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E

POTERI CONFLITTI

IPERTESTO

La Libia del colonnello Gheddafi La dominazione coloniale italiana e la monarchia di re Idris

➔Guerriglia araba

1 ➔Violenze italiane

I granatieri italiani entrano a Tripoli nell’ottobre del 1911.

F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012

IPERTESTO D

➔La guerra italo-turca

La Libia del colonnello Gheddafi

Nel 1911, il regno d’Italia si lanciò in un’ambiziosa impresa coloniale, finalizzata a sottomettere la Libia, cioè le due regioni della Tripolitania e della Cirenaica. Questi territori erano province dell’impero ottomano, che all’inizio del xx secolo non era più in grado di competere con gli Stati europei e di difendersi dalle loro mire espansionistiche. Di conseguenza, sia i paesi vicini (Serbia, Grecia e Bulgaria) che le grandi potenze (AustriaUngheria, Inghilterra, Italia) approfittarono a più riprese della sua debolezza, per impadronirsi di numerosi territori. In realtà, anche dopo aver sconfitto i turchi, il governo italiano non riuscì mai a controllare davvero l’intera regione, a causa di una continua ed efficace guerriglia condotta dalla popolazione indigena, di lingua e cultura araba. Anzi, nel novembre 1914, ebbe inizio una grande rivolta generale, che obbligò tutti gli italiani a ritirarsi dall’interno del paese, con gravi perdite (circa 5000 uomini, tra morti, dispersi e prigionieri). Cosa ancora più grave, i ribelli si impadronirono di moltissime armi (tra cui 37 cannoni, 20 mitragliatrici e 9000 fucili) e munizioni. La partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale fece il resto, cioè distolse dalla colonia la maggioranza delle truppe e delle risorse, per cui si può dire che, negli anni Venti, la sovranità italiana su Tripolitania e Cirenaica era poco più che nominale. All’inizio degli anni Trenta, la Libia fu di fatto riconquistata, e il generale Rodolfo Graziani fu autorizzato da Mussolini a utilizzare qualsiasi mezzo, al fine di pacificare la colonia. Oltre alla fucilazione di ostaggi e alle rappresaglie, l’esercito italiano fece pertanto ricorso, in Cirenaica (Libia orientale), alla creazione di numerosi campi di concentramento, di dimensioni diverse, in cui vennero

IPERTESTO

➔Indipendenza della Libia

UNITÀ XV

➔Scoperta del petrolio

Il colpo di Stato del 1969

2 IL TEMPO DEL DISORDINE

internate circa 100 000 persone. A causa delle pessime condizioni di vita in cui furono costretti a vivere, morirono circa 40 000 libici. Durante la seconda guerra mondiale, la Libia fu teatro di durissimi scontri tra inglesi e italiani (sostenuti dai tedeschi); dopo la vittoria di El Alamein (autunno 1942), gli Alleati restarono padroni del paese e ne assegnarono l’amministrazione a Idris al-Senussi, l’emiro della Cirenaica che, nel decennio precedente, aveva cercato rifugio presso gli inglesi, in Egitto, e da lì aveva guidato la guerriglia anti-italiana. Nel 1951, quando la Libia divenne indipendente, Idris divenne re del nuovo stato. Inglesi e americani trovarono in Idris un alleato militare affidabile: infatti, sul territorio libico furono costruiti diversi aeroporti e basi militari, che di fatto permettevano agli aerei britannici e statunitensi di controllare l’intero Mediterraneo. Cosa ancora più importante, il sovrano permise alle grandi compagnie petrolifere di agire in totale autonomia, dopo che nell’immediato dopoguerra vennero scoperte nel sottosuolo del paese ingenti riserve di idrocarburi. Nel 1961, la produzione di petrolio era ancora abbastanza bassa (0,9 milioni di tonnellate), ma balzò a quota 40,9 milioni nel 1964, a 58,5 nel 1965, a 72,3 nel 1966. In altri termini, nel periodo 1961-1966, registriamo un tasso di crescita del 142% all’anno; le grandi società di estrazione ottennero profitti enormi, sia perché la Libia era relativamente vicina all’Europa (il che abbassava notevolmente i costi di trasporto), sia perché quello libico è un petrolio di qualità particolarmente buona, in virtù del suo basso tenore di zolfo. I profitti maggiori, tuttavia, derivavano dall’arrendevolezza di re Idris che, per lo Stato libico, aveva accettato una percentuale bassissima di guadagno. Sia nell’ambito politico che in campo economico, dunque, la sovranità della nuova Libia indipendente era decisamente ristretta e limitata. Di fatto, il paese era poco più di un protettorato diretto dalle potenze occidentali che avevano sostituito l’Italia nel controllo dell’area.

➔Neocolonialismo

➔Paziente rete cospirativa

La realtà economica e politica della Libia può essere considerata una tipica situazione di quel fenomeno che gli storici chiamano neocolonialismo e che può essere considerato una caratteristica tipica di numerosi paesi dell’Africa, a partire dagli anni Sessanta. Siamo di fronte a territori ufficialmente sovrani, ma in realtà privi di vera autonomia decisionale in tutti gli ambiti più delicati e più importanti. Il primo leader africano che precocemente (fin dagli anni Cinquanta) denunciò questa situazione per il proprio paese e cercò di capovolgerla fu l’egiziano Gamal Abd-al Nasser, che si presentò come il campione del recupero della completa sovranità politica ed economica dell’Egitto e, più in generale, dei paesi arabi. Nasser fu ammirato e assunto come esempio e modello da un capitano dell’esercito libico, Muammar Gheddafi, che fin dal 1963 si convinse di essere una specie di figura predestinata a guidare il rilancio della Libia e dell’intero mondo islamico, contro l’Occidente imperialista e sfruttatore. Gheddafi iniziò a tessere pazientemente una complessa rete cospirativa, finalizzata a realizzare un colpo di Stato, da effettuare solo al momento opportuno; il giovane ufficiale (nato, forse, nel 1942) fu molto attento a cogliere i diversi segnali del malessere che la società libica nutriva nei confronti del proprio sovrano. Il più clamoroso di tali messaggi si manifestò nel 1967, in occasione della guerra dei sei giorni, durante la quale re Idris cercò di restare defilato e silenzioso, proprio nel momento in cui alcuni importanti paesi arabi fratelli (Egitto, Giordania e Siria) venivano pesantemente umiliati da Israele. Il cauto atteggiamento del sovrano venne sconfessato e scavalcato dagli studenti, dai predicatori delle moschee (gli ulama) e, più in generale, dalla popolazione di Tripoli, che nei giorni 2-9 giugno 1967 assalì i quartieri della capitale in cui vivevano gli ebrei e gli italiani. In questo vero e proprio pogrom, furono uccise almeno 17 persone (tutte israelite), mentre i negozi saccheggiati furono circa un centinaio. La lotta contro lo Stato di Israele, considerato come un’umiliazione imposta dall’imperialismo occidentale al mondo arabo, divenne un pilastro centrale nella concezione ideologica

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IPERTESTO Gheddafi partecipa all’incontro tra Arafat, Nasser e Hussein di Giordania per mettere fine al conflitto tra la monarchia e l’OLP in Giordania, Cairo 27 settembre 1970.

3

L’ideologia di Gheddafi Secondo un commento ufficiale del 1982, tutti i principali provvedimenti presi dal governo rivoluzionario nei suoi primi anni di attività formavano un tutto coerente e unitario: «Questa rivoluzione ha distrutto i troni dei traditori, ha cacciato le basi imperialistiche, ha sconfitto i nemici del popolo e coloro che derubarono le sue risorse. Infine sono stati cacciati i rimanenti fascisti protetti nella corrotta monarchia, perché rappresentavano una quinta colonna che complottava contro la libertà del popolo arabo-libico e si impadroniva delle sue risorse». F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012

IPERTESTO D

➔Il problema delle basi militari

La Libia del colonnello Gheddafi

e nella prassi politica di Gheddafi, che non a caso scelse Operazione Gerusalemme come nome in codice per denominare il suo progetto di colpo di Stato. L’azione venne infine portata a compimento, in modo sostanzialmente incruento e senza spargimento di sangue, il 1° settembre 1969. Dopo l’abdicazione di re Idris, in teoria il potere fu assunto da un gruppo di militari denominato Consiglio del Comando della Rivoluzione; in realtà, nel giro di pochissimo tempo, tutte le cariche più importanti furono ricoperte da Gheddafi, che i compagni di lotta promossero sul campo al grado di colonnello, per l’abilità con cui aveva guidato e diretto prima la cospirazione e poi il colpo di Stato. I primi provvedimenti emanati dal Consiglio riguardarono le basi aeree inglesi e americane: Gran Bretagna e Stati Uniti furono fermamente invitati ad abbandonarle nel più breve tempo possibile. Nel luglio 1970, il governo libico decise l’espulsione della comunità italiana, la cui presenza, proprio come le basi militari, a giudizio di Gheddafi era un retaggio del colonialismo. Gli italiani presenti in Libia a quel tempo erano circa 20 000; nell’arco di tre mesi, furono tutti obbligati ad andarsene, mentre i loro beni vennero nazionalizzati: «Secondo l’agenzia libica JANA, sono stati confiscati agli italiani 352 fattorie per complessivi 37 000 ettari, 1750 case, ville e appartamenti, 500 fra negozi, magazzini, ristoranti, supermercati, cinematografi, studi professionali, 1200 tra autoveicoli, aerei e macchine agricole» (A. Del Boca). Il quotidiano italiano “Il Giornale di Tripoli” venne soppresso, la cattedrale della capitale fu trasformata in moschea (e intitolata a Nasser) e perfino il cimitero fu cancellato, al punto che il governo italiano dovette procedere al trasferimento in patria di 29 492 salme. Subito dopo, Gheddafi concentrò la sua offensiva antimperialista sull’economia, e quindi contro le grandi compagnie petrolifere. Dopo un lungo braccio di ferro, le società che gestivano i pozzi e le raffinerie furono costrette a pagare – pena l’espulsione dal paese o la nazionalizzazione degli impianti – un’imposta di estrazione molto più alta rispetto a quella che versavano a re Idris. Inoltre, nel 1973, la nuova Libia appena uscita dalla rivoluzione fu ovviamente in prima linea nel sostenere l’embargo petrolifero, nei confronti di tutti quei paesi europei che, durante la guerra del Kippur, avevano sostenuto Israele. E quando poi, nel giro di qualche mese, le forniture ripresero, Gheddafi ebbe un ruolo importante nel promuovere il progressivo rialzo del costo del greggio, che da 3-4 dollari al barile (quotazione del 1972) passò improvvisamente a 11,65 dollari (ma giunse perfino a picchi di 18 dollari) al barile.

➔Un comportamento lucido e coerente

IPERTESTO

➔Superare le categorie occidentali

Se riprendiamo la metafora proposta dallo studioso francese François Burgat, potremmo dire che l’espulsione degli anglo-americani, la confisca dei beni degli italiani e la drastica riduzione dei guadagni delle società petrolifere rappresentano il primo e il secondo stadio della decolonizzazione: interventi finalizzati al recupero della piena sovranità politica e al controllo delle risorse economiche di un nuovo paese, divenuto indipendente da poco. In queste operazioni, tutto sommato Gheddafi si è mostrato poco originale, o meglio, un fedele discepolo di Nasser. Il leader egiziano, però, ha fatto uso sempre e solamente di argomenti, princìpi e categorie culturali occidentali: per giustificare i suoi comportamenti politici (ad esempio, la sua determinazione a combattere Israele) si è espresso in termini affini a quelli del nazionalismo europeo, mentre l’espropriazione del canale di Suez è stata illustrata facendo riferimenIL RUOLO STORICO DI GHEDDAFI NEL PROCESSO DI DECOLONIZZAZIONE

UNITÀ XV

La decolonizzazione: un missile a tre stadi

IL TEMPO DEL DISORDINE

4

➔L’integralismo islamico in Egitto

➔Una rivoluzione totale

Nasser, in Egitto

Sayyd Qutb, in Egitto

Gheddafi, in Libia

Primo stadio: recupero della piena sovranità e capacità decisionale in campo politico e militare

Opposizione a oltranza contro lo Stato di Israele, considerato un’imposizione delle potenze imperialiste

Scarso interesse iniziale degli integralisti per il conflitto arabo-israeliano (tema monopolizzato da Nasser)

Secondo stadio: recupero del pieno controllo delle risorse economiche di un paese

Nazionalizzazione del canale di Suez (1956)

• Insistenza (teorica) • Scontro con le su una maggiore grandi compagnie giustizia sociale petrolifere anglo• Impossibilità americane (pratica) di prendere • Confisca dei beni qualsiasi decisione degli italiani espulsi

Terzo stadio: elaborazione di un progetto ideologico alternativo a quelli occidentali

• Assenza di un progetto ideologico autonomo e originale • Utilizzo di categorie occidentali (nazionalismo e socialismo)

• Elaborazione di un progetto originale, alternativo rispetto alle categorie culturali europee • Rigido recupero della tradizione islamica

Opposizione a oltranza contro lo Stato di Israele, considerato un’imposizione delle potenze imperialiste

• Elaborazione di un progetto originale, alternativo rispetto alle categorie culturali europee • Apertura in direzione delle tradizionali categorie europee (già utilizzate da Nasser in funzione antimperialista)

to al socialismo. Nasser, insomma, non è mai davvero approdato al terzo stadio, che secondo Burgat consiste nello sforzo di elaborare categorie di analisi e progetti politici radicalmente diversi da quelli di matrice europea, perché ricercati e trovati all’interno del proprio patrimonio culturale. In Egitto, questo sforzo venne compiuto dagli integralisti islamici, cioè dai Fratelli musulmani e, in particolare, da Sayyd Qutb, che si posero in competizione con il nasserismo e furono il principale avversario del modello laico che esso si proponeva di attuare. L’importanza storica di Gheddafi consiste nel fatto che anch’egli – come Qutb in Egitto e come, più tardi, Khomeini in Iran – si sforzò non solo di compiere una serie di azioni ostili all’imperialismo europeo e statunitense, ma soprattutto di elaborare un progetto politico e sociale radicalmente alternativo a quelli occidentali. Quella di Gheddafi voleva essere una rivoluzione veramente totale, che investisse non solo l’ambito politico e quello economico, ma perfino quello ideologico. A suo tempo, questo aspetto dell’opera condotta da Gheddafi non fu compreso né sufficientemente valorizzato: anzi, fu quasi ovunque disprezzato e deriso; del resto lui stesso, a più riprese, parlava della sua ideologia in termini talmente enfatici ed esagerati da rasentare il grottesco: basti pensare che amava definire la propria dottrina come la “Terza teoria universale” (dopo il liberalismo e il so-

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IPERTESTO

cialismo), sostenendo che essa sarebbe stata la “soluzione definitiva” di tutti i problemi politici, economici e sociali dell’umanità intera. Ciò nonostante, un approccio corretto deve sforzarsi comunque di capire il significato storico di quanto Gheddafi propose negli anni Settanta, cercando di cogliere quello che lo distingue sia dal modello nasseriano (cui pure si ispira), sia dall’integralismo islamico classico, che avrebbe trovato seguaci assai più numerosi rispetto all’ideologia del colonnello libico, pur essendo, per alcuni aspetti, affine a essa. Gheddafi iniziò a divulgare le proprie idee nel 1973, anno in cui uscì la prima parte del cosiddetto Libro Verde; le altre due sezioni sarebbero poi uscite nel 1976. Mentre il primo tomo si occupa prevalentemente di tematiche politiche e religiose, il secondo affronta i problemi dell’economia, dell’assetto sociale e dei rapporti fra le diverse classi. L’ultima parte, infine, esamina tematiche particolari come le relazioni di genere (maschi e femmine), i rapporti tra le razze (bianchi e neri), l’istruzione dei giovani o il ruolo dello sport.

➔Il Libro Verde

L’islam e le masse

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IPERTESTO D

➔Affinità con l’integralismo

5 ➔Tentativo di fusione tra Stati

➔Scarso interesse per la tradizione

La Libia del colonnello Gheddafi

Il primo elemento che Gheddafi assume come base su cui costruire i propri ragionamenti è l’islam. A suo giudizio, il Corano contiene tutte le indicazioni necessarie alla costruzione di una convivenza civile giusta e ordinata. Da questo punto di vista, l’approccio del colonnello non è molto diverso da quello di Sayyd Qutb (che Gheddafi sicuramente ha letto con attenzione) o da quello di Khomeini. Le differenze rispetto agli integralisti islamici, tuttavia, sono non meno importanti delle affinità. In primo luogo, il leader libico non ha mai demolito il mito di Nasser né rinnegato la giustizia delle sue scelte: Gheddafi, semmai, avrebbe voluto essere l’erede del grande presidente egiziano e riuscire là dove Nasser aveva fallito. Tutto sommato, fino all’inizio del XXI secolo, il tema palestinese non è mai stato al centro dell’interesse degli integralisti; la lotta contro il sionismo, invece, per Gheddafi è diventata una specie di missione (o, se si preferisce, di ossessione). Ancora più cara, forse, gli era tuttavia l’idea dell’unità di tutti gli arabi, da aggregare in una lotta comune contro gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste. Solo così si spiega il frenetico sforzo compiuto dal colonnello per costruire federazioni tra due o più Stati, di cui spesso egli si affrettava a proclamare solennemente la fusione, che poi regolarmente falliva, perché l’altro soggetto coinvolto, nel giro di breve o brevissimo tempo, tornava sui suoi passi e rompeva l’accordo. I tentativi di fusione più significativi furono quelli con l’Egitto e con la Siria (nel 1971), con la Tunisia (nel 1974), con il Ciad (nel 1981), con il Marocco (1984); la delusione più cocente, tuttavia, arrivò forse nel 1973, in occasione della guerra del Kippur contro Israele, che Siria ed Egitto intrapresero senza nemmeno consultare Gheddafi e tenendolo fuori da qualsiasi processo decisionale, pur avendo ricevuto gran parte dell’armamento proprio dalla Libia. Esiste un’altra differenza, ancora più importante, tra Gheddafi e gli integralisti islamici. Questi ultimi, infatti, sono molto legati alla tradizione e quindi assegnano un ruolo importantissimo ai teologi o agli interpreti del Corano: che il posto di preminenza spetti a questi professionisti del libro e del diritto (vero e proprio clero, nel caso dell’islam sciita) per i fondamentalisti è fuori discussione, al punto che Khomeini definì il suo regime governo del giurista islamico. Gheddafi invece, pur ispirandosi al Corano, non è per nulla interessato alla tradizione e la viola senza problemi ogni volta che gli pare obsoleta o superata. Nel 1978, si arrivò allo scontro aperto tra il governo rivoluzionario e gli ulama, i predicatori-giuristi che guidavano le riunioni di preghiera nelle moschee. Gheddafi, infatti, non solo voleva nazionalizzare anche i beni delle istituzioni religiose, bensì si opponeva a numerosi aspetti della tradizione, a cominciare dal ruolo sociale che essa attribuiva alle donne. Procedendo con estrema coerenza, e rifiutando senza alcun problema la normativa fissata dai giuristi, il governo non solo introdusse varie norme a garanzia e tutela delle donne sposate o ripudiate, ma arrivò ad aprire loro le porte dell’Accademia militare. Nel medesimo tempo, per mantenere alta la sua immagine di leader veramente rivoluzionario, Gheddafi cambiò nome alla Libia, che assunse la denominazione ufficiale di

IPERTESTO

Jamahiiyya, espressione che significa Stato delle masse. L’intera economia, di fatto, passò sotto il controllo dello Stato che cercò soprattutto di potenziare l’agricoltura; il colonnello, infatti, più volte nel suo Libro verde esprime un violento disprezzo nei confronti della vita nelle città e sogna un futuro basato su piccole comunità di villaggio, direttamente amministrate dagli abitanti. ➔Scarsa libertà, Nel regime instaurato da Gheddafi, la libertà in tutti i suoi aspetti (di associazione, di stamalto tenore di vita pa, di azione in campo economico) venne completamente soffocata e spenta. È vero che il tenore di vita medio dei libici è notevolmente aumentato, grazie alla ridistribuzione dei proventi del petrolio sotto forma di servizi sociali; in dieci anni vengono costruiti 200 000 alloggi, mentre viene scolarizzato il 99% dei bambini. D’altra parte, i benefici per la popolazione avrebbero potuto essere molti di più, se il colonnello non avesse speso una quantità enorme di denaro sia in armi e in guerre direttamente condotte dall’esercito libico (la più lunga e disastrosa fu quella condotta, dal 1973 al 1994, in Ciad) sia in contributi per alimentare la lotta contro l’imperialismo a livello mondiale.

Gheddafi e il terrorismo internazionale

UNITÀ XV

➔Contrasto con gli U.S.A.

IL TEMPO DEL DISORDINE

6 Muammar Gheddafi.

Secondo i servizi segreti occidentali, Gheddafi ha sostenuto in modo consistente l’IRA irlandese, l’OLP palestinese, l’ETA basca e numerose altre organizzazioni che hanno fatto regolarmente ricorso al terrorismo, per raggiungere i propri obiettivi. Per diversi anni, però, i rapporti con gli Stati Uniti non furono particolarmente tesi o violenti; la relazione si fece bruscamente conflittuale a partire dal 1978, dopo che la Casa Bianca svolse un ruolo determinante come mediatore degli accordi di pace stipulati dall’Egitto e da Israele. Nell’aprile 1986, si verificarono a distanza ravvicinata due attentati contro obiettivi statunitensi: un aereo di linea che volava da Roma ad Atene e una discoteca di Berlino ovest, ove numerosi soldati americani si recavano nel tempo libero. L’esplosione sul volo provocò 4 morti e 9 feriti, quella berlinese due morti e 230 feriti. Le indagini avrebbero più tardi dimostrato che il responsabile di entrambi gli atti era un gruppo palestinese radicale, protetto e sovvenzionato dal governo della Siria. Il presidente americano Ronald Reagan, invece, si convinse immediatamente della responsabilità di Gheddafi, che il capo di stato statunitense, da diversi mesi, stava indicando a tutto l’Occidente come “l’uomo più pericoloso del mondo”. Il 9 aprile, Reagan comunicò ai principali governi europei la sua intenzione di colpire pesantemente la Libia; per evitare incidenti ancora più gravi, l’informazione fu passata anche al governo sovietico (e Gorbacev, con grande disappunto di Gheddafi, non fece nulla per fermare l’attacco americano, e tanto meno informò il colonnello). L’Inghilterra mise a disposizione le proprie basi militari, da cui – la notte del 15 aprile 1986 decollarono 44 bombardieri statunitensi, che attaccarono Tripoli con l’esplicito obiettivo di uccidere Gheddafi. Il bombardamento fece 37 vittime (tutte civili), tra cui la figlia adottiva del dittatore, di appena 16 mesi. Gheddafi uscì illeso e, in un primo tempo, amò presentarsi come un nuovo Nasser o

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➔Missili contro Lampedusa

IPERTESTO

un nuovo Che Guevara, universalmente riconosciuti come eroi, nella lotta dei popoli oppressi contro l’imperialismo. Inoltre, per dimostrare la propria determinazione, il colonnello ordinò che fossero lanciati due missili contro l’isola italiana di Lampedusa. I missili caddero in mare e non fecero alcun danno; si trattò di un’azione puramente dimostrativa, incapace di alterare la gravità della situazione: il comportamento di Gorbacev e la facilità con cui gli americani avevano potuto colpire la sua stessa abitazione dimostrarono a Gheddafi quanto la Libia fosse militarmente debole e politicamente isolata. Il colonnello cercò di compiere alcuni gesti di distensione verso i suoi avversari, ma la tensione tornò alta nel 1988, dopo che l’esplosione di un aereo di linea Jumbo, nel cielo di Lockerbie, in Scozia, provocò la morte di 270 persone. Il governo degli Stati Uniti e quello della Gran Bretagna accusarono Gheddafi di essere il mandante della strage e ottennero una dura condanna della Libia da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che chiesero ai paesi membri di bloccare completamente il traffico aereo civile e commerciale da e per la Libia, al fine di isolarla dal resto del mondo e della comunità internazionale. Gli effetti di queste sanzioni sull’economia libica furono ben presto gravissimi; infatti, anche se le frontiere marittime e quelle terrestri erano ancora aperte, i prezzi della maggioranza dei generi di consumo (non escluse le camicie, le scarpe o le automobili) aumentarono vertiginosamente, rendendo tali beni assolutamente inaccessibili per la maggioranza dei libici.

➔Blocco del traffico aereo

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➔Lotta contro l’estremismo islamico

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➔Crescita demografica

➔Rabbia contro i soprusi della polizia

La Libia del colonnello Gheddafi

Il rapido peggioramento della situazione economica provocò malumore e malcontento. Gheddafi si rese subito conto del fatto che gli integralisti islamici avrebbero potuto trarre grandi vantaggi dal nuovo scenario: del resto, nella vicina Algeria, proprio la miseria e la disoccupazione avevano provocato nel 1989 una serie di proteste e di sommosse, sfociate poi, dal 1992, in una violentissima guerra civile. Per tutti gli anni Novanta, pertanto, Gheddafi fu uno dei più intransigenti avversari dei Fratelli musulmani e, più in generale, dell’estremismo politico musulmano. Per ottenere la revoca delle sanzioni ONU, il 5 aprile 1999 Gheddafi accettò di consegnare a un tribunale scozzese i due agenti libici accusati di aver organizzato la strage di Lockerbie; e quando uno di essi fu condannato all’ergastolo, il colonnello accettò di buon grado di versare alle vittime un risarcimento elevatissimo. Nei primi dieci anni del nuovo secolo, la posizione di Gheddafi sembrò tornare più sicura che mai, e il principale segno di questa apparente stabilità fu la stipulazione di vari accordi con l’Italia, che finalmente chiuse i conti morali e materiali con il proprio passato coloniale. I problemi economici e sociali interni, tuttavia, in Libia erano tutt’altro che assenti. La popolazione, infatti, negli ultimi decenni del Novecento è cresciuta a tassi elevatissimi, mentre l’economia nazionale (al di là delle rendite petrolifere) ha ben poco da offrire; pertanto, mentre si registrava da tempo una preoccupante e cronica carenza di abitazioni popolari, almeno il 30% delle donne e dei giovani (oggi, in Libia, una persona su tre ha meno di 15 anni) nel 2010 era disoccupato. La revoca delle sanzioni è stata senza dubbio un’importante boccata d’ossigeno, per la società libica, ma sul piano politico ha generato una situazione estremamente pericolosa per il regime: i problemi della popolazione, infatti, non potevano più essere addossati alle potenze occidentali e all’embargo che esse avevano imposto alla Libia, ma solo a Gheddafi e al suo governo. Il malessere esplose nel 2011, sull’onda delle rivolte che, in Tunisia e in Egitto, cacciarono dittatori che erano al potere da 20-30 anni. Il 16 febbraio, fu arrestato a Bengasi (la seconda città della Libia) Fathi Tirbil, un avvocato che da tempo si era accollato il compito di rappresentare le famiglie delle vittime di un massacro verificatosi nel carcere di Abu Salim, nel 1996. Da oltre due anni, l’avvocato guidava manifestazioni e altre forme di protesta perché fossero fatte piena luce e giustizia su quel tragico evento, durante il quale erano stati uccisi più di 1200 prigionieri. L’arresto di Tirbil spinse gli oppositori al regime di Gheddafi a proclamare per il giorno seguente la cosid-

IPERTESTO D

La crisi del regime di Gheddafi

IPERTESTO UNITÀ XV

Civili tunisini festeggiano sopra un carro armato catturato all’esercito a Bengasi.

➔Proteste, sommosse, guerra civile

IL TEMPO DEL DISORDINE

8

➔Morte di Gheddafi

detta giornata della collera; la violenza con cui furono represse le prime manifestazioni, e che la polizia continuò a esercitare ai funerali delle prime vittime (per un totale di 60-100 morti), trasformò la protesta in vera sommossa, che ben presto trasformò Bengasi e l’intera Cirenaica (la regione più orientale del paese) in zone autonome, che non riconoscevano più l’autorità del potere centrale. Nel giro di pochi giorni, infatti, anche 20-30 000 soldati dell’esercito libico si rifiutarono di obbedire a Gheddafi, cioè disertarono o si schierarono con i ribelli. La Libia, pertanto, è scivolata nella spirale di una violenta guerra civile, nel corso della quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha duramente criticato Gheddafi per le violenze compiute, nel tentativo di riprendere il controllo della situazione, e autorizzato la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia ad appoggiare militarmente gli avversari del colonnello con azioni di bombardamento aereo. I ribelli hanno infine conquistato Tripoli e catturato Gheddafi, sommariamente giustiziato (senza processo) il 20 ottobre 2011.

Profughi libici ammassati sul confine con la Tunisia.

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L’utopia di Gheddafi e il Libro Verde

IPERTESTO

Riferimenti storiografici

F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012

9 La Libia del colonnello Gheddafi

Ancora prima di porre mano alle tre parti del Libro Verde, che renderà pubbliche fra il 1973 e il maggio del 1979, Gheddafi fa una scelta di importanza capitale, quella di attribuire all’islam la funzione di unità, identità e liberazione del paese. Il primo segno della svolta è contenuto nella Costituzione provvisoria dell’1 dicembre 1969. L’art. 2 del capitolo I recita infatti: «L’Islam è la religione dello Stato». Superando le posizioni dei riformisti e anticipando di un decennio quelle degli integralisti islamici, Gheddafi si propone di reinterpretare il Corano per dimostrare che esso contiene tutti i precetti necessari per edificare una società e uno Stato moderni. Prendendo la parola il 12 dicembre 1970 alla 1ª Conferenza missionaria islamica, convocata a Tripoli, il leader libico così si esprime: «L’islam ha una vocazione universale; è la fonte di ogni progresso e di tutte le scienze; è più progressista di qualsiasi ideologia rivoluzionaria; ha stabilito i principi di una società concepita al servizio tanto dell’individuo che della collettività; ha scoperto prima di ogni altro i diritti dell’uomo e del lavoratore, la soppressione delle classi». Ricevendo in quegli anni i giornalisti, Gheddafi ama soffermarsi sulla scelta islamica fatta dalla Libia e ne spiega le motivazioni. Ad Eric Rouleau, con il quale sembra essere entrato in sintonia, confida: «Legga e rilegga il Corano. Vi troverà le risposte a tutte le sue domande. L’unità araba, il socialismo, i diritti di successione, il posto che dovrebbe competere alla donna nella società, la caduta ineluttabile dell’impero romano, il destino del nostro pianeta dopo la messa a punto della bomba atomica. Per chi sa leggere, c’è tutto in questo libro santo». Poi, dopo una breve pausa, riprende con fervore: «Mi creda, i popoli, compresi i comunisti russi, si convertiranno all’Islam se si prendono la briga di leggere il Corano con intelligenza e con spirito aperto». Anche la scelta socialista della Libia ha le sue radici nel libro sacro: «Il socialismo arabo che abbiamo adottato si pone a mezza strada fra il capitalismo sfruttatore e il comunismo totalitario; le sue origini sono nei precetti dell’Islam. Non è importato dall’estero e consente a tutti, ricchi e poveri, di edificare insieme una società florida e giusta». La rilettura che Gheddafi fa del Corano, che ha il preciso obiettivo di individuare nelle sacre scritture gli strumenti e gli istituti per edificare il nuovo Stato e garantire nello stesso tempo legittimità al nuovo regime, si caratterizza anche per la netta distinzione che il leader libico opera fra il Corano e la shari’a (il sistema giuridico musulmano) e fra il Corano e gli hadith, ossia l’insieme di tradizioni relative agli atti e alle parole di Maometto, che Gheddafi considera opera degli ulama [gli esperti di diritto musulmano e di teologia islamica, n.d.r.] e quindi opera umana, non di fede. Privilegiando il Corano e prendendo le distanze tanto dalla shari’a che dagli hadith, Gheddafi finisce per entrare in rotta di collisione con gli ulama, alcuni dei quali cominceranno a indicarlo, nei loro sermoni, come un apostata, un eretico. La posizione di Gheddafi nei confronti della shari’a appare comunque ambigua nei primi anni dopo il colpo di Stato. L’11 ottobre 1972, ad esempio, Radio Tripoli annuncia che il CCR [Consiglio del Comando della Rivoluzione: il governo della Libia, dopo il colpo di stato del settembre 1969, n.d.r.] ha deciso di applicare in Libia la legislazione penale islamica, compresa nella shari’a, che prevede per ladri e rapinatori punizioni che vanno dal taglio di una mano alla pena di morte. La decisione è molto grave perché la maggioranza dei paesi musulmani non applica questa legislazione, bensì codici penali ispirati al diritto occidentale e che prevedono soltanto condanne a pene detentive. Ma poi si scopre che queste terribili pene non vengono mai applicate in Libia e che servono soltanto da deterrente. […] Ricostruendo la storia del fondamentalismo islamico, François Burgat riconosce giustamente che Gheddafi, «più arabista di Nasser, ma anche più musulmano di lui, ha contribuito a reintrodurre i referenti religiosi nel discorso unitario [ha cercato di porre l’islam a fondamento del progetto di unire insieme tutti i popoli arabi, n.d.r.]. Rinnegato oggi dalla maggioranza dei movimenti islamici, Gheddafi appare tuttavia, paradossalmente, come

IPERTESTO D

Spesso Gheddafi viene liquidato come un pazzo, come un megalomane che la ricchezza petrolifera ha trasformato in un povero squilibrato. Un approccio più corretto dovrebbe invece tentare di cogliere lo specifico della sua ideologia, che si trova espressa nel cosiddetto Libro Verde, scritto nel 1973. La sua importanza consiste nel fatto che l’islam viene rilanciato come ideologia alternativa a qualsiasi dottrina politica occidentale; tuttavia, si tratta di un islam molto diverso da quello della tradizione, con cui Gheddafi spesso entrò in conflitto. Nelle sue intenzioni, il Libro Verde doveva fondare una terza via tra il modello politico di Nasser e quello degli integralisti islamici radicali.

UNITÀ XV

IPERTESTO

quello tra i leader arabi che, rafforzando la componente islamica del proprio discorso, ha per primo cominciato a spostare il centro di gravità ideologica dell’arabismo nasseriano. Sotto molti aspetti, la sua precoce reintroduzione (fin dall’esordio degli anni Settanta) nel linguaggio giuridico-politico libico di molte categorie dell’islam, ha contribuito a farlo apparire come il primo capo di Stato islamico (anche se egli rifiuta questo titolo)». Se analizziamo il fenomeno integralista nella sua odierna e matura configurazione, ci accorgiamo infatti che il giovane Gheddafi non trascura, nella costruzione della propria ideologia, nessuno degli elementi che caratterizzano il fondamentalismo: dal ritorno dell’islam alle sue fonti all’adozione del Corano come «legge della società»; dal ripudio del diritto internazionale al recupero di una identità culturale; dall’uso politico del petrolio al rigetto di ogni ricordo, influenza e presenza occidentale. […] Il 3 luglio 1978, nel corso di un appassionato dibattito tra Gheddafi e un gruppo di ulama libici e irakeni, raccolti nel recinto della moschea Mulay Muhammad di Tripoli, il colonnello opera ancora una volta una netta distinzione fra il Corano, parola rivelata e eterna, e la shari’a, che egli considera una legislazione elaborata dagli ulama attraverso i secoli: «Considero la shari’a come un diritto positivo [storicamente dato, elaborato da un’autorità umana, n.d.r.], esattamente come il diritto romano, il codice napoleonico e tutte le altre leggi elaborate da giuristi francesi, italiani, inglesi e musulmani… Ritengo che gli studiosi dell’islam abbiano elaborato un diritto positivo che regge bene il confronto con il diritto romano. Ma io non dirò mai che si tratta di religione: è un diritto positivo ammirevole, elaborato da musulmani, da uomini di cultura musulmana, di orientazione musulmana, che sono il prodotto della terra dell’islam». Rivelando una conoscenza straordinaria del Corano e della storia dell’islam e dimostrando di possedere tutti i requisiti per tener testa a un consesso di ulama agguerriti e ostili, Gheddafi contesta energicamente il monopolio dell’interpretazione del Corano detenuto dagli ulama; si arroga il diritto di edificare in Libia «una democrazia popolare e di sopprimere lo sfruttamento», anche se ciò dovesse porre dei limiti alla proprietà privata, inclusa quella delle corporazioni religiose; sfida gli ulama a trovare nel Corano una sola parola che autorizza la lapidazione e la poligamia, ammesse invece dalla shari’a. A. DEL BOCA, Gheddafi. Una sfida dal deserto, Roma-Bari 2010, Laterza, pp. 65-68 e 85-86

IL TEMPO DEL DISORDINE

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Spiega il significato dell’espressione secondo cui il socialismo arabo non è importato dall’estero. La shiari’a è in funzione in Libia?

Che cosa significa il fatto che le pene previste dalla legge islamica non vengano mai applicate in Libia e che servano soltanto da deterrente?

Gheddafi consulta il Libro Verde durante un dibattito sul senso della democrazia alla BBC.

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Nessuno avrebbe immaginato che anche Muammar Gheddafi avrebbe dovuto fare i conti con una rivolta. Tutti i governi invece, amici o nemici, hanno subito intuito che nel caso della Libia lo scontro sarebbe stato più cruento, per il fatto che il Colonnello, considerava il Paese un suo possedimento, leggeva ciò che volevano gli insorti come una specie di attacco alla sua proprietà. […] La Libia, il Paese che ha le maggiori riserve di greggio del continente africano (e il cui territorio è fra l’altro ancora in gran parte inesplorato) è un rentier State, uno Stato che vive delle rendite petrolifere, così come lo sono i Paesi del Golfo. Ovviamente bisogna tener conto di una differenza di scala, per quanto riguarda le riserve di greggio come per gli investimenti: Paesi come l’Arabia Saudita, il Kuwait o gli Emirati Arabi sono molto più ricchi. Tuttavia, se si tiene conto di questa differenza, la similitudine sussiste per diversi aspetti. Fra i tanti aspetti vi è anche il seguente: il regime libico ha enormemente beneficiato degli introiti petroliferi e degli investimenti stranieri degli ultimi anni, ma ha mantenuto uno strettissimo controllo su queste risorse, impedendo che la società libica ne beneficiasse. Gheddafi avrebbe potuto facilmente migliorare le condizioni di vita della sua (relativamente scarsa) popolazione, anche soltanto ridistribuendo una parte degli introiti petroliferi, o – ancora meglio – creando le basi per il decollo di una economia non petrolifera; ha invece puntato sulla tenuta ideologica del regime e sulla retorica populista antioccidentale, nonostante gli interessi che lo legano a questo stesso Occidente siano molteplici e stratificati in ogni settore. La ricchezza è rimasta concentrata nelle mani di pochissimi: essenzialmente i suoi familiari e i membri del suo clan, e le persone più strettamente legate ad essi. […] Gheddafi non è amato dalla sua gente, a parte da coloro che vivono delle sue prebende [delle rendite che provengono direttamente da lui, n.d.r.] come, ad esempio, le alte gerarchie delle Forze Armate, gli esponenti dell’intelligence, i capi dei comitati rivoluzionari e gli uomini della sua tribù. I libici della Cirenaica lo odiano, perché il Colonnello non ha fatto nulla per questa regione (divenuta libica grazie all’invenzione del colonialismo italiano, che l’unì alla Tripolitania e al Fezzan). Eppure quando venne a Roma, l’estate scorsa [2010, n.d.r.], non si fece scappare l’occasione di appuntarsi sul petto la foto in cui era ritratto il leone del deserto, Omar al-Mukhtar, in catene e circondato dai fascisti italiani. L’eroe della lotta contro il colonialismo italiano era della Cirenaica e fu proprio là, a Bengasi, che scoppiarono i tumulti di protesta quando un Ministro italiano, Roberto Calderoli, andò in televisione per mostrare, stampata su una maglietta, una caricatura di Maometto che lo raffigura con in testa un turbante a forma di bomba con la miccia accesa. È da questa regione che sono state organizzate le prime manifestazioni contro il regime del Colonnello. Qui è avvenuta la creazione di un Consiglio provvisorio degli insorti ed è ancora da qui che le milizie regolari e i mercenari sono stati sconfitti e ricacciati a Tripoli, dove si trova il bunker di Gheddafi (il quale cerca con tutti i mezzi di sottrarre alle forze della rivolta i territori che questi hanno conquistato). Il dittatore libico non si è fatto alcun problema a usare aerei ed elicotteri, oltreché la sua milizia, per seminare morte tra la sua stessa gente e riconquistare parte dei territori perduti. Dalla fine degli anni Novanta iniziava, dunque, l’avvio della normalizzazione dei rapporti tra il regime di Gheddafi , gli USA, l’Unione Europea e l’Italia. Nell’era dell’unipolarismo americano, Gheddafi si era reso conto che il suo regime non sarebbe sopravvissuto nel totale isolamento internazionale in cui era venuto a trovarsi fino a quel momento. Su un altro versante, le potenze occidentali avevano evidentemente ritenuto che fosse giunto il momento di assolvere il libico Gheddafi a un giusto prezzo: quello degli interessi economici. Considerati tali legami, risulta chiaro perché i Paesi occidentali non si siano affrettati a condannare Gheddafi quando in Libia sono iniziate le proteste. Nella corsa alla Libia si è inserita prepotentemente anche l’Italia. Il 30 agosto 2008 è stato firmato il Trattato di cooperazione italo-libico tra Gheddafi e Berlusconi, proprio a Bengasi, la città da cui è partita la rivolta. In base all’accordo, l’Italia si impegnava a pagare cinque miliardi di dollari di compensazione per l’occupazione coloniale, e in cambio la Libia si impegnava a combattere l’immigrazione clandestina e a rafforzare i propri rapporti economici con Roma. In conseguenza di questo accordo, l’Italia è dal 2008 il primo partner commerciale della Libia, anche grazie a una serie di intese personali stipulate tra il Premier Berlusconi e il leader libico. Sono queste le vere ragioni per cui la drammatica crisi che sta vivendo la Libia rappresenta un grande problema per l’Europa e per l’Italia in particolare. […] F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012

IPERTESTO

La situazione creatasi all’inizio del nuovo secolo è decisamente confusa e imbarazzante. Infatti, per ragioni economiche (il petrolio) o politiche (la repressione dell’integralismo e il controllo dell’immigrazione) Gheddafi è stato corteggiato da vari governi occidentali, a cominciare da quello italiano. Anche numerose aziende italiane hanno accettato di stipulare accordi commerciali e finanziari quanto mai vantaggiosi con il regime libico, che nel 2011 è stato anch’esso investito dall’onda della rivolta popolare.

IPERTESTO D

La Libia, l’Occidente, l’Italia

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IPERTESTO

Negli anni il lavoro di legittimazione del Governo libico da parte italiana è stato portato avanti in modo quasi ossessivo, e ciò spiega la reazione tiepida con cui anche il nostro Governo si è confrontato con la rivolta in Libia: di fatto, in gioco ci sono i settori delle infrastrutture, dell’energia, delle banche, perfino del calcio; Gheddafi ha riempito di denaro le casse delle maggiori aziende italiane, e di contro la Libia è divenuta meta preferita degli investimenti nostrani. E come se tutto ciò non bastasse, a evidenziare il vantaggio che si è creato dall’intesa Berlusconi-Gheddafi, interviene il tema dell’immigrazione: grazie all’alleanza tra i due leader, l’Italia può rimandare indietro i migranti fermati nelle acque italiane, eludendo alla luce del sole la protezione per coloro che richiedono asilo, legittimata dal Diritto Internazionale. Le torture e i maltrattamenti agli immigrati ricacciati in Libia vengono infatti denunciati di continuo, ma questo non sembra impensierire la leadership italiana. F. RIZZI, Mediterraneo in rivolta, Roma 2011, Castelvecchi, pp. 80-87

Spiega il significato dell’espressione economia non petrolifera.

Chi era Omar al-Mukhtar? Per quale motivo era chiamato il leone del deserto? Spiega il significato del termine unipolarismo.

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Manifestazione in favore della liberazione della Libia.

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