblicamente che l'azienda sta prendendo in seria considerazione l'ipotesi di abbassare i prezzi e vedere le reazioni della concorrenza a questo annunzio. I limiti della teoria dei giochi Il punto debole della teoria dei giochi sta nel fatto che non può essere applicata a situazioni complesse che presentano molte variabili come spesso accade nella realtà; inoltre essa presuppone che tutti i giocatori abbiano lo stesso numero di opzioni, cosa che nella realtà non avviene perchè le aziende hanno diversi budget, diverse capacità produttive ecc. In sostanza, la teoria dei giochi dà brillanti risultati quando si tratta di spiegare il passato ma non è affidabile nel prevedere il futuro: tuttavia, sebbene non sia in grado di dare delle risposte, essa è di notevole aiuto per analizzare e comprendere le dinamiche della concorrenza e prendere le decisioni strategiche + opportune.

L'analisi dei concorrenti Se la teoria dei giochi presenta dei limiti nell'applicazione pratica, resta cmq valida la sua impostazione di fondo e cioè lo studio del comportamento dei concorrenti che ci permette di: 1)prevedere le loro decisioni future 2)prevedere le loro reazioni alle nostre iniziative 3)determinare come possiamo influenzare il comportamento dei concorrenti a nostro favore. Quindi per studiare i concorrenti occorre prima raccogliere le informazioni (e qui i confini tra raccolta legittima e spionaggio industriale possono essere molto labili) e successivamente analizzarle con cura; Porter propone uno schema di analisi (fig 4.3) diviso in 4 parti: 1)capire la strategia attuale della concorrenza basandosi su quello che dichiara pubblicamente e quello che fa realmente 2)capire quali obiettivi persegue e in particolare se persegue obiettivi di redditività oppure obiettivi di conquista di nuove fette di mercato ( sono questi i concorrenti + temibili); se questi obiettivi sono stati raggiunti oppure no (e in tal caso è probabile che presto cambierà strategia) 3)capire come il concorrente vede sé stesso cioè le sue opinioni su sé stesso e sul settore in cui opera; sembra che queste opinioni, questo modo di vedere il settore, siano comuni a molte aziende dello stesso settore: ad es negli anni '60 i costruttori USA di moto erano tutti convinti che l'ingresso sul mercato americano di Honda, Suzuki e Yamaha nel segmento delle piccole cilindrate, non comportasse alcun problema per loro: sappiamo come andarono le cose...le case giapponesi entrate negli Usa in punta di piedi conquistarono presto il settore motociclistico americano in ogni cilindrata. 4)capire l'entità delle risorse del concorrente (finanziarie, forza del marchio, capacità operative ecc), individuare i suoi punti di debolezza e colpire. Riepilogando: lo schema di Porter mi mette in grado di rispondere alle segg. domande: 1)quali iniziative farà il concorrente? 2)quali saranno le sue reazioni ad una mia iniziativa? Completiamo ora le obiezioni alle 5 forze di Porter con l'ultimo punto: 4)la segmentazione del mercato Il settore, così come l'abbiamo visto finora, ha delle dimensioni piuttosto ampie: si parla di automobili, software, banche, compagnie aeree. Ma se vogliamo andare a un'analisi + dettagliata, dobbiamo per forza focalizzarci su campi + circoscritti sia riguardo al prodotto sia riguardo all'estensione geografica: questo processo è chiamato segmentazione: ad es nel campo dei computer ci sono pc desktop, server, portatili; se sono un costruttore di portatili dovrò considerare come concorrenti solo i costruttori del segmento pc portatili: Dell Comp. ha costruito la sua fortuna passando rapidamente dai desktop ai server, ai portatili e dai mercati tradizionali come Europa e Usa, ormai saturi, a nuovi mercati in crescita come l'Asia. Si può dunque parlare di analisi di segmento che si sviluppa in 5 fasi (quadro 4.2 e fig 4.4): 1)individuare le variabili chiave della segmentazione ossia stabilire i criteri con cui segmentare un settore: si può ad es segmentare in base alle caratteristiche del cliente (industrie, acquirenti domestici) o del prodotto (prestazioni, prezzo, materiali): come si vede si tratta di un numero eccessivo di variabili e quindi bisogna ridurle utilizzando le variabili + importanti: nel caso delle bici le variabili che si possono prendere in considerazione sono: supermercati e negozi specializzati (caratteristiche del cliente); bici per bambini e adulti, bici di qualità bassa, media e alta, bici di prezzo basso medio e alto: poi ridurle ulteriormente accorpando quelle variabili correlate tra di loro ad es è inutile considerare prezzo e qualità come due variabili distinte visto che di solito vanno di pari passo, così posso ridurre la segmentazione del settore biciclette in soli 4 segmenti tab 4.2: --biciclette di basso prezzo e bassa qualità, vendute nei supermercati --biciclette di prezzo e qualità media vendute nei negozi specializzati --biciclette per amatori ad alto prezzo e qualità

--biciclette per bambini con caratteristiche simili al gruppo 1 2)fatta la segmentazione si può costruire una matrice come quella del quadro 4.3 costruita sulle caratteristiche del prodotto (a sinistra) e sull'area geografica (in alto); la localizzazione geografica ha la sua importanza: se nel settore aereo la compagnia A e la compagnia B operano su due tratte diverse, non possono essere considerate concorrenti per lo stesso segmento di mercato. 3)analizzare l'attrattività del segmento: cioè stabilirne la redditività tramite le 5 forze di Porter, tenendo conto che qui le barriere all'entrata vengono chiamate barriere alla mobilità e che un segmento attrattivo potrebbe essere quello dimenticato dalla concorrenza es un grande magazzino in piccole città. 4)identificare i fattori critici del successo (tab 4.2) 5)selezionare il segmento in cui operare: e potrebbero essere anche + segmenti se i fattori critici del successo e i costi sono abbastanza somiglianti: ad es nel settore automobilistico è frequente l'uso di un pianale comune a una grossa berlina e a un furgone, che pure appartengono a segmenti diversi. Altri tipi di segmentazione sono: 1)segmentazione verticale: Un settore può essere segmentato anche verticalmente: in tal caso in esso verranno comprese una serie di attività poste a valle della produzione; ad es nel settore automobilistico verranno considerate non solo la produzione e la vendita delle auto nuove ma anche i mercati dell'usato, finanziamento per l'acquisto, assicurazioni, leasing, manutenzione e riparazione, tutti segmenti molto + redditizi della produzione: il totale dei profitti del settore sarà dato dalla somma dei profitti delle singole attività. 2)segmentazione per gruppi strategici: Un settore può essere segmentato in base alle strategie delle aziende che ne fanno parte: un gruppo di imprese dello stesso settore che persegue scelte strategiche simili si chiama gruppo strategico. La segmentazione viene fatta sulla base delle dimensioni dell'azienda cioè della gamma di prodotti, della qualità, della distribuzione geografica: ad es la fig 4.6 ci dice che la Morgan è una casa automobilistica artigianale, specializzata in auto di un certo tipo, con estensione geografica limitata, mentre Toyota, Nissan, Ford sono produttori globali e diversificati e hanno le stesse strategie. L'analisi dei gruppi strategici si rivela molto utile per individuare nicchie strategiche all'interno di un settore e il posizionamento strategico delle varie imprese.

CAP 5 RISORSE E COMPETENZE Mentre la strategia militare da sempre si è basata sulle risorse, in campo economico l'importanza dell'analisi delle risorse di un'azienda si è andata sviluppando in tempi recenti, a partire dagli anni '90, con la cd “resource-based view of the firm”; il perchè è presto detto: in tempi di instabilità la strategia di un'azienda non può essere fondata su un mercato in continuo mutamento, ma deve basarsi su elementi + stabili come appunto risorse e competenze. In altre parole un'azienda deve chiedersi non tanto “chi sono i nostri clienti”, ma piuttosto “cosa sono in grado di fare in relazione alle risorse e conoscenze di cui dispongo”. Facciamo alcuni esempi: -Honda si basa sulle sue competenze nella costruzione di motori, sin dalla sua fondazione: iniziò nel 1948 con la costruzione di piccoli motori per biciclette, poi passò alle moto di piccola cilindrata, poi a quelle di grossa cilindrata, poi alle auto, motori marini, motopompe, spazzaneve ecc. -il disastroso biennio 2001/2002 di Mariah Carey è attribuibile al fatto che la cantante si era allontanata dalle sue competenze centrali cioè si era affidata alla collaborazione con altri cantautori mettendo da parte il proprio talento di autrice. -la Walt Disney rinacque dopo il 1984 perchè sfruttò le sue risorse immobiliari in particolare i suoi terreni in Florida per la realizzazione di alberghi, centri residenziali e parchi a tema. L'analisi delle risorse e competenze a fini strategici costituisce un approccio diverso dall'analisi di settore che abbiamo visto in precedenza: l'analisi di settore ci suggerisce di scegliere il settore + attrattivo cioè quello dove la concorrenza è meno forte: oggi questi settori felici sono pochissimi grazie all'internazionalizzazione e alla deregolamentazione che hanno attenuato le barriere all'entrata: di conseguenza oggi si cerca di ottenere il vantaggio competitivo attraverso uno sfruttamento + efficace delle risorse e competenze. Le Risorse Le risorse sono i beni produttivi di un'azienda. Tradizionalmente vengono distinte in tre gruppi: tangibili, intangibili e umane Risorse tangibili sono le risorse finanziarie e i beni materiali (composizione, ubicazione ecc) per i quali bisogna non solo fare una pura e semplice elencazione ma anche valutare se sono impiegate in modo efficiente (cioè se è possibile, razionalizzando le stesse risorse, realizzare un + alto volume di affari oppure impiegarle in modo diverso e + proficuo) Risorse intangibili sono rappresentate dalla tecnologia posseduta e dalla reputazione: --la tecnologia posseduta comprende brevetti, copyrigth, segreti industriali ecc --la reputazione si basa sulla fiducia che nel tempo l'azienda ha saputo ispirare a clienti, fornitori finanziatori ecc: da un punto di vista pratico possiamo dire che è la marca, è il prezzo in + che un cliente è disposto a pagare per avere un prodotto “di marca” rispetto a un prodotto non di marca; è difficile da valutare in termini precisi ma si può quantificare moltiplicando questa differenza di prezzo per il volume annuo di vendite. Il valore del marchio può essere sfruttato con l'estensione ad altri prodotti: ad es Harley-Davidson non solo può permettersi di vendere le sue moto a prezzi superiori rispetto alle concorrenti, ma trae profitti dalla concessione di licenze d'uso del proprio marchio a produttori di abiti, tazze da caffè, sigarette, ristoranti ecc. Risorse umane sono il bagaglio di conoscenze, esperienza, capacità professionali del personale dell'impresa; le risorse umane sono importantissime ma difficili da valutare, per questo si cercano validi metodi che permettano una valutazione quanto + possibile accurata specie nel momento del reclutamento dei dipendenti: un metodo molto usato ad es è il “modello delle competenze” che consiste nell'individuare un profilo ideale e di valutare il potenziale dipendente rispetto a questo profilo: è interessante notare il rilievo che viene dato non solo alle capacità professionali ma anche alle attitudini psicologiche e alle capacità di relazionarsi con gli altri. Le Competenze Non basta avere le risorse: bisogna anche saperle usare efficacemente, saperle integrare tra loro e calarle nell'azienda: questo processo di integrazione costituisce la competenza che rappresenta

dunque ciò che un'impresa può fare, con quelle risorse. Perfetta integrazione significa perfetta coordinazione tra gruppi di persone: questa coordinazione, attraverso la pratica continua, diventa routine cioè il sistema è in grado di procedere senza che vi siano direttive o comunicazioni verbali; le routine quindi formano la base delle competenze organizzative, cioè esprimono le capacità di un'azienda: la fabbricazione di un prodotto dall'ingresso delle materie prime all'uscita dai cancelli dell'azienda, è formato da una serie di routines. Le competenze di un'impresa si individuano in 2 modi differenti: 1)tramite analisi funzionale vedi tab 5.4 che identifica le competenze organizzative in base alle aree funzionali : ad es nell'area della produzione possiamo comprendere la capacità di produrre grandi volumi o di migliorare continuamente il processo produttivo 2)tramite l'analisi della catena del valore di Porter che distingue attività primarie e attività di supporto e della quale parleremo più avanti. Qualunque sia il metodo utilizzato esiste una gerarchia delle competenze nel senso che le competenze + ampie sono costituite dall'integrazione di competenze + specialistiche, ad es produrre un nuovo prodotto implica l'integrazione tra i settori R&S, marketing, settore finanziario ecc ognuno dei quali richiede l'integrazione di altri settori: ad es il marketing integra ricerche di mercato, pubblicità, promozione, test di mercato ecc. In che modo risorse e competenze permettono di conseguire, sfruttare e mantenere un vantaggio competitivo? Affinchè una risorsa o una competenza possa determinare un vantaggio competitivo, devono essere presenti 2 condizioni: 1)scarsità: se la risorsa o competenza è largamente disponibile non rappresenterà un elemento sufficiente per ottenere un vantaggio competitivo 2)rilevanza della risorsa in relazione ai fattori critici del successo: cioè se sono utili all'impresa per creare valore per il cliente o per sopravvivere nell'arena competitiva. Diciamo subito che, come in molti sport non sempre la squadra che ha i campioni vince, così nel campo economico le imprese che dimostrano le migliori competenze non sono sempre quelle che hanno maggiori risorse: GM spende in R&S 4 volte quello che spende Honda ma è Honda il leader mondiale in tecnologia del power train. Quindi possiamo dire che la principale determinante delle competenze di un'impresa non è la dimensione delle sue risorse ma la sua capacità di utilizzarle nella maniera + efficiente. Le risorse possono essere utilizzate efficientemente: --concentrandole su pochi obiettivi --accumulando risorse con l'esperienza o facendo ricorso ad alleanze con altre imprese --combinando risorse complementari in modo da aumentare la loro efficacia --reimpiegando le risorse in differenti prodotti e mercati. Ma attenzione, una volta raggiunto un vantaggio competitivo, bisogna mantenerlo il + a lungo possibile: perciò bisogna valutare la sua durata e se i rivali possono imitarlo: --Durata: alcune risorse come gli impianti, possono essere poco durevoli specie in settori che evolvono rapidamente; altre risorse come la reputazione mostrano una durata lunghissima (vedi marche come CocaCola o Singer) --Trasferibilità: se un concorrente è in grado di acquistare le risorse necessarie per imitare un'impresa di successo, il vantaggio di quest'ultima durerà poco. Non tutte le risorse e competenze sono trasferibili e acquistabili, per vari motivi: --per motivi di mobilità es per grandi impianti non è conveniente il trasferimento in altri luoghi --per incompletezza delle informazioni sulla qualità e produttività di determinate risorse: ciò comporta rischi considerevoli per le imprese potenziali acquirenti. --complementarietà tra risorse: a volte la separazione di una risorsa dal suo contesto determina una perdita di valore: il passaggio di proprietà dei magazzini Harrods manterrà le caratteristiche che li hanno reso famosi nel mondo? --le capacità organizzative: essendo basate su risorse che lavorano in team, sono meno mobili

rispetto alle risorse singole --Replicabilità: se un'impresa non può acquistare risorse, deve costruirle cioè imitare quello che fa la concorrenza: ci sono cose che si possono facilmente imitare (ad es se la concorrenza allunga l'orario di vendita, lo posso fare anch'io), altre che sembrano facili ma in realtà non lo sono (ad es just-in-time e circoli di qualità usati in Giappone, richiedono un notevole grado di collaborazione dei dipendenti e sono di difficile applicazione nelle aziende occidentali). Ma anche quando la replicabilità è possibile, le imprese consolidate nel settore sono in vantaggio sia perchè hanno accumulato nel tempo le risorse (ad es la reputazione), sia per le cd diseconomie da compressione del tempo che significa che i programmi di R&S accelerati hanno risultati inferiori rispetto a quelli che rispettano tempi + lunghi. Infine un accenno al problema dei rapporti tra know-how dell'azienda e capitale di conoscenze del dipendente; è chiaro che quanto maggiore è l'importanza del capitale di conoscenze del dipendente tanto maggiore sarà la perdita dell'azienda quando il dipendente lascia l'azienda: ad es quando presidente e vicepresidente della società che controllava Gucci, artefici del salto di qualità della casa di alta moda, annunciarono che avrebbero lasciato l'azienda, le azioni dell'azienda italiana scesero immediatamente: al tempo si calcolò che la Gucci senza presidente e vice valeva 1,2 miliardi di dollari in meno: questo vuol dire che si deve cercare di ridimensionare il ruolo delle esperienze individuali ad es basandosi sul lavoro in team. Guida pratica all'applicazione dell'analisi delle risorse e delle competenze L'applicazione pratica dell'analisi delle risorse e competenze prevede 3 fasi : 1)Individuazione delle risorse e competenze cruciali Stilare un elenco delle risorse e competenze partendo: --dal punto di vista della domanda, dai fattori critici del successo: si individuano i fattori di successo e poi le risorse su cui si basano tali fattori di successo; ad es i fattori critici di successo della Volkswagen sono i bassi costi di produzione, modelli di design gradevole e di contenuto tecnologico, solidità finanziaria: questi fattori si basano su competenze di produzione, di sviluppo di nuovi prodotti, un bilancio solido ecc. --dal punto di vista dell'offerta potremo considerare la catena del valore di Porter e le risorse e competenze connesse ad ogni stadio della catena 2)Valutazione delle risorse e competenze --valutazione dell'importanza: sono importanti quelle risorse che non possono né essere acquistate né essere riprodotte facilmente come il marchio, sviluppo rapido di nuovi prodotti, rete globale di distribuzione ecc. --valutazione dei propri punti di forza (e di debolezza) rispetto agli avversari: non è un compito facile: possiamo partire dalla discussione in un gruppo di lavoro, dall'analisi interna ossia dall'analisi dei progetti e delle iniziative del passato, si può fare un raffronto dettagliato con altre imprese (benchmarking); tutto allo scopo di individuare i propri punti di forza e basare su di essi la propria strategia. L'integrazione dei 2 criteri porta alla individuazione dei punti di forza e di debolezza (tab 5.5 e fig 5.9) 3)Sviluppo delle implicazioni strategiche Una volta individuati i punti di forza e i punti deboli,come si deve operare? (fig 5.11) --sfruttare i principali punti di forza: ad es se per Volkswagen i punti di forza sono le capacità di produzione, punterà su questo per rafforzare il vantaggio sulla concorrenza estendendosi sui mercati + promettenti come Asia e America latina; se per Toyota il punto di forza è la velocità di sviluppo di nuovi modelli, essa punterà sulla leadership tecnologica e progettuale. --gestire i punti deboli critici: attraverso l'acquisizione di risorse e competenze oppure esternalizzando i punti deboli (come fanno molte case automobilistiche che tendono a esternalizzare la produzione di componenti, il design, i servizi informatici ecc) oppure trasformandoli in punti di forza (Harley-Davidson ha fatto del suo aspetto retrò un punto di differenziazione dalla concorrenza)

--gestire i punti di forza superflui (cioè i punti di forza che non sono fonti di vantaggio competitivo): in questi casi si possono diminuire gli investimenti relativi oppure possono essere trasformati in punti di forza critici. Lo sviluppo di nuove competenze Non è facile creare nuove competenze: --perchè spesso sono path dependent cioè il risultato della storia dell'impresa: Wal-Mart ha un'efficiente sistema di immagazzinamento e distribuzione perchè in origine il fatto di essere dislocata in ambiente rurale l'aveva costretta a sviluppare un sistema proprio di distribuzione. --perchè le aziende che hanno competenze specifiche consolidate trovano difficile adattarsi rapidamente a nuove condizioni di mercato e ad acquisire nuove competenze, cosa che riesce invece + facile alle nuove aziende:ad es nel campo dei personal-computer le aziende di maggior successo sono le nuove Dell, Acer, Compaq, mentre molte delle aziende storiche come Olivetti e Xerox non ce l'hanno fatta. Come si sviluppano nuove competenze? 1)per fusioni e acquisizioni: se lo sviluppo di nuove competenze richiede un tempo molto lungo, può essere conveniente acquisire un'impresa che abbia già sviluppato la competenza desiderata: Microsoft si è rapidamente adattata a internet acquisendo molte imprese già presenti sul campo. Tuttavia non basta l'acquisizione pura e semplice: la società incorporante deve integrare le competenze della società incorporata con le proprie e non è un compito facile. 2)per alleanze strategiche: acquisire un'azienda comporta un costo notevole; può essere conveniente stringere rapporti di collaborazione con un'impresa che possieda determinate competenze per poter accedere ad esse 3)incubazione delle competenze: a volte la struttura organizzativa, i sistemi di una azienda possono non essere adatti allo sviluppo di nuove competenze: allora le imprese possono far ricorso a unità organizzative separate dalla casa madre: ad es IBM sviluppò il suo primo PC in un'unità situata in Florida, lontana mille chilometri dalla sede centrale di NewYork. Queste unità decentrate sono autonome, flessibili, e possono attingere alle risorse e competenze della casa madre; il problema che si può presentare è quello che le nuove competenze create devono essere poi trasferite alla casa madre e non sempre questo è agevole. 4)sequenze di prodotto: il principio fondamentale è che nel corso del processo produttivo si generano abilità, tecnologia e knowhow: la Matsushita in un nuovo paese inizia con prodotti tecnicamente poco sofisticati ad es batterie, cosicchè anche manodopera non specializzata possa fare un buon prodotto: man mano che l'operaio lavora su questo prodotto, acquista competenza e ciò permette in seguito di diversificare la produzione verso articoli che richiedono tecnologia sempre + elevata. La conoscenza Mentre i beni tangibili, impianti, apparecchiature, scorte di magazzino sono da tempo oggetto di attenta valutazione, solo di recente si è cominciato a prendere in considerazione i beni intangibili come la conoscenza. Il risultato di questo interesse è stata la “Knowledge-based view of the firm”che vede l'impresa come un sistema che impiega conoscenze per creare valore. Tipi di conoscenza Una distinzione fondamentale è quella tra know-how e conoscenza in genere: --il know-how è tacito: è come saper andare in bicicletta, una volta imparato si va automaticamente senza pensare quali sono i movimenti da fare: il problema è che andare in bicicletta non può essere descritto con parole ma si deve apprendere per imitazione e si acquisisce con la pratica, il che richiede costi e tempi lunghi. --la conoscenza in genere invece è esplicita cioè comprende istruzioni che possono essere trasferite facilmente e a basso costo tra le persone, nello spazio e nel tempo. La conseguenza è che la conoscenza in genere non può dare luogo a un vantaggio competitivo perchè tutti la possono acquisire, a meno che non sia sottoposta a vincoli legali tipo brevetto, oppure non sia accuratamente protetta dalla segretezza (come la composizione della CocaCola); invece la

conoscenza tacita (ad es un abile venditore) può rappresentare una fonte di vantaggio, perchè difficilmente trasferibile. Un'azienda moderna deve saper gestire il proprio bagaglio di conoscenza fig 5.12: --si individua il proprio patrimonio di conoscenza (brevetti, raccolta dati sul personale) -si conserva la nuova conoscenza per il futuro:memorizzazione -si crea nuova conoscenza: a parte la possibilità di acquisizione di conoscenza dall'esterno (acquisizione di altre imprese, fusione, collaborazione, reclutamento di personale esperto) per la creazione della conoscenza all'interno dell'azienda occorre che gli individui si specializzino in determinati settori: successivamente essi possono tradurre la loro conoscenza in regole e direttive che servano da guida al comportamento degli altri oppure possono interagire con gli altri per trasmettere direttamente le loro conoscenze (formazione e addestramento). --acquisita una nuova conoscenza in un reparto, occorre che essa venga estesa a tutta l'azienda (replicazione) e anche qui abbiamo il problema del trasferimento della conoscenza che può essere risolto con regole e direttive oppure, nel caso delle conoscenze organizzative, con il tirocinio: le aziende cercano là dov'è possibile , di rendere + facile questo compito attuando la cd conversione della conoscenza cioè cercando di trasformare la conoscenza tacita in conoscenza esplicita come fa ad es McDonald's che, con i suoi manuali operativi molto dettagliati, è riuscita a far sì che le migliaia di suoi esercizi in tutto il mondo funzionino tutti nella stessa maniera, ad opera di personale che possiede abilità culinarie molto ridotte.

CAP 6

FORME ORGANIZZATIVE E SISTEMI DIREZIONALI (pagg 215-255)

In questo capitolo studieremo la struttura delle imprese, cioè il modo in cui si organizzano. Come sappiamo fin quasi alla metà del 1800, la maggior parte della produzione era organizzata attraverso reti di lavoratori a domicilio indipendenti: ad es nel settore della lana in Inghilterra, c'erano i filatori a domicilio che acquistavano la lana grezza dai commercianti ai quali rivendevano il filato; i commercianti vendevano il filato ai tessitori e da essi acquistavano il tessuto. Questo sistema sopravvisse fino all'introduzione dei telai meccanici, quando i tessitori si spostarono nelle fabbriche e diventarono lavoratori dipendenti. Nella fase iniziale le imprese erano di piccole dimensioni e uniche, nel senso che il mercato era quello locale e non c'era l'imprenditore che avesse + fabbriche dislocate nel territorio: questo perchè sia i trasporti che le comunicazioni erano molto carenti: questo problema fu rapidamente superato con l'avvento delle ferrovie e del telegrafo: comparve così la fabbrica moderna organizzata in una struttura FUNZIONALE caratterizzata da molteplici unità operative e una direzione centrale organizzata per funzioni (vedi fig). Con il tempo questo tipo di organizzazione funzionale mostrò tutti i suoi limiti: infatti la crescita delle dimensioni delle aziende e l'ampliamento della gamma dei prodotti determinarono un sovraccarico di lavoro per la direzione: così intorno agli anni '20 la DuPont e la General Motors introdussero la struttura cosiddetta DIVISIONALE basata sul decentramento: in sostanza il sistema era basato sulla creazione di “divisioni di prodotto”: ogni divisione si occupava di un prodotto, dalla sua produzione alla vendita , R&S ecc.: il direttore generale della divisione era totalmente responsabile delle attività e dei risultati della sua divisione mentre il vertice guidato da un comitato esecutivo si occupava del coordinamento delle divisioni, degli aspetti finanziari e delle politiche di prodotto: in altre parole vi fu la separazione delle responsabilità operative, affidate ai direttori di divisione, dalle responsabilità strategiche affidate alla sede centrale (fig 6.1). Principi di progettazione organizzativa Secondo Mintzberg in ogni attività umana organizzata sono presenti 2 elementi fondamentali, la divisione (e la specializzazione) del lavoro in varie fasi e il coordinamento di esse; per cui l'organizzazione potrebbe essere definita come l'insieme di quelle modalità con cui viene effettuata la divisione del lavoro e il suo coordinamento. L'esempio classico della divisione del lavoro in diverse fasi ciascuna affidata a un operaio diverso, è la prima catena di montaggio applicata nel settore auto da Henry Ford che nello spazio di un solo anno 1913-1914 portò il tempo di assemblaggio del modello T da 106 a poco + di 6 ore. Ma come 11 giocatori non fanno una squadra di calcio, così divisione e specializzazione da sole non bastano ad assicurare il massimo dell'efficienza produttiva: è necessario infatti che l'attività dei singoli individui sia perfettamente coordinata. Tale coordinamento può avvenire con meccanismi diversi: – tramite regole generali e direttive specifiche --per adattamento reciproco dei lavoratori impegnati in compiti collaterali. In ogni caso, col tempo il coordinamento deve diventare automatico cioè deve diventare routine come avviene in un'equipe chirurgica. Oltre a questi problemi di coordinamento esistono anche problemi di cooperazione. Questi problemi sono riferibili alla cosiddetta relazione di agenzia che, come abbiamo visto, si ha quando un soggetto (principale) affida a un altro soggetto (agent) la gestione di un'impresa ( qui il problema sta nell'assicurarsi che l'agent agisca nell'interesse del principale), ma sono anche riferibili ai rapporti tra le varie unità di un'azienda che spesso hanno interessi contrapposti: il settore R&S vuole soldi per introdurre nuovi prodotti, il settore finanziario si preoccupa del bilancio Per allineare l'azione dei singoli verso un unico obiettivo, l'azienda dispone di diversi meccanismi: --meccanismi di controllo come l'attività di supervisione dei capi sui subordinati --uso di incentivi economici positivi (promozioni) o negativi (rimozione dall'incarico) --valori condivisi cioè il coinvolgimento del personale in un comune obiettivo così come accade per le comunità religiose o per le organizzazioni di volontariato, sostenute da uno spirito comune, (un esempio è il toyotismo).

La gerarchia nella progettazione organizzativa I problemi della coordinazione e della cooperazione in azienda vengono risolti con la gerarchia, cioè stabilendo chi deve comandare e chi deve ubbidire. L'impostazione di un ordine gerarchico presenta il vantaggio del risparmio sul coordinamento: con 5 operai indipendenti è necessario gestire 10 rapporti bilaterali, ma se abbiamo 1 supervisore e 4 subordinati, le relazioni da gestire si riducono a 4 (fig 6.2 pag 226). Ma presenta anche un lato negativo: l'impostazione di una gerarchia comporta inevitabilmente l'impiego della burocrazia cioè una serie di procedure che definiscono i compiti di ciascuno: chi ha l'autorità di dare disposizioni e chi deve obbedire, la formalizzazione per iscritto delle decisioni e delle regole ecc. L'utilizzo di una burocrazia rigorosa di questo tipo (burocrazia meccanica) comporta un buon coordinamento ma anche degli svantaggi soprattutto in termini di flessibilità del sistema. Facciamo un esempio: la comunicazione (decisioni, direttive, regole) avviene dall'alto (dal centro direzionale) via via verso i livelli + bassi: più grande è la dimensione della struttura, + numerosi saranno i livelli e di conseguenza + lenta sarà la comunicazione, cosa che in tempi di rapidi cambiamenti non è accettabile. Per questo motivo negli anni '50 e '60 nacque la cd scuola delle relazioni umane che propose un modello diverso dalla forma meccanica burocratica e + precisamente la cd forma organica, caratterizzata da un lato da un modello meno formalizzato con compiti meno rigidi, interazioni multidirezionali (comunicazione non solo verticale ma anche orizzontale) e dall'altro dalla rivalutazione del fattore umano cioè fare affidamento sulle capacità di adattamento reciproco dei singoli, sull'impegno e la fedeltà all'organizzazione: in altre parole si cercò ( e si cerca) di puntare sul senso di responsabilità + che sul controllo del supervisore. Le 2 forme, meccanica e organica, non devono essere considerate contrapposte: l'utilizzo dell'una o dell'altra dipende dal tipo di attività svolta, ad es la forma burocratica va benissimo per un'organizzazione che produca beni o servizi standardizzati che abbiano un mercato sufficientemente stabile e lento nei cambiamenti; persino nell'ambito della stessa struttura possono coesistere forme meccaniche (le paghe, gli adempimenti fiscali) e forme organiche (pianificazione, R&S, marketing). L'applicazione dei principi della progettazione organizzativa Riepilogando: -il problema di una organizzazione è l'equilibrio tra divisione e specializzazione del lavoro da un lato e coordinamento e cooperazione dall'altro -la soluzione del problema è stabilire una gerarchia -stabilire una gerarchia significa creare unità specializzate controllate da unità di livello superiore. La domanda che ora ci poniamo è: come deve strutturarsi un'impresa? Un'organizzazione quando nasce deve scegliere il modo in cui strutturarsi (cioè quanti e quali reparti deve creare e quanti e quali dipendenti deve metterci dentro) e lo fa in base ad alcuni criteri: --compiti:raggruppare i dipendenti secondo il loro lavoro, i meccanici li raggruppo in officina, i dattilografi e le segretarie vanno messi in ufficio. --prodotti: creare settori per ogni prodotto ad es nei grandi magazzini c'è il reparto elettrodomestici, abbigliamento ecc --ubicazione geografica: un'organizzazione può strutturarsi con sedi regionali o nazionali o internazionali --processi (e funzioni):creare per es un settore R&S, un settore produzione, un settore vendite ecc La scelta di strutturarsi in un modo o in un altro dipende dalle caratteristiche dell'azienda (dalla sua estensione geografica, dal tipo di beni o servizi che produce ecc): ad es una compagnia aerea che fondamentalmente offre un solo servizio ma altamente specializzato, potrebbe strutturarsi per funzioni, creando così un settore per le operazioni di volo, un settore vendite ecc; mentre un'azienda che produce una molteplicità di beni potrebbe optare + opportunamente per una strutturazione

basata sui prodotti., quindi un settore per il prodotto X un altro per il prodotto Y ecc Può anche succedere che cambiamenti dell'ambiente o di tecnologia inducano un'impresa a modificare la sua struttura originaria per meglio rispondere alle esigenze di mercato. Per quel che riguarda i criteri di composizione delle unità (cioè per stabilire chi deve stare dentro un'unità operativa), possiamo dire molto semplicemente che dentro la stessa unità devono stare quei soggetti il cui lavoro è strettamente dipendente l'uno dall'altro e quindi hanno bisogno di una coordinazione massima. Detto in termini + complessi: J. Thompson parla di interdipendenza distinta in 3 livelli: --interdipendenza di gruppo: se gli operai lavorano indipendentemente dagli altri --interdipendenza sequenziale: quando un output di un operaio è l'input di un altro operaio --interdipendenza reciproca: quando i lavoratori sono dipendenti uno dall'altro. E' ovvio che maggiore è l'interdipendenza (e quindi l'esigenza di coordinamento) tra i soggetti, maggiore sarà la necessità di raggruppare questi soggetti nella stessa unità Bisogna cmq rilevare che la necessità di coordinamento non è l'unica base per decidere come raggruppare dipendenti e attività all'interno dell'impresa: altri criteri che possono essere usati sono: --economie di scala: ad es può essere conveniente raggruppare le attività di ricerca anche se riferite a prodotti diversi. --economie di impiego: può essere aumentata l'efficienza e l'utilizzazione del personale addetto alla manutenzione se, invece di mettere un addetto per ogni settore, creo un unico settore di manutenzione per l'intera azienda. --apprendimento: per aumentare le conoscenze professionali può essere produttivo creare dei gruppi costituiti da soggetti che hanno esperienze professionali diverse in modo da favorirne lo scambio --standardizzazione dei sistemi di controllo: può essere conveniente raggruppare in un unico gruppo settori che pur essendo diversi, necessitano degli stessi sistemi di controllo. Le strutture organizzative Utilizzando i vari criteri si possono avere un gran numero di tipologie organizzative, ma 3 sono le + diffuse: 1)La struttura funzionale : cioè strutturazione per funzioni con controllo stretto della direzione: questo sistema permette buoni livelli di controllo e cooperazione (ma poca flessibilità), tuttavia con il crescere dell'azienda, la direzione si troverà in difficoltà per la mole di lavoro eccessiva e allora potrebbe optare per una strutturazione sulla base del prodotto; anche se non mancano casi opposti come la Apple che cambiò la struttura originaria basata sul prodotto in una struttura funzionale dopo aver constatato che i prodotti erano incompatibili tra di loro. 2)La struttura multidivisionale basata sul prodotto (ma spesso su combinazioni ibride come quella su base geografica): è strutturata in divisioni ciascuna completamente autonoma dalle altre: le decisioni operative sono affidate a un dirigente di divisione, mentre pianificazione, operazioni finanziarie e servizi comuni sono affidate alla direzione centrale: le divisioni possono essere a loro volta divise in unità di business. 3)La struttura a matrice: le grandi aziende di solito non si strutturano in maniera univoca, ma utilizzano contemporaneamente strutturazioni diverse: ad es per una multinazionale è quasi indispensabile utilizzare anche il criterio della distribuzione geografica, oltre al multiprodotto o alla multifunzione: in questi casi si parla di strutture a matrice caratterizzate dal coordinamento tra i vari tipi di struttura: il problema di questo tipo di organizzazioni è la pesantezza e la rigidità delle procedure che porta a un sistema lento e alla formazione di staff dirigenziali con organici (quindi costi) eccessivi: e infatti negli ultimi anni molte grandi imprese hanno smantellato le proprie strutture a matrice. Strutture a coordinamento non gerarchico In alternativa alle gerarchie amministrative, sono apparse forme diverse di organizzazione, caratterizzate dalla sostituzione della gerarchia con il coordinamento volontario ottenuto con l'adattamento reciproco, e dal fatto che gli individui possono ricoprire e scambiarsi molteplici ruoli. Alcuni esempi sono: --organizzazioni basate sui team e sul progetto: si riscontrano in settori come le costruzioni e le

ricerche petrolifere: il lavoro viene organizzato in progetti molto differenziati e limitati nel tempo. --adhocrazie: sono gruppi di specialisti che collaborano in operazioni non routinarie spesso per risolvere dei problemi o per sviluppare un prodotto --gruppi autoorganizzati: si basa sull'assunto che qualsiasi gruppo tende ad auto-organizzarsi (alveari e formicai) in maniera spontanea senza bisogno di regole o di supervisori. --reti virtuali: sono costituite da migliaia di individui che collaborano tra di loro elettronicamente senza bisogno di contratti o compensi: le reti si basano sul coordinamento orizzontale. Le differenze tra forma meccanicistica e organica sono nella tab 6.2 I sistemi direzionali di coordinamento e controllo Abbiamo visto finora la struttura “fisica” dell'azienda, ma come l'hardware è un ammasso di ferraglia se non ci fosse il software che lo fa funzionare, così la struttura aziendale necessita di sistemi direzionali e in particolare di 4 sistemi: 1)i sistemi informativi: come abbiamo visto il flusso informativo ha una direzione verticale nelle strutture gerarchiche ma può anche essere sviluppato a rete o per vie orizzontali, il che renderebbe superflua la supervisione gerarchica 2)i sistemi di pianificazione strategica e 3)la pianificazione finanziaria: questi 2 argomenti sono stati saltati perchè trattati nel cap 16 al quale si rimanda. 4)I sistemi di gestione delle risorse umane:fatti i piani strategici e finanziari, alla fine ci accorgiamo che essi dipendono dal fattore umano e cioè da come gli individui si rapportano con gli obiettivi dell'azienda: assume notevole importanza quindi la gestione delle risorse umane, ossia come può l'azienda indurre i dipendenti a fare ciò che essa vuole. L'azienda può ottenere il suo scopo con la supervisione che comporta dei costi, ma può ottenere una collaborazione + efficace con i compensi e le promozioni: i compensi potrebbero essere collegati al rendimento (lavoro a cottimo e provvigione) ma è ovvio che questo si può fare nel caso di compiti eseguiti singolarmente. Ma può ottenere ancora maggiore collaborazione con i valori condivisi e la cultura d'impresa che abbiamo già visto.

CAP 7-8-9 IL VANTAGGIO COMPETITIVO (fonti, costo, differenziazione) CAP 7

NATURA E FONTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

Abbiamo visto che un'impresa può ottenere una redditività superiore posizionandosi in un settore attrattivo; ma l'intensificarsi della concorrenza ha sostanzialmente ridotto la possibilità di avere settori che garantiscono una redditività sicura. Allora devo cercare di acquisire un vantaggio competitivo sulla concorrenza puntando sulle mie risorse e competenze (stabilire i miei punti di forza e di debolezza, insistere sui primi e sviluppare i secondi) e identificando i fattori critici del successo; si tratta ora di vedere con quali meccanismi posso acquisire questo vantaggio. Cos'è il vantaggio competitivo e come nasce. Nel caso di imprese in concorrenza nello stesso settore, si parla di vantaggio competitivo quando un'impresa ottiene in maniera continuativa una redditività superiore alle altre. Le differenze di redditività tra imprese dello stesso settore possono considerarsi come uno stato di disequilibrio che, come ogni stato di disequilibrio, tende col tempo a raggiungere uno stato di equilibrio cioè ad appiattire queste differenze: possiamo allora dire che queste differenze sorgono in seguito a un cambiamento esterno che turba l'equilibrio e influisce favorevolmente su alcune imprese e negativamente su altre; l'impatto del cambiamento dipende da alcuni fattori: ---dalla turbolenza del settore: + un settore è turbolento e maggiori saranno le differenze di redditività delle aziende; ---dalla capacità di reazione delle imprese al cambiamento: ogni cambiamento crea delle opportunità; la capacità di cogliere queste opportunità in maniera veloce è chiamata imprenditorialità: per rispondere velocemente è opportuno prevedere in anticipo i cambiamenti, cogliere i cd segnali anticipati, il che significa che l'informazione diventa una risorsa cruciale. L'esempio classico è quello delle case automobilistiche giapponesi che impiegano in media 42 mesi per sviluppare un nuovo modello, contro i 62 mesi delle case USA; per Di solito i cambiamenti sono generati dall'innovazione sia tecnica ad es un nuovo processo di produzione, sia strategica, ad es un nuovo modo gestire l'attività aziendale (un modo nuovo di vendere, una nuova struttura organizzativa),un nuovo tipo di business (eBay, e-commerce); ora queste innovazioni strategiche possono essere certamente il frutto di un'intuizione brillante ma alcuni ritengono che possano anche essere studiate a tavolino ricostruendo e riorganizzando la propria catena del valore, magari confrontandola con quella della concorrenza vedi quadro 7.2. La difesa del vantaggio competitivo Il vantaggio competitivo acquisito non è stabile ma è soggetto all'erosione da parte delle imprese concorrenti che possono a loro volta innovare oppure imitare; l'imitazione è la forma + diretta di concorrenza; per imitare con successo la strategia di un'altra impresa occorre tav 7.2: 1)identificazione del vantaggio del rivale 2)incentivo, cioè vedere se “conviene” imitare 3)diagnosi cioè studiare e capire la strategia del rivale che ha portato al vantaggio competitivo 4)acquisizione delle risorse necessarie. In ciascuna di queste fasi, l'azienda che vuole conservare il vantaggio può opporre degli ostacoli (meccanismi di isolamento): 1)identificazione: nascondere la propria redditività ai rivali 2)incentivo: dissuadere e anticipare --dissuadere: le azioni di dissuasione le abbiamo già viste --prevenire i rivali: occupando nicchie strategiche esistenti o nicchie potenziali (ad es con una vasta gamma di prodotti), investendo in nuovi impianti per una produzione massiccia in modo da provocare un eccesso dell'offerta. 3)diagnosi: : individuare il vantaggio competitivo di un'azienda risulta abbastanza facile: difficile è invece capire le cause che hanno determinato questo vantaggio: questa difficoltà detta ambiguità causale, comporta che non si è mai sicuri che l'imitazione riesca (imitabilità incerta)

4)acquisizione delle risorse: le risorse e competenze necessarie all'imitazione possono essere --acquistate e hanno un loro costo detto costo di transazione tanto + alto quanto + differenziate sono le risorse (idiosincratiche); --possono anche essere create e in tal caso richiedono oltre al costo degli investimenti anche tempi piuttosto lunghi specie se si tratta di competenze organizzative. In ogni caso le imprese già consolidate nel settore, hanno il vantaggio della prima mossa: sia perchè possiedono brevetti, difesi dalla legge, sia perchè partendo primi hanno un accesso + facile alle risorse (vedi Saudi-Aramco), sia perchè occupano spazi nella distribuzione, sia perchè hanno tutto il tempo di consolidare le proprie competenze, la reputazione e il proprio pacchetto clienti, sia perchè possono fissare standard, sia perchè possono realizzare vantaggi di costo. Il vantaggio competitivo in differenti condizioni di mercato Sappiamo (cap 1), che l'attività di un'azienda può essere la produzione o il commercio (scambio): esistono quindi mercati di scambio e mercati di produzione. Mercati di scambio La cd concorrenza perfetta esiste quando sono presenti molti acquirenti e molti venditori, non c'è differenziazione di prodotto, non ci sono barriere all'entrata e all'uscita e c'è una libera circolazione di informazioni: in una situazione come questa ( detta mercato efficiente), non ci sono le condizioni per cui uno può guadagnare + degli altri: in altre parole il vantaggio competitivo è assente. Un esempio di concorrenza perfetta sono i mercati finanziari: le risorse necessarie per partecipare a un mercato finanziario sono solo 2 : mezzi finanziari e informazione: se sono disponibili per tutti i partecipanti non ci sono le basi per un vantaggio competitivo. Il vantaggio competitivo può esistere quando in questo sistema si introducono “imperfezioni” ( la cd concorrenza imperfetta) che si hanno: --quando qualcuno possiede informazioni che altri non hanno: un esempio è l'insider trading, cioè la vendita di azioni proprie da parte di un grosso dirigente ( peraltro essa è soggetta a particolari norme di legge): il dirigente possiede + informazioni degli altri e ne trae un vantaggio. --un'altra imperfezione è rappresentata dai costi di transazione, cioè i costi che si hanno nelle vendite e negli acquisti, derivanti da ricerche, negoziazioni, consulenze ecc: un operatore finanziario può ottenere un vantaggio risparmiando su questi costi: per questo i fondi indicizzati possono avere performances migliori di quelli a gestione attiva. --altra imperfezione è data da tendenze che si ripetono ciclicamente (effetto gennaio,effetto weekend) o casualmente: chi riesce a diagnosticare in tempo la psicologia di mercato acquisisce un vantaggio --anomale e sproporzionate reazioni emotive a determinate informazioni (overshooting): sono note le reazioni di massa, il cd “salire sul carro del vincitore” cioè tutti a vendere o tutti a comprare: di solito tali anomalie sono temporanee per cui molti ritengono che si possa acquisire un vantaggio agendo in controtendenza : comprare quando gli altri vendono. Mercati di produzione Per i mercati di produzione la situazione è diversa. Mentre nei mercati di scambio le risorse sono uguali (finanziarie e informazioni) e ugualmente disponibili per tutti, qui entrano in gioco combinazioni complesse di risorse e competenze molto diverse qualitativamente e quantitativamente da produttore a produttore: queste differenze in termini di risorse e competenze consentono a qualche impresa di ottenere un vantaggio competitivo sulle altre. Anche le caratteristiche del settore contribuiscono a determinare i modi in cui il vantaggio competitivo si crea e viene eroso: i settori + soggetti a cambiamenti creano maggiori opportunità di vantaggio ma sono settori in cui il vantaggio è rapidamente eroso dalla concorrenza. Per maggiore chiarezza il § 4 è stato spostato all'inizio del prossimo cap 8.

CAP 8 IL VANTAGGIO DI COSTO I modi con cui un'impresa può realizzare maggiori profitti rispetto alla concorrenza sono 2: o fornendo un identico prodotto a prezzi inferiori (vantaggio di costo) o fornendo un prodotto differenziato per il quale il cliente sia disposto a pagare di più (vantaggio differenziale): la differenziazione si ha quando l'impresa offre, ad alto prezzo, qualcosa di unico che per il cliente assume valore. Questi 2 modi comportano 2 strategie completamente diverse (vedi tab 7.4): 1)vantaggio di costo: l'impresa tende ad avere la leadership di costo nel suo settore: offre a basso prezzo un prodotto standard senza tanti fronzoli: per tenere bassi i prezzi occorre controllare rigorosamente i costi ( diminuire spese R&S, raggiungere economie di scala ecc): di solito il leader di costo non corrisponde al leader di mercato : si tratta di un piccolo concorrente che non ha una grossa quota di mercato. 2)differenziazione: l'impresa offre un prodotto unico a prezzo alto: la strategia è rivolta a elementi quali marchio, pubblicità, design, qualità. Queste 2 strategie, secondo Porter, si escludono a vicenda, ma nella realtà vediamo che un'impresa cerca di conciliare il basso costo con una differenziazione efficace: è stato questo il fattore comune di successo delle imprese giapponesi le quali hanno dimostrato che con l'innovazione tecnologica e una corretta gestione della produzione, si può offrire un prodotto di qualità a basso prezzo. Il vantaggio di costo è tradizionalmente considerato come la principale fonte di vantaggio competitivo in un settore: per gran parte del '900 le imprese hanno cercato di abbassare i costi con l'aumento del volume della produzione: oggi la tendenza è quella di ridurre i costi puntando sulla ristrutturazione, il ridimensionamento, l'esternalizzazione ecc. Nel 1968 uno studio del Boston Consulting Group mise in evidenza una regolarità sorprendente nella riduzione dei costi in relazione alla produzione:al raddoppiare della produzione cumulata corrispondeva una diminuzione dei costi unitari compresa tra il 20 e il 30% : Questa legge dell'esperienza è rappresentata graficamente dalla curva di esperienza (fig 8.1) che mostra la diminuzione del costo unitario in relazione all'aumento dell'output. La legge dell'esperienza porta immediatamente ad una conclusione: + produco e + i costi scendono, se produco + del mio rivale i miei cosi saranno + bassi e otterrò un vantaggio: di conseguenza l'obiettivo strategico di un'impresa dovrebbe essere quello di produrre di +, di vendere di+ e cioè di acquisire una maggiore quota di mercato. La Honda faceva questo ragionamento: fisso un prezzo di vendita basso: è vero che così facendo il margine tra ricavo e costo è piccolo e quindi guadagno poco, ma + produco e vendo, + il costo si abbassa e quindi aumenta il margine tra ricavo e costo: la strategia è offrire molto per vendere molto, quindi massimizzare la produzione, ampliare la gamma dei prodotti offerti, espandersi sui mercati internazionali. Perchè un aumento della produzione determina un abbassamento dei costi? La riduzione dei costi è dovuta a 4 meccanismi fondamentali (determinanti di costo) vedi tab 8.2: 1)Economie di scala Nella maggior parte dei settori il predominio delle grandi imprese è dovuto alle economie di scala che si manifestano quando un aumento della produzione provoca una diminuzione del costo unitario (la fig 8.3 che mostra questo andamento, ci fa vedere la scala minima efficiente ossia il punto di efficienza massima di un impianto: se siamo a sinistra del punto vuol dire che l'impianto non funziona al massimo regime, vuol dire che possiamo ancora aumentare la produzione e far scendere ulteriormente i costi). La diminuzione del costo all'aumento cumulativo della produzione è dovuto a: --relazioni tecniche tra input e output: grossi quantitativi di input costano meno di piccoli quantitativi --i costi incidono meno per le grosse imprese: il costo per la pubblicità di un'auto è uguale per la Toyota e per la Daihatsu ma incide meno per la Toyota che vende 20 volte + auto della Daihatsu e può “spalmare” il costo su un numero maggiore di prodotto.

--specializzazione: una maggiore produzione permette una maggiore specializzazione delle mansioni, la specializzazione favorisce a sua volta l'automazione e quindi la riduzione dei costi. L'economia di scala ci spiega perchè in molti settori ad es quello dell'auto, avviene la concentrazione cioè ci sono poche imprese di enormi dimensioni: le case + piccole sono state acquistate dalle case + grandi perchè non avevano i volumi di vendita necessari ad ammortizzare i costi di sviluppo dei nuovi modelli. Se prendessimo alla lettera quanto abbiamo detto finora, non dovrebbero esistere le piccole imprese; invece in realtà piccole e medie impresse prosperano accanto a quelle + grandi, anzi a volte hanno dei risultati migliori come è successo, nel caso delle auto, con Renault e BMW; ciò si deve a: --differenziazione del prodotto: il cliente è disposto a pagare di + un prodotto differenziato, per cui le piccole aziende possono vendere meno ma compensano con il prezzo + alto --flessibilità: le aziende + piccole si adattano + facilmente e + rapidamente alle fluttuazioni della domanda e delle preferenze dei consumatori --problemi di motivazione: un'azienda piccola si gestisce + efficacemente di una grossa in termini di rapporti con i lavoratori, di sprechi di materiale, di motivazioni ecc. 2)Economie di apprendimento Più si produce e + si impara a produrre: l'apprendimento e l'esperienza che si acquisisce mentre si lavora un prodotto determinerà via via una riduzione del tempo di produzione 3)Tecniche di produzione Di solito per produrre un bene ci sono diverse tecnologie di processo: un processo è superiore a un altro quando, per ciascuna unità di prodotto, impiega una minor quantità di input: una nuova tecnologia di processo può ridurre radicalmente i costi ma ha un costo e il risultato dipende dalla capacità delle imprese di adattare l'organizzazione e la gestione delle risorse umane alle esigenze della nuova tecnologia; in questo campo rientrano anche innovazioni non tecnologiche ma innovazioni di tipo organizzativo, basti pensare al just-in-time introdotto da Toyota. [Infine accenniamo al business process reingenering (= riconfigurazione aziendale), nato negli anni '90 che si fonda su questo concetto: i processi produttivi comportano interazioni complesse tra una molteplicità di individui: queste interazioni non sono fisse ma variano inevitabilmente col tempo per cui riconfigurare di tanto in tanto i processi aziendali può incrementarne l'efficienza. Criteri che possono guidare la riconfigurazione aziendale potrebbero essere: -combinare diverse mansioni in una sola -permettere ai lavoratori di prendere decisioni -eseguire le fasi del processo in ordine naturale -effettuare verifiche e controlli solo se sono giustificati] 4)Progettazione di prodotto Risparmi sostanziali di costo si possono ottenere da una progettazione del prodotto in maniera tale da semplificare la sua produzione ad es riducendo il numero dei componenti, adottando strutture modulari, parti comuni e intercambiabili. Anche l'offerta di un servizio può essere progettata in modo da agevolare il suo svolgimento: ad es Motel 6, una catena di motel economici leader negli USA, progetta le camere d'albergo in maniera standard, in modo da facilitarne la pulizia e la manutenzione, riducendo i costi. 5)Costi di approvvigionamento In molti settori l'acquisto di fattori di produzione a prezzi inferiori alla concorrenza può rappresentare un' importante fonte di vantaggio; Diversi sono i fattori che possono ridurre il costo degli approvvigionamenti: --differenze di prezzo dovute alla dislocazione geografica ad es il costo di manodopera --possesso di fonti di approvvigionamento a basso costo :vedi Saudi-Aramco --imprese non sindacalizzate --potere contrattuale dell'impresa nei confronti del fornitore 6)Utilizzazione elastica della capacità produttiva Nei periodi di scarsa domanda la capacità degli impianti è sottoutilizzata e ciò causa un aumento del prezzo unitario perchè i costi fissi devono essere ripartiti su un minor numero di unità del prodotto;

nei periodi di massima domanda, la produzione può essere spinta oltre la piena capacità degli impianti e ciò potrebbe determinare un aumento dei costi per il pagamento del lavoro straordinario, del lavoro notturno o festivo. Per evitare sprechi un'impresa quindi deve essere in grado di adeguare velocemente la sua capacità produttiva al livello della domanda 7)Efficienza residuale Può succedere che le determinanti di costo descritte sopra, non riescano a spiegare perchè un'impresa ha dei costi inferiori a un'altra: si parla in tal caso di efficienze residuali, intendendo con questo termine la capacità di eliminare i costi in eccesso (negli USA sono chiamati “organizational fat”): eliminare questi costi in eccesso è difficile perchè si tratta di inefficienze ormai istituzionalizzate tanto che spesso occorre un vero e proprio shock che metta a repentaglio la vita stessa dell'azienda. Catena di valori e analisi dei costi Per analizzare i costi e formulare ipotesi per ottenere vantaggi di costo, può essere utilizzata la catena del valore di Porter e considerare separatamente l'analisi di costo di ogni attività (fig 8.5). Il procedimento a grandi linee è il seguente: 1)Disaggregare l'impresa in attività separate La suddivisione dipende dal criterio adottato 2)Stabilire quali delle diverse attività, siano più importanti in relazione al loro costo (in pratica assegnare i costi per ciascuna attività) 3)Confrontare i costi di ciascuna attività con quelli dei concorrenti per capire quale attività aziendale sia efficace e quale non lo sia. 4)Identificare, per ciascuna delle attività considerate, le determinanti di costo 5)Identificare gli eventuali legami tra i costi di due attività: ad es se io compro grandi quantità di input, da un lato risparmio ma dall'altro lato posso aumentare le spese di immagazzinaggio. 6)Individuare le possibili soluzioni ad es : --se l'economia di scala è + importante ai fini di ridurre i costi, si dovrà aumentare il volume della produzione --se invece è determinante il costo del lavoro si prenderà in esame la possibilità di dislocare altrove l'azienda --se un bene non può essere prodotto nell'azienda , si potrebbe comprarlo da terzi I limiti dell'analisi dei costi Sono 2: 1)L'analisi dei costi sopra esaminata è statica: il vantaggio delle imprese giapponesi era legato alla loro concezione di efficienza dinamica incentrata sul miglioramento continuo della qualità totale: che comporta la riduzione dei costi in termini di difetti di produzione e relativi aggiustamenti, la riduzione di supervisione e manutenzione ecc. 2)E' probabile che quando un'azienda si trova in difficoltà, quel che occorre è un intervento molto più drastico nel senso che gli interventi ipotizzabili tramite l'analisi dei costi, devono essere inseriti all'interno di un cambiamento organizzativo + ampio, in sostanza bisognerà procedere a una ristrutturazione dell'azienda, del sistema gestionale, d ella strategia, tramite: --chiusura degli impianti vecchi --esternalizzazione della componentistica --riduzione forza lavoro --riduzione dei livelli gerarchici per ridurre i costi di amministrazione.

CAP 9

IL VANTAGGIO DELLA DIFFERENZIAZIONE

Un'impresa si differenzia dalla concorrenza quando offre qualcosa di unico e apprezzato dagli acquirenti e realizza un vantaggio se riesce a conseguire un premio sul prezzo che eccede il costo sostenuto per realizzare la differenziazione Il vantaggio della differenziazione ha assunto negli ultimi anni un'importanza maggiore rispetto al tradizionale vantaggio di costo: infatti l'aumento della concorrenza internazionale, in particolare quella dei paesi con basso costo della manodopera, ha reso il vantaggio di costo molto vulnerabile: essa richiede una profonda comprensione dei desideri del cliente e di come essi possano essere soddisfatti, ma richiede anche una buona dose di creatività.. Natura e vantaggi della differenziazione Si può dire che qualsiasi prodotto o servizio è suscettibile di differenziazione anche se in misura diversa: più un prodotto è complesso o soddisfa esigenze complesse e più numerose sono le possibilità di differenziazione; la differenziazione può riguardare quasi tutti gli aspetti del rapporto impresa-consumatore: --aspetti tangibili, cioè gli aspetti visibili (forma, colore, peso) o le performances (affidabilità, durata, sicurezza) o i servizi complementari come i servizi post-vendita: ad es il PC può essere ormai considerato una commodity, un bene privo di differenziazione, eppure Dell Computer è riuscita a differenziare i suoi PC garantendo tempi rapidi di consegna e offrendo servizi complementari come assistenza tecnica on line, garanzia triennale, installazione e configurazione di hardware e software. --aspetti intangibili e cioè il marchio e tutte quelle motivazioni sociali, emotive e psicologiche che sono spesso alla base delle scelte del consumatore specie per quei prodotti per i quali qualità e performances sono difficili da accertare al momento dell'acquisto (experience goods). La differenziazione è diversa dalla segmentazione: la differenziazione riguarda il modo in cui un'azienda compete, la segmentazione riguarda dove l'impresa compete: tuttavia tra i due elementi esiste una correlazione: la differenziazione può concentrarsi sul mercato complessivo o su un segmento specifico: se un'azienda offre un prodotto unico, diciamo troppo specifico, la clientela sarà molto ristretta e ovviamente non ci saranno vantaggi di costo (differenziazione focalizzata) ed è alto il rischio che i segmenti di mercato subiscano delle variazioni rapide. Un'impresa dovrebbe quindi offrire un prodotto dalle caratteristiche uniche ma che risulti attraente per un'ampia gamma di consumatori: l'esempio classico è quello di McDonald's che pone l'accento su poche qualità distintive (rapidità del servizio, convenienza, igiene) che vanno bene per tutte le fasce di età, per tutte le fasce sociali, per tutte le nazioni (differenziazione generalizzata). L'analisi della differenziazione : la domanda Per differenziare con successo occorre trovare il giusto equilibrio tra la domanda di differenziazione dei consumatori e la capacità dell'impresa di fornire un prodotto differenziato. Cominciamo con il lato della domanda. L'analisi della domanda ci permette di determinare le caratteristiche che il prodotto deve avere perchè il cliente sia disposto a pagare di più per il prodotto differenziato: quindi l'elemento fondamentale per una differenziazione di successo è “capire i consumatori”; a questo scopo si utilizzano varie metodiche: 1)multidimensional scaling: è un grafico che rappresenta le percezioni dei consumatori su somiglianze e differenze tra prodotti concorrenti e serve a stabilire le caratteristiche fondamentali del prodotto, viste dalla parte del cliente. 2)conjoint analysis: identifica gli attributi di un prodotto e analizza le preferenze dei consumatori per i diversi attributi 3)analisi dei prezzi edonistici: il prezzo di vendita di un prodotto può essere considerato come somma dei prezzi di ogni singola caratteristica del prodotto: questi singoli prezzi vengono calcolati facendo il rapporto con i prodotti simili concorrenziali:per esempio se una lavatrice a 1000 giri

viene venduta 100 € in più rispetto a una di 800 giri, questo significherebbe che 200 giri valgono 100 €. Quindi l'analisi edonistica studia le differenze di prezzo tra prodotti simili mettendo in relazione queste differenze con le diverse combinazioni di attributi. 4)analisi della curva del valore: consiste nel tracciare una curva che rappresenta la prestazione di un prodotto o servizio relativamente ai fattori di successo: si può così confrontare la curva dell'impresa con le curve dei concorrenti e stabilire gli opportuni interventi per ottenere un vantaggio di differenziazione (quadro 9.2) I fattori sociali e psicologici Questo tipo di misurazioni però non tiene conto di tutte le motivazioni del cliente all'acquisto: sono pochi i prodotti che un cliente acquista al solo scopo di soddisfare esigenze primarie di sopravvivenza; nella maggior parte dei casi il cliente acquista in base a motivazioni psicologiche, sociali, e quindi bisognerebbe analizzare approfonditamente lo stile di vita, le aspirazioni, la base culturale del cliente; come qualcuno ha detto bisogna alzarsi dalla scrivania e andare dove sono i clienti; ancora una volta le imprese giapponesi si sono dimostrate lungimiranti e da tempo puntano sull'intuito e sulle relazioni con il cliente. In sostanza l'analisi della domanda consente di capire quali caratteristiche sono più apprezzate dal consumatore e quali combinazioni di esse sono preferite: il produttore si troverà davanti a consumatori che preferiscono la combinazione X, altri che preferiscono la Y e ha quindi la possibilità di scegliere quale o quali gruppi di clienti sarà il suo obiettivo (fig 9.2) L'analisi della differenziazione: l'offerta Per ottenere un vantaggio di differenziazione l'impresa deve avere la capacità di offrire un prodotto differenziato, guardando alle risorse e competenze che possiede. Prima di tutto si può fare una distinzione tra differenziazione di prodotto e differenziazione dei servizi accessori, vedi lo schema di fig 9.3 che varia dall'offerta di prodotto + servizio ambedue differenziati , a prodotto + servizio non differenziati ( in tal caso si tratta di commodities) Perchè la differenziazione sia efficace occorre: --che l'impresa realizzi la cd integrità del prodotto cioè che metta in atto una serie di pacchetti complementari di differenziazione: in sostanza deve occuparsi non solo del prodotto ma anche che il prodotto sia coerente con la confezione, la pubblicità, l'ambiente di vendita e l'immagine stessa dell'impresa (far vendere prodotti dimagranti a uno di 200 Kg non è il massimo) --che la differenziazione sia a conoscenza dei clienti: i consumatori infatti non sempre dispongono di informazioni sulla qualità di un prodotto specie di quei prodotti le cui qualità possono essere riconosciute solo dopo il consumo (experience goods es un vino): e se il consumatore non è informato sulla qualità di un prodotto non è disponibile a spendere di più. Sono numerosi i “segnali” efficaci per comunicare al cliente la qualità: una garanzia estesa nel tempo, la promessa di un eventuale rimborso, l'accuratezza dell'imballaggio, la sponsorizzazione di attività sportive e culturali, ma anche l'immagine esterna: per es un'impresa finanziaria manda segnali di solidità e competenza con sedi di grandi dimensioni in quartieri eleganti, arredamenti d'ufficio classici, impiegati vestiti in maniera inappuntabile; altri segnali efficaci sono la pubblicità e il marchio: il marchio rappresenta una garanzia di affidabilità per il consumatore (specie nel commercio su Internet caratterizzato dall'anonimato), ma a volte incarna un modo di vedere la vita: Harley Davidson dice in una sua pubblicità: “non vendiamo un mezzo di trasporto ma uno stile di vita”(e questo fa parte di quei motivi psicologici di cui si è parlato prima) I costi della differenziazione Indubbiamente la differenziazione ha i suoi costi: input di qualità superiore, maggiore pubblicità, migliore assistenza post-vendita (costi diretti); inoltre non si può contare né su economie di scala (il volume di produzione è troppo basso) né su economie di apprendimento se la differenziazione richiede continui miglioramenti del prodotto (costi indiretti). Essendo costi strettamente legati alla differenziazione non possono essere ridotti: allora l'unico modo per ridurre i costi consiste nel posticipare la differenziazione agli ultimi stadi della catena del valore: ad es i maggiori produttori di auto hanno ridotto il numero dei pianali, riservando la differenziazione alle fasi finali cioè ai colori, finiture e opzioni accessorie: in sostanza diversi tipi di

auto possono essere costruite utilizzando la stessa catena di montaggio. Se a questo aggiungiamo i sistemi di produzione flessibile e il just-in-time, possiamo dire di essere molto vicini ad avere il prodotto personalizzato a un costo accessibile. La catena del valore nell'analisi della differenziazione Dopo aver analizzato le caratteristiche del prodotto differenziato e la capacità dell'azienda di produrlo, dobbiamo cercare di coordinare questi due elementi che, presi l'uno indipendentemente dall'altro, non funzionerebbero: a tal fine applica la catena del valore. La procedura prevede 4 fasi: 1)creare la catena di valore per l'impresa e per il cliente singolo o per più clienti (in tal caso si faranno catene di valore separate) 2)identificare i fattori che determinano l'unicità per ciascuna attività presente nella catena 3)selezionare le variabili di differenziazione + vantaggiose per l'impresa in base ai suoi punti di forza (colonna sinistra); bisogna inoltre individuare i collegamenti tra le diverse attività e la durata dei fattori di unicità (li abbiamo già visti nel cap precedente). 4)individuare i collegamenti tra la catena di valore dell'impresa e quella del cliente. Aiutandoci con il quadro 9.4 cerchiamo di capirci qualcosa di questo casino: La catena del valore dell'impresa la sappiamo ed è posta in alto in orizzontale (fino a “assistenza”) La catena del valore del cliente (che è un'altra impresa) è posta in orizzontale a destra La colonna verticale a sinistra rappresenta le opportunità di differenziazione dell'impresa-fornitore relative a ciascuna attività: ad es il riquadro corrispondente a Progettazione e design (quello che inizia con “contenitori”) ci dice che un'opportunità di differenziazione potrebbe consistere nell'avere un ufficio di progettazione talmente in gamba da poter progettare qualsiasi contenitore per qualsiasi uso. La colonna verticale di destra rappresenta le opportunità di differenziazione dell'impresa-cliente: ad es il terzo riquadro ci dice che l'impresa-cliente potrebbe fare in modo di distinguersi dalle altre perchè è capace di consegne rapide. Abbiamo così completato il quadro: si tratta adesso di far combaciare tra di loro le due catene di valore ossia di favorire le opportunità di differenziazione (o di risparmio sui costi)dell'impresacliente sfruttando o magari modificando le capacità dell'impresa-fornitore: il punto di forza dell'impresa-fornitore è Progettazione e Design? Benissimo, questo è oro colato per l'impresa-cliente perchè favorisce il suo marketing (lineetta 1), può estendere il suo parco clienti, può soddisfare un numero maggiore di clienti; ma è oro colato anche per l'impresa-fornitore perchè può richiedere un prezzo alto. Se invece l'impresa-fornitore impiega 2 secoli per le consegne perchè l'attività “gestione magazzino” e “distribuzione” fanno schifo, l'impresa-cliente non farà salti di gioia perchè questo incasina la sua gestione magazzino e provoca un aumento delle spese e disservizi per i propri clienti e le impedisce di avere il vantaggio competitivo di una consegna rapida ai propri clienti: è ovvio che a questo punto l'impresa-fornitore deve intervenire sulla sua gestione magazzino.

CAP 10-11-12 (evoluzione del settore, strategia nei settori emergenti e nei settori maturi) Stabilito che un settore evolve in continuazione, è possibile prevedere in che direzione va e quindi gestire vantaggiosamente il cambiamento? Un settore ha un suo ciclo vitale: se riusciamo a capire in quale punto del ciclo ci troviamo in un dato momento, possiamo prevedere l'evoluzione successiva e prendere i giusti provvedimenti. CAP 10 EVOLUZIONE DEL SETTORE Il ciclo di vita del settore viene tradizionalmente diviso in 4 fasi: --introduzione del nuovo prodotto --sviluppo --maturità --declino Esso può essere visto secondo due punti di vista: 1)secondo la domanda (quindi secondo le vendite) vedi fig 10.1: --fase di introduzione: vendite limitate (il prodotto non è ancora conosciuto), costi e prezzi elevati --fase di sviluppo: vendite in rapida crescita, i prezzi diminuiscono --fase di maturità: vendite pressochè stabili, prezzi in calo --fase di declino: vendite e prezzi in forte calo (sul mercato si affaccia un nuovo prodotto). 2)secondo la creazione e diffusione della conoscenza (a seconda dello sviluppo tecnologico del prodotto): nella fase di introduzione di un nuovo prodotto c'è incertezza sulla tecnologia da preferire tra le tante (ad es agli albori del computer c'era incertezza se usare dischetti o cassette per memorizzare i dati); questa incertezza finisce nel momento in cui si afferma un modello dominante e vengono stabiliti gli standard tecnici; a questo punto, avendo riferimenti certi, le imprese sono incoraggiate a investire nel processo produttivo che si perfeziona sempre di +, con i prezzi che si abbassano e le vendite che aumentano. La sovrapposizione della curva di prodotto con quella di processo ci fa notare uno sfasamento fig 10.2 , facilmente spiegabile in questi termini: quando finisce lo sviluppo del prodotto, le aziende cercano di migliorare il processo produttivo (ad es il toyotismo). Questo modello del ciclo del settore pur essendo valido in generale per tutti i settori, va tuttavia adattato a ciascun settore: ad es nei vari settori cambia la durata del ciclo (nel settore elettronica è molto breve); può anche succedere che un settore si trovi in fasi diverse in paesi diversi: ad es il settore auto è in declino negli USA mentre in Cina e India è in fase di sviluppo; ci sono settori che non conoscono declino, come quelli che producono beni di prima necessità (alimentari, case ecc); ci sono settori in declino che possono essere rivitalizzati anche + volte ad es il settore delle tv si è rivitalizzato con l'avvento del colore, poi con l'avvento dell'LCD, l'HD ecc. Il ciclo influisce su vari fattori (tab 10.1): 1)sulla struttura del settore (demografia delle imprese) cioè sul numero delle imprese: durante le prime fasi del ciclo, nel settore sono presenti poche imprese pioniere; poi il numero di imprese aumenta rapidamente sia imprese nuove sia provenienti da altri settori; nella fase di maturità il numero comincia a diminuire e si riduce alla metà in media dopo 29 anni per uscite, fusioni, acquisizioni ecc 2)sul commercio internazionale, secondo questo schema: --il nuovo prodotto nasce (e viene richiesto) nei paesi a + alto reddito (USA, Europa occ. Giappone) che provvedono all'esportazione in tutto il mondo a prezzi alti --la produzione viene trasferita nei paesi di nuova industrializzazione (Corea, Taiwan,) mentre per i paesi a + alto reddito è conveniente importare (perchè i prezzi si sono abbassati). --con la maturità il prodotto diventa una commodity, non richiede capacità tecniche sofisticate e la sua produzione è affidata ai paesi in via di sviluppo che hanno manodopera abbondante e a basso prezzo 3)sulla intensità della concorrenza:

--nella fase di introduzione le imprese si danno battaglia nel campo tecnologico: i margini sono bassi per gli alti investimenti nell'innovazione e sviluppo --nella fase di sviluppo i profitti sono alti per tutti perchè la domanda è sostenuta --nella fase di maturità la standardizzazione del prodotto determina la concorrenza sui prezzi, tanto + alta quanto maggiore è il numero dei concorrenti: i profitti calano. --nella fase di declino continua la guerra dei prezzi e i profitti scendono ulteriormente. 4)sulle fonti del vantaggio competitivo : --nella fase di introduzione la fonte del vantaggio è l'innovazione di prodotto: sono cruciali le risorse finanziarie e le competenze in materia di sviluppo --nella fase di sviluppo la sfida è la crescita:perciò occorrono risorse finanziarie, e competenze di produzione, di distribuzione di marketing, amministrative e strategiche. --nella fase di maturità la fonte del vantaggio è l'economia di costo --nella fase di declino l'impresa deve difendersi da possibili guerre dei prezzi e quindi cercare di ridurre ordinatamente la produzione. Adattamento organizzativo e cambiamento Poiché strategia e struttura organizzativa devono allinearsi con l'ambiente del settore, l'evoluzione del settore crea per il management il problema di adattare strategia e struttura per restare al passo con i cambiamenti dell'ambiente esterno. A parte le teorie della selezione (secondo cui dopo un cambiamento sopravvivono le imprese che hanno le caratteristiche + adatte) e dell'evoluzione (secondo cui sono le stesse imprese che cercano di adattarsi ai cambiamenti esterni), certo è che gli adattamenti comportano notevoli difficoltà soprattutto per le imprese consolidate: infatti davanti all'ingresso nel settore di un concorrente che porta con sé una nuova tecnologia (tecnologia di rottura), l'impresa consolidata può facilmente soccombere se non riesce a sviluppare le competenze necessarie; occorre quindi che la gestione sia basata su una strategia duale, da una parte guardare al presente e sfruttare al massimo risorse e competenze esistenti; dall'altra guardare al futuro sviluppando nuove risorse e competenze (pianificazione di medio e lungo periodo). Alcuni studiosi ritengono che un mutamento continuo e adattativo (incrementalismo logico) è efficace ma fino a un certo punto dopo il quale occorre un mutamento strategico radicale: i risultati non sempre sono positivi ma possiamo cmq portare ad esempio Nokia, nata come produttrice di carta e articoli in gomma e oggi leader nel settore della telefonia mobile. L'ideale sarebbe prevedere il futuro; questo non è possibile ma almeno si può provare a immaginare cosa potrebbe accadere: l'analisi degli scenari consiste appunto nello sfruttare le nostre conoscenze sulle tendenze attuali al fine di immaginare i possibili sviluppi futuri: a tale scopo si prospettano degli scenari multipli di come potrebbe essere il futuro a una distanza di tempo compresa tra 5 e 25 anni, facendo spesso ricorso a modelli e simulazioni per individuare tutti i possibili esiti: bisogna in ogni caso sottolineare che il valore di questo tipo di analisi non sta tanto nei risultati quanto nella gestione della conoscenza, in altre parole permette di tirar fuori idee, intuizioni, metterle sul tavolo, coordinarle, valutare le possibili combinazioni ed elaborare opzioni strategiche alternative o strategie di emergenza.

CAP 11

TECNOLOGIA E GESTIONE DELL'INNOVAZIONE: ( IL VANTAGGIO COMPETITIVO NEI SETTORI EMERGENTI ) I settori di impiego dell'alta tecnologia rappresentano gli ambienti competitivi + affascinanti e complessi: sono settori emergenti che si trovano ancora nella fase di introduzione, ma anche settori maturi particolari come il farmaceutico, il chimico, le telecomunicazioni e l'elettronica. Tradizionalmente si distingue: 1)l'invenzione: è la creazione di nuovi prodotti o nuovi processi attraverso lo sviluppo di nuove conoscenze o l'utilizzo di vecchie conoscenze; 2)l'innovazione: è la commercializzazione iniziale di un'invenzione attraverso la produzione e la vendita di un nuovo bene o servizio, oppure attraverso l'utilizzo di un nuovo metodo di produzione. Non tutte le invenzioni si trasformano in innovazioni; inoltre tra l'invenzione e l'innovazione intercorre di solito un periodo di tempo + o – lungo: es la xerografia risale al 1938 ma la sua applicazione e cioè la prima fotocopiatrice fu posta sul mercato nel 1958. Una innovazione non garantisce ricchezza e fama al suo autore o all'impresa: il valore da essa creato si distribuisce infatti tra molte parti: clienti, fornitori, imitatori oltre che all'innovatore: ad es nel caso del PC gli innovatori Apple,Xerox, hanno guadagnato di gran lunga meno degli imitatori, Ibm, Toshiba, Acer, Compaq (regime di appropriabilità debole); la casa farmaceutica Pfizer invece ha fatto un pozzo di soldi con il Viagra ( appropriabilità forte). Una volta introdotta, l'innovazione si diffonde dal lato della domanda, nel senso che i clienti cominciano ad acquistare, e dal lato dell'offerta nel senso che i concorrenti cominciano ad imitare. In ogni caso imitare non è facile per vari motivi: 1)diritti di proprietà sull'innovazione: la legge difende il diritto dell'innovatore tramite --brevetti che attribuiscono diritti esclusivi su un prodotto o un processo (negli usa durano 17 anni) --diritti d'autore che attribuiscono diritti su opere d'arte, scritti, musica ecc --marchi registrati: parole o simboli che distinguono un prodotto di un'impresa --segreti industriali, la cui protezione riguarda formule, ricette, processi C'è da aggiungere che alcune aziende preferiscono la segretezza per proteggere le loro innovazioni, vedi CocaCola. 2)codificabilità e complessità della tecnologia: --codificabilità: se l'innovazione è codificata cioè può essere spiegata ad es per iscritto, è probabile che ,in mancanza di adeguata protezione, possa diffondersi facilmente; --complessità: + una innovazione è complessa e + difficile sarà imitarla; 3)il Lead Time, ossia il vantaggio temporale: prima o poi l'innovazione sarà imitata per cui l'innovatore deve sfruttare questo vantaggio temporale per costruire le competenze e posizionarsi solidamente sul mercato, prima che entrino in campo gli altri (vedi vantaggio di costo) 4)disponibilità di risorse complementari: Carlson inventò la xerografia nel 1938, ma per molti anni non fu in grado di immettere sul mercato il proprio prodotto perchè non disponeva delle risorse complementari ossia le risorse necessarie per sviluppare, fabbricare e vendere: alla fine accettò l'aiuto di Xerox e il suo guadagno fu minimo. A volte le risorse ci sono ma occorre la collaborazione con altre imprese: gli sviluppatori delle cellule a combustibile (che sostituiranno il motore a combustione interna delle auto) hanno bisogno delle case automobilistiche che dovranno sviluppare nuovi modelli di auto, delle compagnie petrolifere che dovranno sviluppare impianti di distribuzione adatti: i profitti dell'innovazione in tal caso saranno distribuiti tra tutti i gruppi. Altre volte la collaborazione tra + aziende si trasforma in una barriera per gli altri: ad es Intel ha costruito i microprocessori in base alle esigenze di Windows: chiunque voglia fare un sistema operativo diverso da Windows, lo deve fare compatibile con esso. Ma alla fine, tutti questi meccanismi di difesa servono a poco, compresi i brevetti: nella maggior parte dei casi un prodotto tutelato da brevetto viene imitato entro 3 anni; tuttavia le imprese continuano a brevettare per motivi diversi: per bloccare gli altri, per farne uso nelle contrattazioni tra aziende, per ottenere royalties: negli anni '90 il reddito di Texas Instruments proveniente dai diritti di sfruttamento dei propri brevetti era maggiore del reddito proveniente da altre fonti.

Come si sfrutta l'innovazione Nella scelta di una strategia efficace per sfruttare l'innovazione, bisogna considerare alcuni fattori: 1)risorse e competenze disponibili Le strategie possibili sono rappresentate in tab 11.3. Le scelte vanno dalla concessione di licenze (rischio basso, redditività limitata, scarso impegno di risorse proprie) alla gestione in proprio del processo di commercializzazione (alta redditività, ingenti risorse necessarie) passando attraverso gradi intermedi (esternalizzazione, alleanze, jointventure); quindi: --se l'impresa ha i diritti di proprietà su un'innovazione potrebbe concedere ad altri la licenza di sfruttamento: nel settore farmaceutico le licenze sono molto diffuse: molte imprese impegnate nelle biotecnologie si dedicano unicamente nella R&S e concedono in licenza le loro scoperte alle aziende che possiedono le necessarie risorse complementari. Il vantaggio di concedere una licenza sta nel fatto che non c'è bisogno di possedere risorse e competenze e che la commercializzazione avviene rapidamente: lo svantaggio è che il successo dipende dall'impegno di chi acquista la licenza. --le grandi imprese invece possono contare su abbondanti risorse e competenze e sono quindi in grado di attuare in proprio la commercializzazione interna. 2)scelta del momento ottimale per l'entrata nel settore: --se si dispone di diritti di proprietà, essere pionieri è vantaggioso (si può sfruttare il lead time) --ugualmente se si entra presto nel settore ci si può avvantaggiare stabilendo gli standard --se si hanno poche risorse e molte idee, l'unico modo per avvantaggiarsi è fare la prima mossa --se il ruolo delle risorse complementari è importante, è + conveniente entrare in un periodo successivo:ad es nel campo dei PC, Apple era un pioniere, entrò per prima nel settore grazie alle sue competenze tecnologiche; IBM entrò successivamente, quando i rischi iniziali erano finiti, mettendo in campo le sue enormi competenze produttive, di marketing e di distribuzione 3)gestione del rischio I settori emergenti sono molto rischiosi per 2 motivi. 1)per l'imprevedibilità dell'evoluzione tecnologica 2)perchè non è possibile sapere in anticipo le dimensioni e i tassi di crescita del mercato del nuovo prodotto (non si sa quanto si venderà). Per minimizzare il rischio è opportuno: 1)cercare la collaborazione degli acquirenti principali: ad es nel settore informatico è consuetudine distribuire le cd versioni beta agli utenti perchè siano testate 2)adottare politiche finanziarie rigorose, ricercando se necessario, la collaborazione di altre aziende (alleanze, joint-venture) per le iniziative + importanti e onerose 3)acquisire una flessibilità che permetta di rispondere rapidamente ai segnali del mercato: Honda entrò nel mercato americano con moto di grossa cilindrata ma di fronte al fallimento, virò verso la produzione del Supercub da 50 cc; flessibilità vuol dire anche lasciarsi tutte le porte aperte: all'epoca della sostituzione del DOS, Microsoft presentò il suo Windows, ma contemporaneamente collaborava con IBM che promuoveva il suo OS/2, con Apple che presentava il suo McIntosh e con Sun che proponeva il suo Unix. Gli Standard L'affermazione di uno standard è un evento fondamentale nello sviluppo di un settore: le imprese che possiedono gli standard di un settore possono ottenere rendimenti elevati: molte imprese devono il loro successo al controllo degli standard in una determinata categoria di prodotti es Microsoft con lo standard Windows per i sistemi operativi, Intel con la serie di processori 086, Matsushita con lo standard VHS per i videoregistratori Sostanzialmente uno standard è un sistema che permette l'interoperabilità: ad es se non ci fosse lo scartamento ferroviario standard in Europa dovremmo cambiare treno ogni volta che passiamo una frontiera. Gli standard possono essere pubblici, cioè non hanno proprietà e spesso sono fissati dal governo o da organismi internazionali a ciò preposti (es le norme ISO); oppure privati, e sono di proprietà di

imprese o di singoli; inoltre possono essere aperti se i dettagli sono resi a terze parti, oppure chiusi se non sono messi a disposizione (es Windows) Gli standard si rendono necessari per quei prodotti o servizi che sono soggetti alle cd esternalità di rete, ossia per quei prodotti o servizi che hanno valore se molti altri utenti ne fanno uso: ad es il telefono ha valore per l'utente se ci sono altri utenti connessi alla sua linea: non è necessario che il prodotto sia esattamente lo stesso, è sufficiente che sia compatibile con lo standard. L'esternalità di rete determina particolari effetti sul mercato detti effetti di rete: ad es. nel caso siano presenti 2 standard, i fornitori di risorse complementari preferiscono offrire i loro prodotti allo standard + affermato sul mercato: ad es nel caso dei sistemi operativi, i fornitori di software preferiscono immettere prodotti compatibili con Windows anziché compatibili con McIntosh, per il semplice fatto che il Mcintosh di Apple rappresenta meno del 10% del mercato dei sistemi operativi; d'altra parte il cliente preferisce acquistare Windows per non avere problemi di incompatibilità con il software e non dovere essere costretto a cambiare: come si vede si instaura un circolo virtuoso per cui uno standard predominante attrae nuovi clienti che lo rendono ancora + attrattivo: e infatti i mercati soggetti a esternalità di rete sono spesso dominati da un singolo produttore. A questo aggiungiamo che una volta fissato, lo standard tecnico difficilmente può essere sostituito sia per gli effetti di rete sia per gli effetti di apprendimento che provocano continui miglioramenti: ad es il motore rotante Wankel è potenzialmente superiore al motore a 4 tempi, ma lo usa solo la Madza; la tastiera QWERTY fu inventata per rallentare la velocità di battitura ed evitare così che le stanghette delle macchine da scrivere si incastrassero tra di loro; la tastiera DVORAK è senz'altro più veloce ma era troppo complicato per clienti e produttori di tastiere cambiare standard per cui la qwerty è rimasta regina del mercato. Dato che il controllo degli standard è alla base del vantaggio competitivo, occorre che l'impresa sviluppi una strategia adatta allo scopo ; questa strategia deve mirare al circolo virtuoso secondo cui chi riesce a far diventare dominante il proprio standard tende ad attrarre sempre + utenti: per far questo, per far diventare il “carro del vincitore” sempre + grande, come dice Shapiro, occorre: 1)radunare quanti + alleati possibile prima di partire (consumatori, fornitori e persino concorrenti) 2)entrare presto sul mercato, sviluppare rapidamente il prodotto, stringere accordi subito con i principali clienti e occupare il mercato 3)convincere clienti, fornitori e produttori di beni complementari, magari rinunciando a parte del proprio reddito ad es mettendo il proprio standard a disposizione di fornitori di prodotti complementari o concedendo loro la licenza a condizioni molto vantaggiose o persino immettendo gratis il prodotto sul mercato (come fece Microsoft con Internet Explorer nella lotta contro Netscape per l'affermazione del browser ): nelle fasi iniziali di sviluppo dei videoregistratori si affrontarono 2 standard, il Betamax della Sony e il VHS della Matsushita che alla fine ottenne la vittoria perchè concesse le licenze a Sharp, Philips ed altri concorrenti (massimizzando la propria presenza sul mercato, rendendo + grande il carro del vincitore);Sony tenne il Betamax tutto per sé e perse. In ogni caso bisogna dire che le imprese tendono + a collaborare per istituire standard comuni che a farsi la guerra che potrebbe essere molto pericolosa per i contendenti. L'implementazione della tecnologia Pur ammettendo che l'innovazione sia frutto della creatività, la domanda è se in qualche modo è possibile creare condizioni favorevoli all'innovazione: la risposta è che la creatività non è soltanto una questione di intelligenza individuale ma dipende dall'esistenza di condizioni organizzative che consentano di generare idee. Molti studi empirici mostrano che la creatività è stimolata dall'interazione tra persone e in particolare dall'interazione tra personalità e punti di vista differenti: i creativi vengono spesso riuniti in un team di cervelli guidati da un manager con il compito di indicare le linee guida. Ma la creatività serve a poco se non è collegata alle competenze di produzione, marketing, finanza, distribuzione ecc.: si tratta quindi di coordinare 2 sistemi (quello che idea e progetta un prodotto innovativo e quello che lo realizza e lo immette sul mercato) che sono organizzati in maniera completamente diversa e tra i quali possono sorgere tensioni e conflitti: questo è un problema che

riguarda le grandi imprese le quali cercano di superare queste difficoltà con diversi meccanismi: 1)le incubatrici: consistono nel creare unità staccate e autonome dedicate a promuovere e finanziare nuove opportunità imprenditoriali 2)gruppi interfunzionali di sviluppo del prodotto: si tratta di un tipo particolare di coordinazione tra sviluppo e produzione messa in atto dalle industrie giapponesi nel settore auto, elettronica e costruzioni: normalmente l'auto prima viene disegnata e progettata dagli ingegneri: il progetto passa quindi alla produzione, poi al marketing ecc.; se si presenta qualche difetto l'auto ritorna alla fase di progettazione per le modifiche necessarie e deve rifare tutta la trafila. Il sistema giapponese invece prevede l'unificazione di tutte le funzioni, cioè progettisti, addetti alla produzione, alle vendite, al marketing lavorano insieme : se si presenta un difetto viene corretto in corso d'opera senza bisogno che si ricominci tutto da capo. 3)i product champions: consiste nell'affidare allo stesso ideatore dell'innovazione il ruolo di leader nella commercializzazione del nuovo prodotto per sfruttare il suo entusiasmo e la sua voglia di fare..

CAP 12 IL VANTAGGIO COMPETITIVO NEI SETTORI MATURI I settori maturi -cibo, energia, costruzioni, auto, servizi finanziari e ristorazione- rappresentano la spina dorsale delle economie dei paesi industrializzati. Diciamo subito che maturità non significa per forza mancanza di opportunità o di innovazione: molti settori maturi sono stati trasformati da nuove tecnologie e nuove strategie. I fattori critici di successo nei settori maturi Un settore maturo ha 2 caratteristiche fondamentali: 1)le opportunità di ottenere un vantaggio competitivo sono ridotte 2)la natura del vantaggio competitivo è legata + a fattori di costo che di differenziazione. Ciò è dovuto al fatto che siamo di fronte a un prodotto standardizzato e a una produzione standardizzata e massiccia, in un ambiente caratterizzato da un elevato numero di concorrenti. In questa situazione un'impresa deve puntare a: 1)risparmiare sui costi 2)posizionarsi su segmenti di mercato favorevoli 3)differenziarsi in qualche modo 4)cercare di innovarsi, se possibile 1)Risparmiare sui costi Si può risparmiare sui costi attraverso: --economie di scala --con l'accesso a input a basso costo: in particolare tra gli input assume rilievo il costo del lavoro e in questo sono favorite le piccole imprese perchè poco sindacalizzate --con un controllo rigoroso delle spese generali. Bisogna cmq dire che l'efficienza di costo raramente è fonte di vantaggio competitivo, piuttosto si rivela strumento efficace per la sopravvivenza dell'impresa: quando un'impresa deve sopravvivere in attesa di tempi migliori, deve attuare una strategia che comporta una riduzione aggressiva dei costi (eliminando la produzione in eccesso, congelando i nuovi investimenti, tagliando i fondi R&S) e una focalizzazione sui segmenti + redditizi. 2)Politiche di posizionamento Consistono nella scelta di nicchie trascurate dalla concorrenza (i grandi magazzini Wal-Mart sono ubicati nei piccoli centri, trascurati dalla grande produzione) o nella creazione di nuovi segmenti (es la Smart nel settore auto): tutto questo comporta una ulteriore segmentazione del mercato fin quasi a livello del singolo consumatore al quale viene praticamente offerto un prodotto personalizzato; questo è possibile grazie anche alle capillari informazioni fornite dalle banche dati di aziende specializzate che registrano + o – legalmente tutte le transazioni del cliente. 3)Differenziarsi dalla concorrenza Poiché la differenziazione di prodotto o di processo non è possibile, le imprese cercano di differenziarsi nei servizi complementari: ad es nel settore auto la somiglianza dei modelli ha spostato la competizione sui servizi di leasing, finanziamento, assistenza post vendita; oppure si cerca di puntare sull'immagine del prodotto o sullo stile dei punti di vendita. 4)L'innovazione Maturità non significa assenza di innovazione: ci sono settori maturi in cui l'innovazione assume importanza rilevante (ad es il settore farmaceutico e aerospaziale): però in linea generale le opportunità di acquisire un vantaggio competitivo sulla base di una innovazione è molto basso: se consideriamo che siamo in una fase in cui si è conclusa l'innovazione del prodotto e anche l'innovazione del processo, quel che rimane possibile è un'innovazione strategica (fig12.1), che può certo basarsi sull'analisi della catena del valore, ma potrebbe comprendere altri elementi ad es l'acquisizione di nuovi gruppi di clienti ( i videogiochi non sono + solo per bambini ma anche per adulti) oppure ampliare i servizi tradizionali con servizi + o – correlati (ad es Arco, ha innovato le sue stazioni di rifornimento trasformandole in negozi di alimentari e prodotti per la casa). Quel che occorre sottolineare cmq è che l'innovazione strategica richiede un gruppo imprenditoriale con capacità creative e mentalità tanto aperta da accettare che i processi decisionali coinvolgano anche personale di livello gerarchico inferiore: i manager di imprese consolidate tendono invece a

restare ancorati ad approcci tradizionali e cedono all'innovazione solo in risposta alle sfide dei concorrenti La struttura dei settori maturi (tab 12.2) Gli ambienti stabili necessitano di un'organizzazione meccanicistica caratterizzata da una struttura accentrata con ruoli ben definiti e scambio di informazione verticale; l'efficienza viene ottenuta tramite routines standardizzate, parcellizzazione del lavoro e uno stretto controllo manageriale basato su principi burocratici: queste organizzazioni sono tipiche dei settori caratterizzati da produzione su larga scala con elevato grado di specializzazione sia verticale che orizzontale; la specializzazione verticale si riflette nella concentrazione delle decisioni ai vertici dell'impresa, quella orizzontale si manifesta attraverso l'organizzazione per divisioni funzionali piuttosto che su divisioni di prodotto. Nella realtà caratteristiche uguali si riscontrano solo parzialmente: ad es McDonalds segue procedure operative fortemente standardizzate. Nel corso degli ultimi 10 anni però le tendenze si sono alquanto invertite perchè: --l'instabilità ambientale richiede quella flessibilità che le imprese fortemente accentrate non possiedono --le organizzazioni di questo tipo con la loro rigidità tendono ad ostacolare l'innovazione --le nuove tecnologie di processo permettono di coniugare efficienza di costo e produzione diversificata in tempi brevissimi per cui la struttura rigida non è indispensabile. --la rigidità delle procedure e dei controlli può essere causa di alienazione e conflitti. Sulla scia di queste tendenze, le imprese dei settori maturi hanno subito forti riorganizzazioni che hanno comportato un maggiore coinvolgimento dei manager a livello di business e minor coinvolgimento a livello di gruppo, minore attenzione alle economie di larga scala e maggiore attenzione alle esigenze dei consumatori, maggiore flessibilità per adattarsi rapidamente al mercato, minor grado di controllo e supervisione. Le strategie nei settori in declino Il passaggio dalla maturità al declino può essere dovuto a un avvicendamento tecnologico, a un cambiamento delle preferenze dei consumatori, a un fenomeno demografico (nascono pochi bambini), a concorrenza straniera. Questi settori sono caratterizzati da: --eccesso di offerta --assenza di innovazione --concorrenti in diminuzione --concorrenza di prezzo molto aggressiva. Il dato + importante è che la domanda diminuisce ma l'offerta diminuisce + lentamente della domanda per cui c'è sempre un eccesso di capacità produttiva. La soluzione di questo problema è dunque il riallineamento continuo della capacità del settore alla diminuzione della domanda: se non si riesce in questo ci sarà una competizione accesa sui prezzi. La possibilità di adeguare la produzione alla domanda dipende da: 1)prevedibilità del declino: se riesco a prevederlo, posso prepararmi adeguatamente ad affrontarlo. 2)la presenza o l'assenza di barriere all'uscita: per un'impresa potrebbe essere difficile diminuire la produzione o uscire da un settore: --se l'impresa ha investito in impianti costosi e che hanno una vita lunga --se i costi per la chiusura dell'impianto sono elevati --se il nome, la tradizione, la lealtà verso i dipendenti lo impediscono 3)dalla buona disposizione delle imprese superstiti ad arrivare a un accordo che porti alla diminuzione della produzione. Secondo Harrigan e Porter, le linee strategiche possibili sono (fig 12.2): --Raggiungere la leadership del settore ad es con l'acquisizione delle imprese concorrenti o convincendole ad abbandonare il settore. --Scegliere una nicchia favorevole, cioè una nicchia a domanda stabile che non sarà occupata da altre imprese

--Mietitura, cioè sfruttare il massimo e non fare ulteriori investimenti: ad es ridurre al massimo i costi attraverso la riduzione del numero dei modelli --Abbandonare la produzione, meglio se la dismissione viene effettuata nelle fasi iniziali del declino quando è + facile trovare un acquirente.

CAP 13

L'ANALISI DELL'INTEGRAZIONE VERTICALE

[NOTA I capitoli 13, 14 e 15 riguardano la strategia di gruppo che, come sappiamo, riguarda il dove l'impresa compete] Introduzione: chiariamo la terminologia. Se ci guardiamo intorno vediamo che le imprese non sono tutte uguali. --La CocaCola produce una bevanda, la Samsung produce una molteplicità di beni: la CocaCola è un'impresa specializzata perchè opera in un unico settore, Samsung è un'impresa diversificata perchè opera in + settori (diversificazione di prodotto o integrazione orizzontale) Domanda: è + conveniente che un' impresa si specializzi in un unico prodotto oppure che produca una molteplicità di beni? --Molte grosse imprese hanno fabbriche sparse in vari paesi (diversificazione geografica): è + conveniente che un'impresa produca in una sola fabbrica lo stesso bene per 3 paesi oppure che ci sia una fabbrica per ogni paese ? --per fare lattine occorre produrre prima l'acciaio e poi il laminato e infine stampare le lattine: è + conveniente che un'impresa si occupi di tutte tre le fasi (integrazione verticale) oppure che ciascuna fase sia fatta da 3 imprese diverse? Walt Disney è un'impresa verticalmente integrata perchè produce e distribuisce i propri film. Dell è un'impresa verticalmente specializzata perchè esternalizza cioè affida ad altre imprese molte attività della sua catena del valore come la produzione dei componenti, l'assemblaggio, la logistica. Come si fa a scegliere? Il principio guida è la differenza tra costi di transazione e costi amministrativi. --nel caso dell'integrazione verticale, se ad es una casa automobilistica ha bisogno per le sue auto delle serrature, deve valutare se le conviene acquistarle da un'altra azienda (costi di transazione) oppure fabbricarsele da sé (costi amministrativi); --nel caso della diversificazione geografica, se i costi di trasporto (costi di transazione) sono superiori ai costi amministrativi, allora conviene impiantare una fabbrica per ogni paese. La storia economica ci dice che fino a pochi anni fa le imprese sono cresciute verticalmente, geograficamente e orizzontalmente; ma negli anni '80-'90 la tendenza si è invertita, le imprese di maggiori dimensioni hanno ridotto sia il loro livello di diversificazione concentrandosi sul core business, sia il grado di integrazione verticale attraverso l'esternalizzazione di molte attività: questa tendenza è stata messa in relazione con le turbolenze dei mercati in seguito agli shock petroliferi del 1973 e 1980, e questo ci dice che quando il mercato è turbolento i costi amministrativi (cioè quelli relativi alla gestione interna delle attività) tendono ad aumentare e a superare i costi di transizione per cui è + conveniente esternalizzare. L'integrazione verticale L'integrazione verticale consiste nell'internalizzare una serie di attività verticalmente correlate; essa si distingue in: --integrazione a monte: l'impresa assume il controllo e la produzione di quelli che per lei sono gli input --integrazione a valle: l'impresa assume il controllo e la proprietà dei suoi clienti. L'integrazione verticale inoltre può essere completa quando tutta la produzione a monte viene trasferita allo stadio successivo; quando gli stadi di produzione sono invece insufficienti o in eccedenza si parla di integrazione parziale: ad es Philips produce tubi catodici per i propri televisori in quantità insufficienti per cui ne deve acquistare da altre aziende; alcune compagnie petrolifere estraggono + di quanto possono raffinare e vendono questa eccedenza a quelle compagnie che viceversa hanno un eccessiva capacità di raffinazione. I costi di transazione I vantaggi dell'integrazione verticale sono attribuiti alla integrazione fisica dei processi che

determina un risparmio di costo: così è + conveniente che una industria produca insieme acciaio e laminato anziché avere due industrie separate che producano una l'acciaio e l'altra il laminato non fosse altro perchè si risparmiano le spese di trasporto: si potrebbe obiettare che lo stesso risparmio si avrebbe se mettessimo le due fabbriche, con proprietari diversi, una accanto all'altra, ma non è così . Il fatto è che tra le 2 fabbriche vicine si instaura un monopolio bilaterale: il produttore di laminato si trova legato al produttore di acciaio e viceversa: questo legame non è solo un legame di mercato ma è anche di struttura nel senso che gli impianti di ciascuna impresa devono essere costruiti in modo da corrispondere a quelli dell'altra: il che vuol dire che le due imprese devono investire notevoli cifre per questi adattamenti e che questi impianti essendo complementari non servono a nulla se presi separatamente; in queste condizioni arrivare a un accordo diventa problematico perchè ciascuna delle parti cerca di accrescere il proprio potere contrattuale a danno dell'altra: si tratta di un rapporto difficile e costoso che nemmeno il contratto riesce a risolvere: se è troppo vago si avranno controversie future, né può essere molto dettagliato perchè, visto che è destinato a durare molti anni, nessuna delle due parti può prevedere cosa succederà nel corso degli anni. Riassumendo, è + conveniente che ci sia una sola fabbrica che produca acciaio e laminato anziché 2 fabbriche separate, anche vicine, perchè in questo caso i costi di transazione (contrattazione, controversie ecc) sono + alti dei costi amministrativi interni che si avrebbero nel caso dell'unica fabbrica. Nella scelta tra integrazione e esternalizzazione bisogna dunque tener conto dei pro e dei contro, dei costi di transazione e dei costi amministrativi di internalizzazione: in particolare: --differenze nella scala efficiente minima: se avessi bisogno per la mia azienda anche di 100 mila automobili, certo non mi sognerei di produrle in azienda, perchè so che non potrei mai raggiungere la soglia di efficienza minima che è di milioni di auto --competenze distintive: se avessi bisogno di particolari computer non li costruirò io stesso perchè non possiedo le competenze distintive che può avere un'impresa specialistica come la IBM. Se però le due attività sono strettamente correlate allora l'integrazione è conveniente: ad es Intel potrebbe limitarsi a progettare microchip e affidare la produzione ad altri ma in questo caso l'esternalizzazione non sarebbe opportuna perchè in questo specifico campo è importante la coordinazione tra progettazione e produzione. --competenze di gestione: la gestione di attività diverse come produzione e distribuzione richiede competenze organizzative e gestionali diverse per cui difficilmente una azienda di produzione internalizza anche la distribuzione. --incentivi: se acquisto un componente da un'altra azienda, ho una certa garanzia che l'azienda ha tutto l'interesse ( incentivo forte) ad operare bene per trattenermi come cliente; se invece il componente viene prodotto all'interno della mia azienda questi incentivi potrebbero essere deboli; per questo motivo molte aziende creano organizzazioni di servizi condivisi in cui i fornitori interni competono con quelli esterni per servire la divisioni operative dell'azienda. --l'integrazione verticale di un'attività potrebbe essere vista negativamente dai concorrenti che esercitano la stessa attività: quando Walt Disney acquisì ABC,( uno studio cinematografico), gli altri studi furono restii a collaborare con essa. --per quanto riguarda la flessibilità si ritiene che se la flessibilità riguarda lo sviluppo del prodotto che richieda determinate competenze tecniche come nel caso del settore dell'elettronica, l'esternalizzazione si rivela uno strumento efficiente; se invece è richiesta una flessibilità diffusa nel sistema allora l'integrazione verticale può garantire risultati efficaci come dimostra la Zara (quadro 13.1), una casa di abbigliamento spagnola, caratterizzata da una straordinaria velocità di reazione alla domanda di mercato: dal design alla consegna passano in media 2 settimane contro i 6 mesi di altre case di moda: la casa spagnola è fortemente integrata a partire dalla produzione dei tessuti, al design, alla confezione , alla distribuzione, alla vendita nei propri negozi; il tutto viene effettuato in piena coordinazione tra i vari reparti compresi gli specialisti di mercato che gestiscono rapporti bisettimanali con i punti vendita e permettono la veloce risposta alle richieste del mercato. --il rischio dell'integrazione verticale è che un qualsiasi problema a monte si ripercuote su tutti gli

stadi successivi della produzione. Le relazioni verticali Finora abbiamo limitato la scelta dell'impresa a due sole opzioni: o “fare” il prodotto (make) o “comprare” il prodotto (buy) da un'altra impresa Tra i due estremi, contratti di mercato (buy) e integrazione verticale completa (make) esiste un'ampia gamma di relazioni verticali intermedie che possono essere classificate --a seconda della misura in cui acquirente e venditore impegnano risorse: dai contratti occasionali che non impegnano nessuna risorsa all'integrazione verticale che richiede cospicui investimenti. --a seconda della forma: cioè se occorre o meno un contratto. I diversi tipi di relazione presentano vantaggi e svantaggi (fig 13.4): --i contratti spot e a lungo termine: comportano rispettivamente una singola transazione o una serie di transazioni durante un certo arco temporale e specificano condizioni di vendita e responsabilità delle parti: i contratti a lungo termine presentano gli svantaggi visti in precedenza (cioè rischiano di essere o troppo vaghi o troppo vincolanti) --partnership con i fornitori: si tratta di un'intesa con i fornitori basata sulla reciproca fiducia e sulla stretta collaborazione: il modello di riferimento è quello giapponese . --franchising: presenta il vantaggio della stretta collaborazione (come nell'integrazione) con il forte incentivo e la flessibilità tipici del contratto di mercato. Nella scelta tra le varie forme di rapporto bisogna tener conto: --dell'allocazione del rischio: cioè la divisione dei rischi tra le parti: ad es nel franchising il rischio è tutto della parte + debole cioè del franchesee che mette il capitale --gli incentivi: spesso l' incentivo + efficace per un servizio di qualità è la prospettiva di un contratto di lunga durata, specie negli appalti dei servizi pubblici Tendenze recenti Possono riassumersi in 3 punti: --continua la tendenza delle grandi imprese all'esternalizzazione delle proprie attività: il rischio è la perdita delle proprie competenze; in un'esternalizzazione spinta al massimo, l'impresa diventa virtuale cioè mantiene solo il compito di coordinare l'attività di altre imprese, compromettendo le sue capacità di innovazione e sviluppo. --è radicalmente cambiato il rapporto fornitori-impresa: come già da tempo fanno le imprese giapponesi, questo rapporto si basa sulla reciproca fiducia, sulla collaborazione e sul coinvolgimento dei fornitori, coinvolgimento che può essere reso ancora + stretto, con l'acquisizione da parte del fornitore di quote azionarie dell'impresa e, viceversa con l'acquisizione da parte dell'impresa di quote azionarie del fornitore; . --sono diventati frequenti i rapporti di stretta collaborazione verticale tra le piccole imprese che operano in determinati settori: un eloquente esempio sono le piccole imprese del nord-est dell'Italia nel settore tessile e dei motocicli, i cd distretti industriali.

I pro dell'integrazione verticale: --eliminazione dei vincoli monopolistici --riduzione costi di contrattazione --risparmio di risorse nel processo produttivo --assenza di vincoli istituzionali --economie di scopo

I contro: --incremento costi fissi --poca flessibilità --incapacità di sviluppo competenze distintive --difficile gestione di attività diverse strateg. --ripercussioni dei problemi a valle

CAP 14

GLOBALIZZAZIONE E IMPRESE MULTINAZIONALI

L'internazionalizzazione procede attraverso 2 meccanismi: A)il commercio internazionale (CI): possibilità di vendere e comprare prodotti sui mercati esteri B)gli investimenti diretti esteri (IDE): possibilità di produrre all'estero La combinazione di questi 2 elementi porta all'identificazione di 4 tipi di settore (fig 14.1): 1)settori protetti: sono settori di servizi frammentati (parrucchieri, riparazioni auto ecc), piccole produzioni (es artigianali), produzioni non commerciabili perchè deperibili (es latte fresco, pane); si tratta di settori a dimensione nazionale o locale –basso CI, bassi IDE2 )settori internazionali: bassi IDE, alto CI: si riferisce a prodotti trasportabili, non differenziati a livello nazionale: aerei navi, prodotti agricoli 3)settori multidomestici: alti IDE, basso CI: si tratta ad es di servizi finanziari, alberghieri ecc.che si internazionalizzano per investimento diretto perchè il loro commercio non è praticabile. 4)settori globali: alto CI, alti IDE:es auto, semiconduttori, elettronica. Gli effetti dell'internazionalizzazione sulla concorrenza L'internazionalizzazione ha conseguenze prevalentemente negative sulla concorrenza e sulla redditività di settore: infatti applicando il modello delle 5 forze di Porter, l'internazionalizzazione influisce sulla concorrenza in 3 modi: 1)aumenta l'ingresso di nuovi concorrenti per riduzione delle barriere in entrata (facilità nei trasporti, riduzione tariffe e protezioni doganali) 2)intensifica la rivalità tra imprese esistenti perchè, oltre ad aumentare il numero dei concorrenti --aumenta la diversità (ad es nel settore auto USA le tre sorelle, Ford, GM e Chrysler erano molto vicine come strategia, costi, obiettivi e si facevano una concorrenza blanda: l'ingresso delle case giapponesi negli anni '70, ha alterato questo equilibrio) --aumenta la capacità produttiva, quindi l'offerta, senza che la domanda aumenti. 3)aumenta il potere contrattuale degli acquirenti: i grandi acquirenti hanno maggior peso, possono scegliere tra un numero + alto di fornitori di materie prime (quindi spuntare un prezzo + basso). Il vantaggio competitivo nel contesto internazionale Perchè ci sono paesi in cui nascono imprese che poi sfondano sui mercati internazionali? Perchè evidentemente l'ambiente nazionale in cui queste imprese nascono e si sviluppano, offre condizioni favorevoli. In che modo l'ambiente nazionale influenza il vantaggio competitivo internazionale? Essenzialmente attraverso la disponibilità delle risorse: un paese che possiede risorse abbondanti per produrre un determinato bene ha un vantaggio comparato nella produzione di quel bene: ad es se un paese abbonda di manodopera non specializzata, sarà favorito nella produzione di quei beni che hanno bisogno di manodopera non specializzata tipo articoli in pelle, abbigliamento e avrà un saldo commerciale positivo (performance commerciale positiva) nel settore pelli e abbigliamento. Per risorse si intendono: --risorse naturali, manodopera, disponibilità di capitali --ma anche risorse sviluppate internamente come la conoscenza (tecnologia posseduta, capitale umano) e le risorse che aiutano a sfruttarla (reti di trasporto e diffusione della conoscenza): le tigri asiatiche (Corea, Taiwan, HongKong, Malaysia e Singapore) hanno compensato la scarsità di risorse naturali con la ricchezza di conoscenza, di manodopera, di capitali. --anche la cultura nazionale può essere considerata come una risorsa: la capacità delle aziende giapponesi di integrare differenti tecnologie è collegata a 2 elementi tradizionali dei nipponici: la facilità di assimilare idee esterne e il comportamento cooperativo. Porter, sempre lui, ha elaborato l'ennesima analisi a diamante per spiegare la rilevanza che hanno le condizioni nazionali sul vantaggio competitivo internazionale delle imprese, fig 14.3. Le imprese multinazionali di successo nascono in quei paesi in cui sono presenti: --condizione dei fattori: sono le risorse sviluppate internamente e quelle altamente specializzate --settori correlati e di sostegno: ci sono settori collegati strettamente tra loro che si rafforzano uno con l'altro es semiconduttori, computer e software

--condizioni della domanda sul mercato interno: il dominio dei giapponesi nel mercato delle macchine fotografiche è dovuto alla domanda alta e continua dei consumatori giapponesi --strategia, struttura e concorrenza del mercato interno: un mercato nazionale fortemente concorrenziale rappresenta un forte stimolo all'innovazione e al successo internazionale: l'es è quello delle case automobilistiche giapponesi che sono leaders a livello mondiale perchè in casa si fanno una concorrenza spietata. In base a questi elementi si opera la scelta della strategia di internazionalizzazione da adottare e in particolare dove localizzare la produzione e come entrare in un mercato straniero. Localizzazione geografica. La scelta circa la localizzazione della produzione dipende da 3 fattori: --1)disponibilità di risorse locali: le imprese dovrebbero localizzare la produzione nei paesi con maggior quantità di risorse adatte disponibili: Nike localizza la sua produzione in Cina, India ecc dove la risorsa manodopera è abbondante e a basso costo --2)specificità del vantaggio competitivo: la produzione di un bene che richiede risorse e competenze interne deve essere localizzato nel paese dove tali risorse sono presenti: il vantaggio di Toyota sta nelle sue competenze di progettazione, sviluppo e realizzazione dell'auto e il posto migliore per svolgere queste attività è il Giappone, a meno che Toyota non riesca a trasferire queste competenze in un paese straniero --3)trasferibilità dei beni: se un bene è facilmente trasferibile da un paese all'altro (perchè i costi di trasporto sono bassi e non ci sono particolari barriere) l'internazionalizzazione conviene. Ma possiamo spingerci oltre operando la cd frammentazione della catena del valore: ad es un'impresa tessile potrebbe localizzare la produzione del tessuto nei paesi ad economia agricola che forniscono lana e cotone, filatura e tessitura nei paesi di recente industrializzazione, confezionamento nei paesi a manodopera abbondante e a basso costo; Nike ha localizzato design, R&S negli USA, produzione di tessuti e componenti in Corea, Taiwan e Cina e assemblaggio in India, Cina, Indonesia. Ovviamente questa strategia ha un inconveniente e cioè la maggiore difficoltà nel coordinare attività che si trovano in paesi lontani e quindi maggiori costi di gestione; inoltre non è sempre applicabile o conveniente: ad es il just-in-time non può essere frammentato; una impresa che compete sulla base della sua rapidità e affidabilità delle consegne come Zara, deve rinunciare ai vantaggi di costo della frammentazione e scegliere l'integrazione verticale. Come entrare in un mercato straniero Sono 2 le modalità di ingresso in un mercato straniero (tab 14.4):transazioni e investimento diretto Transazioni di mercato: comprendono: --esportazione: se il vantaggio competitivo è legato al paese di origine, è conveniente produrre all'interno ed esportare: Hyundai produce in Corea a basso costo ed esporta negli USA: ma per vendere proficuamente in un paese straniero si dovrebbero avere competenze di marketing e distribuzione adatte per quel paese: per acquisire queste competenze è possibile fare ricorso ad agenti e distributori locali. --cessione in licenza di marchio e/o tecnologia:nei settori ad alto contenuto tecnologico le imprese spesso concedono la tecnologia in licenza a produttori locali. La scelta tra esportazione e cessione di licenza dipende dall'appropriabilità, nel senso che se c'è un brevetto che protegge l'innovazione si preferisce la concessione della licenza; se invece la tutela è insoddisfacente si preferisce l'esportazione. Nei settori basati sul marketing è il marchio ad essere spesso oggetto di licenza. Sia che si tratti di marchio, sia che si tratti di tecnologia, la concessione della licenza è subordinata alle competenze e all'affidabilità del licenziatario --franchising: è un altro sistema di penetrazione nei mercati esteri, usato per es da McDonalds a condizione che si ripeta esattamente lo stile McDonalds (vedi prima) Investimenti diretti Si hanno quando un'impresa sceglie di investire all'estero per produrre direttamente o appoggiarsi a

imprese locali: questa scelta viene fatta per --motivi economici (bassi costi di materie prime e manodopera, espansione di mercato) --per accedere a nuove tecnologie: il rapido incremento di joint-venture e alleanze strategiche nel campo dell'alta tecnologia è attribuito al desiderio di accedere alle conoscenze di altre imprese --per sfruttare le conoscenze di mercato e la capacità distributiva di un'impresa locale --per entrare nel mercato di paesi come Cina e India che obbligano le imprese straniere ad avere un partner locale. Il fallimento delle alleanze tra imprese è di solito dovuto a disaccordi sulla divisione dei contributi all'alleanza e sull'attribuzione dei relativi rendimenti. Il successo è attribuito a: --condivisione degli obiettivi: gli insuccessi delle alleanze tra giapponesi e occidentali trova la sua giustificazione nel fatto che un'alleanza viene considerata dagli orientali come un passo verso il predominio globale, mentre gli occidentali la considerano come un'occasione per delegare la produzione ai + efficienti giapponesi --visto che nei settori high-tech l'obiettivo è la conoscenza, il successo dipende in questi casi dall'appropriabilità della conoscenza (specie se esplicita) e dalla ricettività dell'impresa ossia dalla sua capacità di garantirsi il massimo dell'apprendimento. Le strategie multinazionali tra globalizzazione e mercati locali La strategia globale considera il mondo come un unico mercato ed è ormai cosa accertata che le imprese che competono su scala nazionale sono fortemente vulnerabili nei confronti delle imprese globali. La superiorità delle strategie globali si basa essenzialmente --sulle preferenze dei consumatori: le preferenze a livello locale e nazionale stanno scomparendo grazie alla facilità di comunicazione e di viaggi --sulle economie di scala realizzate dalle imprese globali, inarrivabili per le aziende nazionali. I vantaggi di una strategia globale sono: 1)l'economia di scala che riguarda non tanto la produzione quanto lo sviluppo di un prodotto che ha raggiunto costi elevati; esiste anche un'altra fonte di economia di scala ed è l'economia di replicazione: per un prodotto basato sulla conoscenza (un software o un sistema organizzativo) l'attività creativa iniziale è molto costosa, ma le successive replicazioni hanno costi nettamente inferiori: ad es il sistema organizzativo sviluppato da McDonalds negli USA nel corso di decenni, può essere replicato ovunque con costi irrisori. 2)economie nella produzione: le imprese internazionalizzate hanno + possibilità nell'acquisizione di risorse, materie prime e manodopera a basso costo, ma anche conoscenza 3)economie di apprendimento: le imprese globali hanno + possibilità non solo di accedere alle conoscenze di differenti paesi ma anche di sintetizzarle e trasferirle ovunque 4)competizione strategica: le multinazionali possono combattere battaglie molto aggressive in un singolo mercato nazionale, utilizzando i profitti provenienti da altri mercati: sono i cd sussidi incrociati cioè spese in pubblicità, promozione, sostegno alle reti di vendita: è chiaro che un'azienda nazionale si trova in posizione di svantaggio di fronte a questi attacchi perchè non può contare su profitti esteri: potrebbe però reagire contrattaccando la rivale a casa sua. Nei settori dominati dalle multinazionali la tendenza è quella di posizionarsi nei 3 centri industriali mondiali Europa, Usa e Giappone, così Ford ha acquistato Mazda, GM ha acquistato Daewoo ecc. Nonostante la globalizzazione continuano a esistere differenze tra paese e paese: --differenze nelle preferenze dei consumatori, abbastanza importanti da non poter essere trascurate: ad es nel campo lavatrici si è scoperto che in Francia e Usa si preferiscono quelle con carica dall'alto, in Germania quelle con centrifuga + veloce, in Giappone quelle di piccole dimensioni. --differenze di leggi e regolamenti in materia di design e caratteristiche di prodotto e in materia di produzione e conduzione aziendale --differenze dei sistemi distributivi: catene o negozi indipendenti

--differenze di ordine culturale: qualcuno ha distinto 2 gruppi: individualisti/collettivisti e egualitari/gerarchici: paesi come gli Usa sarebbero individualisti ed egualitari, collettivisti e gerarchici sarebbero la Cina e l'India. --differenze di apertura e sofisticazione dei mercati: ci sono paesi leader in cui i prodotti vengono introdotti per primi al fine di apprendere per poi adattare prodotto e marketing e massimizzare le probabilità di successo nei paesi in cui verranno lanciati successivamente (approccio sequenziale). Tutto questo discorso sta a significare che bisogna diversificare nell'ambito della globalizzazione: per fare un esempio McDonalds offre un prodotto globale come quello schifo di Big Mac, ma offre anche prodotti locali come i panini al pollo in Giappone o il cappuccino in Italia. Conciliare globalizzazione e diversificazione rappresenta dunque il problema centrale di un'impresa internazionalizzata ed è sostanzialmente il problema di definire la struttura e la strategia. Strategia e organizzazione nelle imprese multinazionali Definire struttura e strategia è ancora + importante se si pensa che, a causa delle dimensioni e dell'estensione geografica, strategia e struttura, una volta definite, non possono essere facilmente modificate se non nel lungo periodo. Sono stati identificati 3 tipi di struttura: 1)le federazioni multinazionali, tipiche delle imprese europee dei primi anni del '900 e caratterizzate da una casa madre e da filiali nazionali che avevano ampi margini di autonomia, pieno potere decisionale nello sviluppo e marketing dei prodotti: d'altra parte bisogna considerare lo svantaggio che i trasporti e le comunicazioni erano molto lenti in quei tempi. 2)le multinazionali statunitensi, che si affermarono dopo la seconda guerra mondiale e si caratterizzavano per un ruolo di maggior peso della sede centrale pur mantenendo le filiali estere una notevole autonomia. 3)il modello giapponese degli anni '70/80: imprese come Honda e Toyota concentravano R&S e produzione nelle sedi giapponesi, delegando alle filiali estere i compiti di vendita, distribuzione e assistenza: offrendo prodotti standardizzati fabbricati in impianti di grandi dimensioni le imprese giapponesi erano in grado di sfruttare forti economie di scala e di apprendimento. La forza delle imprese europee era la capacità di adattarsi alle richieste dei mercati nazionali; quella delle imprese americane era la capacità di trasferire nuove tecnologie alle filiali; la forza delle imprese giapponesi era la forte efficienza di costo e la qualità. Tra questi modelli non ce n'è uno che sia meglio degli altri: tutto dipende dal mercato e dalla concorrenza nei vari settori: --per il settore dell'elettronica di consumo dove non ci sono particolari preferenze dei consumatori e dove assume valore l'economia di scala, la struttura globale appare la + idonea (mod giapponese). --per il settore alimentare dove invece le economie di scala sono meno importanti e hanno + rilievo le differenti preferenze dei consumatori, il modello europeo è l'ideale --per quei settori in cui sono importanti sia l'economia di scala che le preferenze dei consumatori (es telecomunicazioni) andrebbe bene la struttura statunitense. Ma i problemi cmq rimangono sempre quelli: struttura accentrata o decentrata? La struttura accentrata offre garanzie di efficienza e coordinazione ma è poco flessibile ai mutamenti, sembra essere un ambiente poco stimolante all'innovazione e tende a dare un prodotto globale che vada bene per tutti; la struttura decentrata offre maggiore flessibilità, maggiori stimoli all'innovazione, tende ad attenzionare le preferenze nazionali ma presenta problemi di coordinamento: Philips con la sua struttura decentrata ha incoraggiato l'innovazione: la sua filiale canadese ha sviluppato il primo TV color, quella australiana il primo TV con audio stereo, quella inglese il televideo: tuttavia la mancanza di integrazione ha impedito alla Philips di sfruttare queste innovazioni su scala globale. Quindi il problema fondamentale è la gestione di una organizzazione così complessa: in altre parole quello che è importante è creare una rete integrata di risorse e competenze diffuse e interdipendenti che fanno capo alle varie unità nazionali: le competenze distintive sviluppate dalle singole filiali

nazionali devono essere coordinate, scambiate e integrate tra di loro. Queste considerazioni sono alla base del cd modello transnazionale che, più che essere un modello da riprodurre, indica una strada: così le federazioni decentrate si sono riorganizzate per ottenere una maggiore integrazione con le loro filiali mentre Toyota viceversa sta riducendo il ruolo delle sedi giapponesi e aumentando il peso delle filiali nazionali. Un esempio di modello transnazionale è quello della Ford che produce la Fiesta in Corea, la Escort in Messico e Germania, la Capri in Australia mentre con il progetto Mondeo ha tentato di sviluppare la “world car”; un altro interessante esempio è quello di Unilever, impresa che opera nei settori dell'igiene personale, della pulizia della casa e dei prodotti alimentari: la Unilever ha creato un centro di formazione per giovani neolaureati addestrati a compiti manageriali simili; ogni manager veniva posto per un periodo + o – lungo nella sede centrale o in un'altra filiale: tutti continuavano a incontrarsi e a scambiare informazioni e idee: l'amministratore delegato dell'azienda ama paragonare questa situazione alla quadriglia, una danza tradizionale in cui quattro persone si scambiano la posizione a intervalli regolari; questo scambio continuo di risorse umane contribuisce alla creazione di una rete informale globale.

CAP 15

STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE

La diversificazione è l'espansione di un'impresa attraverso l'entrata in diversi settori di attività. La diversificazione è stata negli anni 1950-1980 la fonte principale della crescita aziendale: il boom è stato negli anni'60 e '70, anni caratterizzati da un'ondata di fusioni e acquisizioni tra imprese non correlate: la corsa alla diversificazione fu dovuta in quegli anni al prevalere della struttura multidivisionale che permetteva a un'impresa di aggiungere nuove divisioni senza sovraccaricare il top management, ma anche anche all'indirizzo generale di quel periodo che spingeva le grandi imprese a perseguire + la crescita dimensionale che il profitto. Negli anni '80 si ebbe una brusca inversione di marcia: molte imprese hanno progressivamente abbandonato le attività collaterali non redditizie e molte sono state vittime del leveraged buyout. Questa inversione di tendenza è dovuta a 3 fattori: 1)il maggior peso del piccolo azionista ha determinato una maggiore attenzione del manager nei confronti della redditività piuttosto che della crescita dimensionale: la bassa redditività, messa in evidenza dalle crisi economiche degli anni '70-'80, diede il via a una massa di leveraged buyout, costringendo i manager a ristrutturare prima che lo facessero gli specialisti del leveraged buyout. 2)le turbolenze dei mercati che esigevano delle risposte aziendali molto rapide e come si sa la flessibilità delle imprese specializzate è + grande rispetto alle grandi imprese diversificate. 3)l'evoluzione delle teorie di gestione aziendale che spostarono l'attenzione del manager alle risorse e competenze come base del vantaggio competitivo, e quindi indussero le imprese a concentrarsi sui loro punti di forza evitando di disperdere le energie in troppe attività e preferendo alla diversificazione la collaborazione con le altre aziende. I motivi della diversificazione I motivi per cui si procede a una diversificazione sono essenzialmente 3: 1)la crescita dell'impresa: questo è un obiettivo del manager che con l'aumento della dimensioni dell'impresa acquista maggior prestigio personale oltre che una remunerazione + alta: il manager non può però dedicarsi totalmente alla crescita dell'impresa trascurando i profitti perchè senza profitti non si possono rinnovare gli impianti e perchè la mancanza del dividendo susciterebbe il malumore degli azionisti che lo licenzierebbero. 2)La riduzione del rischio: l'idea è che se si diversificano le attività dell'impresa si possono superare i momenti critici, perchè se un'attività va male è compensata dai risultati positivi di un'altra; ma a ben vedere questo sistema di compenso non porta vantaggi effettivi all'impresa nel suo complesso e nemmeno agli azionisti che d'altra parte provvedono essi stessi alla diversificazione del proprio portafoglio e a costi di transazione di gran lunga inferiori a quelli di un'impresa che vuole diversificarsi. Semmai può portare vantaggi ad es ai lavoratori che possono essere spostati da un'attività in crisi a un'attività che funziona. 3)la ricerca della redditività: può la diversificazione produrre redditività e a quali condizioni? A questo punto non poteva mancare il nostro amico Porter che ci rifila l'ennesima analisi basata su 3 test essenziali: in poche parole Porter dice che la diversificazione può portare redditività : 1)se il settore è attrattivo (test di attrattività) 2)se i costi di entrata nel settore sono accettabili: si tenga presente infatti che un'impresa può entrare in un settore o direttamente (cioè creando una nuova impresa) oppure acquisendo un'impresa già presente nel settore: e ambedue le operazioni hanno un costo salato (test costo di entrata) 3)se la nuova attività porta vantaggi aa ambedue le imprese: ad es la banca Morgan acquisisce la Bank One: da una parte la banca Morgan può usufruire della distribuzione capillare della One; dall'altra One usufruisce del ricco parco clienti della Morgan (better-off test) A prescindere da Porter, possiamo dire che la diversificazione può accrescere la redditività tramite: 1)l'aumento del potere di mercato che si attua con i segg. meccanismi: --politiche di prezzo predatorie: se voglio eliminare dal settore un rivale diminuisco fortemente i prezzi: un'impresa diversificata può permetterselo: così facendo, magari non guadagnerà nulla, ma può compensare con i profitti provenienti dalle sue attività in altri settori. --il bundling: un'impresa che produce A e B, può vendere il prodotto A assieme al prodotto B

fregando così i rivali che operano nel settore B --acquisto reciproco : un'impresa diversificata può stipulare particolari accordi con i fornitori:: io compro il tuo prodotto se tu compri i miei prodotti --tolleranza reciproca: due imprese diversificate che competono tra loro per diversi prodotti, possono adottare la politica del vivi e lascia vivere e mettere da parte una concorrenza aggressiva. 2)economie di scopo: le economie di scopo sono le economie di costo che derivano dall'utilizzare una risorsa in molteplici attività della stessa impresa: tali risorse possono essere: --tangibili: reti di distribuzione e di vendita, sistemi informativi, laboratori di ricerca, contabilità, servizi legali: di solito sono accentrati e servono tutte le divisioni dell'impresa. --intangibili:i marchi: se un'impresa ha un marchio conosciuto è facile che si metta a produrre prodotti vari che sfruttano il marchio --competenze: sia operative (Sharp, che ha notevoli competenze nella miniaturizzazione dei circuiti elettronici, è entrata nel mercato delle calcolatrici, TV LCD, webcam, telefonini) sia organizzative: la società LVMH usa le sue competenze organizzative nella gestione di marchi di lusso da Louis Vuitton a DomPerignon, Dior, TagHeuer, Sephora. 3)economie di scopo generate da transazioni di mercato: un'impresa può sfruttare economie di scopo anche senza diversificarsi, tramite vendita o cessione in licenza delle risorse e competenze a un'altra impresa: ad es ci sono le sigarette Harley-Davidson ma la casa americana produce solo moto e ha ceduto in licenza il proprio marchio al produttore di sigarette Oltre che il marchio, anche le risorse tangibili possono essere condivise tra attività diverse tramite transazioni di mercato: es Caterpillar sfrutta la capillarità dei suoi centri di assistenza diventando distributore di ricambi per Chrysler, HP, Hyundai; in pratica si possono avere gli stessi vantaggi con transazioni di mercato anziché diversificandosi: la scelta dipende essenzialmente dalla differenza tra costi di transazione (incluse spese per negoziazione, monitorazione, applicazione dei contratti) e i costi di gestione. Le transazioni che riguardano le competenze organizzative sono + difficili. 4)mercato interno: in presenza di costi elevati di transazione è possibile ottenere economie di costo dalla diversificazione, anche in assenza di economie di scopo: es se ricorrere all'esterno per un capitale finanziario risulta essere troppo oneroso, le imprese diversificate possono beneficiare dell'allocazione del capitale tra le diverse attività (mercato di capitali interno) e per di + costa anche meno perchè non soggetto a vincoli di legge e regolamenti. C'è anche la possibilità di trasferire dipendenti specializzati da un'attività a un'altra,con minori rischi e minori costi rispetto al ricorso al mercato esterno (mercato interno del lavoro) 5)vantaggi informativi: il management del gruppo ha accesso a maggiori informazioni rispetto a quelle disponibili nei mercati esterni e quindi nella riallocazione di capitali e forza lavoro, l'impresa diversificata è + efficiente nei confronti di un'impresa di nuova fondazione: ad es l'impresa diversificata può trasferire dipendenti da un'attività ad un'altra conoscendo esattamente le capacità e le competenze di ciascuno di essi a differenza di una nuova impresa che deve creare dal nulla un nuovo team sulla base di poche informazioni. I risultati della ricerca empirica Fatta la teoria, esiste un riscontro nella pratica? La ricerca empirica sulla diversificazione si è focalizzata sulla performance: 1)sono migliori le performances delle imprese diversificate o di quelle specializzate? Alcuni dati sembrano indicare che la diversificazione è associata a una maggiore redditività fino a un certo punto oltre il quale ogni ulteriore spinta alla diversificazione porta a una riduzione dei profitti e ciò è stato spiegato dal fatto che i costi di gestione di un'impresa complessa sono alti; d'altra parte è noto che acquisizioni e fusioni determinano per l'impresa acquirente influssi negativi sul valore di mercato delle azioni. 2)sono migliori le performance di quelle diversificazioni che sono correlate al core business (cioè all'attività principale dell'impresa) o quelle delle diversificazioni non correlate? Sembra che le diversificazioni correlate diano performances + elevate rispetto a quelle delle imprese che gestiscono una vasta gamma di attività tra di loro assai distanti. Tuttavia gli studi non hanno dato risultati univoci, forse perchè la diversificazione correlata offre

maggiori benefici potenziali ma può creare anche problemi di gestione tali da compromettere la realizzazione di questi benefici. Lo stesso concetto di correlazione è poco chiaro: la correlazione è la somiglianza tra settori in termini di tecnologia e di mercato: questa è la correlazione operativa cioè una correlazione nella produzione, nel marketing, nella distribuzione: in parole semplici si ha correlazione tra due attività quando produzione, marketing o distribuzione possono essere condivise. Questo vuol dire che assicurazioni, arredamento, gioielli e negozi di dolciumi non possono considerarsi attività correlate perchè non hanno niente in comune: eppure sono tutte attività che fanno capo al gruppo Virgin e una cosa in comune ce l'hanno: possono tutte beneficiare della capacità imprenditoriale di Richard Branson, il proprietario: in questo caso le varie attività hanno in comune le stesse competenze manageriali, lo stesso sistema di gestione strategica: si parla in questo caso di correlazione a livello strategico (tab 15.3). Ma, se le cose stanno così, allora si può trovare una correlazione tra qualsiasi tipo di attività; tutto dipende dalla correlazione percepita, da chi attua la diversificazione, da come un manager vede i legami tra le sue attività, dalla sua logica dominante: ad es se la logica dominante del manager è comprendere e soddisfare i bisogni della casalinga, allora produrre dolciumi, abiti e giocattoli sono attività correlate. I pro della diversificazione: --sviluppo dell'impresa --stabilità dei profitti --economie di scopo e di scala --acquisizione di know-how --fronteggiare la concorrenza --utilizzo di risorse in eccesso I contro: --incremento costi di gestione --rigidità del sistema --sinergie non pienamente realizzate

CAP 16

LA GESTIONE DELLE IMPRESE DIVERSIFICATE

La struttura delle imprese diversificate Quasi tutte le imprese diversificate (sia integrate verticalmente, sia multinazionali, sia multiprodotto) sono organizzate in strutture multidivisionali in cui le decisioni a livello di business sono prese a livello di area d'affari (dai manager di divisione) mentre quelle a livello di gruppo sono prese dalla direzione che esercita anche la funzione di coordinamento e controllo. Oliver Williamson ha chiamato la struttura multidivisionale M-form e ne ha descritto le seguenti caratteristiche fondamentali: 1)decentramento delle responsabilità gestionali 2)le decisioni operative (che devono essere prese con una certa frequenza) sono separate dalle decisioni strategiche (che sono meno frequenti) 3)le decisioni inerenti una specifica attività sono delegate a livello di divisione 4)l'obiettivo comune è la performance dell'azienda nella sua globalità e non la performance della singola divisione. Queste caratteristiche risolvono 2 grossi problemi delle grandi imprese gestite da manager: 1)i profitti delle singole divisioni tornano al centro per essere successivamente distribuiti come budget a tutte le divisioni: allocare le risorse cioè dividere le risorse alle singole attività da parte del manager, potrebbe essere fatta non seguendo un criterio economico ma politico e personale: si può impedire che questo avvenga istituendo un mercato concorrenziale interno in cui il capitale è allocato sulla base della redditività passata e i singoli progetti sono sottoposti a valutazione e approvazione (come dire: le risorse finanziarie vanno a chi se le merita, non al figlioccio del manager) 2)la tendenza del manager potrebbe essere quella di privilegiare obiettivi personali a discapito degli interessi degli azionisti: nella struttura multifunzionale l'alta direzione rappresenta l'interfaccia tra manager e azionisti: può controllare le performances delle divisioni, controllare l'operato del manager, ricompensare o licenziare i responsabili di divisione. A livello pratico si è però notato che l'autonomia divisionale presenta certi limiti: all'interno della divisione il dirigente tende ad accentrare molto, perchè si sente (ed è) l'unico responsabile di fronte alla direzione alla quale deve presentare rendiconti mensili; ogni attività è indipendente dalle altre solo in teoria perchè in realtà si tende a standardizzare tutto e quindi si spinge per sistemi di gestione e controllo comuni, una cultura aziendale comune ecc. Il ruolo dei vertici di gruppo I vertici hanno una serie di responsabilità che possono essere raggruppate in 3 aree: 1)la gestione del portafoglio dell'impresa 2)guida e controllo sulle singole attività 3)gestione delle interdipendenze tra le diverse attività 1)Gestione del portafoglio dell'impresa Le scelte fondamentali sono ampliare il portafoglio (acquisizioni, fusioni, ingressi in nuovi mercati), contrarlo (cessione di attività) o variarne la composizione (allocazione e riallocazione delle risorse). Mentre variare quantitativamente il portafoglio è un'operazione importante ma sporadica, cambiarne la composizione è una responsabilità continua che tocca ai vertici: si è allora cercato nel tempo di proporre degli strumenti che facessero da guida in questa operazione così delicata; questi strumenti sono: i modelli di pianificazione e l'analisi del valore per gli azionisti. Modelli di pianificazione del portafoglio Sono stati elaborati per la prima volta da General Electric, azienda americana giustamente famosa per il suo sistema gestionale efficace e in continua evoluzione: GE negli anni '60 era costituita da ben 46 divisioni e per gestire questo impero promosse una serie di studi in collaborazione con McKinsey e i Boston Council Group, che portarono 3 elementi innovativi: 1)l'elaborazione di semplici modelli bidimensionali che permettono di valutare le performances delle varie attività e l'equilibrio complessivo.

2)la divisione di un'attività in piccole unità organizzative dette ASA (area strategica d'affari) costituite da pochi prodotti fortemente correlati tra loro, al fine di migliorare la gestione delle singole aree di business. 3)la creazione del database Pims, che raccoglie la massa dei dati di ogni singola attività aziendale. I modelli di pianificazione sono semplici modelli grafici bidimensionali con cui un'attività viene analizzata secondo 2 parametri: l'attrattività e il vantaggio competitivo del settore in cui si svolge l'attività (fig 16.1). L'attrattività del settore viene definita in base alla dimensione del mercato, al suo tasso di crescita degli ultimi 10 anni, alla redditività del settore ecc. Il vantaggio competitivo viene definito in base alla posizione sul mercato (rispetto alla concorrenza nel mercato sia interno che mondiale) e alla posizione competitiva rispetto a qualità, produzione, distribuzione ecc. I due parametri vengono classificati in 3 categorie, alta bassa e media e si ottengono così 9 campi con i 3 centrali che suggeriscono le strategie da adottare: ---crescere: attività che hanno elevate possibilità di profitto e quindi andranno sviluppate ---mietere: attività che hanno prospettive scarse e quindi vanno sfruttate al massimo senza nuovi investimenti ---mantenere: attività che sono in posizione intermedia. Quella appena descritta è la cd matrice di McKinsey, ma ce n'è un'altra analoga, la cd matrice BCG: essa utilizza gli stessi parametri della matrice di McKinsey con la differenza che sono definiti in base ad un unico fattore anziché molti: l'attrattività del settore è definita dal solo tasso di crescita, il vantaggio competitivo in base alla quota di mercato relativa cioè rapportata al concorrente principale (fig 16.2: la star corrisponde a crescere, cash cow a mietere, dog è disinvestire). Le matrici hanno il vantaggio di essere semplici da fare e semplici da capire: basta un colpo d'occhio per capire dove sono posizionate, come sono distribuite le varie attività e come bisogna procedere; ma la semplicità è anche uno svantaggio perchè basarsi su due sole variabili rende i risultati approssimativi; inoltre il sistema presuppone che le varie attività siano totalmente indipendenti tra di loro mentre nella pratica comune non è così: la produzione di film da parte della Walt Disney è un'attività “dog” di per sé, ma contribuisce al successo generale della W.D e, da questo punto di vista, non è da dismettere. NOTA: Fare bene gli esercizi delle slides “Portfolio management”. Analisi del valore per gli azionisti L'analisi del portafoglio, così come descritta, è stata sostituita dall'analisi del valore per gli azionisti a partire dagli anni '90: in quest'epoca di rifocalizzazioni e di contrazione del portafoglio, era + utile valutare se il valore di mercato di un'impresa aumentava con o senza l'attività presa in esame e quindi stabilire se tenerla in portafoglio o venderla. McKinsey ha elaborato il cd modello del pentagono che indica come incrementare il valore di un'azienda diversificata attraverso la ristrutturazione vedi fig 16.4: --1: il punto di partenza è il valore di mercato corrente dell'impresa --2: questo valore dell'impresa si può incrementare influenzando la percezione che di essa hanno gli investitori con opportuni flussi informativi --3: valore potenziale dopo miglioramenti interni: si può aumentare il valore con miglioramenti interni operativi (riduzione dei costi) o strategici (aumento degli investimenti o outsourcing) --4: valore potenziale dopo miglioramenti esterni --5: valore ideale dopo la ristrutturazione Arrivati al punto 5 i vertici aziendali sanno il valore massimo che l'impresa può raggiungere tramite tutte le operazioni di ristrutturazione : si renderanno conto allora se conviene tenere l'attività presa in esame o dismetterla a un prezzo superiore a quello calcolato al punto 5. Naturalmente la situazione può essere vista anche dall'altra parte cioè dalla parte di un eventuale compratore e in particolare da uno specialista di leveraged buyout per il quale un'impresa che ha un alto valore potenziale rappresenta un ghiotta occasione. 2)guida e controllo delle singole attività

Come i vertici possono influenzare le singole attività? E' chiaro che i vertici dell'impresa hanno il potere di nominare e licenziare i capi divisione, possono approvare o respingere i loro progetti e le loro proposte di investimento. A parte questi interventi, i vertici possono controllare le diverse aree aziendali in due modi: --con il controllo degli input (controllo finanziario), sottoponendo le proposte di spesa oltre un certo ammontare all'approvazione del consiglio di amministrazione --con il controllo degli output stabilendo degli obiettivi di performance (controllo dei risultati). Ci occuperemo quindi della partecipazione dei vertici alla formulazione della strategia di divisione (e di unità di business), e del controllo finanziario e dei risultati. Formulazione della strategia di business Abbiamo + volte detto che la strategia di gruppo viene fissata dalla direzione e quella di business dai manager di divisione: in realtà le strategie di business sono formulate congiuntamente dalla dirigenza del gruppo e da quella delle singole unità: in particolare i manager di divisione formulano la strategia mentre alla direzione spetta il compito di valutare, rettificare e approvare le proposte. La questione fondamentale dunque è raggiungere il giusto equilibrio tra iniziativa a livello divisionale (bottom-up) e controllo a livello di gruppo (top down). La procedura di solito è la seguente: ciascuna unità di business (che insieme ad altre costituisce la divisione) elabora un business plan che viene discusso prima a livello divisionale e poi viene portato a livello centrale dove tutti i business plan vengono valutati, eventualmente modificati e coordinati nel piano aziendale complessivo o corporate plan che viene approvato dal CdA. E' proprio questo il punto nevralgico del sistema: i vertici inseriscono i business plan in una cornice strategica che è stata delineata sulla base: --degli obiettivi prefissati che possono essere economico finanziari (riduzione costi, rendimento azionario ecc) oppure strettamente strategici (acquisizione di quote di mercato o penetrazione in altri mercati); è possibile la definizione di azioni specifiche rivolte al raggiungimento graduale dell'obiettivo finale attraverso obiettivi intermedi entro specifiche scadenze (pietre miliari) --dei possibili scenari --della valutazione dei settori in cui rafforzare il proprio vantaggio competitivo. D'altra parte chi fa il business plan deve essere a conoscenza di questa cornice e deve cercare di elaborare il piano in modo tale da adattarsi ad essa. Tutto questo implica che tra vertici, divisioni e unità di business ci sia uno scambio reciproco e continuo di flussi informativi: alla Exxon per esempio ci sono i contact directors ossia membri del comitato di gestione che contemporaneamente sono direttori di contatto di due o più divisioni. Il controllo dei risultati I vertici hanno anche il compito di sorvegliare che gli obiettivi delle singole divisioni siano rispettati: di solito questi obiettivi sono annuali (o cmq da 2 a 5 anni), ma il monitoraggio per cogliere eventuali scostamenti viene effettuato mensilmente o trimestralmente. Per il raggiungimento degli obiettivi possono essere previsti incentivi di natura finanziaria (gratifiche, aumenti di stipendio, stock options) o avanzamenti di carriera e riconoscimenti pubblici; (abbiamo già visto per gli alti dirigenti l'opportunità di introdurre schemi di remunerazione legati al risultato); le sanzioni invece possono essere note di biasimo, retrocessioni di grado e licenziamento. In alcune grosse aziende i dirigenti di divisione “contrattano” con i vertici ( io raggiungo questi obiettivi, tu azienda mi dai tanto). Il controllo finanziario La formulazione della strategia è strettamente legata all'aspetto finanziario, al cd processo di budgeting che consiste nella stima, in un periodo prefissato, dei costi e dei ricavi sia dell'impresa nella sua globalità, sia delle singole divisioni e delle unità di business. Ci sono 2 tipi di budget: 1)budget degli investimenti: possono anche essere stabiliti dal basso ad es dal direttore di divisione, ma di solito viene fissato un limite oltre il quale si deve procedere all'approvazione dei vertici.

2)budget operativo: è un conto economico pro forma per l'anno successivo che interessa l'impresa in toto e le singole componenti: è in parte previsione, in parte obiettivo: viene diviso in mesi o trimestri in modo da permettere un immediato riscontro con i conti reali e apportare gli opportuni correttivi. Stili di direzione strategica (tab 16.1) Un'impresa dunque può scegliere una gestione basata sulla formulazione della strategia o sul controllo finanziario. ---La scelta di intervenire sulla strategia di business da parte dei vertici limita necessariamente l'indipendenza del manager di divisione, indebolendo la sua iniziativa. Questo tipo di gestione sembra adatta a imprese non eccessivamente diversificate, con limitate attività ma fortemente correlate tra loro: è l'immagine dell'impresa che opera sui mercati internazionali e ad alta intensità tecnologica, nei quali gli obiettivi strategici di lungo periodo sono + importanti del profitto a breve termine. --la gestione basata sul controllo finanziario lascia invece il manager libero di scegliere la via che ritiene + adatta per raggiungere gli obiettivi, il che si traduce in un forte incentivo all'impegno personale e senso di responsabilità. D'altra parte questo impegno è garantito dal continuo controllo dei risultati da parte della direzione che esercita una costante pressione sul manager. Lo svantaggio sta nel trascurare lo sviluppo strategico nel lungo periodo e nella difficoltà di coordinare le varie divisioni. Questo tipo di gestione è adatta a imprese molto diversificate che operano in settori a bassa intensità tecnologica e con concorrenza internazionale non particolarmente accesa. L'analisi PIMS (tab 16.2) Trae le sue origini dal database interno della GE, successivamente ampliato e sviluppato dallo Strategic Planning Institute che fornisce servizi di consulenza alle aziende. L'analisi Pims fa uso di coefficienti di riferimento che mostrano l'impatto che variabili di settore e variabili strategiche (sindacalizzazione, quota di mercato, spese di R&S, modernità degli impianti, integrazione verticale ecc ) hanno su ROI e ROS. Può essere quindi utilizzata per: -- valutare quali variabili debbano essere modificate per aumentare la redditività --per stabilire un obiettivo di performance – per fare previsioni sull'attrattività strategica dell'investimento. [ROI = return on investments è il rapporto : Risultato operativo/ Tot capitale investito: se ho investito nell'azienda un capitale di 1000 € e ho un risultato operativo (materiali, servizi, personale) di 950€, il ROI sarà il 5 % cioè il capitale mi rende il 5%; ROS = return on sales è il rapporto :Risultato operativo/ Tot ricavi di vendita: se dalla vendita prendo 1000€ e il risultato operativo è 950 € il ROS sarà il 5% cioè prendo 5 euro ogni 100 € di merce venduta] 3)Gestione delle interdipendenze Le maggiori opportunità per la creazione di valore in un'impresa multidivisionale, sorgono dalla possibilità di sfruttare economie generate dalla condivisione di risorse attraverso l'accentramento di servizi comuni e dalle interdipendenze tra le unità di business. Condivisione di servizi :Accentramento di servizi comuni E' possibile accentrare strutture che erogano servizi di interesse generale: pianificazione strategica, controllo finanziario, contabilità, R&S, servizi legali, acquisti ecc. Qualcuno ha notato però che l'accentramento non produce grandi risultati e per di più ha come conseguenza un aumento del personale della direzione: per questo motivo molte aziende hanno attuato una separazione della direzione generale in 2 sezioni: --unità di gestione a livello di gruppo, con mansioni di supporto alle attività proprie della direzione (pianificazione strategica e finanziaria) --organizzazione di servizi con il compito di erogare servizi di utilità generale alle divisioni. L'obiettivo è quello di stimolare queste strutture comuni a dare il meglio di sé, mettendole in competizione con strutture esterne: per chiarire il concetto, Amoco, dopo aver fatto una divisione

simile al suo interno, concesse alla sua “organizzazione di servizi” un monopolio di 3 anni per l'erogazione alle unità di business di servizi comuni come servizi informatici, sicurezza, relazioni col pubblico, ambiente ecc.: trascorsi i 3 anni, il monopolo finiva e le unità di business erano libere di rivolgersi a imprese esterne per l'erogazione degli stessi servizi, se non erano soddisfatte dell'operato della struttura interna. Le interdipendenze tra le attività Le risorse e le competenze possono essere condivise anche tra singole aree di affari. L'onnipresente Porter a questo proposito distingue 4 strategie di gruppo per creare valore: 1)gestione del portafoglio: è la forma + limitata di condivisione delle risorse, in cui la società madre permette alle imprese acquisite di operare autonomamente e crea interdipendenze tra loro attraverso un efficiente mercato interno di capitali: questa struttura corrisponde alla holding finanziaria che controlla un certo numero di società limitandosi alla nomina dei CdA : la creazione di valore avviene acquisendo l'impresa a prezzo favorevole e controllando la performance finanziaria. 2)ristrutturazione: si acquisiscono imprese gestite in maniera inadeguata e si effettuano successivi interventi di disinvestimento, risanando debiti e riducendo i costi. 3)trasferimento di competenze: è possibile trasferire competenze organizzative tra le diverse unità di business: ad es Sharp trasferisce le sue competenze in miniaturizzazione tra prodotti di elettronica e apparecchiature per ufficio; la creazione di valore tramite trasferimento di competenze richiede una certa affinità tra le competenze e appositi meccanismi che permettano il trasferimento 4)condivisione delle attività: la + importante fonte di valore è lo sfruttamento delle economie di scopo dovute alla condivisione di risorse e competenze, a patto che la direzione ricopra un ruolo chiave nel coordinamento e nei processi di formulazione delle strategie: la condivisione è favorita da un forte senso di identità di gruppo, dagli incentivi, dalla creazione di team composti da personale proveniente da diverse aree. Mentre nelle aziende a diversificazione non correlata dove le singole attività sono indipendenti, il ruolo della direzione si limita alla gestione del budget finanziario, nelle imprese a diversificazione correlata come quelle integrate verticalmente il ruolo della direzione nel coordinamento è di fondamentale importanza: [quasi tutte queste imprese hanno una struttura a matrice] anche in questo campo conta l'attitudine mentale del top management, come egli vede gli elementi comuni alle diverse aree di affari (logica dominante): Tendenze recenti Nel 1981 Jack Welch fu nominato amministratore delegato della GE (General Electric), carica che detenne fino al 2001. GE era costituito da decine di divisioni e centinaia di aree d'affari, un gigante lento e macchinoso: Jack Welch si è dedicato inizialmente a un'intensa fase di ristrutturazione con una serie di acquisizioni e cessioni che ha messo ordine nel portafoglio di attività della società con la definizione di tre gruppi di attività intersecate: il core business (illuminazione, turbine,elettrodomestici) le aree ad alto contenuto tecnologico (aerospaziale, elettromedicali) e servizi finanziari e informativi. Ma quel che più conta è il cambiamento di stile introdotto da Welch: --snellimento burocratico :riduzione dei livelli gerarchici da 9 a 3-4, --sostituzione del macchinoso processo di pianificazione con rapporti informali e personali, faccia a faccia e meeting di poche persone, relazioni incisive di poche pagine; --ridefinizione del ruolo della direzione: la direzione deve abbandonare il ruolo di supervisore e controllore per assumere quello di supporto e aiuto alle aree di affari; --riduzione della demarcazione tradizionale tra le aree di attività: non esistevano + compartimenti stagni e questo favoriva le collaborazioni tra il personale di diverse aree d'affari; la visione di Welch era “l'impresa senza confini”: egli, con un'iniziativa chiamata Work-out, incoraggiava i dipendenti a dare la loro opinione sulla gestione e proporre essi stessi i cambiamenti. Il lavoro pionieristico di Welch ha fatto scuola e le tendenze attuali ricalcano il suo stile di gestione: --il ruolo della direzione: tutorato al posto del controllo di gruppo --decentramento e snellimento delle procedure

E' evidente a questo punto il ruolo fondamentale che ricopre la direzione del gruppo, e in particolare l'amministratore delegato, come forza trainante e promotrice del cambiamento. Riassumendo: il problema attuale delle grandi imprese diversificate è quello di utilizzare al meglio le enormi risorse di cui dispongono e contemporaneamente di acquisire quella flessibilità che permette le rapide risposte che il mercato di oggi richiede: la soluzione del problema allo stato attuale è il decentramento decisionale accompagnato da un forte coordinamento operato dalla direzione e fondato sulla collaborazione e non più sulla gerarchia. Perchè ci sia questa collaborazione tra tutti e sia efficace, occorre che il gruppo abbia una sua chiara e forte identità a cui tutti possano fare riferimento: compito del top management è quello di definire una mission e dei valori che fanno da guida, insomma quella che è chiamata cultura d'impresa, fattore unificante in grado di unire elementi (personale, aree di attività, divisioni) che, in un'impresa diversificata, sono molto distanti tra loro. [NOTA: Bartlett e Ghoshal affermano che per conciliare flessibilità e innovazione occorre ridefinire i ruoli del management dell'azienda; essi individuano 3 aree decisionali: --processo imprenditoriale : decisioni su come sfruttare le risorse --processo di integrazione :decisioni su come creare competenze organizzative --processo di rinnovamento: decisioni su come attuare le modifiche desiderate Questi 3 processi che tradizionalmente sono affidati alla direzione , secondo gli autori dovrebbero essere divisi tra la direzione (top management), responsabili di area (middle management) e singole aree d'affari (management di prima linea) vedi fig 16.5 ]

CAP 17

TENDENZE ATTUALI NELLA DECISIONE STRATEGICA

L'inizio del nuovo millennio ha rappresentato un punto di svolta sia per le imprese che per il mondo: il crollo dei titoli delle imprese legate a internet, la distruzione delle torri gemelle, la guerra in Iraq, hanno avuto profonde ripercussioni sull'economia mondiale e hanno causato un'inversione di tendenza nel processo di integrazione. Ma cominciamo dall'inizio. A partire dalla metà degli anni '90 inizia la terza rivoluzione industriale (dopo la prima cominciata alla fine del 1700, caratterizzata dalla meccanizzazione, e la seconda iniziata alla fine del 1800, caratterizzata dall'avvento del telefono, energia elettrica e automobile). La new economy è stata caratterizzata dalle tecnologie digitali e dai nuovi mezzi di comunicazione come telefonini e internet, ma anche da tendenze globali che spingevano alla deregolamentazione e al libero scambi: in questo periodo si passa dall'economia industriale all'economia della conoscenza dove la fonte principale di valore non è + l'hardware, ma il software caratterizzato dal forte costo iniziale e costi di replicazione molto bassi: queste economie di replicazione sono state alla base di una crescita senza precedenti della produttività e dei rendimenti per gli azionisti. Ma a partire dal 2000 le cose sono cambiate: --le tecnologie informatiche hanno finito per intensificare la concorrenza in molti settori e quindi ridotto i profitti --si è affermata l'idea che le imprese debbano assumere delle responsabilità nei confronti delle comunità locali, dell'ambiente naturale e della crescita dei paesi in via di sviluppo --si è affermata l'idea che gli individui, oltre alla giusta remunerazione, cercano identità, senso di appartenenza e significato. --si è screditata la dottrina tradizionale della massimizzazione del valore per l'azionista Come ha reagito il mondo delle imprese in campo strategico? Con il back to basics e con la ricerca di fonti di vantaggio competitivo alternative. 1)Back to basics Si tratta di un ritorno alle tendenze che avevano caratterizzato la prima metà del '900 ( puntare l'attenzione sulle determinanti fondamentali del reddito): rifocalizzazione sulle attività fondamentali e su prodotti consolidati, riconfigurazione aziendale mirata al taglio dei costi; tutto ciò veniva fatto a misura d'impresa cioè personalizzato, basato sui vantaggi propri di una specifica impresa: ad es Austrian Airlines ha perseguito una strategia mirata al settore del trasporto aereo e alle proprie risorse e competenze: riduzione drastica dei costi (riduzione del 10% del personale), sviluppo di 2 nicchie di mercato in cui era già inserita con successo e cioè le tratte con l'Europa orientale e il mercato interno; per compensare gli svantaggi delle piccole dimensioni e di un mercato interno molto limitato, Austrian ha stretto alleanze con grosse compagnie come StarAlliance e Lufthansa. Per quel che riguarda la concorrenza di settore, c'è stata una corsa alle fusioni e acquisizioni che hanno determinato un aumento drastico della concentrazione nei settori maturi. 2)Ricerca di fonti + complesse di vantaggio competitivo L'altra reazione è stata la creazione di nuove fonti di vantaggio competitivo: le imprese che per anni hanno mantenuto alta redditività sono quelle che hanno saputo costruire strati successivi di vantaggio competitivo, combinando efficienza di costo, differenziazione, innovazione, reattività. Fu chiaro che bisognava cambiare il modello d'impresa, ma non sono state proposte delle valide alternative pratiche: sono state però proposte delle aree teoriche: la complessità e le opzioni reali. La teoria della complessità E' stato dimostrato che i sistemi complessi (sistemi aperti in cui interagiscono un gran numero di agenti: es una colonia di formiche, un'attività sismica, il comportamento della folla) sono caratterizzati da elementi comuni: --imprevedibilità --capacità di autoorganizzarsi anche in assenza di un'autorità; l'autoorganizzazione umana richiede

però alcuni requisiti: identità (un movente), informazione (che mette l'organizzazione in relazione con l'esterno) e relazioni tra gli individui dell'organizzazione. Quando si verifica un cambiamento i risultati possono essere o un ordine totale che tende a perpetuarsi o un caos totale: esiste anche una regione intermedia tra ordine e caos, che è la regione in cui piccoli cambiamenti determinano l'adattamento dell'organizzazione. Questa teoria, applicata alle imprese porta a pensare che: ---il mondo degli affari è un sistema complesso e quindi imprevedibile ---i manager devono fare affidamento alle capacità autoorganizzative delle loro imprese: il loro compito allora è quello di creare un sistema organizzativo che favorisca l'autoorganizzazione. Come? --stabilire regole semplici: alcune imprese non pianificano formalmente la loro strategia ma si limitano a dare delle linee guida molto generali: Yahoo indica alcune regole per la funzionalità delle pagine Web ma lascia agli sviluppatori la libertà di creare elementi innovativi --creare condizioni per un cambiamento sia incrementale sia radicale: ad es passare ad una strategia basata sul controllo degli output cioè della performance, il che si traduce in uno stimolo al miglioramento continuo (incrementale), ma se la situazione lo richiedesse (se la performance fosse troppo scarsa) la direzione potrebbe procedere ad un drastico cambiamento di strategia (radicale) --accelerare l'evoluzione creando strutture flessibili: per creare flessibilità potrebbe tornare utile creare delle aree comuni in cui sviluppare le aree d'affari, o mantenere aperti i confini tra le aree d'affari (vedi Jack Welch) --creare un livello di tensione adattativa che ottimizzi il ritmo del cambiamento Le opzioni reali Quando l'ambiente economico si fa imprevedibile, i valori dei progetti e delle imprese finiscono per dipendere sempre + dal valore delle opzioni: quindi su questa base bisogna riconsiderare la strategia --l'attrattiva di un settore si basa sul potenziale profitto ma se questo non è prevedibile ci si deve basare sulle opzioni, cioè un settore è + attraente se presenta un numero elevato di opzioni, se produce molti e differenziati prodotti, se ci sono molte tecnologie possibili, se ci sono + segmenti. --analisi delle risorse e competenze: una risorsa è attraente se può essere usata in diverse aree ed è compatibile con strategie differenti; lo stesso avviene per le competenze (cd competenze dinamiche) che assumono + valore se possono essere riconfigurate per far fronte a un ambiente in rapida evoluzione. Riprogettare l'organizzazione Al di là delle teorie, possiamo dire che l'impresa di oggi, se vuole sopravvivere in un ambiente che si fa sempre + complesso, + competitivo e meno prevedibile, oltre ad ottenere delle performances alte, deve: --avere delle competenze ampie e varie per competere su + fronti --avere la necessaria flessibilità che le permette di rispondere ai cambiamenti --mostrare lo spirito imprenditoriale di una start-up. E' su questi principi che si basa la ristrutturazione e riorganizzazione dell'impresa moderna. 1)Le strutture basate sulle competenze Abbiamo detto che l'impresa deve sviluppare e sfruttare una molteplicità di competenze: il problema è che competenze diverse richiedono strutture diverse, il che vuol dire che un'impresa non può avere una struttura unitaria ma deve avere una molteplicità di strutture: ad esempio le competenze necessarie in R&S (le cd competenze di esplorazione dirette a ricercare e sviluppare le conoscenze) sono diverse da quelle che si richiedono per la produzione o la finanza (le cd competenze di sfruttamento dirette all'applicazione delle conoscenze); occorre dunque approntare delle strutture diverse per ciascuna competenza (tali strutture separate vengono dette Strutture di apprendimento parallelo); esempi sono: A)Strutture informali come --le strutture work-out della GE, riunioni informali in cui i dipendenti erano liberi di fare critiche e proposte alternative --le strutture informali di 3M che consentono ai dipendenti di usare tempo, materiali e strutture

aziendali per sviluppare le proprie idee --le community of practice di RoyalDutch/Shell e HP che consistono in vere e proprie reti di comunità che si scambiano informazioni e conoscenze B)Strutture formali ma flessibili come --team temporanei con membri provenienti da diverse funzioni cui è affidato uno specifico progetto C)oppure si può riorganizzare sulla base della continuità dei processi interni: se consideriamo che l'evasione di un ordine del cliente è una fase di un unico processo che coinvolge fornitori, produzione, distribuzione e assistenza post-vendita, su questa base si può riorganizzare e integrare il sistema: così Volvo ha ridotto a 14 gg il tempo tra ordinazione del cliente e consegna dell'auto. 2)Organizzazione e adattabilità Notoriamente + un'impresa è complessa e più rigida e lenta si dimostra nel rispondere e adattarsi a un cambiamento: come risolvere questo problema ? La ricetta di Jack Welch era: semplicità: abbiamo visto come ridusse la gerarchia e la burocrazia alla GE facendo affidamento sugli incontri informali e come abbia influenzato gli atteggiamenti, le aspettative, i valori e i comportamenti. Molte imprese hanno seguito la scia di Welch concentrandosi sulla cultura organizzativa e sui valori e favorendo forme di coordinamento volontarie e spontanee. In pratica i punti fondamentali relativi alla adattabilità sono: --preferire strutture e moduli semiautonomi (strutture modulari) piuttosto che strutture integrate --come all'interno dell'impresa si cerca di non avere compartimenti stagni, allo stesso modo bisogna considerare le imprese come un sistema aperto verso l'esterno, che può essere il singolo individuo (oggi è frequente trovare individui che lavorano per un'impresa ma non sono coperti da contratti di lavoro dipendente es il lavoro a progetto) o anche altre imprese come avviene nei cd distretti industriali dell'Italia settentrionale dove ad es.le piccole imprese motociclistiche come Aprilia, Ducati e Italjet hanno integrato le reti dei fornitori per tenere testa ai colossi giapponesi. In tutti questi casi si sono rivelate fondamentali le reti informatiche che mettono in comunicazione le varie imprese e permettono a ciascuna di esse di specializzarsi in un nucleo ristretto di competenze che possono essere integrate e condivise con le altre. --cercare di unificare e ispirare gli sforzi di tutti i membri dell'organizzazione e per questo occorre creare e affermare l'identità dell'organizzazione, dare un'immagine forte di ciò che l' impresa ha di caratteristico e fondamentale, un'immagine costruita su valori coerenti con quelli dei dipendenti. A questo punto è chiaro che occorre un nuovo modello di leadership: il ruolo dell'amministratore delegato non è + quello di decidere tutto ma di creare un ambiente che permetta ad altri di assumere parte delle responsabilità: qualcuno dice che per fare questo non occorrono doti maschili, forte capacità decisionale, personalità di leader, ma piuttosto doti femminili capacità di ascoltare, di stabilire relazioni e perchè no, anche l'empatia, cioè la capacità di sentire le emozioni degli altri. A questo proposito accenniamo all'intelligenza emotiva: il termine deriva dall'omonimo libro di Goleman che in prima pagina cita una frase di Aristotele:“Aristotele dice che l'uomo saggio non è chi non si arrabbia mai ma colui che si arrabbia per un motivo giusto, al momento giusto e per il periodo di tempo giusto”: in sostanza Goleman afferma che l'uomo non è un robot, ha i suoi difetti che spesso derivano dalla sua emotività: la tendenza è quella di soffocare questa emotività: invece sarebbe bene che l'uomo si rendesse conto delle proprie emozioni, le accettasse e le sfruttasse a proprio vantaggio; fanno parte dell'intelligenza emotiva: --la consapevolezza di sé cioè delle proprie emozioni, dei propri punti forti e deboli --la consapevolezza sociale cioè la capacità di sentire e capire gli altri --l'autogestione --le abilità sociali cioè le capacità di comunicare e collaborare con gli altri e gestire i conflitti. Goleman afferma che esiste una stretta correlazione tra questi attributi e una performance di successo.